Bonus investimenti, come funziona il credito di imposta beni Industria 4.0?

Si amplia il credito di imposta sul bonus investimento per i beni Industria 4.0 secondo quanto dispone la legge di Bilancio 2022. L’agevolazione durerà fino a tutto il 2025, ma occorre prestare attenzione al fatto che il bonus rientra anche nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr): potrebbero nascere incompatibilità con altre agevolazioni fiscali. I beni oggetto di credito di imposta sono quelli materiali e immateriali 4.0, ai quali vanno aggiunte le disposizioni relative ai beni ordinari. Ovvero fuori dalle tabelle A e B di applicazione del bonus investimenti.

Credito fiscale del bonus investimenti su beni Industria 4.0: le scadenze della misura

Le agevolazioni fiscali del bonus investimenti in beni Industria 4.0 sono state modificate dalla legge di Bilancio 2022 al comma 44. Infatti le imprese, nell’applicare le detrazioni del credito di imposta relative al bonus investimenti, dovranno verificare che le agevolazioni non contrastino con le misure previste dal Pnrr. Il bonus investimenti rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2025. La proroga al 30 giugno 2026 avverrà con la prenotazione che deve essere confermata dal venditore di beni. Risulta necessario l’acconto di minimo il 20%. La regola del primo semestre dell’anno successivo vale per la maggior parte dei bonus.

Bonus investimenti su beni materiali 4.0: quali sono?

Le agevolazioni del bonus investimenti su beni materiali dell’Industria 4.0 risultano dalla tabella A allegata alla legge 232 del 2016. In particolare i beni che sono stati prenotati entro il 31 dicembre 2021 e che vengano consegnati entro il 30 giugno prossimo, prevedono il credito di imposta del:

  • 50% fino al valore di 2,5 milioni di euro;
  • 30% tra 2,5 e 10 milioni di euro;
  • 10% tra 10 e 20 milioni di euro;
  • il massimale risulta fissato a 20 milioni di euro.

Credito di imposta su beni materiali 4.0 dal 2022 al 1° semestre 2026

Per i beni materiali 4.0 acquistati nel 2022 e per quelli prenotati entro il 1° semestre del 2023 le percentuali si riducono, rispettivamente, al 40%, al 20% e al 10% con massimale di 20 milioni di euro. I beni acquistati nel 2023, 2024, 2025 e prenotati entro il 30 giugno 2026 hanno le percentuali di credito di imposta rispettivamente: del 20%, del 10% e del 5% con massimale di 20 milioni di euro.

Credito di imposta su acquisto software 4.0 rientranti nel bonus investimenti: quali sono le percentuali dal 2022 al 2026?

Per i beni immateriali e, in particolare, per l’acquisto di software è necessario consultare la tabella B della legge 232 del 2016. In particolare, la legge di Bilancio 2022 ha stabilito le percentuali di credito di imposta sull’acquisto di questi beni nel per i beni acquistati entro il 31 dicembre 2023 e per quelli prenotati entro il primo semestre del 2024 del 20%. Il massimale di acquisto è fissato in un milione di euro. Per i beni acquistati nel 2024 e prenotati entro il 30 giugno 2025 il credito di imposta si riduce al 15%; per i beni acquistati nel 2025 e per quelli prenotati entro il 30 giugno 2026 il credito di imposta è del 10%. Il massimale di spesa rimane fissato a un milione di euro.

Credito di imposta su altri beni rientranti nel bonus investimenti ma non 4.0

Per quanto concerne il credito di imposta ordinario applicato per l’acquisto di beni materiali non rientranti nelle tabelle A e B – e dunque non rientranti nell’Industria 4.0 – con beneficio anche per i liberi professionisti, le percentuali (in riduzione) sono le seguenti:

  • il 6% del credito di imposta per i beni acquistati nel 2022 e prenotati nel 1° semestre del 2023. La percentuale fino al 31 dicembre 2021 (e valida per i beni consegnati o ultimati entro il 30 giugno 2022) è del 10%. Si applica il 15% per i dispositivi utili al lavoro agile;
  • per gli anni 2023, 2024 e 2025 non è previsto alcun credito di imposta su questi beni Industria 4.0;
  • i limiti di spesa sono fissati a 2 milioni di euro per gli acquisti sia del 2022 che del 2023.

Acquisto di beni immateriali ordinari non rientranti nell’Industria 4.0: quale credito di imposta dal bonus investimenti?

Per l’acquisto di beni immateriali ordinari, non rientranti tra quelli Industria 4.0, l’applicazione del bonus investimenti permette i seguenti crediti di imposta:

  • per i beni immateriali ordinari del 2021 e prenotati entro il 30 giugno 2022, il credito di imposta è del 10% con un massimale di un milione di euro;
  • l’acquisto dei beni nel 2022 e fino e prenotati entro il 30 giugno 2023 la percentuale si riduce al 6% con massimale di spesa di un milione;
  • per gli acquisti degli anni 2023, 2024 e 2025 non è previsto alcun credito di imposta per l’acquisto di questi beni.

Cumulabilità bonus investimenti dei beni Industria 4.0 con altri benefici fiscali

Sulla cumulabilità dell’acquisto dei beni rientranti nel bonus investimenti dell’Industria 4.0 con altri benefici fiscali vale la regola generale fissata dalla legge di Bilancio 2021 (ultimo comma dell’articolo 1059). Nel dettaglio, il beneficio del credito di imposta del bonus investimenti risulta cumulabile con altri benefici fiscali sugli stati costi purché tale cumulo rientri all’interno del limite del costo sostenuto.

Cumulabilità bonus investimenti dei beni Industria 4.0 con le misure del Pnrr

Per quanto concerne la cumulabilità del credito di imposta del bonus investimenti dei beni Industria 4.0 con le misure del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) è necessario rifarsi alla circolare del ministero dell’Economia e delle Finanze numero 21 del 2021 che recepisce il Regolamento Ue numero 241 del 2021. In particolare, l’articolo 9 del Regolamento comunitario prevede il divieto di cumulo delle misure del Pnrr con le risorse ordinario del bilancio statale.

Cumulabilità credito di imposta beni 4.0 con le disposizioni del Pnrr: i codici tributo da utilizzare

Nel dettaglio, la cumulabilità del credito di imposta del bonus investimenti deve integrarsi con le disposizioni contenute nella misura “Investimento 1, Transizione 4.0 del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (M1 C1-1). Tale misura prevede il credito di imposta per l’acquisto di beni materiali e immateriali 4.0 e di quelli standard da non cumulare con il credito di imposta del bonus investimenti. Nella compilazione del quadro RU, in particolare, è necessario prestare attenzione agli errori o alle omissioni di difficile risoluzione. I codici tributo da utilizzare sono contenuti nella risoluzione numero 68/E del 2021.

Cumulabilità beni materiali e immateriali bonus ordinario con beni immateriali Pnrr

Sulla cumulabilità del bonus ordinario sul credito di imposta per l’acquisto di beni materiali e immateriali previsti dal codice tributo 6935 (ovvero i beni non rientranti nelle tabelle A e B, perciò ordinari), la quota finanziata dal Piano nazionale per la ripresa e la resilienza è unicamente quella relativa ai beni immateriali ordinari. Tuttavia, quanto descritto deve integrarsi con la circolare del ministero dell’Economia e delle finanze numero 33 di fine 2021. Tale comunicazione ha chiarito che le diverse misure, quella comunitaria e quella nazionale, possono finanziare l’acquisto di uno stesso bene purché i due incentivi non si sovrappongano e riguardino quote diverse di costi senza superare il 100% del costo relativo all’acquisto stesso.

Obbligo fattura elettronica per forfettari: ultime notizie

Dal punto di vista fiscale il 2022 sarà un anno molto importante e dalle ultime notizie trapelate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, emerge che vi è un’elevata probabilità di andare verso l’entrata in vigore definitiva dell’obbligo di fatturazione elettronica per i forfettari dal 2022. I segnali che si va verso questa direzione sono numerosi e tra questi vi sono le ultime notizie trapelate dalla Relazione del MEF  “per orientare le azioni del governo volte a ridurre l’evasione fiscale da omessa fatturazione”.

Obbligo di fattura elettronica per i forfettari: ultime notizie

Sappiamo che uno degli obiettivi del Governo è il contrasto all’evasione fiscale e l’obbligo di fatturazione elettronica ha dato ottimi risultati nel contribuire a ridurla notevolmente. Tale tipologia di fatturazione però non ha riguardato tutti i soggetti IVA, rimanendone esclusi coloro che sono nel regime dei minimi, forfettari e alcune tipologie di associazioni. Questi soggetti hanno l’obbligo di utilizzare l’e-fattura solo nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. La situazione però è in costante evoluzione, infatti, l’Unione Europea, su richiesta dell’Italia, ha autorizzato il nostro Paese a estendere l’obbligo di fatturazione elettronica, resta quindi da capire quali saranno i tempi in cui si farà ciò. Nel precedente articolo, che è possibile trovare QUI, abbiamo ipotizzato due date come molto probabili, cioè il primo gennaio 2023 oppure il primo luglio 2022, ma dalla Relazione del MEF è possibile ipotizzare che sia molto più probabile la seconda ipotesi, vediamo perché.

La Relazione del MEF per orientare le azioni del Governo

Le ultime notizie sull’obbligo di fatturazione elettronica per i forfettari prendono spunto dalla Relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Qui si sottolinea che entro il primo semestre del 2022 deve essere raggiunto il Traguardo M1C1-1033 incentrato sulla riforma fiscale. Raggiungere questo traguardo consente di accedere alle risorse del PNRR. Nella Relazione sono quindi indicate delle strade per centrare l’obiettivo e tra queste vi è appunto l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica ai soggetti finora esclusi e quindi a coloro che hanno optato per il regime forfettario. Nella Relazione è sottolineato che le misure da adottare mirano alla tax compliance (migliorare gli adempimenti spontanei dei contribuenti nei confronti del fisco) e a migliorare i controlli.

Perché si pensa proprio all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica per i forfettari?

La risposta a questa domanda è molto semplice. Tale scelta potrebbe dare un input davvero notevole al contrasto all’evasione fiscale perché le partite IVA in regime forfettario in Italia sono 1,8 milioni. Di queste attualmente solo il 10% ha adottato volontariamente l’e-fattura. C’è quindi un’elevata fetta di soggetti che viene sottoposta a “controlli” tradizionali e che potrebbe sfuggire al fisco.

Nella premessa del testo si sottolinea che l’incentivazione dei pagamenti elettronici non offre risultati adeguati anche perché rappresenta un costo per lo Stato (attraverso i piani cashback). Giudizio positivo invece per la lotteria degli scontrini. Dal paragrafo 1 della Relazione si evince che ottimi risultati al contrasto all’evasione fiscale derivano dall’introduzione dal 2019 dell’obbligo di fatturazione elettronica.

Proprio il fatto che nella Relazione siano stati sottolineati tali dati ci convince che si andrà ben presto verso l’introduzione dell’obbligo di fattura elettronica per i forfettari. Come già sottolineato deve essere adottato un atto di modifica della disciplina attuale, quindi un atto normativo, che probabilmente vedrà la luce dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, a quel punto ci sarà un periodo transitorio per l’entrata in vigore, necessario per far in modo che le partite IVA adottino gli strumenti idonei a fatturare elettronicamente. Le due date più probabili restano il 1° luglio 2022 e il 1° gennaio 2023.

Incentivi e contributi del Pnrr: si possono cumulare le diverse formule?

Le diverse formule di incentivi del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) si possono cumulare a vantaggio delle imprese? Proprio recentemente il ministero dell’Economia è intervenuto sulla questione chiarendo che le diverse formule di incentivo si possono cumulare. Si può, cioè, determinare una sinergia per coprire differenti quote di uno stesso investimento. Ma è necessario non superare il 100% del costo complessivo dell’investimento stesso.

Cumulabilità dei contributi del Pnrr: i riferimenti normativi

La cumulabilità tra gli incentivi previsti dal Pnrr opera a favore dell’unione tra diverse quote parti di un medesimo bene e tra costi differenti all’interno dello stesso progetto. Rimane esclusa, invece, la possibilità di procedere con un doppio finanziamento se la somma dei contributi aggiuntivi dovesse eccedere l’importo dell’investimento agevolato. Si è espresso in tal senso il ministero dell’Economia mediante la circolare numero 33 del 31 dicembre 2021.

Per il ministero dell’Economia si possono cumulare differenti quote di una spesa con più finanziamenti pubblici

La comunicazione del ministero dell’Economia fornisce chiarimenti sulla possibilità di cumulare gli incentivi del Pnrr. Nella nota, inoltre, si danno risposte alle incertezze nell’attuazione degli interventi previsti. Nella circolare, il ministero dell’Economia fa riferimento a due principi differenti e non sovrapponibili. Si fa innanzitutto richiamo al divieto di cumulo del doppio finanziamento, con il riferimento alla norma europea che specifica che lo stesso costo di un intervento non può essere rimborsato due volte mediante fonti di finanziamento pubbliche, anche di differente natura. Su questo punto il Mef ha specificato che la normativa europea debba intendersi come la possibilità di creare una sinergia tra le differenti forme di finanziamento pubbliche in modo che quote diverse della stessa spesa possano trovare copertura negli incentivi.

Cumulabilità finanziamenti Pnrr, la possibilità di finanziare una spesa con più interventi

A sostegno della tesi del ministero dell’Economia viene incontro anche l’articolo 9 del regolamento comunitario numero 241 del 2021. La norma, infatti, specifica che “il sostegno fornito nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf) si aggiunge al sostegno fornito nell’ambito di altri programmi e strumenti dell’Unione”. Nell’ambito di uno stesso progetto è prevista la possibilità di utilizzare delle fonti finanziarie diverse. Il cumulo è possibile a condizione che i sostegni finanziari al progetto non coprano due volte lo stesso costo.  Solo in quest’ultimo caso si ricadrebbe nel divieto di doppio finanziamento.

Quando si può procedere con il doppio finanziamento per coprire i costi di un progetto?

La comunicazione del ministero dell’Economia provvede anche a fare un esempio pratico della possibilità di cumulare più finanziamenti per lo stesso progetto. Se un intervento del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) finanzia il 40% del valore di un bene o di un progetto, la restante quota del 60% può essere finanziata mediante l’utilizzo di altre fonti di finanziamento. Pertanto, vanno rispettate le condizioni per cumulare le fonti di finanziamento. Risulta indispensabile non superare, utilizzando più finanziamenti, il totale del 100% sostenuto. Se si eccedesse il 100% del costo, infatti, si avrebbe la fattispecie che una quota dei costi del progetto sarebbe stata finanziata due volte.

I richiami al regolamento europeo 241 del 2021 per stabilire quali costi di finanziamento possano essere cumulati

La circolare del ministero dell’Economia si conclude poi con la raccomandazione alla buona finanza. “Le azioni intraprese a norma del presente regolamento dovrebbero essere coerenti e complementari ai programmi dell’Unione in corso – si legge nella comunicazione – evitando però di finanziare due volte la stessa spesa nell’ambito del dispositivo e di altri programmi dell’Unione”. Lo stesso articolo 9 del regolamento 241 del 2021 ribadisce, inoltre, che “i progetti di riforma e di investimento possono essere sostenuti da altri programmi e strumenti dell’Unione, a condizione che tale sostegno non copra lo stesso costo”.

Cumulo dei finanziamenti alle imprese per i beni 4.0

Caso particolare del cumulo dei finanziamenti sono quelli a copertura dei beni 4.0 delle imprese. Le relative misure, richiamate anche dalla circolare del ministero dell’Economia, fanno riferimento ai cluster del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza relativi alla Transizione 4.0. Nello specifico, è previsto che le imprese possano ottenere un credito di imposta per gli investimenti in tecnologie 4.0 e nella ricerca e sviluppo. In questo contesto, se l’investimento fosse in parte finanziato da risorse pubbliche, è possibile procedere con il cumulo con il credito di imposta. Il tutto nel limite del 100% del costo dell’investimento. Il credito di imposta è fruibile per la quota parte del costo dell’investimento non coperta dalle altre formule di finanziamento pubblico.

Programma strategico sull’intelligenza artificiale: linee guida

Sebbene in forte ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea, anche l’Italia si è dotata di un Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale, lo stesso ha durata triennale 2022-2024. Ecco cosa comporta.

Cos’è il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale

La prima cosa da fare nel trattare l’argomento è delimitare il campo e quindi capire di cosa si parla quando si fa riferimento all’Intelligenza Artificiale. In base al Piano, la IA consiste in applicazione di “modelli digitali, algoritmi e tecnologie che riproducono la percezione, il ragionamento, l’interazione e l’apprendimento”. Nel piano Strategico si ricorda che nel prossimo futuro l’intelligenza artificiale fornirà il sostegno per una maggiore produttività, sviluppo tecnologico e attività analitiche in tutti i settori.

L’obiettivo di dotarsi di un Piano strategico sull’Intelligenza Artificiale è del 2019, ma nei fatti non è arrivato fino al novembre 2021. Inizialmente doveva lavorare allo stesso solo il MISE, nel tempo sono però stati coinvolti anche altri Ministeri e in particolare quello per la Innovazione Tecnologica e della Transizione Digitale e il Ministero dell’Università e Ricerca.

Il Piano intende:

  1. rafforzare le competenze ed attrarre talenti;
  2. aumentare i finanziamenti per la ricerca (in realtà ad oggi non sono stati ancora correttamente individuati i fondi anche se notevoli risorse potrebbero arrivare dal PNRR che come sappiamo sarà vigente fino al 2026);
  3. incentivare l’adozione dell’Intelligenza Artificiale sia nel settore pubblico sia in quello privato.

Il piano comprende 24 policy suddivise in questo modo:

  • 5 sui talenti e le competenze (policy A);
  • 8 sulla ricerca (policy B e C);
  • 11 sulle applicazioni (policy D e E).

Il programma strategico sull’intelligenza artificiale prevede una cooperazione rafforzata tra i vari dipartimenti universitari e centri di ricerca, mentre si è rinunciato al progetto iniziale che prevedeva la realizzazione di un centro ricerca.

I progetti del Piano stragegico sull’Intelligenza Artificiale

Tra i progetti più importanti vi è la previsione di un aumento dei dottorati di ricerca con l’obiettivo di attrarre in Italia i migliori ricercatori del mondo, naturalmente l’ambito specifico della ricerca è inerente l’intelligenza artificiale, ciò anche al fine di favorire il rientro dei cervelli (Policy C2). Si ricorda che il rientro dei cervelli è favorito anche da un particolare regime fiscale, per conoscere i dettagli leggi l’articolo:

Rientro dei cervelli: agevolazioni fiscali fino a 11 anni dal rientro.

Il programma prevede l’implementazione dei corsi sulle materie STEM (science, technology, engineering and mathematics ) e di rafforzare le competenze digitali. Si punta alla istituzione di nuove cattedre di ricerca sull’intelligenza artificiale e una migliore collaborazione tra mondo accademico e della ricerca, industria, enti pubblici e società. Inoltre sono previste misure volte ad aiutare le aziende nel Piano di Transizione 4.0, le misure sono volte sia ad aiutare le aziende già presenti sul mercato, sia quelle di nuova apertura.

Se vuoi conoscere il Piano di Transizione 4.0 leggi l’articolo: Piano di Transizione 4.0 per Ricerca e Sviluppo: come accedere

Il Piano Strategico IA e la Pubblica Amministrazione

Naturalmente il Piano Strategico sulla Intelligenza Artificiale non poteva trascurare la Pubblica Amministrazione interessata da tante novità negli ultimi anni e alla ricerca di competenze sempre più ad elevata specializzazione. In questo caso le risorse saranno concentrate sullo sviluppo di sistema per la gestione dei Big Data, si tratta di un progetto essenziale, infatti ad oggi circolano in rete dati sensibili e supersensibili, trattati con l’uso delle nuove tecnologie e questo anche grazie a una Pubblica Amministrazione sempre più digitale (Policy E5). Diventa quindi essenziale fare in modo che tutti questi dati siano protetti e allo stesso tempo possano essere conservati correttamente senza particolari problemi.

Un segno del cambio di passo nella Pubblica Amministrazione è nella possibilità di ottenere online i certificati che solitamentei cittadini richiedevano presso il proprio Comune di residenza. Se vuoi conoscere quali puoi avere e come ottenerli, leggi l’articolo:

Certificati anagrafici gratuiti e online dal 15 novembre 2021. Guida

La Pubblica Amministrazione non viene coinvolta nel Piano Strategico sull’Intelligenza artificiale solo in riferimento alla gestione dei big data, ma anche tramite il rafforzamento dell’ecosistema GovTech in Italia che mira a introdurre bandi periodici per supportare le Start Up che decidono di applicare la IA (Policy E2).

Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione nella policy denominata A3 è prevista l’attuazione di tre cicli di dottorato rivolti in modo specifico alle esigenze della Pubblica Amministrazione.

Dottorato Nazionale in Intelligenza Artificiale

Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale ha una struttura complessa basata anche sull’istruzione, infatti a supporto di esso è stato creato nel 2021 il Dottorato Nazionale in “Intelligenza Artificiale” (PhD-AI.it) si tratta di uno dei percorsi più complessi a livello mondiale, coinvolge oltre 50 soggetti tra università, enti di ricerca e organizzazioni di ricerca. Si tratta di 5 corsi di dottorato federati, ognuno con un’area di specializzazione diversa:

  1. salute e scienze della vita;
  2. agroalimentare e ambiente;
  3. sicurezza e sicurezza cibernetica;
  4. industria 4.0;
  5. società.

Il dottorato ha già visto l’erogazione di 200 borse di studio con un budget di 16 milioni di euro.

Infine, per coordinare tutte le strategie viene creato il Gruppo di Lavoro Permanente sull’Intelligenza Artificiale.

I Punti deboli del Sistema Italia nell’applicazione della IA

Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale elenca anche quelli che sono considerati i punti deboli del Sistema Italia. In particolare si ricorda che vi è un’eccessiva frammentarietà della ricerca, una incapacità di attrarre talenti, su questo punto si ribadisce che in Italia vi è un’adeguata capacità di formare nuovi talenti, ma vi è una difficoltà ad attrarre talenti dall’estero e a trattenere i giovani ricercatori italiani.

Viene sottolineato anche il significativo divario di genere, infatti solo il 19,6% dei ricercatori di IA sono donne. Su questo specifico punto è possibile leggere l’articolo:

Imprenditoria femminile e gender gap digitale nell’industria 4.0.

Infine, il documento ribadisce che in Italia vi è una limitata capacità di registrare brevetti.

Nel Piano Strategico sull’intelligenza artificiale non mancano criticità, la più importante è lo scarso coinvolgimento delle PMI nello stesso. Il Piano Strategico sull’Intelligenza Artificiale, infatti per essere realmente efficiente deve essere attuato a tutti i livelli e in particolare in seno alle Piccole e Medie Imprese che più di altre realtà possono trovare giovamento nell’applicazione di nuovi strumenti, applicativi, protocolli di produzione. Il coinvolgimento doveva riguardare soprattutto l’aspetto della formazione in modo da rendere più semplice l’innovazione da parte delle aziende.

Un altro punto critico sono le risorse, infatti il documento nella parte finale individua i finanziamenti, ma si tratta di “possibili finanziamenti” quindi si individuano dei capitoli all’interno del PNRR, ma di fatto ancora non c’è nulla di concreto.

Fondo Impresa Donna: cos’è, come funziona e quando richiederlo

Il Fondo Impresa Donna mira ad agevolare l’imprenditoria femminile e prevede contributi a fondo perduto e misure agevolative per le donne che decidono di fare impresa in forma societaria o individuale.

Il gender gap in Italia

Il gender gap è purtroppo un problema rilevante per l’Italia e ad esso si è aggiunto il gender gap digitale, cioè la minore propensione delle donne ad innovare in azienda con l’uso di nuove tecnologie. L’ultimo dato è strettamente correlato al minore accesso delle donne alle facoltà scientifiche. I dati sono diventati ancora più allarmanti con la pandemia, infatti da una ricerca è emerso che la maggior parte delle persone che durante la pandemia ha perso il lavoro è donna. Si tratta di 312.000 donne nel solo 2020, a fronte di una perdita di lavoro da parte di 440.000 persone totali ( quindi poco più di 100 mila disoccupati del 2020 sono maschi). Le donne allo stesso tempo rappresentano il 51% della popolazione totale in Italia e hanno generalmente livelli di istruzione più elevati. Ecco perché il gender gap è ancora più grave di quanto ci si possa aspettare.

Per far fronte a queste difficoltà e cercare di colmare il divario che porta inevitabilmente a uno squilibrio economico, che a sua volta genera squilibri anche in ambito familiare, sono state pensate misure volte ad agevolare l’imprenditoria femminile.

Il Fondo Impresa Donna: di cosa si tratta?

Il Fondo Impresa Donna, istituito in seno al MISE (Ministero per lo Sviluppo Economico), è una delle misure previste per ridurre il divario di genere in Italia, lo stesso comprende un finanziamento di 40 milioni di euro a cui si aggiungono 400 milioni di euro previsti nel PNRR che saranno resi disponibili tra il 2021 e il 2026.

Le risorse saranno distribuite in questo modo:

  • 32,5 milioni di euro saranno destinati a nascita e consolidamento delle imprese;
  • 6,2 milioni di euro saranno destinati a Cultura Imprenditoriale e Formazione;
  • 1.3 milioni di euro saranno gestiti da Invitalia.

Non ci sono ancora informazioni sull’uso dei 400 milioni di euro previsti nel PNRR per l’imprenditoria femminile.

Per saperne di più sulle risorse del PNRR per l’occupazione femminile, leggi la guida: Il PNRR per l’occupazione femminile: misure indirette e dirette

Quali imprese possono beneficiare del Fondo Impresa donna?

Le tipologie di attività imprenditoriali che possono accedere al Fondo Impresa Donne sono diverse, si tratta di:

  1. cooperative e società che abbiano una compagine sociale formata almeno al 60% da donne;
  2. società di capitali in cui almeno 2/3 degli stessi siano rappresentati da donne e Consiglio di Amministrazione (CdA) formato almeno da 2/3 da donne;
  3. imprese individuali a guida femminile;
  4. lavoratrici autonome.

Quali agevolazioni si possono ottenere?

Per la creazione di nuove imprese è previsto un contributo a fondo perduto di 100 mila euro di spese con una copertura fino all’80% dei costi sostenuti. La copertura può arrivare al 90% nel caso in cui l’investimento sia fatto da disoccupate.

Se la spesa è superiore a 100.000 euro si può ottenere il 50% fino a un ammontare totale delle spese di 250.000 euro.

In caso di imprese già attive è possibile accedere a fondi per il consolidamento dell’attività. In questo caso il tetto di spese ammissibili è fissato a 400.000 euro e si può ottenere fino al 50% di quanto effettivamente speso se l’attività è stata costituita da minimo un anno e massimo 3 anni.

Per le imprese attive da oltre 3 anni è invece previsto un contributo a fondo perduto per le spese di capitale circolante in misura dell’80% della media del circolante degli ultimi 3 esercizi. Inoltre si può accedere a un finanziamento agevolato per eventuali investimenti e voucher fino a 5.000 euro per le spese sostenute in assistenza tecnica e gestione delle imprese.

Quali spese sono coperte dal Fondo Impresa Donna?

I contributi e finanziamenti agevolati si possono richiedere per acquisto e noleggio di:

  • macchinari, impianti e attrezzature;
  • affitto o acquisto di immobili;
  • assunzione di personale;
  • servizio cloud per la gestione dell’azienda.

Le spese devono essere sostenute dopo aver inoltrato la domanda per l’accesso al Fondo Impresa Donna, quindi il consiglio è di attendere fino a quando il Ministero non provvederà a dare tutte le informazioni necessarie per rendere effettivamente operativo il Fondo.

Informazioni finali

E’ prevista la possibilità per Regioni ed Enti Locali, associazioni di settore, Camere di Commercio di avviare collaborazioni con il Ministero al fine di attivare forme di cofinanziamento,

Deve essere sottolineato che sebbene il Ministero per lo Sviluppo Economico abbia provveduto a rendere note le linee operative nel mese di ottobre 2021, ad oggi ancora non è possibile inoltrare le richieste. Per un migliore funzionamento del sistema il Ministero si
avvarrà anche del Comitato impresa donna
istituito in Bilancio. Delle varie procedure si occuperà invece Invitalia e di conseguenza è attraverso la piattaforma dell’Agenzia che sarà possibile inoltrare la domanda. Attualmente sul sito Invitalia non è disponibile ancora la pagina dedicata al Fondo Impresa Donna.

Per un approfondimento sul gender gap digitale, leggi l’articolo: Imprenditoria femminile e gender gap digitale nell’industria 4.0

Imprenditoria femminile e gender gap digitale nell’industria 4.0

Il gender gap, o differenza di genere, si manifesta anche nel mondo dell’imprenditoria, con poche donne che partecipano alla vita imprenditoriale del Paese. Le evidenze sono tali che non mancano iniziative volte a supportare l’imprenditoria al femminile, ma il problema sembra strutturale, e si parla di gender gap digitale, e soprattutto il problema è aumentato con la pandemia. Ecco dati e mezzi di contrasto con piani pubblici.

Il gender gap digitale nell’era della quarta rivoluzione industriale

Le difficoltà di accesso alla rete sono tali che ad oggi 4,3 milioni di italiani sono ancora senza connessione, mentre 24 milioni di italiani affermano di non sentirsi a proprio agio con l’uso delle nuove tecnologie. A ciò si aggiunge che questa “povertà cognitiva” in realtà colpisce maggiormente le donne andando a determinare un avanzamento del gender gap.

I dati sono allarmanti non solo in Italia, ma soprattutto nel resto del mondo, si calcola che una donna su 5 non ha accesso alla rete e questo si traduce anche in una perdita di competitività per i Paesi. Si tratta del 21% delle donne, ma la percentuale sale in modo esponenziale nei Paesi a basso reddito dove arriva al 52%.

Il motivo del divario è in primo luogo economico, le donne guadagnano meno degli uomini a parità di lavoro, in media per ogni dollaro guadagnato da un uomo una donna guadagna 0,77 cents, questo vuol dire minori possibilità economiche e quindi minore accesso alla rete e ai dispositivi di nuova generazione.

Il secondo ostacolo è dato dal divario educativo e quindi alle disuguaglianze nell’accesso alla formazione e in particolare alle competenze digitali.

Come si ripercuote il gender gap digitale nell’economia dell’Italia e nelle imprese?

I dati relativi alle donne imprenditrici e le nuove tecnologie in Italia sono sconcertanti, nel senso che in un Paese industrializzato e in cui si ritiene che ci sia un buon tenore di vita e un sistema di formazione adeguato, emergono dati che ci pongono a livello di realtà molto diverse dalla nostra. In particolare il primo dato da sottolineare è che nel 2020 le realtà imprenditoriali a guida femminile in Italia sono diminuite del 42,3%. Ora è ovvio rispondere che in realtà il 2020 è stato un anno anomalo con una normale contrazione nell’apertura di nuove attività, è vero, ma il calo delle nuove realtà imprenditoriali maschili è stato molto minore, solo ( si fa per dire) il 35,2%.

Analizzando le caratteristiche delle aziende guidate dalle donne si nota una minore propensione all’applicazione delle nuove tecnologie, in particolare per quanto riguarda le tecnologie dell’industria 4.0 è stato rilevato che solo il 19% delle aziende femminili ha mostrato interesse per la digitalizzazione dei servizi e dei sistemi di produzione, contro il 25% delle imprese a conduzione maschile. A ciò si aggiunge una minore propensione all’internazionalizzazione (9% delle aziende femminili contro il 13% di quelle a conduzione maschile) e infine una maggiore difficoltà nell’accesso al credito, infatti il 46% delle imprese femminile under 35 si limita a investire il proprio denaro o quello della famiglia, ma non accede al credito. A ciò si aggiunge una minore propensione al rischio delle donne.

La formazione delle donne e il gender gap digitale

In realtà il gender gap economico e la scarsa propensione delle donne a innovare all’interno delle imprese ha un’origine remota, nella cultura patriarcale che si fa fatica a scardinare e che porta solo una piccola parte delle donne a intraprendere percorsi di studio che possano portare ad affermarsi nel mondo dell’imprenditoria. Il numero delle donne laureate in Italia è maggiore rispetto a quello degli uomini (34% delle donne contro il 21,7% degli uomini) cambiano però i settori, infatti la maggior parte delle donne sceglie percorsi di cura, solo una piccola parte segue percorsi STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) si tratta cioè di percorsi che possono aiutare nella scelta di dedicarsi all’imprenditoria.

L’Italia ha più volte provato a incentivare percorsi per l’imprenditoria femminile, da ultimo con le risorse del Fondo Impresa Donna, ciò che forse manca sono le basi per poter iniziare un percorso nell’imprenditoria.

L’impatto delle difficoltà potrebbe vedersi proprio nei prossimi mesi in quanto il piano Industria 4.0 basato proprio sulle nuove tecnologie potrebbe danneggiare molto l’imprenditoria femminile se non supportata verso la trasformazione. Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e  prevede in realtà misure volte a favorire l’inserimento lavorativo delle donne, ma ad oggi paiono insufficienze senza una vera attività di supporto all’autoimprenditorialità femminile.

Per saperne di più sulle risorse del PNRR dedicate al mondo femminile, leggi l’articolo: Il PNRR per l’occupazione femminile: misure indirette e dirette

Assunzioni Pnrr: le 10 professioni più richieste e quelle con più candidature

Ammontano a 1000 le prime assunzioni dal portale InPa per portare avanti i progetti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Si cercano professionisti che diano attuazione, negli enti locali, ai progetti del Fondo Reccovery. Ad oggi, le candidature per i 1000 posti di professionisti sono 61.666: gli interessati hanno inserito il proprio curriculum professionale sul portale InPa predisposto appositamente dal ministero per la Funzione pubblica di Renato Brunetta.

Professionisti da assumere per i progetti Pnrr, ecco le risorse

Le assunzioni dei 1000 professionisti sono finanziate dal decreto sul Reclutamento numero 80 del 2021. Le risorse complessive ammontano a 320,3 milioni di euro che andranno ai professionisti, esperti in varie discipline, soprattutto per la progettazione e la rendicontazione dei progetti inclusi nel Pnrr. Le Pubbliche amministrazioni cercano soprattutto ingegneri, nello specifico civili, ma anche le altre professionalità come architetti, esperti di contabilità pubblica, amministrativi o di appalti, geologi e informatici sono richieste.

Assunzioni nell’ambito del Pnrr, quanti posti sono previsti per il quinquennio 2022-2026?

La premessa delle assunzioni dei 1000 professionisti che riceveranno un incarico a tempo determinato per portare avanti i progetti del Pnrr è che si tratterà solo del primo step di un reclutamento ben più complessivo. Come specificato più volte dal ministro per la Funzione pubblica, Renato Brunetta, i posti disponibili nell’arco dell’intero prossimo quinquennio potrebbero essere centinaia di migliaia. E che la riserva del 40% per chi svolge incarichi per la Pubblica amministrazione potrebbe portare alla stabilizzazione di buona parte dei professionisti.

Bando 1000 assunzioni InPa, quali sono i professionisti più richiesti?

I professionisti più richiesti per le assunzioni InPa sul Piano nazionale per la ripresa e la resilienza sono gli ingeneri. Nelle varie discipline, incamerano il 32,5% dei posti disponibili. Più dettagliatamente, i posti maggiori sono riservati agli ingegneri civili che comprendono anche uno dei numeri più alti in fatto di candidature. La posizione per la quale ci si è candidati di più è quella degli esperti di gestione, seguita dagli architetti, dagli ingegneri civili e dagli esperti amministrativi e giuridici.

Quali sono le 10 professioni più richieste dal Pnrr nel bando di 1000 posti?

Ecco nel dettaglio le 10 professionalità più richieste tra i 1000 posti dei progetti del Pnrr:

  • ingegneri civili per 105 posti;
  • ingegneri ambientali per 94 posti;
  • esperti amministratiti per 83 posti;
  • esperti giuridici per 80 posti;
  • architetti per 79 posti;
  • geologi per 71 posti;
  • esperti di gestione per 66 posti;
  • ingegneri gestionali per 42 posti;
  • ingegneri energetici per 37 posti;
  • esperti digitali e ingegneri delle telecomunicazioni per 29 posti ciascuno.

Quali sono le altre professionalità richieste dal bando Pnrr da 1000 posti?

Tuttavia, sono numerose le altre professionalità richieste nell’ambito del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza. Eccole nel dettaglio:

  • esperti in edilizia per 27 posti;
  • ingegneri chimici per 24 posti;
  • ingegneri informatici per 24 posti;
  • agronomi per 23 posti;
  • biologi per 22 posti;
  • esperti in ambiente per 22 posti;
  • esperti in contabilità pubblica per 15 posti;
  • chimici e fisici per 13 posti;
  • ingegneri generici per 12 posti;
  • esperti rinnovabili per 12 posti;
  • ingegneri idraulici per 12 posti;
  • esperti gestionali per 12 posti;
  • esperti tecnici in appalti per 9 posti;
  • ingegneri dei trasporti per 6 posti;
  • avvocati esperti in diritto ambientale per 6 posti;
  • esperti informatici per 5 posti;
  • esperti statistici per 4 posti;
  • periti chimici per 4 posti.

Quali sono le 10 professioni del bando Pnrr da 1000 posto in cui ci sono più candidati?

Posti messi a disposizione dal bando dei 1000 posti del Pnrr e candidature non sono necessariamente in correlazione. La figura che ha raccolto più candidature è quella degli esperti di gestione, seguita dagli architetti, da varie discipline ingegneristiche, ma anche dagli esperti in materie giuridiche e amministrative. Ecco, nel dettaglio, le dieci professioni che hanno fatto registrare il maggior numero di candidature:

  • esperti di gestione con 7861 candidature;
  • architetti con 6746 candidati;
  • ingegneri civili con 6610 candidati;
  • esperti amministrativi con 6576 candidati;
  • esperti giuridici con 5444 candidati;
  • esperti in contabilità pubblica con 2984 candidati;
  • ingegneri ambientali con 2702 candidature;
  • ingegneri generici con 2386 candidati;
  • esperti in appalti con 2352 candidature;
  • esperti in edilizia con 1988 candidati.

Per quali altre figure professionali ci si è candidati al bando Pnrr?

Non mancano le centinaia di candidature per gli altri profili professionali del bando Pnrr. Risulta utile mettere a confronto il numero dei candidati per il numero di posti disponibili nella professionalità interessata. Ecco le altre candidature nel dettaglio:

  • ingegneri energetici con 1815 candidati;
  • esperti digitali con 1332 candidature;
  • ingegneri gestionali con 1326 candidati;
  • geologi con 1215 candidati;
  • ingegneri delle telecomunicazioni con 967 candidati;
  • avvocati esperti in diritto ambientale con 939 candidati;
  • esperti rinnovabili con 900 candidature;
  • agronomi con 850 candidature;
  • ingegneri dei trasporti con 800 candidati;
  • biologi con 771 candidati;
  • ingegneri idraulici con 711 candidati;
  • esperti informatici con 670 candidature;
  • esperti statistici con 629 candidati;
  • ingegneri informatici con 625 candidati;
  • esperti in ambiente con 545 candidature;
  • esperti gestionali con 445 candidati;
  • chimici e fisici con 301 candidati;
  • ingegneri chimici con 265 candidati;
  • periti chimici con 11 candidature.

Quali sono le regioni italiane che assumeranno di più i professionisti del bando Pnrr?

Infine è importante dare uno sguardo alle regioni che assumeranno più professionalità nell’ambito del bando di 1000 esperti per il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza. Al primo posto la Lombardia, seguita dalla Campania, dalla Sicilia e dal Lazio. A seguire la Puglia, il Veneto, l’Emilia Romagna e il Piemonte. Nel complesso, 400 nuove assunzioni arriveranno nelle regioni del Sud Italia e le altre 600 saranno concentrate nelle regioni del Centro e del Nord.

Distribuzione dei 1000 posti tra le regioni italiane del Bando professionisti per il Pnrr

Leggiamo nel dettaglio la distribuzione dei posti tra tutte le regioni italiane del bando di assunzione dei 1000 professionisti del Pnrr:

  • Lombardia 123 posti;
  • Campania 94 posti;
  • Sicilia 83 posti;
  • Lazio 76 posti;
  • Puglia 70 posti;
  • Veneto 66 posti;
  • Emilia Romagna 66 posti;
  • Piemonte 60 posti;
  • Toscana 53 posti;
  • Calabria 41 posti;
  • Sardegna 37 posti;
  • Abruzzo 33 posti;
  • Marche e Liguria 30 posti ciascuna;
  • Friuli Venezia Giulia 26 posti;
  • Basilicata 23 posti;
  • Umbria 22 posti;
  • Molise, Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano 19 posti;
  • Valle d’Aosta 14 posti.

Accordo Anci-Invitalia per la gestione delle risorse del PNRR

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) approvato e finanziato dall’Unione Europea per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia prevede la partecipazione di diversi attori istituzionali a vari livelli, quindi livello centrale e periferico, o meglio locale. Tra i vari attori importanti ci sono sicuramente i Comuni a cui sarà diretta una parte dei fondi. A livello locale può però essere necessario trovare competenze e capacità per una corretta gestione e per evitare che i fondi finiscano in mille rivoli senza raggiungere gli obiettivi previsti. Per evitare tale effetto, è stato concluso un accordo tra Anci-Invitalia per la gestione del PNRR.

Il ruolo di Comuni e Città Metropolitane nella gestione del PNRR

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede la partecipazione di vari enti e naturalmente tra questi non potevano mancare i Comuni e le Città Metropolitane che operano a più stretto contatto con i cittadini e quindi le loro attività più di tutte incidono sulla qualità della vita attraverso la corretta gestione dei servizi pubblici. Tali enti quindi sono chiamati a occuparsi di rigenerazione urbana, sviluppo delle reti al fine di rendere l’Italia sempre più digitale, efficiente, pronta a nuove sfide.

Sono chiamati ad occuparsi anche di nuovi impianti e servizi pubblici che possano rendere la vita dei cittadini più semplice. Naturalmente i comuni per poter partecipare hanno bisogno di presentare dei progetti e la redazione di questi non sempre è facile, soprattutto per le entità più piccole che possono avere carenza di personale qualificato, soprattutto se lo stessoha preso servizio qualche decennio fa. Di certo il blocco del turn over non ha favorito il ricambio generazionale.

Accordo ANCI-Invitalia per la gestione del PNRR

Per migliorare la ‘capacity building’ degli enti e redigere piani sostenibili, efficienti, di qualità e veloci c’è quindi stato l’accordo tra L’ANCI, Associazioni Nazionale Comuni Italiani, presieduta dal sindaco di Bari Antonio Decaro e Invitalia, rappresentata da Domenico Arcuri, si tratta dell’Agenzia Italiana per l’attrazione di investimenti che lavora in sintonia con il Ministero dell’Economia e gestisce i vari programmi di aiuto per lo  sviluppo di aziende di piccole, medie e grandi dimensioni.

Il protocollo sottoscritto tra le parti ha una durata di 5 anni e mira ad accelerare la realizzazione degli interventi ricadenti nel PNRR e gestiti a livello comunale. Invitalia metterà a disposizione supporto tecnico e operativo a Città e Comuni e ricoprirà il ruolo di Centrale di Committenza attraverso un percorso standard con procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori necessari a realizzare le varie opere. L’obiettivo è gestire con celerità e soprattutto trasparenza la gestione degli appalti dei lavori evitando le lungaggini che si creerebbero se ogni comune interessato dovesse mettere a punto un proprio piano per l’affidamento dei lavori.

Pnrr, scade il 6 dicembre la candidatura dei professionisti per gli enti locali

La Pubblica amministrazione locale chiama i professionisti. Entro il 6 dicembre 2021 è possibile candidarsi per un incarico negli enti pubblici per l’attuazione dei progetti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Chiamati a raccolta soprattutto gli ingegneri. Ma anche altre professioni sono ricercate.

Pnrr, gli enti pubblici locali cercano soprattutto ingegneri

La richiesta degli ingegneri per attuare i progetti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza è quella prioritaria entro la scadenza del 6 dicembre prossimo. Riguarda soprattutto i campi dell’ingegneria civile, energetica e idraulica per il 38,5% delle richieste. In questa percentuale rientrano anche gli ingegneri informatici, ambientali, gestionali e chimici.

Pnrr, si cercano anche altri professionisti entro il 6 dicembre 2021

Oltre agli ingegneri, le richieste degli enti locali per l’attuazione del Pnrr riguardano anche altre figure professionali. Innanzitutto gli avvocati e gli esperti giuridici, con una percentuale di richiesta del 16% rispetto al totale. Incarichi e collaborazioni sono a vantaggio anche dei seguenti professionisti:

  • 79 architetti;
  • 71 geologi;
  • 23 agronomi;
  • 22 biologi.

Incarichi liberi professionisti nella Pubblica amministrazione per il Pnrr: come candidarsi?

Per la candidatura a una delle figure professionali ricercate, gli interessati possono utilizzare il portale implementato appositamente per la richiesta. È dunque necessario andare sul sito InPa per rispondere ai relativi avvisi di ricerca. La scadenza del 6 dicembre 2021 è relativa agli avvisi messi on line il 30 novembre scorso.

Come avviene la selezione dei professionisti tramite il portale InPa?

Le selezioni dei professionisti avverrà attraverso il colloquio, all’interno delle mini-rose di cui parla la norma. L’incarico a tempo determinato dovrà essere firmato entro la fine del 2021 per fare in modo che i professionisti inizino a lavorare nei primi giorni del 2022.

Investimenti, infrastrutture e mobilità sostenibile, lo opportunità per le imprese dal Pnrr

Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) assegna agli investimenti, alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile risorse per complessivi 61,3 miliardi di euro. Nello specifico delle risorse, circa 41 miliardi di euro sono finanziati dal fondo Next Generation Eu (40,7 miliardi), 313 milioni con il programma React Eu, 21 miliardi di euro di risorse nazionali (10,6 miliardi dal Fondo complementare e 10,3 miliardi dallo scostamento di bilancio).

Infrastrutture e mobilità sostenibili, come sono distribuite le risorse e a chi spettano?

All’interno delle risorse stanziate per le infrastrutture e la mobilità sostenibile, il 56% dei fondi andranno alle regioni del Sud Italia. Gran parte dei progetti, circa il 76%, riguarderanno il contrasto alla crisi climatica e la transizione ecologica. Andando a scorporare gli ambiti di intervento, gli investimenti, le infrastrutture e la mobilità sostenibile (gestiti dal ministero per le Infrastrutture e per la mobilità sostenibile – Mims), sono previsti in 4 delle sei missioni del Piano nazionale per la ripresa e per la resilienza (Pnrr).

Mobilità sostenibile e infrastrutture, quante risorse sono state stanziate dal Pnrr?

La missione del Pnrr dove sono maggiori le risorse stanziate per il Mims è la numero 3. Infatti, nella missione “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” sono stati stanziati 41,872 miliardi di euro. Ulteriori risorse sono state stanziate nelle missioni:

  • la Missione 1, “Digitalizzazione, innovazione e cultura”. Le risorse stanziate sono pari a 475 milioni di euro;
  • la Missione 2, “Rivoluzione verde e transizione ecologica”. I fondi a disposizione sono pari a 15,159 miliardi di euro;
  • la Missione 5, “Inclusione e coesione”. Le risorse a disposizione sono di 3,863 miliardi di euro.

Il totale delle risorse stanziate per le infrastrutture, gli investimenti e la mobilità sostenibile sono pari a 61,369 miliardi di euro.

Quali sono i progetti per settori di investimento di infrastrutture e mobilità sostenibile?

Le risorse stanziate dal Pnrr nell’ambito delle infrastrutture, degli investimenti e della mobilità sostenibile riguardano vari settori rientranti nelle diverse missioni. In particolare:

  • allo sviluppo della rete ferroviaria della Missione 3 sono destinati 36,6 miliardi di euro;
  • alla rigenerazione urbana e housing sociale delle missioni 2 e 5 sono destinati 5,2 miliardi di euro;
  • per la riqualificazione del parco dei mezzi delle missioni 2 e 3 sono stanziati 4 miliardi di euro;
  • al trasporto rapido di massa della missione 2 sono destinati 3,6 miliardi di euro;
  • al potenziamento della logistica, ai porti e agli aeroporti della missione 3 sono riservati 3,4 miliardi di euro;
  • alla mobilità innovativa e sostenibile delle missioni 1 e 2 sono riservati 3,2 miliardi di euro;
  • alle infrastrutture idriche, al potenziamento e alla gestione sostenibile della missione 2 sono destinati 3,2 miliardi di euro;
  • al rafforzamento della sicurezza stradale della missione 3 vanno 1,4 miliardi di euro;
  • allo sviluppo delle aree interne della missione 5 sono destinati 900 milioni di euro.

Quali tipologie di investimento per infrastrutture e mobilità sostenibile?

Le tipologie di intervento che si andranno ad attuare con le risorse del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza riguardano:

  • le opere pubbliche per 56 miliardi di euro;
  • l’acquisto di beni e di servizi per 3,7 miliardi di euro;
  • i contributi alle imprese per 1,6 miliardi di euro.

Tra gli esempi che si possono fare sul tipo di investimento, rientrano:

  • le infrastrutture ferroviarie;
  • l’acquisto di autobus green;
  • i contributi per il rinnovo delle navi;
  • le infrastrutture idriche;
  • il rinnovo dei treni;
  • il supporto alla filiera degli autobus elettrici;
  • l’edilizia sociale e penitenziaria;
  • i servizi di digitalizzazione del Tpl;
  • la digitalizzazione dei servizi aeroportuali.

Quale supporto viene richiesto alle imprese nell’ambito degli investimenti del Pnrr?

Nell’ambito dell’attuazione dei progetti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza, il ministero delle infrastrutture è responsabile della governance del Pnrr e dell’assegnazione delle risorse ai soggetti attuatori. Questi ultimi ricoprono un ruolo principale nel realizzare i progetti stessi e, pertanto nella realizzazione delle infrastrutture richieste. Il principale soggetto attuatore è la Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) con il 47,48% delle risorse da assegnare; a seguire gli enti territoriali con il 26,25% e i concessionari e società di gestione con il 14,63%. Le autorità del Sistema portuale gestiscono il 5,65% delle risorse, mentre le imprese il 3,06%. Infine, la gestione diretta delle risorse da parte del ministero è pari al 2,92% delle risorse.

Quali riforme verranno fatte con il Pnrr in ambito di investimenti e infrastrutture?

Le riforme (tre già realizzate) nell’ambito dell’attuazione del Pnrr riguardano:

  • la valutazione dei progetti nel settore dei sistemi del Tpl (impianti fissi e Trm) secondo quanto prevede il comma 1 ter dell’articolo 44 del decreto legge numero 77 del 2021;
  • la riforma dell’iter di approvazione del Contratto di programma (tra il ministero delle infrastrutture e Rfi) secondo quanto prevede l’articolo 5 del decreto legge numero 152 del 2021;
  • l’accelerazione dell’iter di autorizzazione dei progetti ferroviari previsto dall’articolo 6 del decreto legge numero 152 del 2021;
  • la Governance delle infrastrutture per l’approvvigionamento idrico (il comma 4 bis dell’articolo 2 del decreto legge 121 del 2021);
  • la procedura per la pianificazione strategica portuale (il comma 1 septies dell’articolo 4 del decreto legge 121 del 2021).
  • infine, entro il 2024 si prevede la riforma della Governance della Piattaforma logistica nazionale (articolo 30 del decreto legge 152 del 2021).

Quali investimenti sono in scadenza nel 2021 e nel 2022?

Tra i traguardi e gli investimenti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza si annoverano:

  • l’infrastruttura per le Zone economiche speciali (Zes);
  • il supporto alla filiera degli autobus;

Saranno invece 13 gli investimenti del Piano complementare (per 20,6 miliardi di euro), tra i quali:

  • quattro per il rinnovo degli autobus, delle ferrovie regionali, per il verde e la socialità, inclusa la riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica. Questi traguardi sono stati già raggiunti con i relativi decreti emanati ad agosto 2021;
  • otto gli investimenti in fase di attuazione avanzata;
  • un investimento, quello di Strade Sicure è in fase di avanzamento entro il 31 dicembre 2021.