Equo compenso: arriva il Sì della Camera. Novità per i professionisti

Approvato dalla Camera dei Deputati il disegno di legge sull’equo compenso che mira a tutelare i liberi professionisti attraverso la previsione di un corrispettivo minimo per le prestazioni professionali.

Tavolo tecnico sull’equo compenso

Il disegno di legge sull’equo compenso era stato proposto nella precedente legislatura guidata da Mario Draghi. Alla fine del 2022 è stato riproposto in versione pressoché identica dal ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Marina Calderone. In tale versione l’equo compenso ha ottenuto l’approvazione all’unanimità dalla Camera il 25 gennaio 2023. Ciò implica che vi è un largo consenso tra tutti i partiti rappresentati in Parlamento.

L’iter di approvazione della normativa sull’equo compenso ha previsto il coinvolgimento delle varie parti sociali, nel mese di novembre 2022 il ministro Calderone ha incontrato in un tavolo tecnico rappresentanze degli Ordini, delle Casse e dei Sindacati dei professionisti e quelle delle associazioni di professionisti non iscritti a Ordini e Collegi professionali. Oggetto dell’incontro è stata l’implementazione delle tutele in favore dei liberi professionisti, tra cui anche quelli non iscritti in albi professionali e che non hanno una cassa di previdenza autonoma ( iscritti alla Gestione Separata Inps). L’ambito della discussione non è rimasto sul fronte dell’equo compenso, ma ha avuto ad oggetto anche temi come previdenza, formazione e orientamento, proprio come previsto dal tavolo del lavoro per gli autonomi (legge 81 del 2017).

Cos’è l’equo compenso?

L’equo compenso può essere definito come il corrispettivo minimo e adeguato da versare a un professionista in cambio del lavoro svolto. Si tratta di una sorta di parallelo rispetto alla equa retribuzione che l’articolo 36 della Costituzione riconosce in favore dei lavoratori dipendenti. La previsione di un corrispettivo minimo risponde a diverse esigenze, da un lato si tratta di una tutela che mira ad evitare che in settori in cui vi è un’elevata concorrenza e competitività a causa della presenza di numerosi professionisti, come nelle professioni legali, si possa giocare al ribasso con il rischio di creare ampie fasce di povertà. Dall’altro lato l’equo compenso evita che si possano dichiarare per le prestazioni dei compensi irrisori al fine di frodare il fisco.

In base alla disciplina attualmente in corso di approvazione, l’equo compenso ha però un’applicazione limitata al caso in cui il committente sia un’impresa con almeno 50 dipendenti e 10 milioni di euro di fatturato annuo. Proprio a causa di tali limiti, il Presidente di Confcommercio ha dichiarato all’Ansa che ci sono comunque ampi margini di miglioramento per la disciplina in oggetto. Sulla stessa linea è il presidente dell’Adepp ( associazione degli enti previdenziali privati) che parla di asimmetrie da correggere soprattutto per quanto riguarda il dimensionamento aziendale.

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Riforma del lavoro in Spagna con boom di assunzioni. L’Italia osserva

Il ministro del Lavoro della Spagna Yolanda Díaz ha segnato il colpo e porta a casa un vistoso aumento di contratti di lavoro a tempo indeterminato, proprio per questo il ministro del Lavoro Orlando sta pensando a una riforma simile per combattere il precariato che attanaglia anche l’Italia.

La riforma del lavoro in Spagna

La ministra del Lavoro della Spagna è riuscita nella storica missione di mettere d’accordo Confindustria e i sindacati spagnoli con la riforma di Capodanno che limita fortemente l’utilizzo dei contratti stagionali o comunque precari. I risultati si vedono perché a pochi mesi dall’entrata in vigore della riforma gli occupati sono aumentati di 700.000 unità e sono triplicati rispetto allo stesso periodo del 2021.

La prima ad essere sorpresa è la stessa ministra che ha sottolineato come la riforma prevedesse per le aziende tre mesi di tolleranza per potersi adeguare e invece fin da subito è stata un successo e ha portato alla stipula di molti contratti a tempo indeterminato. Tra i contratti a tempo indeterminato stipulati, il 73% rappresentano i nuovi contratti, mentre il restante è trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

L’Italia guarda alla riforma del diritto del lavoro in Spagna

L’Italia dopo aver provveduto allo schema di attuazione della direttiva UE  2019/1152 che prevede maggiore tutele per i lavoratori, dopo aver provveduto a creare nuove regole per la tutela dei lavoratori occasionali  e aver creato il portale nazionale del sommerso, si accinge a studiare la soluzione per ridurre il ricordo a contratti di lavoro precari.

Ad essere molto interessato alla riforma del Lavoro in Spagna è il ministro Orlando che sembra la stia studiando per bene anche se ha dichiarato di essere consapevole che in Italia probabilmente una riforma simile non troverebbe un’ampia maggioranza in Parlamento. Il ministro Orlando ha dichiarato che sta portando a termine uno studio sulla precarietà in Italia e si sta indagando sul senso della frammentarietà di tutti i contratti tuttora vigenti in Italia. Proprio tale razionalizzazione è stata al centro della riforma della Spagna che ha ridotto le tipologie di contratti al fine di “disboscare” gli abusi dei contratti a termine che alla fine offrono ai datori di lavoro la possibilità di trovare escamotage per tagliare sui costi del personale.

Tipologie contrattuali in Spagna

La Spagna ha provveduto a un aumento del costo dei contratti precari, in questo modo diventa poco conveniente usare tali tipologie per non assumere a tempo indeterminato.

Un terzo dei nuovi contratti sono però stabili ma discontinui, si tratta di contratti che impegnano i lavoratori ogni anno per un determinato numero di mesi, in questo modo per la restante parte dell’anno può trovare un nuovo lavoro, ma allo stesso tempo l’anno successivo ritrova il vecchio impiego. Si tratta di contratti che hanno particolare successo nel settore del turismo. In alternativa nei mesi “non occupati” il lavoratore può usufruire del sussidio di disoccupazione.

Con la riforma del diritto di lavoro in Spagna sono stati ridotti anche i mini jobs, cioè in contratti con durata brevissima, 7 giorni.

Non resta che chiederci se l’Italia seguirà o meno la strada e si andrà a rinforzare il contratto a tempo indeterminato.

Parità di genere nei consigli di amministrazione delle società. Impegno del ministro Orlando

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali  Andrea Orlando ha partecipato nei giorni scorsi al Consiglio dell’UE su Occupazione, Politica sociale, Salute e Consumatori (EPSCO) e da questa sede ha preso l’impegno per il recepimento in breve tempo della direttiva dell’Unione Europea per la parità di genere nei consigli di amministrazione delle società.

Parità di genere in Europa

La parità di genere è un obiettivo che tutti si pongono ma di fatto sono persistenti gli squilibri, in tutta Europa e in particolare In Italia. Purtroppo le donne faticano a raggiungere ruoli di leadership e le statistiche dimostrano che ciò non è dovuto a una formazione non adeguata o a scarse capacità, ma a un fattore culturale che tende a ostacolare la carriera delle donne e a un costante impegno nella cura della famiglia che le porta ad avere minore tempo a disposizione per il lavoro.

Dai dati raccolti emerge che nell’ottobre 2021 le donne rappresentavano soltanto il 30,6% dei membri dei consigli di amministrazione e appena l’8,5% dei presidenti dei consigli di amministrazione, il divario all’interno degli Stati Membri è ancora più ampio. I Paesi che hanno raggiunto risultati migliori sono quelli in cui sono state adottate politiche attive per incentivare la presenza delle donne in ruoli gestionali o di comando. Si sottolinea anche che in realtà nell’Unione Europea il 60% dei laureati è donna, questo vuol dire che inserire donne nei consigli di amministrazione delle società vuol dire avere una maggiore probabilità di inserire personale qualificato.

Le misure adottate in Italia per colmare il gender gap

Le misure che si stanno proponendo nel tempo sono numerose, alcune blande, altre più incisive non da ultimo in Italia l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio. Lo stesso per ora è attivo nei confronti dei dipendenti del settore privato e a breve sarà disponibile anche per i lavoratori del settore pubblico. Per approfondimenti leggi:

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Un’altra misura che tende ad agevolare il ritorno delle donne al lavoro dopo la gravidanza è il bonus nido, una delle poche misure di welfare che non è stata toccata dalla normativa sull’Assegno Unico proprio perché si tratta di una misura specifica che agevola le donne nel faticoso impegno per coniugare i tempi di vita e di lavoro.

Ora con questa direttiva l’obiettivo non è semplicemente favorire la presenza delle donne nel mondo del lavoro, ma aiutarle in modo attivo ad avere un ruolo di leadership andando così a colmare il gender gap.

Cosa prevede il testo della direttiva per la parità di genere nei consigli di amministrazione delle società?

La nuova direttiva prevede che entro il 2027 le società debbano introdurre dei correttivi che consentano di raggiungere il 40% di membri del sesso sotto-rappresentato per gli amministratori senza incarichi esecutivi, o il 33% per tutti i membri del consiglio di amministrazione. Saranno gli Stati Membri a dover scegliere tra questi due obiettivi quale intendono applicare. Ricordiamo che la direttiva richiede uno “sforzo” attivo da parte degli Stati Membri quindi non è immediatamente applicabile, di conseguenza gli Stati hanno un piccolo (a volte ampio) margine di manovra.

La normativa prevede che nel caso in cui siano presenti candidati con pari qualifiche di idoneità, competenze e rendimento professionale, sia assicurata la nomina del sesso sotto-rappresentato. La disciplina, come si può notare, non parla in modo univoco di tutela delle donne, ma di tutela del sesso sotto-rappresentato, quindi anche nel caso in cui dovesse presentarsi una situazione inversa, cioè un consiglio di amministrazione formato in prevalenza da donne, dovrà essere assicurata la piena rappresentanza anche degli uomini.

I Paesi che hanno già ottenuto buoni risultati inerenti la parità di genere in posizione di leadership possono sospendere i requisiti in materia di nomina o elezione previsti dalla direttiva.