I liberi professionisti e il DURC

Non tutti lo conoscono ma in molti dovrebbero: si tratta del DURC, Documento Unico di Regolarità Contributiva, un adempimento obbligatorio non solo per le aziende, ma anche per i liberi professionisti.

Questo documento diventa assolutamente necessario quando si tratta di attestare la propria regolarità nei pagamenti e adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nei confronti di enti come INPS, INAIL e Casse Edili.
Ma se essere in regola con il DURC è indispensabile in svariati contesti, come gare di appalto o agevolazioni statali, non è altrettanto facile espletare questa procedura, anche e soprattutto a causa dei ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione.

Ad esempio, se non si dispone della liquidità economica sufficiente per versare i contributi ai dipendenti, anche se la causa è dovuta a fatture non saldate, non è possibile ottenere un DURC regolare.
E con un DURC irregolare l’impresa o il professionista non può richiedere il pagamento per la prestazione effettuata, né partecipare a nuove gare pubbliche.

Ma anche i liberi professionisti senza dipendenti si trovano in difficoltà, se consideriamo Ingegneri ed Architetti che sono tenuti a versare per se stessi i contributi a Inarcassa (Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti) ai fini di ottenere un DURC positivo.

Avere un DURC positivo è indispensabile per tutte le categorie di lavoratori autonomi perché rappresenta un attestato necessario per ottenere l’affidamento di incarichi professionali, partecipare alle gare pubbliche o per ottenere il pagamento dai committenti per i mandati ottenuti.

In caso di contenziosi con le casse, come Inarcassa, si rischia di non ottenere il rilascio del DURC, senza il quale diventa pressoché impossibile svolgere la propria attività. Ad oggi, l’unica soluzione per evitare ciò è non aprire contenziosi, anche quando si tratta di pagare più del dovuto.

Vera MORETTI

La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI

Professionisti, ecco la ricetta anticrisi

La pioggia di tasse, gli investimenti in calo e la troppa burocrazia. La libera professione in Italia sembra essere diventata un privilegio per pochi. E per chi ha scelto di mettersi in proprio, le difficoltà  non si contano. E’ di qualche giorno fa la notizia secondo la quale, in base al nuovo ddl sulla spending review, anche i liberi professionisti potranno compensare i crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione con le eventuali posizioni debitorie nei confronti del Fisco.

Ma che cosa potrebbe fare concretamente il Governo per favorire la crescita e lo sviluppo della libera professione in Italia? Lo abbiamo chiesto a tre professionisti: un agente immobiliare, un pubblicitario e un commercialista. Per capire qual è la temperatura che si respira nel settore della compravendita di immobili, nel mondo della comunicazione e nella selva intricata di chi ogni giorno ha a che fare con tasse e fisco. E scoprire qual è la loro ricetta anticrisi. Ecco il video.

Alessia CASIRAGHI

La riforma delle professioni secondo Inarsind

Gli obiettivi a cui dovrebbe puntare la riforma delle professioni – deve essere varata con un Dpr entro il 13 agosto 2012 con l’obiettivo di liberalizzare la concorrenza e creare una pluralità di offerta sul territorio – secondo Inarsind sono chiari: iscrizione all’Ordine solo per i liberi professionisti, snellimento della burocrazia e regole chiare per tutte le professioni.

Nella sua proposta di riforma della professione, il sindacato degli Architetti e degli Ingegneri liberi professionisti propone quindi di riservare l’iscrizione all’Ordine solo ai liberi professionisti e di inserire in un elenco separato, previa autorizzazione del datore di lavoro, dipendenti pubblici e insegnanti. Tra le altre proposte c’è la creazione di un Ordine unico regionale di architetti e ingegneri con diversi compiti, tra cui quello di valutare e validare i programmi di formazione; l’apertura di Commissioni deontologiche alle società per il controllo degli iscritti; l’obbligatorietà dell’assicurazione professionale per chiunque svolge atti di libera professione, così come il tirocinio, da farsi esclusivamente al di fuori dell’Università, pagato ma in credito di imposta per la struttura che ospita il tirocinante.

Nello scenario ipotizzato da Inarsind, l’iscrizione ai sindacati avverrà solo su base volontaria. I professionisti potranno poi certificare la loro qualità iscrivendosi ad Associazioni di tipo tecnico-culturale relative alle varie specializzazioni dell’architettura dell’ingegneria.

Francesca SCARABELLI

L’Imu sta per colpire

La Cgia di Mestre lancia l’allarme, anche se nessuno sembra molto stupito.

L’Imu, la nuova tassa sulla casa introdotta dal Governo Monti, sta davvero diventando una spada di Damocle per molti italiani, soprattutto, a quanto pare, per commercianti, liberi professionisti, artigiani, imprese industriali e albergatori.

Le previsioni infauste dovrebbero avverarsi se davvero i sindaci decidessero di aumentare l’aliquota massima dell’Imu sui beni strumentali fino al 10,6% consentito.
Qualora, infatti, ciò dovesse accadere, “un laboratorio artigiano si troverà a pagare un importo medio nazionale pari a 801 euro l’anno, un negozio 1.017 euro, un ufficio 2.047 euro, un capannone industriale 3.844 euro ed un albergo ben 11.722 euro”, recita la Cgia in una nota.
E dal 7,6 dell’aliquota ordinaria, queste attività passeranno al 39,5% in più da pagare. Una assurdità.

Uffici e laboratori artigiani che operano a Roma saranno quelli più penalizzati, perché in questo caso , se l’aliquota dovesse arrivare al valore massimo, il gettito medio si aggirerebbe intorno a 5.960 euro per i primi e a 1.830 euro per i secondi.
La situazione più critica si sposta a La Spezia per quanto riguarda i capannoni, con la cifra esorbitante di 19.731 euro.
Cremona, invece, diventerà critica per i negozianti, con la spesa a livelli record di 2.327 euro e Bari registrerà la situazione più difficile per gli albergatori, poiché, in caso di aliquota al 10,6 ‰ il costo medio annuo di un’attività ricettiva sarà pari a 46.011 euro.

Vera MORETTI

Riforma in salita per i lavoratori autonomi

di Vera MORETTI

Ancora cattive notizie per i lavoratori autonomi.

All’interno del DDL di riforma di mercato del lavoro, infatti, è previsto un aumento dei contributi INPS dal 27% attuale al 33% entro il 2018. Si tratterebbe, in concreto, di un punto percentuale in più all’anno, per arrivare, alla fine, al 33%.

Giuseppe Lupoi, presidente del CoLAP, Coordinamento Libere Associazioni Professionali, ha dichiarato: “Un aumento ingiustificato ed iniquo che rema contro i presupposti di crescita del governo e marca ancor di più la profonda diseguaglianza di trattamento dei lavoratori all’interno del mercato del lavoro italiano”.

Invece di venire incontro alle esigenze dei lavoratori autonomi, quelli, cioè, titolari di vere Partite Iva, a cominciare da un trattamento diverso rispetto all’attuale gestione separata dell’INPS, arriva questa ulteriore tegola, che rende sempre più difficile il lavoro dei professionisti.
Non si tratta, in questi casi, di lavoratori parasubordinati, la cui situazione precaria è giustamente perseguibile, ma di coloro che sono regolarmente iscritti all’Albo e che, annualmente, pagano i versamenti contributivi alle casse private di settore. Versamenti che difficilmente superano l’aliquota del 14%.

Cosa servirebbe davvero, per migliorare la vita dei lavoratori autonomi?
Per il presidente CoLAP è necessaria una riforma organica del sistema previdenziale dei professionisti associativi, che non dovrebbe prescindere da alcuni punti cruciali:

  • l’istituzione di una previdenza privata per i professionisti accreditati delle associazioni non regolamentate;
  • la portabilità dei contributi previdenziali già versati, con la conseguente possibilità di cambiare cassa di previdenza;
  • l’ampliamento del sistema della previdenza complementare anche ai professionisti non regolamentati previa individuazione di una previdenza privata di base.

Lupoi conclude: “Ci auguriamo che questo governo abbia a cuore le sorti del Paese e quello dei tanti ed onesti lavoratori che ogni giorno producono ricchezza e che si possa avviare un dialogo per garantire una riforma del mercato del lavoro più equa”.

Le libere professioni e la troppa burocrazia

di Vera MORETTI

E’ stata presentata a Roma l’indagine Sulle funzioni pubbliche e sussidiarie delle libere professioni, effettuata dalla Fondazione Magna Carta insieme all’associazione Amici di Marco Biagi e curata dal professor Luca Antonini docente di diritto costituzionale all’Università di Padova.

Un argomento che sta a cuore ad Antonini è il peso della burocrazia che schiaccia proprio chi, tra i liberi professionisti, rispetta le regole, mentre chi le ignora spesso non viene neppure individuato.
A questo proposito, una delle possibili evoluzioni delle funzioni svolte in sussidiarietà dalle professioni potrebbe riguardare i consulenti del lavoro, “prevedendo che la compensazione tra i crediti e i debiti accumulati con la pubblica amministrazione possa essere certificata dai consulenti del lavoro“.

Anche Marina Calderone, intervenuta nella sede della Fondazione Magna Carta, ha voluto intervenire, definendo il rapporto presentato come “la rappresentazione coraggiosa e consapevole di quella che è oggi l’attività e il mondo delle professioni ordinistiche italiane. Nell’affrontare il tema della sussidiaretà, quindi del servizio allo Stato svolto dalle professioni italiane, c’è anche la consapevolezza che, all’interno di quello che è oggi il contesto dello Stato, non si potrebbero garantire i diritti dei cittadini se non ci fosse un ‘esercito’ di 2 milioni e 300mila professionisti che svolge una funzione di ausilio allo Stato“.

La realizzazione del rapporto è importante, per Calderone, perché, oltre alle funzioni di sussidiarietà svolte dalle professioni, esso contiene anche un messaggio positivo che riguarda le professioni e la loro disponibilità ad assumersi responsabilità nuove e di impegno verso i cittadini.

Milano: domani il “Professional Day”

Medici, dentisti, architetti, ingegneri, commercialisti e avvocati: in Lombardia le attività degli studi professionali occupano circa 130 mila lavoratori indipendenti e oltre 30 mila alle dipendenze. Altre circa 25 mila persone lavorano come indipendenti e dipendenti in studi professionali associati. Ciò significa che quasi 200.000 occupati (poco meno del 5% complessivo della Lombardia) ricavano il loro reddito da attività di libera professione. La Lombardia, con circa 300 mila iscritti, è la regione con la maggiore presenza di professionisti.

Milano è la città italiana con la più alta incidenza di lavoro qualificato; il 40% circa delle assunzioni degli imprenditori riguardano dirigenti, professionisti, tecnici. A Milano ha sede gran parte delle associazioni nel campo del design, della comunicazione pubblicitaria, del marketing e più in generale delle professioni dei servizi creativi alle imprese. Significativa la presenza di servizi finanziari e immobiliari (promotori finanziari, agenti immobiliari, assicurativi, di borsa ecc.) e nel settore del welfare. Emerge da Milano Produttiva 2011, rapporto dell’ufficio studi della Camera di Commercio di Milano.

Professionisti, il 43% ha reagito alla crisi cercando nuovi clienti e mercati. Per il post crisi possibili soluzioni vengono offerte da networking – grazie al nuovo protagonismo dei social network usati per lo scambio professionale – e dai nuovi orizzonti dell’internazionalizzazione: ben un professionista su quattro si è internazionalizzato (24%) mentre il 37% serve la città e meno del 20% si spinge in Lombardia.

Emerge da un’indagine della Camera di Commercio di Milano condotta dal Consorzio Aaster del ociologo Aldo Bonomi su oltre mille professionisti milanesi nel 2011.

Fonte: camcom.gov.it

d.S.

Decreto “paga-Italia”? No, grazie

di Vera MORETTI

Marina Calderone prende posizione nei confronti dei decreti “salva-Italia” e “cresci-Italia” perché, sostiene: “sono piuttosto dei decreti “paga Italia“, in cui gli unici a guadagnarci sono i banchieri con l’aumento degli oneri bancari”.

La presidente del Cup, Comitato unitario professioni, non si tira indietro e si dice ancora disposta al dialogo e al confronto con il Governo, “ma diciamo no al confronto a tutti i costi“.

Proprio per questo motivo, la Calderone, in occasione dell’assemblea nazionale dei consigli provinciali dei consulenti del lavoro, ha invitato i colleghi a scendere in piazza l’1 marzo durante la manifestazione promossa da Cup e Adepp.
Oltre che per protestare contro “le politiche di dispersione delle nostre funzioni e capacità“, il motivo primario sarà difendere i diritti dei giovani, perché “oggi i giovani sotto i 45 anni rappresentano il 50% dei professionisti e dobbiamo assicurare loro un futuro“.

E, a questo proposito, Marina Calderone ha espresso il suo “pollice verso” nei confronti della nuova società a responsabilità limitata a 1 euro: “Questa società non va da nessuna parte, neanche in banca, perché i giovani devono essere accompagnati dalla nonna, altrimenti non gli dà nulla nessuno“.

Non è mancato un riferimento alla categoria dei consulenti del lavoro, il cui ruolo è di assoluta importanza dal momento che funge da tramite tra mondo delle imprese e dei lavoratori. E, in un 2012 iniziato all’insegna di casse integrazioni e ammortizzatori sociali, si tratta di un incarico delicato ma indispensabile per affrontare la crisi.

Noi mettiamo a disposizione del ministro del Lavoro, del Parlamento la nostra funzione tecnica, la nostra competenza sulle norme perché credo che sia venuto il tempo di affrontare con serenità senza preconcetti una riforma non solo dei contratti di lavoro e delle regole del mercato, ma anche una riforma ragionata degli ammortizzatori sociali che crei un sostegno nei confronti di una platea molto ampia di cittadini, all’interno della quale credo che il legislatore non debba dimenticarsi che ci sono anche i liberi professionisti“.

Desperate coworker cercansi

di Alessia CASIRAGHI

Più si è, meglio si lavora. Dev’essere questo il motto che ha spinto numerosi professionisti a cercare uno spazio comune da condividere. Si chiama coworking ed è una moda a stelle e strisce : a inventarla fu proprio un giovane programmatore di San Francisco, che lavorava notte e giorno sorseggiando caffè da Starbucks, e a cui venne l’idea di affittare uno spazio comune da condividere con altri professionisti come lui che da soli non potevano permettersi un ufficio.

Ma in cosa consiste esattamente il coworking? Si tratta di uno stile lavorativo che coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, dove però ciascuno dei lavoratori mantiene un’attività indipendente.

Ad essere coinvolti in prima persona nelle pratiche di coworking sono soprattutto i professionisti che solitamente lavorano a casa, i liberi professionisti, i freelance o le persone che, viaggiando molto frequentemente, non hanno una base fissa.

Dagli Stati Uniti la pratica di condividere uno spazio lavorativo ha contagiato anche l’Italia. E Milano ne è un perfetto esempio. In alcuni casi si tratta di interi stabili, in centro come in periferia, affittati a professionisti che, pur svolgendo attività differenti, hanno scelto di occupare lo stesso ufficio.

Ma quali sono i vantaggi del coworking? Innanzitutto il risparmio: in alcuni casi si ha la possibilità di poter usufruire di uno spazio a due passi dal centro a cifre più ragionevoli perché l’affitto viene parcellizzato fra i diversi locatori. In secondo luogo, la praticità: affittando uno spazio lavorativo all’interno di un ufficio già avviato, non si dovrà perdere tempo inutile fra allacciamento del gas, connessione wireless, arredo etc. In terzo luogo, il coworking permette di creare sinergie inaspettate e talvolta molto vantaggiose anche dal punto di vista lavorativo.

A tal punto che a Milano è nato un progetto dal nome “CoWo”, fondato nel 2009 da Massimo Carraro, che ha dato vita ad un’unica rete di coworking in Italia che oggi conta ben 59 uffici affiliati lungo tutto lo stivale.

L’idea di base è semplice ma molto efficace: affittare postazioni all’interno di spazi lavorativi già avviati e quindi dotati di tutti i servizi, dalla connessione wireless alla sala riunioni, a una cifra molto vantaggiosa, basti pensare che si parte da circa 200 euro al mese.

Per chi invece ha uno spazio a disposizione e vorrebbe condividerlo, CoWo funziona anche come network per pubblicare annunci di spazi liberi a disposizione. L’unico obbligo è quello di affiliarsi a Coworking Project by Cowo mediante due tipologie di iscrizione: basic o premium.

Non è solo una questione economica. Lavorare insieme è infinitamente più divertente e stimolante, assicurano i professionisti del coworking. Del resto quattro cervelli pensano sempre meglio di uno.