Tasse su? Colpa della spesa pubblica

Alla fin fine, se aumentano le tasse è sempre colpa dello stato ladro. È un’equazione tanto semplice quanto sconcertante. Se tra il 2000 e il 2014 le entrate tributarie sono cresciute del 38,6% è perché la spesa pubblica, al netto degli interessi sul debito, è aumentata del 46,5%. Due percentuali nettamente più alte rispetto a quella della crescita del Pil nello stesso periodo: +30,4%. E le tasse aumentano.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia, però, al netto di questo inseguimento tra spesa pubblica e tarre, nel nostro Paese la prima è pari al 50,8% del Pil, ossia solo +1,4% rispetto alla media dei paesi dell’Area euro.

Secondo Paolo Zabeo, della Cgia, “le tasse hanno inseguito le uscite, al fine di evitare che i nostri conti pubblici saltassero per aria. Con il risultato che il carico fiscale sui cittadini e sulle imprese è aumentato a dismisura per coprire gli aumenti di spesa che, purtroppo, non hanno ridotto le disparità esistenti tra le persone in difficoltà e le classi sociali più abbienti”.

Se dal totale della spesa dello Stato sottraiamo la spesa pensionistica (pari al 16,7% del Pil) e quella per interessi sul debito pubblico (4,9%), le uscite per l’Italia calano al 29,2% del Pil, contro una media dell’Area dell’euro del 33,8%, ben bilanciabile con un aumento moderato delle tasse.

Considerato che le voci di spesa relative alla spesa per le pensioni (non comprimibile nell’immediato) e agli interessi sul debito (non rinviabile) non si possono ragionevolmente ridurre a breve, l’aumento delle tasse è ineluttabile. Naturalmente, concludono dalla Cgia, questa situazione è figlia degli effetti negativi di una spesa pensionistica che in passato è stata molto generosa e di un debito pubblico che, nonostante l’austerità e il rigore di questi ultimi anni, ha continuato a crescere. Così come le tasse

L’Italia non è un Paese per giovani

L’Italia continua ad essere ostile ai giovani, nonostante sia ormai chiaro che, se non si dà loro lo spazio che meritano, si mette a repentaglio il futuro di un intero Paese, troppo ancorato su convinzioni e tradizioni ormai obsolete.

La Cgia Mestre ha confermato questo trend, che non accenna a calare né tantomeno ad invertire la rotta, mettendo in evidenza un preoccupante squilibrio tra gli assegni staccati ai pensionati e gli investimenti destinati all’istruzione.

Dati alla mano, è emerso che l’Italia è il Paese europeo che spende di più per pagare le pensioni (poco meno di 270 miliardi di euro, pari al 16,8% del Pil) ed è, invece, al penultimo posto per le risorse destinate alla scuola (65,5 miliardi di euro corrispondenti al 4,1% del Pil).
Ciò significa che la spesa pensionistica del Belpaese è quattro volte superiore a quella scolastica.

Ma non basta. In nessun altro Paese dell’Unione europea, il gap tra questi due capitoli di spesa risulta così marcato.
La media europea si attesta a 2,6, con pensioni che costano mediamente 2,6 volte ciò che costa l’istruzione), mentre in Paesi come la Francia e la Germania, dove il numero complessivo dei pensionati risulta addirittura superiore al nostro, il rapporto tra spesa pensionistica e spesa scolastica è rispettivamente di 2,7 e 2,5.

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha aggiunto: “I dati riferiti all’Italia sono in parte condizionati dal trend demografico. Tuttavia, non possiamo disconoscere che le politiche di spesa realizzate negli ultimi quarant’anni abbiano privilegiato, in termini macroeconomci, il passato, ovverosia gli anziani, anziché il futuro, cioè i giovani”.

Vera MORETTI

Blocco rivalutazione pensioni? Costa 16 miliardi

Continuano a imperversare le stime sulle cifre che lo stato dovrebbe pagare a causa della sentenza della Consulta che ha considerato incostituzionale il mancato adeguamento Istat delle pensioni disposto dal governo Monti con il “Salva Italia”, che ha colpito 5 milioni di pensionati.

Secondo la Cgia l’importo per “risarcire” queste pensioni sarebbe di 16,6 miliardi, calcolati al netto dell’Irpef. Una stima arrivata a pochi giorni dal quella elaborata dalla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, che si fermava molto al di sotto di questa cifra, a 6 miliardi.

Sempre secondo l’analisi elaborata dalla Cgia, il blocco avvenuto nel 2012-2013 ha interessato i pensionati che percepiscono un assegno mensile netto superiore a 1088 euro, mentre da altre stime si parlava di pensioni con importi intorno ai 1400-1500 euro mensili.

Sia come sia, la stima della Cgia è piuttosto scioccante ed è il risultato di un’elaborazione fatta in base ai dati sulle pensioni riferiti al 2012. Inoltre, nonostante il pronunciamento della Consulta riguardasse la norma che non riconosceva la rivalutazione per gli anni 2012-2013 degli assegni di importo superiore di tre volte il trattamento minimo, la Cgia ha esteso il calcolo degli effetti sul 2014-2015, dal momento che l’attualizzazione relativa a questo biennio è stata effettuata su un importo mensile minore, derivato della normativa dichiarata incostituzionale.

Il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, commenta così il calcolo e le sue conseguenze sul governo e sulle pensioni: “Pare di che il governo non darà luogo ad alcuna manovra correttiva per recuperare le risorse da restituire ai pensionati. Se questa posizione dovesse essere confermata, come si farà fronte a questa situazione visto che solo per sterilizzare le clausole di salvaguardia previste per l’anno prossimo il Governo dovrà tagliare la spesa pubblica di almeno 16 miliardi di euro?”.

I Consulenti del Lavoro sulla rivalutazione delle pensioni

Dopo che la Consulta ha giudicato incostituzionale il blocco della perequazione delle pensioni relativo agli anni 2012-2013, introdotto dall’articolo 24 comma 25 del dl 201/2011, nel governo e al ministero dell’Economia sono andati nel panico per il rischio di dover rivalutare e rimborsare tutte le pensioni erroneamente bloccate.

Sono volate cifre su quanto dovrà essere l’importo per coprire questi rimborsi e se ne sono sentite di tutti i colori. I Consulenti del Lavoro hanno provato a dare una loro lettura a questo pasticcio delle pensioni e hanno elaborato una stima, illustrata in una circolare della loro Fondazione Studi. Ebbene, secondo i Consulenti sarà di circa 6 miliardi l’impatto sulle finanze pubbliche della rivalutazione non riconosciuta, fino a maggio 2015, al netto degli effetti fiscali, alle pensioni superiori a 1.443 euro.

Scrivono i Consulenti del Lavoro nella loro circolare. “Ovviamente ai 6 miliardi così ottenuti (cui comunque andrebbero aggiunte le dovute rivalutazioni monetarie) occorre sommare l’effetto finanziario del ricalcolo della pensione vita natural durante. Infatti, in riferimento agli anni 2012-2013, i trattamenti pensionistici dovranno essere rivalutati sulla base della normativa previgente all’articolo 24 comma 25 del dl 201/2011 contenuta nell’articolo 69 della legge 388 del 2000“.

Secondo i Consulenti, il primo effetto dell’abrogazione della norma è “il diritto dei titolari dei trattamenti pensionistici di esigere il credito spettante per l’appunto dalla rivalutazione non riconosciuta e il diritto a ricevere vita natural durante il ricalcolo della pensione attualmente in pagamento, per la cui misura non si è tenuto conto della rivalutazione non attribuita e invece spettante così come definito dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015“.

Infatti, poiché “sulla base dell’articolo 24 comma 25 del dl 201/2011 – scrivono i Consulenti nella Circolare – i trattamenti pensionistici superiori a 1.443 euro nella loro totalità non sono stati rivalutati, a legislazione vigente da una parte dovrà essere recuperata la rivalutazione spettante per gli anni 2012-2013-2014-2015 (infatti gli anni 2014 e 2015 sono stati rivalutati sulla base di un importo inferiore in quanto precedentemente non rivalutato) e dall’altra parte dovrà essere messo in pagamento vita natural durante un trattamento pensionistico di importo superiore a quello attualmente erogato“.

Che fare, quindi, con queste pensioni? Secondo la Fondazione Studi è da escludere “un decreto legge che disponga i criteri ed eventuali limitazioni in ordine alla restituzione delle somme maturate dai pensionati interessati, ipotizzando l’individuazione di un diverso criterio di perequazione rispetto a quanto stabilito dall’articolo 69 della legge 388/2000“, dal momento che “non appare che un possibile decreto legge approvato oggi possa incidere retroattivamente su un diritto già entrato nel patrimonio dei pensionati interessati“.

Infatti, con la sua sentenza, la Consultafa rivivere la citata disposizione del 2000 e dunque i soggetti interessati hanno già maturato il diritto a veder applicato tale criterio di rivalutazione“, stabilito appunto da quella legge sulle pensioni, prima che fosse approvata nel 2011 quella poi giudicata incostituzionale.

Legge di Stabilità, ecco le note dolenti

Dopo gli apprezzamenti dal mondo delle imprese, che abbiamo raccolto ieri, arrivano anche le prime critiche al disegno di Legge di Stabilità varato sul finire della scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri. «La manovra è insostenibile per le Regioni a meno di non incidere drasticamente sulla spesa sanitaria»: è la denuncia del presidente della Regione Piemonte, nonché presidente della conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, al termine della riunione nella quale i governatori hanno sollevato decise critiche alla spending review da 4 miliardi a loro carico, con tagli giudicati oltremodo eccessivi, tanto da mettere a rischio i servizi fondamentali. «Abbiamo dato intesa sul Patto per la Salute e il Fondo sanitario: il Patto viene così meno. Il Governo fa delle legittime e condivisibili manovre di politica economica ma usando risorse che sono di altri enti: l’elemento incrina un rapporto di lealtà istituzionale e di pari dignità. Sarà necessario – ha concluso Chiamparino – un incontro urgente per affrontare una serie di temi e ricostituire un rapporto di leale collaborazione».

Sul piede di guerra anche le associazioni dei pensionati: è «inaccettabile», rilevano, la norma nella Legge di Stabilità che ritarda il pagamento delle pensioni dal primo al 10 del mese. La novità scatterebbe dal primo gennaio 2015 con l’obiettivo di «razionalizzare ed uniformare le procedure e i tempi di pagamento delle prestazioni previdenziali corrisposte dall’Inps». Il problema, secondo chi contesta la norma, è che spesso la pensione serve per pagare impegni «fissi» non procastinabili, come l’affitto (che scade solitamente il 5 di ciascun mese), il mutuo o eventuali pagamenti di prestiti. «Il Governo – hanno affermato in coro i segretari di Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil – non ha previsto per loro alcun tipo di aiuto e di sostegno ma ha pensato come complicargli ulteriormente la vita. E’ semplicemente inaccettabile. Ci domandiamo cosa abbiano fatto di male i pensionati e gli anziani per essere trattati così».

In merito sono intervenute anche le associazioni che tutelano consumatori e utenti come Federconsumatori e Adusbef: «Una misura ingiusta e inaccettabile, che si configura come un vero e proprio sopruso nei confronti dei pensionati, che sono stati tra le fasce più colpite dalla crisi economica. Il danno – hanno affermato le organizzazioni dei consumatori – rischia di estendersi all’intera economia: sono infatti gli anziani nonni e zii, molto spesso, a mandare avanti interi nuclei familiari. La mancanza di lavoro di figli e nipoti, infatti, ricade sulle loro spalle. La vera operazione chiave per creare benefici al sistema economico ed alle condizioni delle famiglie non è ritardare i pagamenti delle pensioni, bensì avviare un serio, responsabile, concreto ed immediato piano straordinario per il lavoro».

Jacopo MARCHESANO

Blocco delle indicizzazioni delle pensioni nel 2014

Appuntamento al 2014 con l’indicizzazione delle pensioni con importi superiori a tre volte il minimo.
Dall’anno prossimo, infatti, il tetto di adeguamento passerà a sei volte il minimo.

Enrico Giovannini, ministro del Welfare, ha assicurato che il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, introdotto dal Governo Monti per il biennio 2012-2013 con la Legge di Stabilità 2012, non verrà prorogato per il 2014.

Ciò conferma quanto previsto dalla Legge di Stabilità 2012, dove era stato precisato che non sarebbe stata applicata alcuna proroga.
Sembrava, in un primo momento, che il blocco sarebbe proseguito anche per il 2014, se non altro per reperire le risorse di cui il Governo è privo, ma Giovannini ha assicurato: “Il Parlamento ha previsto che dal 2014 il livello sei volte il minimo è quello sotto il quale non si possa bloccare l’indicizzazione. Io non ho nessuna intenzione di intervenire sotto quei livelli e non useremo il blocco dell’indicizzazione per fare cassa. Non l’ho mai pensato neppure lontanamente“.

Ad essere coinvolti, sono 600mila pensionati, che percepiscono nell’insieme 34 miliardi di euro, su un totale di 23,4 milioni di assegni per oltre 270 miliardi di euro.
Per le pensioni superiori ai 2.886 euro lordi, invece, il blocco potrebbe arrivare anche nel 2014 seppur con scopi diversi: si tratterebbe di una misura finalizzata a garantire l’equità sociale e non risorse per lo Stato.

La strada più facilmente percorribile sarà quella di applicare il blocco delle indicizzazioni solo alla parte eccedente 6 volte il minimo, con il benestare di Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro di Montecitorio: “Difendere il potere d’acquisto dei pensionati e correggere la riforma previdenziale è una delle priorità del PD“.

Vera MORETTI

Entro Natale arriva la Legge di Stabilità

Anche se il via libera è atteso per il 21 dicembre, le novità che porterà la Legge di Stabilità sono già note e, per questo, molto attese.

Il tempo è poco e, per approvare il maggior numero di emendamenti, sono stati incorporati al DL Stabilità anche il Milleproroghe, il Decreto Salva infrazioni UE, il Patto di Stabilità interno e la riorganizzazione delle Province.

Per quanto riguarda i provvedimenti previsti dalla legge, la ricongiunzione dei contributi pensionistici torna ad essere gratuita per chi è passato all’Inps da una gestione previdenziale del pubblico impiego o da un altro fondo esonerativo, purché entro il 30 luglio 2010.

Per cumuli successivi al 30 luglio 2010 scatta una nuova formula gratuita di ricongiunzione dei contributi versati nelle diverse casse ma solo per il conseguimento della pensione di vecchiaia e non per quella di anzianità.
Chi avesse già provveduto a richiedere la ricongiunzione dei contributi in base alla legge del 2010 e avesse anche già pagato delle somme, ha diritto alla restituzione. La richiesta, in questo caso, deve essere fatta entro un anno.

Una novità assoluta deriva dalle cartelle esattoriali: quelle emesse entro il 31 dicembre 1999 ed inferiori ai 2mila euro vanno considerate estinte.
Inoltre, è prevista l’istituzione di un Comitato di indirizzi e verifica dell’attività di riscossione, ovvero una sorta di Comitato di vigilanza sull’attività di Equitalia, costituito da un magistrato della Corte dei Conti, due membri del Tesoro, uno delle Entrate, uno dell’Inps e un altro, a rotazione, in rappresentanza degli enti che si avvalgono di Equitalia.

Le aziende e i professionisti autonomi dei territori colpiti dal sisma del maggio 2012 hanno accesso a finanziamenti statali se hanno subito danni economici indiretti dal terremoto.

Un’altra novità che riguarda le imprese è quella relativa alla cassa integrazione: aumentano i fondi per la Cig in deroga, a scapito dei fondi per la formazione professionale.

La Tobin Tax scende allo 0,1-0,2% ed è diversificata a seconda delle operazioni finanziarie e comprende anche gli high frequency trading, operazioni velocissime che di fatto avvengono ogni secondo grazie ai sistemi informatici. L‘entrata in vigore è per marzo 2013 con aliquota 0,12% su azioni e strumenti partecipativi per operazioni sui mercati regolamentati, che poi scenderebbe allo 0,1% nel 2014.
Diversa tassazione per i derivati, che avviene in base a specifiche tabelle (ancora non note) a partire dal luglio 2013. Infine, tassa dello 0,2% sugli scambi ad alta frequenza.

Relativamente agli altri provvedimenti, dovrebbero essere confermati quelli approvati in prima lettura alla Camera:

  • Nuove detrazioni Irpef per famiglie
  • Riduzione del cuneo fiscale per le imprese dal 2014
  • Defiscalizzazione del salario di produttività
  • Salvaguardia per altri 10.130 esodati

Vera MORETTI

Approvata dal Ministero del Lavoro la riforma di Inarcassa

E’ ormai definitiva la riforma di Inarcassa, poiché è stata approvata, dopo un periodo di “prova”, ovvero lo stress test voluto da Elsa Fornero, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Paola Muratorio, la presidentessa di Inarcassa, la cassa previdenziale di ingegneri ed architetti iscritti all’albo, ha commentato questa svolta con entusiasmo: “Il nostro contributivo è una rivoluzione che ci pone all’avanguardia di molti paesi europei. Grazie a un sistema innovativo raggiungiamo una sostenibilità strutturale, ossia un equilibrio permanente dei conti, tra entrate e uscite previdenziali a garanzia di tutti gli iscritti, giovani e anziani“.

La riforma, infatti, segna il passaggio al metodo contributivo e la sostenibilità a 50 anni e riconosce previdenza ed assistenza, coniugandola con l’equilibrio economico e finanziario della Cassa.

Tutte le aspettative presenti nel sistema previdenziale attuale sono state salvaguardate, a partire dal mantenimento della pensione minima sia per gli iscritti meno abbienti che per le situazioni meritorie, fino al riconoscimento di un accredito figurativo relativo alle contribuzioni ridotte degli iscritti giovani. Presenti anche la flessibilità di uscita pensionistica e la pensione volontaria aggiuntiva per chi intende migliorare il proprio profilo previdenziale.

Si tratta, in definitiva, di misure in grado di proteggere gli iscritti più anziani ma al contempo di migliorare il profilo previdenziale ai più giovani.
La flessibilità riguarda anche la pensione: è possibile ritirarsi dalla professione a 63 anni, se è stata maturata un’anzianità contributiva di 35 anni, ma è anche concesso di lavorare fino a 70 e ricevere, in questo caso, un trattamento migliore.

Paola Muratorio ha commentato: “La nostra riforma chiama gli iscritti a un ruolo più attivo e consapevole rispetto alle leve da utilizzare per la costruzione della propria pensione, valorizzando la specificità di ingegneri e architetti liberi professionisti e le caratteristiche del sistema di riferimento delle Casse“.

Vera MORETTI

La Legge di Stabilità si dimentica degli esodati

La Legge di Stabilità appena approvata ha portato buone nuove a 10mila esodati, che vanno ad aggiungersi agli altri 120mila già “salvati” da precedenti provvedimenti.
Ai 9,2 miliardi già stanziati, si vanno a sommare altri 554 milioni, anche se, probabilmente, non basteranno ad assicurare un futuro tranquillo a tutte le “vittime” della riforma Fornero.

Sembra infatti che ci siano ancora 200mila esodati rimasti fuori da qualsiasi salvaguardia, ovvero molto più della metà di quelli messi al sicuro.

C’è poco da sorridere, dunque, e la Cgil ha voluto chiarire la sua posizione, criticando aspramente il Governo, reo di aver posto “un’enfasi eccessiva su di un numero che non è affatto risolutivo. Una platea di poco superiore alle 10 mila persone in più salvaguardate, e frutto della nostra decisa battaglia sindacale, lascia ancora aperto un problema gravissimo“.

Vera Lamonica, segretario confederale Cgil, ha posto l’accento sulle categorie rimaste fuori da ogni provvedimento e ha subito ricordato che la modalità prevista dalla Legge di Stabilità se il fondo non dovesse essere sufficiente a tutelare tutti gli esodati esistenti, ovvero l’attuazione del blocco, per un anno, della rivalutazione automatica delle pensioni sopra i tre mila euro al mese, andrebbe a colpire sempre e solo i pensionati, “con una penalizzazione che durerà per tutto il periodo di percezione della pensione, continuando a non toccare i redditi alti“.

Vera MORETTI

Stop al pagamento in contanti per le pensioni da mille euro

Uno dei provvedimenti compresi dal Decreto Salva Italia riguarda le pensioni erogate da Inps e che comincerà ad essere applicato dall’1 ottobre.

Ricordiamo, per quanti non ne fossero al corrente, che tale decreto prevedeva alcune norme antiriciclaggio, e una di queste aveva fatto scendere il limite del pagamento in contanti da 2.500 a 1000 euro.

Ebbene, questa regola verrà ora applicata anche per le pensioni con importi maggiori a questo nuovo limite.
Cosa significa ciò? Semplicemente che, coloro che dovranno riscuotere la loro pensione, se maggiore di 1000 euro, la potranno ricevere non più direttamente dallo sportello e non più in contanti, ma solo attraverso conto corrente o, in alternativa, tramite carta di pagamento o libretto nominativo di risparmio.

Dopo una serie di proroghe, che avevano spostato la scadenza dal 6 marzo al 30 aprile, fino al 30 giugno, ora non ci sarà nessun altro ritardo e, quindi, dalla settimana prossima le cose cambieranno.

Vera MORETTI