Pensione di inabilità: come vengono calcolati gli importi?

Il diritto alla percezione della pensione di inabilità è di spettanza dei lavoratori impossibilitati a svolgere mansioni lavorative. Molti, preoccupati per il loro futuro, si chiedono: come si calcolano gli importi della pensione di inabilità? Cercheremo di scoprirlo.

Requisiti per la pensione di inabilità

La pensione di inabilità spetta a coloro che si trovano nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere mansioni lavorative a causa di patologie invalidanti. Non basta però il requisito sanitario, infatti è necessario anche il requisito contributivo. Il lavoratore deve aver versato almeno 5 anni di contributi, di cui tre negli ultimi 5 anni.

Può capitare purtroppo che l’inabilità intervenga anche in giovane età, cioè nel momento in cui il lavoratore ha maturato il minimo dei contributi previsti per poter accedere a tale misura, in questo caso ha la necessità di avere comunque un importo mensile che consenta una vita dignitosa. Proprio per questo molti si chiedono: come vengono calcolati gli importi della pensione di inabilità?

Come si determinano gli importi della pensione di inabilità?

Per aiutare coloro che si trovano in questa condizione, soccorre il calcolo della pensione di inabilità basato in parte sui contributi effettivamente versati e in parte attraverso un incremento di contribuzione calcolato tenendo in considerazione gli anni mancanti al raggiungimento del sessantesimo anno di età. Il metodo è più conosciuto come “legge Amato”, purtroppo non è semplice da capire. I contributi aggiunti non possono comunque superare 40 anni (2080 settimane).

Per quanto riguarda la quota calcolata sui contributi versati occorre ricordare che per chi:

  • non possiede contributi nel periodo antecedente il 1° gennaio 1996, la pensione si calcola sul sistema contributivo;
  • al 31 dicembre 1995 ha maturato meno di 18 anni contributivi, si adotta il sistema misto (retributivo fino al 1995 e contributivo dal 1° gennaio 1996;
  • prima del 31 gennaio 1995 ha maturato più di 18 anni di contributi, si applica il retributivo fino al 31 dicembre 2012 e in seguito il contributivo.

La quota aggiuntiva per il calcolo della pensione di inabilità

La quota aggiuntiva di contribuzione si determina tenendo in considerazione i contributi effettivamente versati, cioè la media delle basi annue pensionabili rilevate negli ultimi 5 anni e rivalutate attraverso l’uso dei coefficienti di rivalutazione. La somma ottenuta deve essere rivalutata applicando l’aliquota di computo della gestione, che per i lavoratori dipendenti è al 33%. Il risultato deve essere diviso per 260 (numero di settimane presenti in 5 anni). A questo punto abbiamo la media contributiva settimanale degli ultimi 5 anni.

Questa deve essere moltiplicata per il numero di settimane intercorrenti tra il momento della richiesta di accesso alla pensione e il compimento dei 60 anni di età. Viene quindi determinata la quota di maggiorazione.

Il coefficiente di rivalutazione deve essere calcolato a 57 anni di età per chi ha un’età inferiore a tale limite.

E’ come se venisse fatto un calcolo della pensione ipoteticamente maturabile dal lavoratore nel caso in cui non avesse avuto problemi.

Ad esempio, per un lavoratore che ha 45 anni di età al momento del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità alla quota di contributi effettivamente versati (quota A) sono aggiunti ulteriori 15 anni di contributi (quota B) calcolati in modo virtuale tenendo in considerazione i contributi degli ultimi 5 anni.

Pensione di inabilità nel pubblico impiego

Nel pubblico impiego l’accesso alla pensione di inabilità decorre dal 1996, in questo caso varia però il calcolo, infatti la base contributiva è giornaliera e non settimanale. E’ inoltre previsto un doppio tetto. L’importo non può superare l’80% della base pensionabile delle quote di pensione determinate con il sistema retributivo ( vale per i lavoratori che hanno anzianità contributiva antecedente al 31/12/1995) e non può superare gli importi previsti per la pensione per causa di servizio.

A questo proposito deve essere anche ricordato che la legge Fornero ha eliminato la pensione privilegiata per causa di servizio generalizzata nel pubblico impiego e ha previsto solo residue applicazioni per il comparto Difesa, Sicurezza, Soccorso Pubblico).

Assegno per l’assistenza personale e continuativa

E’ bene ricordare che la pensione di inabilità si corrisponde quando vi è impossibilità di eseguire prestazioni lavorative, di conseguenza si tratta di casi abbastanza gravi. Nel caso in cui il percettore di pensione di inabilità abbia anche problemi di autosufficienza, può richiedere l’assegno per l’assistenza personale continuativa (assegno di accompagnamento). L’ammontare attuale di questo è di 547,45 euro.

La pensione di inabilità e reversibile mentre l’assegno per l’assistenza no.

Per conoscere la differenza, anche di importo tra pensione di inabilità, assegno ordinario di invalidità e invalidità civile, leggi la guida: Pensione di inabilità: differenze con invalidità civile, assegno ordinario. Guida

Fondo pensione, come scegliere se si è lavoratori dipendenti, pubblici o autonomi?

Una volta presa la decisione di aderire a un fondo pensione in vista di un trattamento previdenziale più alto per il futuro e per usufruire dei vantaggi fiscali connessi all’adesione stessa, il passaggio successivo consiste nella scelta della formula pensionistica alla quale affidare i propri risparmi. Si tratta di un passaggio fondamentale che richiede una particolare attenzione al fine di soddisfare tutte le esigenze presenti e future.

Aderire alla previdenza complementare, quanto versare al fondo pensione?

A tal proposito è utile verificare se, in base alla propria condizione lavorativa, esista già un fondo di riferimento. Inoltre, è indispensabile decidere quanto versare al fondo pensione. Questa valutazione può essere presa consapevolmente una volta che il sottoscrittore abbia individuato il livello di reddito ritenuto maggiormente adeguato per se stesso e per la propria famiglia nel momento in cui uscirà dal lavoro per la pensione.

Adesione al fondo pensione, la valutazione dei costi

Naturalmente, risulta importante verificare i costi applicati dal fondo pensione al quale si aderisce. Le spese, infatti, possono incidere sull’importo della futura rendita pensionistica. E, pertanto, risulta decisivo anche verificare quali siano le linee di investimento che vengono offerte dal fondo, le garanzie a disposizione e i rischi finanziari.

Come scegliere il fondo pensione se si è lavoratori dipendenti?

I lavoratori dipendenti, inoltre, nella loro scelta devono considerare anche la possibilità di lasciare il Trattamento di fine rapporto (Tfr) in azienda oppure destinarlo alla previdenza complementare. In questo ultimo caso, devono decidere anche in quale misura. Tuttavia, esistono soluzioni di previdenza complementare che prevedono l’ottenimento di un contributo anche da parte del datore di lavoro.

Come scegliere il fondo pensione giusto per le proprie esigenze?

La scelta di aderire a un fondo pensione, dunque, dipende molto anche dal tipo di lavoro o di attività che si svolge. Un lavoratore del settore privato può partecipare a un’adesione collettiva qualora lo preveda il proprio contratto di lavoro. E, dunque, può iscriversi a un fondo pensione di tipo negoziale, aperto o preesistente che faccia da punto di riferimento per le necessità del settore di attività, dell’azienda stessa o della regione. Gli edili, come i lavoratori di altri settori, partecipano in automatico al fondo pensione della propria categoria. L’iscrizione (in questo caso contrattuale) avviene già al momento dell’assunzione.

Previdenza complementare, il lavoratore autonomo deve iscriversi necessariamente al fondo pensione aziendale?

I lavoratori alle dipendenze del settore privato possono non avere un fondo pensione di riferimento. Oppure possono decidere di non iscriversi alla previdenza complementare aziendale. Ma possono comunque avere la necessità di iscriversi a un fondo pensione. In questo caso, si può costruire una futura pensione integrativa partecipando, individualmente, aderendo a un fondo pensione aperto o a un Piano individuale pensionistico (Pip).

Previdenza complementare di un lavoratore del pubblico impiego

I lavoratori dipendenti del pubblico impiego hanno la possibilità di aderire alla previdenza complementare relativa alla categoria di riferimento. Inoltre, hanno anche l’opzione di aderire a un fondo regionale laddove sia previsto. Tuttavia, chi aderisce a un fondo pensione ed è un lavoratore del settore pubblico dovrebbe verificare le prestazioni erogate soprattutto per quanto riguarda il diverso trattamento fiscale che si ottiene rispetto ai fondi pensione dei dipendenti del settore privato.

Lavoratori autonomi, quale fondo pensione scegliere?

I lavoratori autonomi possono aderire individualmente a un fondo pensione aperto o a un Piano individuale pensionistico (Pip). Queste due opzioni sono alla portata anche di un lavoratore del pubblico impiego nel caso in cui volesse integrare ulteriormente la propria pensione complementare con un investimento differente da quello previsto dall’adesione collettiva al fondo pensione di categoria. Le due opzioni, inoltre, sono sempre praticabili dai lavoratori che abbiano un’altra tipologia di contratto, oppure se il contratto di lavoro non preveda l’adesione a un fondo pensione. E, in ogni caso, qualora il lavoratore dovesse decidere di aderire a un fondo pensione differente da quello previsto dal contratto di lavoro.

Scegliere di aderire a un fondo pensione per i familiari a carico

Un lavoratore può decidere di iscrivere i familiari fiscalmente a carico a un fondo pensione. Ad esempio, possono essere iscritti alla previdenza complementare i figli come formula di investimento dei propri risparmi e, soprattutto, per assicurare loro di poter disporre di una pensione integrativa futura. Anche in questo caso, chi dovesse decidere di investire i propri risparmi verso una fondo pensione, può beneficiare della deducibilità fiscale entro il limite di 5.164,57 euro per ogni anno di adesione.

Pensione integrativa: firmato accordo col Fondo Perseo Sirio, dipendenti pubblici iscritti anche con il silenzio assenso

Previdenza complementare con silenzio assenso per i dipendenti della pubblico impiego assunti dopo il 1° gennaio. È stato firmato nella giornata del 16 settembre 2021 l’accordo per l’adesione al fondo Perseo Sirio a favore dei dipendenti della Pubblica amministrazione. L’intesa permette ai neoassunti a tempo indeterminato a partire dal 2019 di poter beneficiare dell’adesione alla previdenza complementare. Sono esclusi dalla possibilità di adesione al fondo i dipendenti che abbiano beneficiato di progressioni di carriera o che continuino a mantenere il previgente regime di Trattamento di fine servizio.

Pubblica amministrazione, chi può aderire alla previdenza complementare Perseo Sirio

L’accordo definisce la regolamentazione riguardante le modalità di espressione delle volontà di adesione al fondo di previdenza complementare Perseo Sirio. In tutto, solo nel 2019, i nuovi assunti sono stati circa 64 mila. Si tratta di personale immesso a partire dal 2 gennaio 2019. Oltre all’assunzione, per aderire al fondo, è necessario che l’amministrazione pubblica per la quale si lavora abbia aderito al fondo stesso. Si tratta del personale delle Regioni, degli enti locali, del Servizio sanitario nazionale, dei ministeri, della Presidenza del Consiglio dei ministri, delle Agenzie fiscali, degli Enti pubblici non economici, delle Università e Ricerca, del Cnel e dell’Enac.

Chi rimane escluso dal fondo pensione Perseo Sirio

Rimane escluso dall’adesione al Fondo Perseo Sirio chi:

  • ha beneficiato di progressioni di carriera;
  • il personale che continua a mantenere il regime di Trattamento di fine servizio (Tfs) per la continuità del rapporto previdenziale;
  • chi è già iscritto al fondo per precedenti rapporti di lavoro.

Dipendenti del pubblico impiego, come si aderisce al fondo Perseo Sirio

Per aderire al Fondo Perseo Sirio, i dipendenti del pubblico impiego hanno due modalità. La prima consiste manifestando esplicitamente la volontà di adesione, anche attraverso il sito web, nelle forme e con le modalità consuete. La parte innovativa dell’accordo sottoscritta nella giornata del 16 settembre 2021 riguarda il silenzio assenso. Pertanto, all’atto dell’assunzione, il lavoratore riceve l’informativa dall’amministrazione sulle modalità di adesione. Nell’informativa, che deve essere menzionata nel contratto individuale, deve essere presente il riferimento al silenzio assenso.

Sito internet per aderire al Fondo Perseo Sirio

Il link per l’iscrizione al fondo è presente nell’informativa. Sul portale è possibile consultare le informazioni previste dai regolamenti Covip e accedere alla modulistica per aderire volontariamente. Inoltre, le amministrazioni devono rendere disponibili i moduli per la “non adesione”. Nei sei mesi successivi all’assunzione, se il dipendente pubblico non ha manifestato alcuna volontà (e non ha ancora firmato nemmeno il modulo della “non adesione”), viene iscritto automaticamente al Fondo a decorrere dal primo giorno del mese susseguente alla scadenza dei sei mesi di tempo.

L’adesione con silenzio assenso al fondo di pensione integrativa

Le amministrazioni, trascorsi i sei mesi dall’assunzione, entro il giorno 10 del mese successivo, comunicano al fondo i nominativi dei lavoratori iscritti con la modalità silenzio assenso, ovvero i dipendenti che non abbiano fatto adesione volontaria e non abbiano espresso la propria “non adesione” tramite gli appositi moduli. Entro 30 giorni dalla comunicazione ricevuta dall’amministrazione, il Fondo comunica al dipendente l’adesione mediante silenzio assenso. Nella comunicazione, il fondo specifica:

  • l’avvenuta adesione e la relativa data di decorrenza dell’iscrizione;
  • i flussi finanziari attivati e quelli attivabili;
  • il comparto destinatario del flusso di finanziamento al quale il lavoratore ha aderito col silenzio assenso;
  • la documentazione contenente il Regolamento Covip;
  • le modalità di recesso.

Recesso dei dipendenti pubblici dal Fondo di pensione complementare

I dipendenti del pubblico impiego che sono stati iscritti al Fondo Perseo Sirio con il silenzio assenso hanno 30 giorni di tempo dalla comunicazione di adesione per esercitare il diritto di recesso. Infatti, entro il giorno 10 del mese dalla comunicazione di adesione, il fondo invia alle amministrazione i nominativi dei dipendenti che hanno esercitato il diritto di recesso nel mese precedente. Il recesso è indispensabile per non attivare i flussi finanziari relativi al fondo di pensione complementare.

Pubblica amministrazione, adesione con silenzio assenso al fondo pensione integrativa

Per i dipendenti del pubblico impiego che sono stati iscritti al fondo pensione con il silenzio assenso e non hanno esercitato diritto di recesso nei termini stabiliti – ovvero entro un mese dall’avvenuta iscrizione – l’amministrazione di appartenenza inizierà a versare i contributi datoriali e il contributo a carico del lavoratore entro il secondo mese susseguente di comunicazione dell’adesione. Dall’attivazione del flusso dei contributi, l’amministrazione di appartenenza attiva le comunicazione all’ente previdenziale Inps.

Esempio di lavoratore assunto nella Pa e adesione al fondo previdenziale complementare

Un lavoratore assunto in una pubblica amministrazione il 1° dicembre 2021, ad esempio, nello stesso giorno riceve informativa del Fondo Perseo Sirio. Il 31 maggio 2022 scadono i sei mesi decorsi i quali, in caso di silenzio e di mancata domanda di “non adesione”, il lavoratore risulta iscritto. L’iscrizione al fondo, dunque, avrà luogo il giorno 1° giugno 2022. Entro il 10 luglio 2022 il fondo invia comunicazione all’amministrazione degli iscritti con silenzio assenso. Il lavoratore ha tempo fino al 9 agosto 2022 per esercitare il diritto di recesso. Il 10 settembre successivo il fondo comunica all’amministrazione l’elenco degli iscritti “consolidati”. Infine, entro il 30 novembre l’amministrazione attiva il flusso contributivo e le comunicazioni all’Inps.

 

La magia degli statali: meno impiegati, più spesa

di Davide PASSONI

La Pubblica amministrazione italiana non smette di riservarci prodigi che neanche il mago Otelma. In un periodo di vacche non magre, potremmo dire letteralmente morte di fame, scopriamo infatti che, oltre al braccio di ferro tra il ministro del Welfare Elsa Fornero – che cerca di equiparare nella riforma del lavoro i dipendenti pubblici a quelli privati – e il ministro della Funzione Pubblica Patroni Griffi – che cerca in ogni modo di tutelare i suoi pari mantenendone diritti e privilegi acquisiti – nella Pubblica amministrazione in 8 anni il numero degli impiegati è sceso di 110mila persone (pari a circa il 3% del totale) mentre la spesa per i loro stipendi è cresciuta di 40 miliardi.

Magia? No, matematica contabile, con dati estrapolati dall’ufficio studi della Cgia di Mestre e commentati dal segretario Giuseppe Bortolussi: “Tra il 2001 e il 2009 i dipendenti pubblici sono diminuiti di quasi 111.000 unità, pari ad una contrazione del 3%. Tuttavia, la spesa per le retribuzioni, in termini assoluti, è aumentata di 39,4 miliardi di euro (+29,9%). Al netto dell’inflazione, invece, la stessa è stata più contenuta: solo, si fa per dire, dell’8,3%, che corrisponde, in termini assoluti, a circa 13 miliardi di euro“. Mica male…

E siccome, come recita un antico adagio, il pesce puzza dalla testa, Bortolussi azzarda un’ipotesi su dove sia finita la maggior parte di questi miliardi: “Questi aumenti non sono finiti in tasca agli infermieri, ai bidelli o alle maestre elementari. E’ molto probabile che ad avvantaggiarsene economicamente siano stati i livelli dirigenziali medio alti del nostro pubblico impiego“.

L’ufficio studi ha poi confrontato il trend di spesa dei dipendenti pubblici italiani, con quelli francesi e tedeschi. In Italia ci sono 58,4 dipendenti ogni 1.000 abitanti, valore vicino a quello della Germania (55,4 ogni 1.000 abitanti, 4,5 milioni di dipendenti pubblici) e a quello francese (80,8 ogni 1.000 abitanti, 5,2 milioni di dipendenti pubblici). Ma, e qui arriva la gabola, la spesa per le retribuzioni del settore pubblico in Italia è continuata a crescere, sia in rapporto al Pil, sia in valori assoluti: tra il 2001 e il 2009 la spesa per il personale pubblico è passata dal 10,5% all’11,2% del Pil per un valore, nel 2009, di 171 miliardi.

Amara la conclusione di Bortolussi: “Se in Italia i costi per il pubblico impiego al netto dell’inflazione fossero cresciuti seguendo il trend tedesco (-6,2%), la spesa per tale voce nel 2009 sarebbe stata di 148,1 miliardi, anziché 171, vale a dire 22,9 miliardi in meno. Si tratta di una simulazione che presenta ovviamente dei limiti di comparazione tra le istituzioni pubbliche dei due Paesi, ma che rende bene l’idea di quanto si possa ancora migliorare in Italia in questo settore, nonostante i progressi effettuati finora non siano affatto trascurabili“.

Capito Patroni Griffi? Capito Giarda? Per tagliare spese e costi senza tagliare le persone non serve il mago Otelma, bastano buona volontà e voglia di farlo.

Cgia Mestre: i lavoratori dipendenti sono tutelati dall’art 18

“Anche per noi è stata una vera e propria sorpresa: se si analizza solo la platea dei lavoratori dipendenti presente nel nostro Paese, oltre il 65% degli occupati lavora nelle aziende con più di 15 dipendenti. Da ciò si evince che la maggioranza dei lavoratori dipendenti è tutelata dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”.

La dichiarazione è del segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che, dopo aver analizzato i dati relativi alla distribuzione degli occupati italiani nelle aziende con più o meno di 15 addetti, afferma : “Se, invece, includiamo anche i lavoratori autonomi, la situazione, chiaramente, si capovolge. Gli addetti che lavorano nelle aziende con meno di 15 raggiungono il 54,3%, mentre quelli che sono occupati nelle imprese con più di 15 dipendenti non raggiungono il 46% del totale”.

Tuttavia, fanno notare nella nota quelli della CGIA, correttezza statistica suggerisce che il conteggio venga effettuato solo tra i lavoratori dipendenti. Per questo il dato che emerge da questa analisi “rovescia” la tesi dominante: vale a dire che, ad essere “coperti” dall’articolo 18, era solo una minoranza di lavoratori italiani. Da questi dati, sottolinea la CGIA, sono esclusi i lavoratori del Pubblico impiego, quelli occupati nel settore dell’agricoltura, nonché i cocopro ed i “lavoratori a progetto”.

Fonte: Agenparl.it

Spesa pubblica, l’accusa della CGIA

Un’altra, impietosa fotografia della spesa pubblica italiana scattata dalla CGIA, che in uno studio ha ecidenziato come tra il 2000 e il 2010 questa sia aumentata, al netto degli interessi sul debito, di 141,7 miliardi di euro (l’importo riferito al 2000 è stato rivalutato al 2010), pari al +24,4%. L’anno scorso, la spesa ha raggiunto quota 723,3 miliardi di euro: in rapporto al Pil, sempre nel 2010, le uscite pubbliche dello Stato hanno raggiunto il 46,7%, +6,8 punti rispetto a 10 anni prima. Sempre nel 2010, infine, lo Stato ha speso 11.931 euro per ogni cittadino italiano: 1.875 euro in più rispetto al 2000.

La parte del leone (se così si può dire…) la fanno le spese correnti, riconducibili per la maggior parte agli stipendi dei dipendenti del pubblico impiego e alle prestazioni sociali: 93,2% del totale della spesa pubblica. Secondo la CGIA, i redditi dei dipendenti del pubblico impiego sono aumentati del +12,9%, i consumi intermedi (manutenzioni, affitti, energia elettrica, acqua, gas, materiale di consumo, etc.), sono cresciuti del 24,9%, gli acquisti di beni e servizi da destinare ai privati (medicinali, apparecchiature sanitarie, etc.) sono lievitati del +34,6%, le prestazioni sociali hanno fatto segnare un +24,6%.

Tagliente l’analisi di Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre: “Il trend di crescita registrato dalle uscite pubbliche nell’ultimo decennio dimostra che è necessario invertire le politiche di bilancio sin qui realizzate. Non è più possibile agire prevalentemente sul fronte delle nuove entrate per riportare in ordine i nostri conti pubblici. Bisogna, invece, intervenire sulla spesa pubblica improduttiva. In questi giorni sentiamo echeggiare, dopo che i cittadini hanno subito in questi ultimi mesi una raffica di nuove tasse ed imposte, la possibile introduzione di una patrimoniale o, come ha suggerito la Banca d’Italia, il ripristino dell’Ici sulla prima casa. Se ciò si verificasse, darebbe luogo ad un ulteriore aumento del carico fiscale che deprimerebbe ancor più la capacità di spesa delle famiglie italiane che già oggi si trovano in una situazione di estrema difficoltà”.

Clicca qui per scaricare il documento della CGIA.