Bonus sicurezza, le detrazioni fiscali per antifurto, vetri e grate

Tra le agevolazioni fiscali di cui è ancora è possibile usufruire vi è il bonus sicurezza diretto all’installazione di sistemi anti-intrusione. Ecco come ottenere le detrazioni per l’installazione di impianti antifurto e non solo.

Bonus sicurezza, quali interventi sono coperti dalle detrazioni fiscali?

La sicurezza in casa è sempre importante, purtroppo nel tempo i tentativi di effrazione sono aumentati e si ha l’esigenza di migliorare la sicurezza attraverso sistemi di protezione passivi, ad esempio le grate, e di sicurezza attiva, come gli antifurti. Negli ultimi anni si parla spesso di Superbonus e bonus ristrutturazione, molti dimenticano che tra le varie possibilità vi sono anche le detrazioni per l’installazione di sistemi di protezione, anche conosciuto come bonus sicurezza o bonus antifurto.

L’articolo 16- bis comma 1 lett. f) del Tuir prevede la possibilità di ottenere detrazioni fiscali per interventi su singole unità immobiliari o su parti comuni di edifici volti a prevenire il rischio di fatti illeciti da parte di terzi. Il bonus antifurto non prevede solo la possibilità di ottenere la detrazione per l’installazione di sistemi antifurto, ma anche per altre tipologie di intervento, ecco quali:

  • installazione sostituzione o rafforzamento di grate di sicurezza, recinzioni murarie e cancellate;
  • montaggio di porte blindate o rinforzate;
  • sostituzione o installazione di spioncini, serrature;
  • apposizione di saracinesche;
  • installazione di vetri antisfondamento;
  • montaggio di casseforti a muro;
  • installazione di tapparelle metalliche con bloccaggi;
  • installazione di fotocamere o cineprese collegate con centri di vigilanza privati;
  • antifurto.

Come ottenere il bonus sicurezza?

La detrazione del 50% delle spese sostenute viene riconosciuta nel limite di spesa massima di 96.000 euro. Possono avvalersi della agevolazione fiscale i contribuenti Irpef, che possiedono o detengono l’immobile con un titolo idoneo, ad esempio se a sostenere le spese è l’usufruttuario costui può ottenere le detrazioni fiscali, può naturalmente ottenere l’agevolazione fiscale anche il proprietario dell’immobile.

Per poter ottenere l’agevolazione è necessario che il pagamento avvenga con strumenti tracciabili. Nella causale del versamento deve essere indicato che lo stesso è effettuato per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio che danno diritto alla detrazione. Deve inoltre essere indicato il codice fiscale del beneficiario della detrazione. Le detrazioni saranno divise in 10 rate di uguale importo e potranno essere usufruite nei rispettivi 10 anni.

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Rimborso credito Irpef, fino a quando si può avere?

Quando si presenta la dichiarazione dei redditi senza avere un sostituto di imposta, è direttamente l’Agenzia delle Entrate a rimborsare il credito Irpef con accredito in conto corrente o bonifico domiciliato. Cosa succede però se il rimborso non viene erogato? Fino a quando è possibile richiedere il rimborso credito Irpef?

Rimborso credito Irpef, chi deve chiederlo?

Chi ha il sostituto di imposta, ad esempio il datore di lavoro oppure l’ente che eroga la pensione, riceve automaticamente con lo stipendio o con la pensione l’eventuale rimborso Irpef generato da detrazioni, deduzioni o semplicemente in seguito al versamento di maggiori imposte rispetto a quanto dovuto.

Chi invece non ha il sostituto di imposta, generalmente presenta il modello redditi Persone Fisiche, riceve il conguaglio dall’Agenzia delle entrate. Per chi ha inserito il proprio codice Iban nel cassetto fiscale, a cui si accede con le proprie credenziali ( codice Spid, Cie o Cns) generalmente non vi sono problemi e si riceve il pagamento con accredito. Problemi possono invece sorgere per chi non ha indicato il codice Iban. Ciò che molti non sanno è che il rimborso Irpef va in prescrizione, cioè a un certo punto non è più possibile richiedere il rimborso delle somme, quando capita ciò?

Entro quanto tempo è possibile richiedere il rimborso credito Iperf?

Generalmente chi presenta la dichiarazione senza sostituto di imposta ( disoccupati, partite Iva, lavoratori autonomi) riceve il rimborso entro sei mesi dal termine per la trasmissione della dichiarazione (quindi entro il marzo successivo). In particolare per somme fino a 1.000 euro l’erogazione avviene tra il 15 dicembre ed entro il 22 dicembre, mentre per somme superiori il rimborso avviene successivamente ed entro il mese di marzo.

Il rimborso dei crediti Irpef, in seguito a presentazione della dichiarazione dei redditi, deve essere richiesto entro 48 mesi. Una volta richiesto il rimborso, la prescrizione di tale richiesta si ha entro 10 anni. Nel caso in cui effettuata la richiesta di rimborso dei crediti Irpef e lo stesso non sia erogato dall’Agenzia delle Entrate, è possibile presentare ricorso per ottenere le somme.

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Rimborso Irpef oltre 4.000 euro, come funziona?

Detrazione spese veterinarie, come si calcola?

Come si calcola la detrazione spese veterinarie? Questa la domanda che si è posta un contribuente a cui ha fornito risposta l’Agenzia delle Entrate.

Detrazioni spese veterinarie

L’Agenzia delle Entrate nel tempo sta cercando di migliorare il rapporto con i contribuenti attraverso una serie di indicazioni, risposte e delucidazioni a curiosità o dubbi frequenti. Nell’ultimo caso il contribuente ha chiesto: La detrazione delle spese per il veterinario e per l’acquisto di farmaci veterinari va calcolata per ogni animale domestico posseduto?

L’Agenzia delle Entrate ha fornito risposta al quesito attraverso la rubrica sul sito FiscoOggi.

L’articolo 15 comma 1, lett. c-bis – del Tuir prevede la possibilità per chi ha animali domestici, non animali da allevamento, di portare in detrazione dall’Irpef delle spese veterinarie sostenute per la loro cura. La detrazione può essere fatta valere su una spesa annua massima di 550 euro, con una franchigia di 129,11 euro. La detrazione è del 19%.

Detrazione spese veterinarie: si applicano al singolo animale?

Il contribuente si è chiesto se tali limiti sono riferibili agli animali domestici generalmente posseduti, oppure se per ogni singolo animale, ad esempio un cane e un gatto, è possibile portare in detrazione dall’Irpef le spese fino a 550 euro. La differenza, a seconda del trattamento fiscale, è notevole perché nel secondo caso i benefici fiscali si moltiplicano per ogni animale presente in casa.

Purtroppo l’Agenzia delle Entrate nella risposta è stata abbastanza chiara. Il limite visto è globale, cioè si tratta dell’ammontare massimo per le spese veterinarie che ogni soggetto può far valere indipendentemente dal numero di animali che sono presenti in casa.

A questo proposito occorre però sottolineare che tra le proposte presenti nella riforma fiscale vi è anche quella di ridurre l’Iva sulle prestazioni veterinarie, medicinali e sul cibo per animali. Inoltre vi è la proposta di azzerare l’Iva su piani vaccinali per gli amici a 4 zampe e microchippatura.

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Infine, si ricorda che vi sono trattamenti fiscali e agevolazioni diverse nel caso in cui si tratti di cani guida.

Detrazione spese acquisto cane guida e mantenimento: novità e importi

Detrazione Interessi passivi mutuo anche se estinto

Chi stipula un mutuo per l’acquisto della prima casa può godere di varie agevolazioni fiscali, tra queste vi è la possibilità di portare in detrazione gli interessi passivi del mutuo. Un contribuente si chiede se estinguendo il primo mutuo, per poterne stipulare uno nuovo, è possibile continuare a usufruire delle detrazioni. Ecco la risposta dell’Agenzia delle entrate.

Detrazione interessi passivi mutuo, come funziona?

La detrazione per interessi passivi sui mutui prima casa prevede la possibilità di portare in detrazione, su una spesa massima per interessi di 4.000 euro annui, il 19%. Si tratta quindi di 760 euro l’anno da scalre dall’imposta Irpef da versare. L’agevolazione vale solo per la prima casa e può essere portata in detrazione da un solo soggetto oppure dai soggetti cointestatari del mutuo pro quota.

In alcuni frangenti può essere necessario estinguere un vecchio mutuo per trasferirlo su un nuovo mutuo, ad esempio nel caso in cui si trovi una banca che offre condizioni migliori. Al di là dei motivi che portano ad estinguere un mutuo per accenderne un altro, un contribuente si chiede:

Io e mio marito vorremmo estinguere il mutuo cointestato, acceso qualche anno fa per acquistare l’abitazione principale e per il quale stiamo usufruendo entrambi della detrazione degli interessi passivi, per accenderne uno nuovo. Se decidessimo di intestare il nuovo mutuo solo a mio marito, potrebbe chiedere solo lui il 100% della detrazione degli interessi passivi?

In questa situazione ci troviamo un vecchio mutuo estinto, la stipula di un nuovo mutuo e la modifica dei soggetti intestatari del mutuo.

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Agenzia delle entrate: le detrazioni interessi passivi del mutuo estinto non si perdono a queste condizioni

L’Agenzia delle entrate attraverso la rubrica FiscoOggi risponde al contribuente richiamando la Risoluzione 57 del 2008 della stessa Agenzia. Sottolinea che in un caso simile a quello proposto è possibile continuare ad ottenere la detrazione degli interessi passivi del mutuo anche se cambia l’intestazione (da mutuo cointestato a mutuo intestato a un solo soggetto e detrazioni in favore di un solo soggetto), ma deve essere rispettata una condizione.

Il nuovo mutuo deve avere come importo di capitale la stessa somma residua del precedente mutuo. Questo implica che non possono essere richieste somme aggiuntive da utilizzare magari per altri motivi. Il mutuo infatti era stato concesso a fronte del pagamento immediato da parte della banca al proprietario. Di conseguenza per l’acquisto della casa non vi è bisogno di somme aggiuntive e le stesse evidentemente sarebbero usate per altri motivi che non prevedono il beneficio della detrazione degli interessi passivi.

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Detrazione spese universitarie, ecco perché si perdono

Ci sono numerosi studenti universitari che per non pesare troppo sulle spalle dei genitori decidono di lavorare, che si tratti di fare i camerieri, pizzaioli, lavorare part time per qualche azienda, questo porta alla formazione di un reddito. Tale reddito potrebbe precludere la possibilità di avvalersi delle detrazioni fiscali per le spese universitarie. Ecco come comportarsi.

Detrazione spese universitarie per i figli, ecco quando si possono perdere

La detrazione spese universitarie consente di “scalare” dall’Iperf il 19% delle spese sostenute per la frequentazione di corsi universitari. La detrazione può essere fatta valere anche nel caso in cui lo studente sia iscritto a facoltà private, riconosciute dal Miur, in questo caso dei limiti di spesa che dipendono dalla facoltà frequentata e dall’ubicazione della facoltà.

I genitori che pagano le tasse universitarie dei figli ed altre spese connesse, ad esempio l’abbonamento per il trasporto pubblico, possono richiedere la detrazione delle spese sostenute per il figlio, ma cosa succede nel caso in cui il figlio non sia più considerabile fiscalmente a carico sebbene appartenga allo stesso nucleo familiare?

Ecco i chiarimenti.

Un figlio non si considera fiscalmente a carico nel caso in cui abbia un reddito proprio che supera 4.000 euro l’anno per figli fino a 24 anni di età, scende a 2.840,52 età per i figli di età maggiore. In questo caso i genitori pur continuando a pagare le tasse universitarie per il figlio, ad esempio come regalo o perché oggettivamente con un reddito di 4.000 euro non si è autonomi, non potranno comunque avvalersi delle detrazioni per spese universitarie.

Al limite è il figlio che in dichiarazione dei redditi può far valere la detrazione fiscale in oggetto, sebbene, vista la detrazione per lavoro dipendente spettante ai lavoratori, potrebbe comunque risultare “incapiente” non versare imposte e di conseguenza non avere capienza fiscale per far valere la detrazione.

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Detraibilità spese tamponi Covid? Chiarimenti dall’Agenzia

Il 2022 è stato un anno particolare, l’Italia era ancora nel pieno della pandemia e tante persona hanno dovuto ripetere numerose volte i test anti-covid per avere un elevato grado di tracciabilità del Covid. Le spese sostenute sono detraibili con la dichiarazione 2023, ma molti sono i dubbi esposti dai contribuenti all’Agenzia delle entrate. Ecco qualche chiarimento.

Posso portare in detrazione le spese per tamponi Covid

Un contribuente ha segnalato all’Agenzia delle entrate che nel 2022 si è sottoposto numerose volte a tamponi Covid, sempre presso la stessa farmacia. Pur avendo pagato con strumenti tracciabili, in particolare con il bancomat, la farmacia ha riportato la voce “pagamento contante”. Nel momento in cui il contribuente ha scaricato dal sito dell’Agenzia il modello 730 precompilato si è accorto che queste spese non sono indicate.

Si chiede quindi se può modificare il modello 730/2023 precompilato aggiungendo tali spese e portandole in detrazione, pur avendo pagato con il bancomat e avendo conservato la ricevuta del pagamento elettronico, oppure deve ritenere di aver perso il diritto alle detrazioni fiscali in forza della incongruenza tra lo strumento utilizzato per il pagamento e lo scontrino fiscale rilasciato in farmacia.

A tale quesito l’Agenzia delle entrate ha risposto nella rubrica presente sul sito FiscoOggi.

Agenzia delle Entrate: i tamponi  Covid possono sempre essere portati in detrazione

I tamponi Covid rientrano nella categoria degli esami diagnostici, come tali, sottolinea l’Agenzia delle entrate consentono di avere la detrazione del 19% della spesa sostenuta. Rientrano nelle spese sanitarie a cui si applica la franchigia globale di 129,11 euro.

Sottolineato ciò, l’Agenzia nella risposta al contribuente precisa che per le spese detraibili sostenute in farmacia è sempre possibile ottenere la detrazione, anche se il pagamento è avvenuto in contanti. Infatti questa è una delle poche deroghe al principio generale per il quale le spese da portare in detrazione devono essere affrontate con strumenti di pagamento tracciabili. Sottolinea però l’Agenzia che “La certificazione rilasciata dalle farmacie può riportare la qualità della prestazione sanitaria effettuata, consistente, per esempio, nella “esecuzione prestazione di servizio tampone antigenico per la diagnosi Covid-19”, o l’indicazione dei codici univoci 983172483 (esecuzione tampone rapido 18+) e 983172420 (esecuzione tampone rapido 12-18)”.

Si ricorda, infine, che è esclusa la detraibilità delle spese sanitarie pagate in contanti presso strutture private non convenzionate. In questo caso l’unico modo per ottenere le detrazioni fiscali è pagare con assegno, bonifico, carta di credito, carta di debito, insomma non in contanti.

Riforma fiscale, presentata la bozza: Irpef, flat tax, Ires e agevolazioni

È pronta la bozza della tanto attesa riforma fiscale, si compone di 4 parti per un totale di 21 articoli che andranno a riguardare tutti i contribuenti. Ecco cosa cambia.

Riforma fiscale, riduzione delle imposte con revisione delle agevolazioni

L’obiettivo è ridurre la tassazione dei contribuenti e quindi diminuire la pressione fiscale, ma non solo, c’è anche lo scopo di semplificare il sistema. Ecco le principali misure della riforma fiscale.

La riduzione della pressione fiscale dovrebbe essere “finanziata” attraverso una riduzione delle agevolazioni fiscali in favore del contribuente, questo implica che per lo Stato il saldo non dovrebbe variare in modo considerevole, ne deriva che anche i servizi forniti ai cittadini non dovrebbero subire grosse variazioni, ma l’uso del condizionale è sempre d’obbligo.

Novità anche per le società che potranno avvalersi di una nuova Ires a due aliquote fiscali, inoltre per le imprese si va verso il superamento definitivo dell’Irap (imposta sui redditi delle attività produttive). Nella bozza è previsto anche l’addio all’imposta di bollo, ipotecaria e catastale, sia chiaro non scompariranno, ma tali tributi saranno riuniti in un tributo unico che dovrebbe essere più basso.

Per i redditi da fabbricati si procede all’applicazione della cedolare secca anche per gli immobili non a uso abitativo.

Riforma fiscale: arriva la flat tax per i lavoratori dipendenti

Nella bozza di riforma torna anche la flat tax per i dipendenti di cui si è molto parlato in campagna elettorale, la stessa prevede due termini temporali, per i redditi aggiuntivi, cioè flat tax incrementale, si applicherà già dal 2023, quindi aliquota fissa per i redditi aggiuntivi rispetto a quelli prodotti nell’anno precedente.

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Per l’avvio definitivo della flat tax per tutti i redditi da lavoro dipendente invece il termine previsto è fine legislatura. Di conseguenza la riduzione degli scaglioni Irpef a tre dovrebbe essere una misura temporanea e applicata quindi solo per il periodo dall’entrata in vigore della riforma fiscale fino all’entrata in vigore successiva della flat tax.

Attualmente sono in vigore quattro scaglioni:

  • 0-15.000 euro aliquota 23%;
  • 15.001-28.000 euro aliquota 25%;
  • 28.001 – 50.000 euro aliquota 35%;
  • oltre 50.001 euro aliquota 43%.

Con la riforma le due aliquote centrali dovrebbero essere accorpate con un risparmio di imposta per i redditi compresi tra 28.0001 euro e 50.000 euro.

Iva con aliquota Zero

Un’altra novità particolarmente interessante è l’applicazione dell’aliquota Iva zero per i beni di prima necessità. Secondo le stime Codacons questa sola misura dovrebbe portare al risparmio in media di 300 euro l’anno a famiglia, naturalmente molto dipenderà dal paniere di beni che effettivamente vengono inseriti all’interno del testo definitivo.

Tra le ipotesi vi è anche il federalismo fiscale che prevede il trasferimento dei gettiti Irpef e Iva verso la regione in cui effettivamente si è prodotto il reddito/ o di residenza del contribuente e in cui è avvenuto il consumo.

Ricordiamo che questa è solo una bozza e l’iter di approvazione della legge di delega per la riforma fiscale e infine il testo definitivo è piuttosto lungo.

Quoziente familiare: in quali casi può essere svantaggioso

Negli ultimi mesi si parla frequentemente del quoziente familiare e attualmente trova applicazione in Italia per il Superbonus riaperto per le villette unifamiliari a patto che il richiedente abbia un quoziente familiare inferiore a 15.000 euro. Ma il quoziente familiare è sempre vantaggioso? C’è chi ritiene che non lo sia.

Il quoziente familiare

Nei piani del Governo il quoziente familiare dovrebbe sostituire l’Isee (indicatore della situazione economica equivalente) che, come noto, oltre a tenere conto dei redditi prodotti, tiene in considerazione anche il patrimonio mobiliare e immobiliare. Il quoziente familiare invece non ha questo limite. Tale strumento è di derivazione francese, si applica in modo ordinario in Francia al fine di determinare le imposte dovute e prevede il cumulo dei redditi percepiti da tutti i membri della famiglia e la divisione del valore complessivo per il coefficiente familiare, questo a sua volta dipende dal numero complessivo degli appartenenti al nucleo e dalla loro età.

Come è applicato il quoziente familiare al Superbonus

Attualmente si può avere come punto di riferimento solo il quoziente familiare così come determinato per usufruire del Superbonus, in questo caso è prevista la somma dei redditi del nucleo familiare. Se lo stesso è composto da:

  • una sola persona il coefficiente è 1;
  • 1 familiare a carico coefficiente 1,5;
  • 2 familiari a carico, coefficiente 2;
  • 3 o più familiari a carico, coefficiente 3;
  • 1 familiare convivente coefficiente 0,5.

In quali casi potrebbe essere svantaggioso rispetto all’Isee

Secondo alcuni questo sistema potrebbe portare svantaggio ad alcuni nuclei familiari. In particolare fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975 in Italia il reddito della moglie era attratto nel reddito familiare e quindi tassato con un’aliquota unica. Questa norma ebbe il sigillo di incostituzionalità in quanto imponeva una tassazione diversa alle famiglie formate da due coniugi rispetto a quella formata da conviventi. Questo effetto era ampliato dal fatto che la donna generalmente aveva (ed ha) redditi inferiori e quindi con il reddito cumulato veniva attratta nell’aliquota del coniuge economicamente forte scontando un’aliquota più elevata. Si passò quindi alla tassazione separata dei redditi dei due coniugi.

Applicando il quoziente familiare al calcolo dell’Irpef si potrebbe ritornare a una situazione simile. Ad esempio una famiglia con un reddito alto ma derivante da un unico membro del nucleo potrebbe pagare meno tasse rispetto a un nucleo in cui lo stesso importo è percepito da due coniugi. Infatti se il coniuge lavora, il coefficiente per il coniuge è 0,5, lo stesso sale a 1 se non lavora ( quindi complessivamente si applica un coefficiente 2), se si impegna a fare figli, sale ancora di più. Un nucleo in cui anche il figlio lavora, magari ha redditi inferiori rispetto a una famiglia in cui lavora solo una persona e produce redditi alti, ma sconta un coefficiente minore e paga più tasse, o riceve maggiori benefici.

Questo è uno dei motivi per i quali, sebbene in Italia si parli da molti anni del quoziente familiare e ci siano stati diversi disegni di legge, tutti alla fine siano stati affossati.

Flat tax: gli scenari possibili nel prossimo futuro. A chi gioverebbe?

In questi giorni sentiamo spesso parlare di flat tax, tassa piatta, fa parte dei programmi elettorali e dovrebbe essere al 15% o al 23%. Ma è fattibile? Sono molti gli economisti che ritengono che non si possa fare, mentre qualcuno dice che è necessario saper disegnare la flat tax, ma perché se ne parla tanto?

Cos’è la flat tax?

La flat tax è la tassa piatta, essa permette di evitare l’applicazione delle aliquote Irpef a scaglioni che salgono all’aumentare del reddito. Attualmente l’Irpef prevede anche una no tax area che aiuta i redditi più bassi.

La flat tax è già applicata a coloro che scelgono il regime forfettario, circa 2 milioni di partita Iva. Lo stesso però è applicabile fino ai 65.000 euro di ricavi e prevede la determinazione forfettaria della base imponibile attraverso l’applicazione dei coefficienti di redditività che variano in base al settore in cui si opera. Questo implica che i costi, voce negativa nella determinazione della base imponibile, non sono dedotti con il metodo analitico, ma attraverso una media fatta per il settore di appartenenza. Già questo può essere un primo deterrente.

Studi sulla flat tax

Siccome della flat tax si parla da molti anni, sono disponibili studi fatti già in passato sulla stessa. Da questi emerge che per una flat tax al 15% vi sarebbe una perdita per l’erario di 50 miliardi di euro. Nel caso in cui invece la flat tax fosse al 23%, sarebbe invece necessario recuperare circa 30 miliardi.

Il principio su cui si basa la proposta della flat tax è che se le aliquote sono ridotte le persone sono più propense a pagare le tasse e questo porterebbe quindi a una minore evasione fiscale. La prima cosa da sottolineare è che la flat tax andrebbe ad agire solo sulle imposte sui redditi e non su altre tipologie, l’evasione però deriva da diverse imposte tra cui gran parte dall’evasione Iva. L’evasione Irpef si aggira intorno a 37 miliardi di euro. Questo implica che con aliquota al 23% si dovrebbe sperare che all’improvviso tutti smettano di evadere per essere in pari. In caso contrario, sarà necessario aumentare altre imposte, oppure ridurre i servizi. Con l’aliquota al 15%, c’è una perdita rilevante di entrate.

A chi conviene la flat tax?

C’è un altro elemento da valutare: a chi conviene di più l’applicazione di una flat tax al 15% o al 23%? La risposta è semplice: di fatto conviene a chi ha redditi più alti che di conseguenza vede ridotta l’aliquota prima applicata e ha un deciso risparmio di imposta. Dai calcoli fatti in passato emerge addirittura che senza correttivi importanti ( che porterebbero comunque a un’ulteriore riduzione delle entrate per lo Stato), coloro che percepiscono redditi più bassi potrebbero pagare anche più imposte del passato e cioè con l’applicazione del criterio progressivo e non del criterio proporzionale (articolo 53 Costituzione).

I redditi più bassi potrebbero pagare più tasse

D’altronde il criterio progressivo, fortemente voluto dall’Assemblea Costituente, nasce proprio con l’obiettivo di aiutare le classi più deboli facendo pagare imposte più elevate alle classi più agiate e redistribuendo in servizi. UIL ha effettuato dei colcoli. Coloro che hanno un reddito di circa 10.990 euro l’anno dovrebbero pagare 1.819 euro in più l’anno, coloro che invece hanno un reddito di 17.640 euro pagherebbero in più 1.500 euro; con un reddito di 22.830 euro si pagherebbero in più 985 euro. Solo i redditi più alti risparmiano.

Da quanto emerge dalla prime indiscrezioni, per attuare un simile sistema potrebbe essere ritoccato il sistema delle deduzioni e detrazioni che ad oggi costituiscono un modo per scontare meno imposte. Ad esempio le detrazioni per le spese sanitarie, per l’acquisto di cane guida, per il trasporto pubblico, oppure per le spese di istruzione e tanto altro. Anche in questo caso a pagare di più questa flat tax sarebbero le classi meno agiate che non potrebbero più avvalersi neanche delle detrazioni su spese comunque importanti che chi invece risparmierà sull’imposta da pagare già può permettersi.

L’ostacolo della Costituzione

Inoltre si è visto che un’aliquota unica al 15% è praticamente improponibile, se non con un netto taglio di servizi, mentre l’aliquota al 23% potrebbe anche essere fattibile, ammesso che si riesca a recuperare tutta l’evasione, ma di fatto già oggi il primo scaglione Irpef è al 23%, quindi i redditi più bassi non avrebbero assolutamente alcun vantaggio, se non il rischio di avere meno deduzioni e detrazioni.

Deve infine essere aggiunto che il criterio della progressività su cui deve essere informato il nostro sistema fiscale è previsto nell’articolo 53 della Costituzione, è quindi necessaria una preliminare modifica della Costituzione con procedimento aggravato per poter passare alla flat tax. Oggi infatti l’unica imposta progressiva è l’Irpef e quindi applicando ad essa l’aliquota proporzionale il sistema fiscale andrebbe ad impattare con la Costituzione.

Detrazioni su donazioni al Terzo settore: quanto sono detraibili e deducibili?

Quanto sono detraibili le donazioni e le erogazioni liberali al Terzo settore? In sede di dichiarazione dei redditi, le erogazioni al Terzo settore costituiscono una quota crescente delle detrazioni, soprattutto in applicazione di quanto previsto dal decreto “Cura Italia” approvato in piena emergenza Covid. Pertanto, nelle dichiarazioni dei redditi successive si potrà avere consistenza delle donazioni effettuate verso gli enti del Terzo settore soprattutto nel periodo della pandemia di Covid-19. Tuttavia, le tipologie di donazioni sono varie e variano a seconda dell’ente ricevente, senza dimenticare il bonus art e le erogazioni a vantaggio delle popolazioni colpite da eventi dannosi.

Qual è la percentuale di detrazione fiscale spettante per le donazioni al Terzo settore?

In linea di massima, le erogazioni liberali a favore del Terzo settore danno diritto alle persone fisiche che le hanno effettuate a una detrazione fiscale dell’imposta sul reddito corrispondente al 30% dell’importo della donazione stessa. Il contribuente può aver provveduto a effettuare l’erogazione liberale sia in denaro che in natura. Il limite della detrazione fiscale è fissato in 30 mila euro, secondo quanto prevede il decreto “Cura Italia” all’articolo 66.

Detrazioni della dichiarazione dei redditi 2021 in virtù del decreto ‘Cura Italia’

Tuttavia, questa disciplina non trova applicazione nella dichiarazione dei redditi del 2022 (per i redditi prodotti nel 2021). Infatti, la percentuale di detrazione fiscale e i relativi limiti sono stati applicati alla dichiarazione dei redditi del 2021 per l’anno di imposta 2020. Per la dichiarazione dei redditi del 2022, pertanto, le persone fisiche beneficeranno delle detrazioni fiscali, delle deduzioni o dei crediti di imposta a seconda di chi beneficia delle erogazioni liberali e degli obiettivi perseguiti.

Detrazioni fiscali delle erogazioni liberali al terzo settore: cosa c’è da sapere per il modello 730?

Prendendo dunque a riferimento le varie donazioni effettuate nei riguardi di determinati enti, si può fare riferimento alle norme introdotte per la riforma del Terzo settore. L’articolo 83 del Codice del Terzo settore (Cts) permette a tutte le persone fisiche che abbiano provveduto a donazioni a vantaggio degli enti del Terzo settore di beneficiare della detrazione fiscale ai fini Irpef per una aliquota del 30% dell’importo della donazione stessa. Il limite massimo della detrazione spettante è fissato in 30 mila euro. La percentuale aumenta se riferita alle donazioni verso le Organizzazioni di volontariato (Odv) al 35%.

Deduzioni sulle donazioni fatte agli enti del Terzo settore del 10%

I contribuenti hanno, peraltro, la possibilità di scegliere tra la detrazione del 30 o del 35% e la deduzione. In quest’ultimo caso, si può effettuare la deduzione delle erogazioni liberate rispettando il tetto del 10% del reddito dichiarato. Sulle eventuali eccedenze è possibile effettuare la deduzione nei quattro periodi di imposta susseguenti. In ogni caso, nelle istruzioni del modello 730 viene indicato che queste agevolazioni possono essere utilizzate dai contribuenti per le dichiarazioni dei redditi del 2022 sulle somme donate a favore di:

  • Onlus;
  • associazioni di promozione sociale (Aps);
  • organizzazioni di volontariato (Odv);
  • associazioni di promozione sociale (Aps).

Come indicare nel modello 730 di dichiarazione dei redditi le somme concesse in donazione al Terzo settore?

L’indicazione delle somme date in donazione agli enti del Terzo settore nel modello 730 di dichiarazione dei redditi comporta l’iscrizione:

  • del codice 71 in corrispondenza dei righi E 8 ed E 10. Questo passaggio vale per le somme erogate a vantaggio delle associazioni di promozione sociale (Aps) e delle Onlus. La detrazione fiscale limite è pari a 30 mila euro;
  • il codice 76 in corrispondenza dei righi E 8, E 9 ed E 10. Questo passaggio riguarda le donazioni effettuate nei confronti delle organizzazioni di volontariato (Odv) con detrazione spettante del 35%.

Donazioni agli enti del Terzo settore, quando serve il pagamento tracciabile?

Ulteriore requisito per la detrazione fiscale delle liberalità effettuate verso le organizzazioni di volontariato (Odv), le Onlus e le associazioni per la promozione sociale è quello del versamento delle somme mediante mezzi tracciabili. Ad esempio, il versamento deve essere stato fatto attraverso la banca, la posta o con carta di credito.

Ulteriori formule di donazioni agli enti del Terzo settore: quali sono?

Oltre alle agevolazioni fiscale che abbiamo visto in precedenza, sono presenti anche altre formule di erogazioni. La prima è quella prevista dal comma 1.1 dell’articolo 15, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) che prevede la detrazione fiscale con aliquota del 26% sull’importo delle erogazioni in denaro a favore di iniziative;

  • religiose e laiche;
  • umanitarie;
  • di fondazioni, associazioni, enti e comitati.

Il limite per le persone fisiche delle donazioni è fissato in 30 mila euro; per i soggetti Ires vige lo stesso tetto oppure il 2% del reddito dichiarato. Lo prevede la lettera h, del comma 2, dell’articolo 100 del Tuir.

Donazioni a enti di ricerca scientifica e di beni culturali: quali sono?

Ulteriori donazioni possono essere fatte a favore degli enti di ricerca scientifica e di beni culturali. È infatti previsto che le persone fisiche possano elargire somme di denaro o in natura in donazione con la deduzione fiscale sul reddito complessivo dichiarato nel limite del 10%. La stessa agevolazione spetta ai soggetti Ires. Il tetto massimo di deduzione fiscale, in entrambi i casi, è pari a 70 mila euro. Questa agevolazione, che deriva dall’articolo 14 del decreto legge numero 35 del 2005, non è più valida dal 2018 per le donazioni a vantaggio delle associazione di promozione sociale e le Onlus. La stessa verrà disapplicata anche per le altre tipologie di enti beneficiari con l’entrata in vigore dei regimi fiscali relativi agli enti del Terzo settore (Ets). Si attende l’ok della Commissione europea.

Enti di cultura e di arte, detrazione fiscale alternativa del 19%

Le donazioni alternative per gli enti attivi nell’arte e nella cultura riguardano le detrazioni fiscali del 19% sull’importo delle erogazioni liberali. Gli enti che beneficiano delle donazioni sono obbligati a usare le somme donate nei termini fissati dalla lettera h) ed h bis) del comma 1, dell’articolo 15, del Tuir.

Bonus art ed erogazioni per calamità naturali, che cos’è e quale detrazione è prevista?

Un ulteriore beneficio fiscale sulle donazioni effettuate si può ottenere dal bonus art. Si tratta di una detrazione del 65% delle somme donate, con il tetto del 15% rispetto al reddito imponibile. Le donazioni devono prevedere somme per:

  • la manutenzione, il restauro, la protezione di beni culturali;
  • il sostegno a istituti di cultura pubblici;
  • orchestre ed enti concertistici;
  • festival, teatri e centri di produzione teatrale;
  • centri di danza e circuiti di distribuzione.

Inoltre, si possono detrarre le erogazioni effettuate per le popolazioni danneggiate dalle calamità straordinarie o da aventi dannosi. Per la detrazione fiscale è necessario utilizzare i righi E 8, E 9 ed E 10 del modello 730 di dichiarazione dei redditi. Il codice da usare è il 20.