Contributi volontari: quanto si paga, ritardi e deducibilità

Quanto si paga per i contributi versati volontariamente ai fini della pensione? E i contributi versati periodicamente possono essere deducibili? Sono queste alcune delle domande che si pongono i contribuenti nel momento in cui vogliano produrre richiesta di autorizzazione al versamento volontario dei contributi. Sicuramente il costo dei contributi da versare rappresenta uno degli aspetti sui quali si riflette maggiormente. Leggiamo quanto costa versare i contributi in maniera volontaria.

Quanto costa versare i contributi volontariamente ai fini della pensione?

Il costo da sostenere per versare i contributi volontari ai fini della pensione si calcola sulla retribuzione media percepita nell’ultimo anno nel quale si è lavorato. Per i lavoratori dipendenti (non appartenenti al settore agricolo), l’importo da pagare si determina applicando l’aliquota contributiva prevista per ciascun anno, alla retribuzione media percepita nelle 52 settimane antecedenti il giorno di presentazione dell’istanza. Non si paga più, come in passato, in base alle classi di contribuzione determinate dal decreto legislativo numero 184 del 1997.

Versamento dei contributi volontari, come si determina la retribuzione minima settimanale?

La determinazione della retribuzione minima settimanale ai fini del versamento dei contributi volontari si determina secondo quanto prevede il comma 1, dell’articolo 7, della legge numero 638 del 1983. Il calcolo, pertanto, consiste nell’applicazione del 40% sull’importo del trattamento minimo stabilito per il 1° gennaio di ciascun anno. In base all’indice Istat per il calcolo della retribuzione minima settimanale utile al calcolo dei contributi volontari, l’importo del 2022 è corrispondente a 210,15 euro. Tale importo è ottenuto applicando il 40% alla pensione minima che per il 2022 è pari a 525,38 euro.

Contributi volontari di lavoratori dipendenti, quanto si paga?

Per i lavoratori dipendenti, il calcolo di quanto si versa una volta ottenuta l’autorizzazione per i contributi volontari tiene conto dell’aliquota contributiva del 33%. Pertanto, se un contribuente ha percepito 20 mila euro nei 12 mesi di retribuzione precedenti alla presentazione della domanda, l’importo da pagare per i contributi volontari è pari a 6.600 euro all’anno. I contributi, dunque, si calcolano applicando il 33% a 20 mila euro. Il che corrisponde a un importo di 1.650 euro a trimestre e di 126,92 a settimana.

Contributi volontari, non si possono fare ritardi nel pagamento per non perdere il beneficio

Ai fini del pagamento dei contributi volontari, i soggetti non possono pagare nemmeno con un giorno di ritardo, pena la perdita dell’accredito del trimestre corrispondente che rimane pertanto scoperto. Il pagamento effettuato anche con un solo giorno di ritardo rispetto a quando previsto provoca il mancato riconoscimento del periodo di accredito con conseguente restituzione di quanto versato. In tal caso, il contribuente può chiedere che il pagamento in ritardo di un trimestre sia valido per il trimestre susseguente.

Contributi volontari, quali sono le scadenze per pagare?

Dunque, se il contribuente paga in ritardo i contributi scadenti il 30 giugno e relativi ai mesi di gennaio, febbraio e marzo, in alternativa può chiedere che quanto pagato sia utile per il trimestre successivo, ovvero per i mesi di aprile, maggio e giugno da pagare entro il 30 settembre. Il primo trimestre, in ogni modo, rimane vacante da contributi volontari. In linea generale, i versamenti dei contributi volontari devono essere effettuati entro le scadenze del:

  • 30 giugno per i mesi di gennaio, febbraio e marzo (1° trimestre dell’anno);
  • 30 settembre per i mesi di aprile, maggio e giugno (2° trimestre dell’anno);
  • 31 dicembre per i mesi di luglio, agosto e settembre (3° trimestre dell’anno);
  • 31 marzo per i mesi di ottobre, novembre e dicembre dell’anno prima (4° trimestre dell’anno).

Deduzione o detrazione dei contributi volontari ai fini della pensione?

Il versamento dei contributi volontari produce una deduzione e non a una detrazione. Ovvero, un abbattimento del reddito complessivo. Pertanto, la deduzione permette di non pagare l’Irpef sulle spese relative. Nel caso della detrazione, invece, si ha diritto a uno sconto sull’Irpef da versare in base alla percentuale dello sconto stesso. I contributi versati volontariamente sono peraltro deducibili anche se versati a favore dei famigliari fiscalmente a carico (ad esempio, il coniuge).

Donazioni in natura: qual è la disciplina per i costi deducibili, l’Iva e i vantaggi fiscali?

Le donazioni in natura rappresentano sempre più un fenomeno sentito dalle imprese. Si tratta di erogazioni in natura che vanno a favore degli enti non profit. Tuttavia, è interessante seguire la normativa per quanto riguarda i costi deducibili, l’applicazione dell’Iva e la tassazione sui redditi. Inoltre, le donazioni in natura si possono elargire solo su un paniere di beni ben definito dalla normativa e verso enti identificati.

Beni dati in donazione: a chi bisogna fare la comunicazione della cessione?

La disciplina di riferimento è la legge numero 166 del 2016 (legge “Antisprechi”). All’articolo 16, contente disposizioni in materia di cessione gratuita di derrate alimentari, di prodotti farmaceutici e di altri prodotti a fini di solidarietà sociale, si legge che “le cessioni previste dall’articolo 10, 1° comma, numero 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, numero 633, sono provate con modalità telematiche da parte del cedente agli uffici dell’amministrazione finanziaria o ai comandi del Corpo della guardia di finanza competenti, con l’indicazione della data, dell’ora e del luogo di inizio del trasporto, della destinazione finale dei beni nonché dell’ammontare complessivo, calcolato sulla base dell’ultimo prezzo di vendita, dei beni gratuitamente ceduti, ivi incluse le derrate alimentari“.

Donazioni in natura, quando non deve essere fatta la comunicazione?

Lo stesso articolo disciplina anche i casi in cui la comunicazione all’amministrazione finanziaria o alla Guardia di finanza non deve essere fatta nel caso di cessioni in natura di beni. Infatti, precisa il comma 1, “la comunicazione deve pervenire ai suddetti uffici o comandi entro la fine del mese cui si riferiscono le cessioni gratuite in essa indicate e può non essere inviata qualora il valore dei beni stessi non sia superiore a 15.000 euro per ogni singola cessione effettuata nel corso del mese cui si riferisce la comunicazione. Per le cessioni di beni alimentari facilmente deperibili si è esonerati dall’obbligo di comunicazione”.

Cessioni in natura, come deve essere applicata l’Iva?

La stessa legge 166 permette alle imprese che offrano cessioni in natura di beni di non scontare l’Iva. In tal caso, la donazione è esente per i beni merce che sono donati a enti pubblici, alle associazioni riconosciute, alle fondazioni con finalità assistenziali.  Rimane valida, tuttavia, la detrazione dell’imposta per le operazioni di acquisto dei beni successivamente dati in donazione. Dal punto di vista della tassazione diretta, la cessione gratuita di beni non genera alcun ricavo tassabile. In tal caso, infatti, i beni non si considerano destinati a obiettivi estranei all’esercizio dell’impresa. È tuttavia consentito di beneficiare della deducibilità per intero del costo di acquisto dei beni.

Deducibilità per i beni ceduti gratuitamente

L’articolo 83 del Codice del Terzo settore disciplina la possibilità della deducibilità, fino al 10%, del reddito complessivo in presenza di beni ceduti gratuitamente. Ma occorre distinguere se i beni ceduti sono strumentali oppure merci. Nel caso dei beni strumentali, la deducibilità è applicabile sul costo residuo del bene che non sia stato già ammortizzato. Per le merci, invece, la deducibilità opera prendendo a riferimento il minor valore tra il valore normale e quello che si attribuisce alle rimanenze.

Donazioni in natura, verso quali enti si possono cedere gratuitamente i beni?

Un occhio di riguardo deve essere posto per gli enti verso i quali si possono fare donazioni in natura. Infatti, la legge prescrive che i beneficiari delle donazioni possono essere sia gli enti pubblici che non profit. Sono inclusi tra i destinatari delle donazioni anche tutti gli enti del Terzo settore (Ets) purché siano iscritti al Registro unico. Sono altresì inclusi tra i beneficiari le cooperative sociali e le imprese sociali che sono costituite nella forma societaria.

Cessione gratuita dei beni, quali sono quelli che si possono donare?

Riguardo ai beni che possono essere donati in natura è importante porre particolare attenzione al paniere individuato dalla legge. Rientrano tra i beni:

  • generi alimentari;
  • medicinali;
  • prodotti per la cura e l’igiene della casa e della persona;
  • prodotti di cartoleria e di cancelleria;
  • integratori alimentari;
  • prodotti tessili;
  • prodotti di abbigliamento;
  • i mobili e i complementi di arredo;
  • i giocattoli;
  • i materiali per l’edilizia;
  • gli elettrodomestici a uso civile e industriale;
  • i computer, i televisori, i tablet, gli e-reader e gli altri apparecchi elettronici.

Donazione dei beni alimentari, a cosa prestare attenzione

Particolare specificità riguarda la donazione di beni alimentari per la disciplina alla quale sono sottoposti. Infatti, la cessione gratuita di alimenti può riguardare i beni invenduti per i seguenti motivi:

  • i beni ritirati dalla vendita per una decisione dell’azienda;
  • le rimanenze delle attività promozionali;
  • per l’alterazione dell’imballaggio esterno anche se l’alimento si presenta integro;
  • la vicinanza alla data di scadenza;
  • il superamento del termine minimo di conservazione, riguardante in particolare pasta e biscotti.

In tutti gli altri casi, sono le aziende a decidere se cedere gratuitamente i beni che reputano non più idonei alla commercializzazione. O, comunque, procedere alla donazione dei beni che non si ha più intenzione di immettere nel mercato.

Pensione integrativa, quali sono i vantaggi fiscali?

Aderire a un fondo pensione non comporta solo benefici per la prestazione complementare, ma anche vantaggi dal punto di vista fiscale. E i benefici con il Fisco intervengono in tutte le fasi dell’adesione alla previdenza complementare, dalla contribuzione alla prestazione vera e propria una volta che il contribuente ha maturato la pensione.

Qual è il tetto massimo della deducibilità dei contributi versati al fondo pensione?

Nella fase della contribuzione, quanto si paga al fondo pensione è deducibile dal reddito complessivo. L’importo massimo deducibile è pari a 5.164,57 euro all’anno. Nel calcolo vanno escluse le quote del Trattamento di fine rapporto (Tfr) conferite al fondo pensione. Ma è possibile recuperare anche la quota che eccede il massimo della deducibilità annua.

Contributi non dedotti per il fondo pensione, il recupero all’atto della prestazione finale

Infatti, entro il 31 dicembre dell’anno susseguente a quello nel quale sono stati effettuati i versamenti al fondo pensione, il contribuente deve comunicare al fondo stesso l’importo dei contributi in eccedenza che non ha potuto dedurre dal reddito (e quindi anche dalla dichiarazione dei redditi). Questa eccedenza, sulla quale sono già state pagate le tasse, verrà esclusa dalla base imponibile nel momento in cui avverrà l’erogazione della prestazione del fondo pensione. Pertanto, l’eccedenza verrà liquidata integralmente.

Adesione al fondo pensione alla prima occupazione dei giovani: quali vantaggi?

Un ulteriore vantaggio si riscontra per i lavoratori la cui prima occupazione è successiva al 1° gennaio 2007. Infatti, nei 20 anni successivi ai primi 5 di versamenti al fondo pensione si possono dedurre annualmente dal reddito complessivo i contributi eccedenti l’importo massimo di 5.164,57 euro corrispondenti alla differenza tra l’importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente pagati nei 5 anni di partecipazione al fondo pensione. La differenza non può eccedere l’importo di 2.582,29 euro.

Pensione integrativa: limiti di deducibilità fiscale più vantaggiosi per i giovani

Questa regola serve ai giovani lavoratori per sfruttare il più possibile il limite di deducibilità. Infatti, all’inizio di un lavoro è difficile che si versino contributi in quantità tale da arrivare al limite della deducibilità di 5.164,57 euro. Il risultato sarebbe la perdita di quote di deducibilità. L’operazione, dunque, serve al lavoratore ad alzare la deducibilità annua dal sesto anno e per i successivi 20 anni di adesione al fondo pensione. In tal modo si recupera la deducibilità non sfruttata precedentemente.

Vantaggi fiscali sulle prestazioni della pensione integrativa e le anticipazioni

Sull’intero importo oggetto della prestazione previdenziale si applica l’aliquota del 23%. L’importo deve essere considerato al netto dei redditi già assoggettati all’imposta, come i contributi non dedotti. Sono escluse dal 23% le anticipazioni per le spese sanitarie sulle quali si applica l’aliquota del 15%. Anche questa aliquota si può ridurre di 0,3% punti percentuali per ogni anno eccedente il 15esimo di adesione al fondo pensione. Il limite minimo dell’aliquota è del 9%.

Riscatto di quanto versato al fondo per dimissioni o inoccupazione

Può capitare di dover richiedere il riscatto immediato totale di quanto versato al fondo pensione. Rientrano in queste casistiche la cessazione per dimissioni volontarie e l’inoccupazione fino a 48 mesi, compresa la mobilità.  In queste situazioni sull’intero importo, al netto dei redditi già soggetti a imposta e alle anticipazioni richieste, l’aliquota applicata è del 23%. Quanto calcolato è versato a titolo di imposta definitiva.

Riscatto parziale o totale di quanto versato al fondo pensione

È possibile richiedere il riscatto parziale o totale di quanto già versato al fondo pensione. Ciò avviene per:

  • inoccupazione al superamento del 24esimo mese;
  • inabilità;
  • decesso prima della maturazione della pensione.

Nei casi di riscatto si applica l’aliquota del 15%, da ridurre di 0,3 punti percentuali per ciascun anno successivo al 15esimo. Si può arrivare a pagare un’imposta del 9%, con 6 punti percentuali in meno (20 anni di contribuzione oltre il 15esimo).

Erogazione della Rita come formula di pensione anticipata

Prima di arrivare alla maturazione della pensione da lavoro, e quindi della prestazione anche del fondo pensione,  si può richiedere la Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita). La ritenuta d’imposta ha la medesima percentuale (15% con riduzione di 0,3 punti percentuale per ogni anno successivo al 15esimo fino a scendere al 9%).

Fondo pensione, vantaggi fiscali connessi al pensionamento

Infine, ecco i vantaggi connessi al pensionamento, ovvero le prestazioni che spettano al contribuente una volta che ha maturato i requisiti per andare in pensione da lavoro. Sulla quota capitale, ovvero sull’importo della prestazione, è applicata come di consueto la percentuale del 15% con le dovute riduzioni di 0,3 punti fino a scendere al 9%.

Quota in rendita delle prestazioni del fondo pensione

Sulla quota in rendita, ovvero sull’importo della rendita inerente il capitale finale (al netto dei redditi già tassati e delle anticipazioni godute), l’aliquota è sempre del 15% con eventuali riduzioni di 0,3 punti percentuali per gli anni dopo il 15esimo. Sulla rivalutazione della rendita assoggettata alla fonte si applica l’imposta sostitutiva del 26%.

Come si calcola la rivalutazione della rendita delle pensioni integrative?

La rivalutazione della rendita delle pensioni integrative si calcola facendo la differenza tra l’importo annuo della rendita vitalizia in erogazione e la rata iniziale. Il tasso tecnico applicato è pari allo 0%. La quota di rivalutazione della rendita attribuibile ai proventi derivanti dai titoli pubblici è assoggettata alla percentuale del 26%. L’aliquota si applica su un imponibile ridotto al 48,08%.

Tassazione pensione integrativa e cumulo dei redditi

Infine, è da chiarire che sulle prestazioni integrative per l’adesione al fondo pensione si pagano solo le percentuali indicati e niente altro. Infatti, le prestazioni del fondo pensioni non vanno cumulate con altri redditi. Dunque, le pensioni integrative non vanno ad aumentare la tassazione ordinaria e non pregiudicano la possibilità di ottenere prestazioni sociali da parte dello Stato.

Deduzione contributi Enasarco per agenti di commercio, come funziona

Gli agenti di commercio che sono iscritti all’Enasarco, Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio, sono soggetti ad obblighi di natura previdenziale. Ovverosia, al versamento dei contributi in ragione di minimali e di massimali che vengono fissati di anno in anno.

L’Enasarco, inoltre, fissa i minimali ed i massimali non solo sui contributi da versare, ma anche i massimali provvigionali per ciascun rapporto di agenzia. Facendo distinzione, inoltre, tra gli agenti monomandatari e gli agenti plurimandatari. Ma detto questo, come funziona la deduzione dei contributi Enasarco per gli agenti di commercio?

Ecco come funziona la deduzione dei contributi Enasarco per gli agenti di commercio

Nel dettaglio, la ritenuta Enasarco che è a carico dell’agente di commercio risulta essere deducibile dal reddito complessivo. In quanto, ai sensi di legge, si tratta di contributi che sono versati, nello specifico caso all’Enasarco, ad enti che, per quel che riguarda le previdenza e le prestazioni assistenziali, gestiscono delle forme pensionistiche obbligatorie.

Inoltre, per i contributi Enasarco per gli agenti di commercio, la deducibilità segue il principio di cassa. Ragion per cui l’agente per avvalersi della deduzione deve aver sostenuto la spesa nel corrispondente anno di imposizione. In più, la porzione di contributi deducibile è quella che è esclusivamente a carico dell’agente di commercio, e che sono stati trattenuti dalla provvigione.

Quali sono i minimali ed i massimali contributivi per gli agenti di commercio

Chiarita la questione relativa alla deducibilità, passiamo ad un altro aspetto che è molto importante e che è legato sempre ai contributi previdenziali che devono versare gli agenti di commercio. Ovverosia, come sopra accennato, i minimali ed i massimali anche per quel che riguarda le provvigioni.

Nel dettaglio, per il 2021 il massimale provvigionale annuo è pari a 25.682 euro, e corrisponde ad un contributo massimo di 4.365,94 euro, per ciascun rapporto di agenzia, quando l’agente è plurimandatario. In questo caso, inoltre, sempre per ciascun rapporto di agenzia, il minimale contributivo annuo si attesta a 431 euro, ovverosia a 107,75 euro a trimestre.

Per il 2021 il massimale provvigionale annuo è pari a 38.523 euro, e corrisponde ad un contributo massimo di 6.548,91 euro, per ciascun rapporto di agenzia, quando l’agente, invece, è monomandatario. In questo caso, inoltre, sempre per ciascun rapporto di agenzia, il minimale contributivo annuo si attesta invece a 861 euro, ovverosia a 215,25 euro a trimestre.

Per chi l’iscrizione all’Enasarco è obbligatoria

In qualità di ente previdenziale, l’Enasarco è la cassa di riferimento per gli agenti e per i rappresentanti di commercio che operano su tutto il territorio nazionale. L’iscrizione all’Enasarco è obbligatoria quando l’agente in Italia opera non solo per le preponenti italiane, ma anche per tutte quelle preponenti che sono straniere e che nel nostro Paese hanno una sede o, comunque, una qualsiasi dipendenza.

L’Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio, che è sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, oltre a svolgere attività di tipo previdenziale ed assistenziale, svolge pure attività di tipo ispettivo. Quindi, anche di indagine e di controllo.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità delle partite Iva forfettarie

I lavoratori autonomi che adottano la partita Iva in regime forfettario non possono sfruttare tutte le detrazioni e le deduzioni fiscali contemplate nel regime ordinario della partita Iva, ad eccezione dei contributi previdenziali obbligatori. Tuttavia, anche chi rientra nel regime forfettario può avvalersi di deduzioni e detrazioni fiscali nel caso di altri redditi sui quali sono dovute le imposte Irpef. Rientrano in questo campo di applicazione l’ulteriore reddito da lavoro dipendente o da locazione, purché senza cedolare secca.

Pensione integrativa e regime forfettario

Nel caso del regime forfettario, l’adesione alla pensione integrativa, dunque, non comporta l’applicabilità della deduzione fiscale dei contributi versati al fondo pensione. La deducibilità, tuttavia, è possibile sugli ulteriori altri redditi soggetti a Irpef. L’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica è prevista sulla parte di contributi non dedotta.

Esenzione fiscale della prestazione finale del fondo pensione

Tuttavia, anche nel caso del regime forfettario di partita Iva è prevista l’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica futura. Infatti, nell’erogazione della prestazione previdenziale si deve considerare:

  • che la prestazione è soggetta a ritenuta con aliquota agevolata, tra il 15 % e il 9% a seconda della durata, in anni, di partecipazione al fondo pensione;
  • che la ritenuta è esente, in parte, da tassazione.

Base imponibile prestazione pensione integrativa soggetta a ritenuta

Il vantaggio, anche per le partite Iva a regime forfettario, consiste nel fatto che sulla base imponibile della futura prestazione pensionistica, e sulla quale andrà applicata la ritenuta d’imposta, dovrà essere escluso quanto già tassato precedentemente. Dunque, risultano esenti dalla prestazione pensionistica:

  • i rendimenti già tassati nella fase in cui si sono versati i contributi;
  • i contributi che il contribuente non ha dedotto ficalmente.

Partita Iva con regime forfettario: come funziona la deducibilità dei contributi al fondo pensione

Un contribuente con partita Iva a regime forfettario che abbia versato al fondo pensione contributi per 4.500 euro, dunque, non potrà godere, a differenza degli altri regimi di partita Iva, della deduzione fiscale sui contributi versati. In ogni caso, il contribuente dovrà procedere a inoltrare al fondo pensione la comunicazione dei “contributi non dedotti“. Il lavoratore autonomo deve presentare la comunicazione non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale i contributi sono stati versati. L’importo che deve contenere la comunicazione è pari a 4.500 euro, ovvero al totale annuo dei contributi pagati al fondo.

Contribuenti forfettari: esenzione fiscale della prestazione pensionistica

Come già detto in precedenza, i 4.500 euro versati al fondo pensione, pur non essendo deducibili nel momento in cui sono stati versati, rappresentano l’esenzione fiscale della futura prestazione pensionistica. E pertanto, il contribuente in regime forfettario, con la comunicazione dei contributi non dedotti, dichiara al gestore del fondo di non essersi avvalso della deducibilità fiscale dei contributi versati. Ma godrà della detassazione totale per 4.500 euro una volta che avrà ottenenuto la prestazione previdenziale complementare.

Deducibilità contributi pensione integrativa per partite Iva ordinarie

Diverso è il caso dei lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Un contribuente che versi al fondo pensione contributi per 3.000 euro l’anno, ottiene la deducibilità fiscale dei versamenti per lo stesso importo.  I contributi versati al fondo non superano il limite massimo della deducibilità, fissato in 5.164,57 euro. Non dovrà presentare alcuna comunicazione al fondo pensione per contributi non dedotti, ma cambia la fiscalità della futura prestazione pensionistica. Infatti, all’ottenimento della pensione integrativa i rendimenti saranno tassati.

Pensione integrativa: quali vantaggi per la partita Iva ordinaria?

Diverso è, inoltre, il caso di un contribuente, in regime di partita Iva ordinaria, che versi contributi al fondo pensione superiori al limite di deducibilità. Ad esempio, un lavortore autonomo che versi 7.000 euro annui a fronte del massimo deducibile di 5.164,57 euro. Proprio il limite costituisce dunque, il massimo della deduzione fiscale dei contributi versati in sede di dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la differenza tra quanto versato e il massimo, pari a 1.835,37 euro, deve essere comunicata al fondo pensione. La comunicazione dovrà avvenire per mettere al corrente dei contributi che il contribuente non ha dedotto.

Futura pensione complementare di chi lavora con partita Iva

In quest’ultimo caso, dunque, il contribuente si avvarrà, nella futura prestazione complementare, di una quota esente da tassazione rappresentata dai contributi che non sono stati dedotti fiscalmente. E pertanto, nella base imponibile soggetta a ritenuta d’imposta sulla futura pensione integrativa, dovranno essere sottratti i contributi che non sono stati dedotti fiscalmente negli anni di accumulo. Nel caso in questione, tali contributi sono pari proprio a 1.835,57 euro.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità

La pensione integrativa permette di ottenere un risparmio vantaggioso grazie ai benefici assicurati dalla deducibilità fiscale dei contributi versati al fondo pensione dal reddito Irpef risultante nella dichiarazione dei redditi annuale. Infatti, i contributi che vengono versati annualmente permettono di diminuire l’imponibile fiscale ai fini Irpef.

Pensione integrativa: tetto di deducibilità fiscale

I contributi vanno detratti al reddito dichiarato prima dell’applicazione dell’aliquota progressiva prevista. Ciò comporta una diminuzione delle imposte da pagare. Il beneficio ha un tetto massimo corrispondente a 5.164,57 euro all’anno. Entro questo tetto, i contributi dovuti annualmente possono essere dedotti.

Deducibilità fiscale e calcolo base imponibile ai fini Irpef

Ai fini del calcolo dell’Irpef, la deducibilità fiscale delle pensioni integrative necessita del calcolo della base imponibile. Quest’ultima rappresenta il reddito complessivo netto sul quale il contribuente applica l’aliquota progressiva spettante. La base imponibile si compone da quanto segue:

  • dalla somma dei singoli redditi lordi (fondiari, da lavoro dipendente, da lavoro autonomo, di impresa e da redditi diversi);
  • alla somma dei redditi devono essere sottratti gli oneri deducibili, quindi anche i versamenti fatti nell’anno di imposta al fondo pensione;
  • infine va dedotta anche l’abitazione principale.

Aliquote su base imponibile ottenuta con le deduzioni del fondo pensione

Alla base imponibile così ottenuta il contribuente si vede applicare le aliquote crescenti per scaglioni di reddito. Con la deduzione dei versamenti fatti al fondo pensione, l’imposta dovuta sarà meno gravosa perché va a detrazione della base imponibile. In particolare, per scaglioni di reddito:

  • fino a 15.000 euro si applica l’aliquota del 23%;
  • per lo scaglione successivo, da 15.0001 a 28.000 euro di reddito, si applica l’aliquota del 27%;
  • da 28.001 a 55.000 euro si applica l’aliquota del 38%;
  • per il successivo, da 55.001 a 75.000, l’aliquota prevista è del 41%;
  • oltre i 75.000 euro di reddito è prevista l’aliquota del 43%.

Calcolo Irpef per scaglioni di reddito

Se un contribuente dichiara un reddito lordo dell’anno precedente pari a 25.000 euro, fino a 15.000 euro paga l’aliquota del 23%, dunque 3.450 euro. Per lo scaglione successivo, ovvero da 15.001 a 28.000 euro (in questo caso fino a 25.000 euro), l’aliquota prevista è del 27%, per una tassa corrispondente di 2.700 euro. Il totale dell’imposta Irpef dovuta dal contribuente è di 6.150 euro.

Contributi versati al fondo pensione: la deducibilità nella base imponibile

Nel caso del contribuente, alla base imponibile vanno detrati gli oneri deducibili. Tra questi, la normativa permette di dedurre i contributi versati al fondo pensione ogni anno ai fini della prestazione integrativa. Il limite, come già ricordato, è di 5.164,57 euro. Pertanto, il contribuente che abbia un reddito complessivo pari a 25.000 euro (e che abbiamo visto avrebbe un ammontare di tasse da pagare pari a 6.150 euro) potrà dedurre i contributi al fondo pensione, pari ad esempio, a 3.000 euro.

Quanto si risparmia di tasse con la deducibilità della previdenza complementare?

Con la deduzione dei 3.000 euro dei contributi versati al fondo pensione la base imponibile si riduce a 22.000 euro. Pertanto, le tasse dovute dopo la deduzione scendono a 5.340 euro per un risparmio fiscale totale pari a 810 euro.

Deducibilità fiscale: anziché pagare tasse si provvede alla pensione integrativa

La pensione integrativa permette, dunque, una convenienza fiscale associata alla vantaggiosa scelta di mettere dei soldi da parte in vista della futura pensione. Da un’altra ottica, dei 3.000 euro portati in detrazione della base imponibile perché già versati al fondo pensione, effettivamente ne sono stati versati 2.190 euro. La differenza costituisce, evidentemente, la riduzione delle imposte dovute annualmente.

Deducibilità fiscale: maggiori vantaggi per i giovani

Il vantaggio di aderire alla pensione integrativa e dedurre le quote dei versamenti al fonto è maggiore per i giovani. Infatti, per chi è alla prima sua occupazione, la deducibilità totale è pari a  7.746,86 euro. Si tratta di 2.582,29 euro annui oltre il limite previsto. Inoltre, la quota non sfruttata fino al tetto della deducibilità pari a  5.164,57 euro costituisce un bonus da utilizzare sulle dichiarazioni dei redditi future. Si tratta del bonus deducibile addizionale per i primi cinque anni.

Il bonus deducibile addizionale per i giovani alla prima occupazione

Ammettiamo che un giovane alla prima occupazione versi al fondo pensione 3.000 euro all’anno. Nei primi cinque anni di iscrizione al fondo, potrà maturare il bonus deducibile addizionale pari a 2.164,57 euro x 5 anni, ovvero 10.822, 85 euro. I 2.164,57 euro sono ottenuti dalla differenza tra il tetto massimo ordinario e quanto versato al fondo (5.164,57 euro – 3.000 euro).

Utilizzo del bonus deducibile addizionale

Il bonus deducibile addizionale può essere utilizzato in deduzione a partire dal sesto anno di partecipazione al fondo pensione. Il limite di utilizzo è per i successivi 20 anni.

Cosa succede se si versa al fondo pensione più del limite di deducibilità?

Cosa avviene se i contributi versati al fondo pensione superano il limite previsto per la deducibilità del fondo pensione? Le quote eccedenti il limite fiscale devono essere comunicati al fondo pensione attraverso la “Comunicazione dei contributi non dedotti”. Il contribuente deve trasmettere la comunicazione entro il 31 dicembre dell’anno susseguente a quello nel quale è stato fatto il versamento.

Qual è l’importo massimo deducibile nella dichiarazione dei redditi?

La deduzione, a livello fiscale, è un’agevolazione che garantisce un risparmio di imposta. In quanto permette al contribuente, che si tratti di una persona fisica o di un’impresa, di abbassare il reddito imponibile che è poi quello sul quale, in sede di dichiarazione dei redditi, si andranno a pagare le tasse. In particolare, nell’anno di imposta di riferimento, un onere è deducibile quando questo è stato effettivamente sostenuto dal contribuente includendo pure quando la spesa è stata sostenuta per i familiari che sono fiscalmente a carico.

Per tutti gli oneri sostenuti e portati in deduzione fiscale, per l’anno di imposta di riferimento in sede di dichiarazione dei redditi, il contribuente è tenuto sempre a conservare tutta la documentazione originale. E, in caso di controlli o accertamenti fiscali, è poi obbligato a esibirla. Ma detto questo, qual è l’importo massimo deducibile nella dichiarazione dei redditi? Al riguardo c’è da dire che gli oneri deducibili sono davvero tanti e, nel rispetto dei requisiti di fruizione, presentano dei massimali che sono differenti caso per caso.

Ecco gli oneri deducibili più comuni, dai contributi previdenziali agli assegni di mantenimento

Per esempio, tra gli oneri deducibili più comuni rientrano i contributi versati dai lavoratori autonomi. In tal caso la percentuale di deduzione fiscale, in base al reddito, varia da un minimo del 23% ad un massimo del 43%. Si possono portare in deduzione fiscale, inoltre, pure i contributi che sono stati versati per la previdenza complementare fino ad un massimo di 5.164,57 euro.

Pure i contributi previdenziali versati per i lavoratori domestici, ovverosia per le colf, per le badanti e per le babysitter, rientrano allo stesso modo tra gli oneri deducibili. La percentuale di deducibilità fiscale varia sempre in base al reddito dal 23% al 43%, ma con un massimale che in questo caso è pari al 1549,37 euro.

Sono deducibili dal reddito, sempre dal 23% al 43% in base al reddito, pure gli assegni di mantenimento che, nell’anno di imposta di riferimento, sono stati versati all’ex coniuge. Così come, in caso di adozione internazionale, il 50% della spesa che è stata sostenuta è deducibile fiscalmente dal 23% al 43% in base al reddito.

La deducibilità fiscale dal reddito di impresa delle erogazioni liberali per il Covid-19

La deducibilità fiscale di oneri e spese, tra l’altro, può variare nel tempo in base alle disposizioni di legge. Per esempio, con il cosiddetto Decreto ‘Cura Italia’ è stata introdotta, per le imprese, la deducibilità fiscale per le erogazioni liberali, effettuate sempre con strumenti e servizi tracciabili, per gli interventi in materia di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Per l’anno di imposta 2020, e per i soggetti titolari di reddito d’impresa, le erogazioni liberali per il Covid-19 sono deducibili e non sono considerate come destinate a finalità che sono estranee all’esercizio dell’impresa. Ma a patto che le erogazioni liberali siano state effettuate in favore dello Stato italiano, delle Regioni, degli enti locali territoriali o di enti o istituzioni pubbliche. Oppure a favore di fondazioni e di associazioni ma a patto che siano legalmente riconosciute e senza scopo di lucro.

Deduzioni fiscali: cosa sono e come si calcolano. Vantaggi

In TV e sui giornali si incontra spesso  la locuzione “deduzioni fiscali”, ma di cosa si tratta, come funzionano e quali benefici apportano?

Dichiarazione pre-compilata e deduzioni fiscali

Dal 10 maggio 2021 è disponibile la dichiarazione 730 pre-compilata, si tratta di una dichiarazione dei redditi predisposta dal Fisco e disponibile nel cassetto  fiscale del contribuente. Questa si calcola tenendo in considerazione le entrate “certe” derivanti da pensione o da lavoro dipendente. La stessa può essere modificata nel caso in cui ci siano entrate diverse rispetto a quelle indicate e e nel caso in cui ci siano spese deducibili o detrazioni. Per capire  quando è necessario modificare la dichiarazione pre-compilata è bene analizzare cosa sono le deduzioni fiscali e quali spese possono beneficiarne.

Cosa sono le deduzioni fiscali

Le deduzioni fiscali sono dei benefici fiscali, in pratica si tratta di voci di spesa da sottrarre alla base imponibile di una determinata imposta o tassa, di conseguenza va a diminuire la base alla quale si applica l’aliquota fiscale e di conseguenza portano ad un risparmio sulle imposte da versare. La confusione che molti incontrano è con le detrazioni fiscali, infatti molti ritengono che deduzioni e detrazioni siano la stessa cosa, in realtà è del tutto sbagliato e i due termini non possono essere assolutamente usati come sinonimi. Le detrazioni fiscali vengono sottratte dopo aver determinato l’imposta da pagare e proprio sull’imposta e possono dar luogo a rimborsi.

Un esempio aiuterà a capire meglio: ci troviamo di fronte a una sottrazione dalle imposte nel caso delle detrazioni per figli a carico o detrazioni per la ristrutturazione della prima casa.  In questi casi si stabiliscono le imposte da versare,  a queste si sottraggono le detrazioni previste (dipendono dal numero dei figli, dalla loro età e dal reddito) e quindi risulta la somma finale da pagare effettivamente. Nel caso in cui le imposte siano già state versate tramite il sostituto di imposta (datore di lavoro o INPS) vi sarà una restituzione delle somme pagate in eccedenza.

Quali sono le deduzioni fiscali

Ritornando alle deduzioni fiscali, è bene premettere che in seguito c’è un breve elenco che non è esaustivo e si riferisce esclusivamente a quelle previste per l’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche). Si tratta nella maggior parte dei casi di spese sostenute dal contribuente e da scalare dal reddito imponibile al fine di determinare l’esatta base imponibile su cui applicare l’aliquota prevista per quella determinata imposta e fascia di reddito. Naturalmente non tutte le spese sono oneri deducibili, inoltre in alcuni casi solo una quota di quanto effettivamente speso può essere portato in deduzione. In seguito un breve elenco degli oneri deducibili:

  • contributi INPS e a casse previdenziali;
  • contributi per pensioni integrative, in questo caso vi è un limite massimo delle spese deducibili 5.164 euro;
  • donazioni in favore di istituzioni religiose, nel limite di 1.032,91 euro;
  • donazioni in denaro o in natura in favore di onlus. Il limite è pari al 10% del reddito e al limite massimo di 70.000 euro;
  • spese sostenute per le adozioni internazionali in misura massima del 50% di quanto effettivamente speso;
  • contributi obbligatori per colf e badanti in misura massima di 1,549,37 euro;
  • assegni periodici per coniuge a carico e per familiari;
  • liberalità in favore di enti di ricerca.

Queste sono solo alcune voci che possono essere portate in deduzione. ogni anno il legislatore può rivedere gli oneri deducibili e gli importi da dedurre, inoltre può aggiungere nuove voci o eliminarne alcune. Per queste ragioni il quadro non può mai essere del tutto esaustivo. Ciò che invece non cambia è la necessità di dover dimostrare le spese che sono state effettivamente affrontate e la loro data. Ad esempio per le spese mediche è necessario avere lo scontrino parlante e quindi al momento del pagamento deve essere consegnata la tessera sanitaria.

Come calcolare la base imponibile

Per calcolare le deduzioni e applicarle è bene affidarsi a un professionista del settore, ad esempio recandosi presso i CAF (Centri di Assistenza Fiscale) o presso uno studio commercialista. Occorre avere con sé tutte le fatture e gli scontrini delle spese sostenute e che possono essere dedotte. Sarà compito del professionista che si occupa della redazione della dichiarazione fiscale, applicare le deduzioni. In seguito calcola la effettiva base imponibile e su questa applicare l’aliquota per determinare le imposte che sono effettivamente dovute.

Generalmente si parla di deduzioni fiscali in merito alla dichiarazione dei redditi e della determinazione dell’imposta IRPEF, ma non è solo questa imposta a poter beneficiare di deduzioni. Ad esempio le deduzioni si applicano anche nella determinazione della base imponibile dell’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive).