Nuove partite Iva in calo a febbraio

Calano ancora le nuove partite Iva a febbraio 2015. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio sulle partite Iva del dipartimento delle Finanze, ne sono state aperte 42.799, ossia il 16,8% in meno rispetto a febbraio 2014.

Probabile che il calo di nuove partite Iva sia stato causato dal fatto che la legge di stabilità ha previsto che, per il 2015, le partite Iva operative all’1gennaio possono continuare ad operare con il preesistente regime fiscale vantaggioso: ragion per cui, molti hanno scelto probabilmente di anticipare l’apertura delle nuove partite Iva a fine 2014.

Anche a febbraio, tra le nuove partite Iva prevalgono le persone fisiche (67,3%), seguite dalle società di capitali (24,9%) e dalle società di persone (7,1%). Rapportando i dati a un anno prima, a febbraio 2014, crescono le aperture di società di capitali (+3,7%), calano le società di persone (-10,9%) e crollano le persone fisiche (-23%).

Tra i settori produttivi delle nuove partite Iva stravince il commercio (25,8%), seguito dalle attività professionali (10,8%), dalla ristorazione e dall’edilizia (9,8% per entrambe). Sempre guardando a febbraio 2014 si nota un calo molto forte per le attività professionali (-43,5%) e per le professioni della sanità (-32,8%), entrambi settori nei quali la variazione del regime forfettario ha una forte incidenza.

Il nuovo regime dei minimi ammazza le nuove partite Iva

E dai e dai, il nuovo regime dei minimi ce l’ha fatta ad ammazzare le nuove partite Iva. Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia, a gennaio 2015 c’è stato un tracollo delle nuove aperture: -29,7% rispetto a gennaio 2014, la miseria di 56.717.

Secondo il ministero, “tra le nuove partite Iva di cui sono titolari persone fisiche si è rilevato un discreto numero di adesioni al nuovo regime forfettario (10.708 soggetti), introdotto dalla legge di stabilità per il 2015 in sostituzione del preesistente regime fiscale di vantaggio“.

Una constatazione fatta un po’ per ripulirsi la coscienza sulle nuove partite Iva, dato che poco dopo si legge nella nota che la diminuzione di gennaio “è stata influenzata dalla clausola prevista dalla stessa legge di stabilità che, insieme all’introduzione del nuovo regime forfettario, consentiva alle partite Iva in essere al primo gennaio 2015 di continuare a operare con il vecchio regime. È quindi probabile che diversi soggetti abbiano anticipato l’apertura della partita Iva entro la fine del 2014 (novembre e dicembre), ritenendo il regime allora in vigore più vantaggioso per la propria attività, facendo conseguentemente registrare un calo a gennaio 2015“. Ma dai! Al ministero hanno scoperto l’acqua calda.

La natura giuridica delle nuove partite Ivamostra che la quota relativa alle persone fisiche nelle aperture di partita Iva si attesta al 71,3% del totale, quella delle società di capitali al 20,5% e quella del le società di persone al 7,5%“. Senza contare che, rispetto al gennaio di un anno fa, le nuove partite Iva mostrano, per ogni forma giuridica, “un calo di aperture: modesto per le società di capitali (-3,3%), più evidente per le società di persone (-12,5%) e particolarmente accentuato per le persone fisiche (-36,2%) a seguito della novità normativa che riguarda esclusivamente le persone fisiche“. Standing ovation.

Intanto le nuove partite Iva ringraziano (ironicamente…) e quelle che avrebbero potuto essere ma non sono, devono aspettare tempi migliori. Con molta pazienza.

Minimi e gestione separata, vincono i professionisti

E alla fine vinsero i professionisti. La protesta 2.0 contro il regime dei minimi, l’aumento dell’aliquota previdenziale della gestione separata e altri pasticci combinati dal governo a danno dei professionisti, ha avuto i risultati sperati con l’approvazione in Commissione degli emendamenti al Decreto Milleproroghe in tema di regime dei minimi e con il blocco dell’aumento dell’aliquota previdenziale della gestione separata.

Soddisfatto il Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (Int) e Vice Presidente vicario di Confassociazioni, Riccardo Alemanno: “Ha vinto una protesta civile 2.0 – ha commentato -; sì, perché la rete ha evidenziato e dato il giusto risalto anche in termini numerici di quanti cittadini erano colpiti dall’aumento dell’aliquota della gestione separata e dal penalizzante nuovo regime dei minimi forfetizzati“.

Evidentemente – ha poi aggiunto – la grande unione di intenti dei vari soggetti rappresentativi dei professionisti di area associativa ha dato i suoi frutti, ma credo che i parlamentari e i rappresentanti del Governo abbiamo compreso che i problemi legati a norme sbagliate andavano a incidere negativamente su un segmento molto ampio di forza lavoro ed economica del nostro Paese, che null’altro chiede se non di poter lavorare e dare lavoro. Quindi, come si suol dire, l’unione ha fatto la forza, ma mi piace pensare che la svolta positiva su queste problematiche derivi soprattutto dalla giustezza delle proteste, proteste per cambiamenti positivi e mai a sfavore di qualcuno”. La battaglia in favore di chi sceglie il regime dei minimi è emblematica.

Ora però – ha proseguito Alemannonon si deve più aspettare e bisogna mettere mano a una profonda riforma del fondo di gestione separata dell’Inps. Inoltre, come tributaristi dovremo essere molto attenti all’evoluzione della delega fiscale e ai tanti provvedimenti in cantiere“.

La grande concitazione dei giorni scorsi lascia quindi spazio alla soddisfazione, ma, come affermato dal Presidente dell’Int, non si deve mai abbassare la guardia, perché è un periodo di grandi cambiamenti che devono migliorare la vita dei cittadini e non travolgerla. Perciò bisogna essere sempre pronti ad evidenziare le negatività come è giusto evidenziarne gli aspetti positivi, fanno sapere dall’Int.

Nuovo regime dei minimi tra vantaggi e attacchi

Mentre sul web impazza l’attacco social delle associazioni professionali e delle partite Iva contro il governo Renzi e gli errori compiuti nei confronti dei liberi professionisti, l’anno nuovo è iniziato e con esso è stato introdotto il nuovo e disastroso regime dei minimi.

Proprio per protestare contro la revisione del regime dei minimi e gli altri sbagli marchiani del governo, Confassociazioni, Acta e Alta Partecipazione hanno dato il via alla campagna “mettiamo in fattura il malus Renzi”, con l’indicazione in fattura del cosiddetto “malus Renzi”, in contrapposizione al bonus di 80 euro evidenziato nelle buste paga dei lavoratori dipendenti.

Parallelamente, è partita la guerra di hashtag scatenata dal CoLAP con il suo #Matteosegnaaportavuota e sempre da Confassociazioni, Acta e Alta Partecipazione con #annullaAutogol. Senza contare il tweet bombing del 28 gennaio contro l’account Twitter del premier @matteorenzi.

Intanto, sotto il fuoco incrociato del popolo delle partite Iva, il nuovo regime dei minimi ha cominciato a prendere forma e, come risulta dal convegno Telefisco del Sole 24 Ore, tenutosi nei giorni scorsi a Milano, le cifre sono di tutto rispetto. Le ha illustrate il direttore dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, secondo la quale la revisione del regime dei minimi introdotta dal governo “fa entrare 700mila partite Iva che prima non c’erano e avevano regimi molto più pesanti“.

Orlandi ha voluto ampliare l’orizzonte del problema sottolineando che le recenti polemiche sul nuovo regime dei minimi rispondono solo al punto di vista dei professionisti e non tengono conto dei vantaggi per altre partite Iva: “In questo Paese – ha detto – tutti pensano solo ai professionisti e nessuno agli artigiani, ai piccolissimi commercianti, ai fabbri, ai piccoli riparatori”.

Orlandi ha poi ricordato che chi è entrato nel regime dei minimi al 5% entro la fine del 2014, come si sa manterrà le stesse regole e non subirà quindi delle nuove norme. “Vedremo come la norma uscirà dal Parlamento – ha detto – ma quello che colgo è che c’era una serie di soggetti importanti in questo Paese che erano esclusi e che il governo ha fatto entrare“.

Il vantaggio effettivo del regime dei minimi – ha concluso Orlandi – è la semplificazione. I giovani sono in grado di fare la dichiarazione da soli, senza spese, e speriamo tra un paio di anni di poterla fare direttamente noi“. Una posizione chiara e condivisibile, che però non toglie l’amaro in bocca dai professionisti, semmai lo aumenta. Se anche la revisione del nuovo regime dei minimi deve essere un’occasione per la filosofia un tanto al chilo del “mal comune mezzo gaudio”, c’è ben poco da stare sereni.

Si apre la caccia alle false partite Iva

Da una parte il popolo delle partite Iva e le associazioni professionali stanno tartassando il governo perché metta mano al pasticcio fatto nei loro confronti con la recente legge di stabilità. Dall’altra, il governo prova a cominciare a mettere qualche pezza cercando di intervenire nei confronti delle cosiddette false partite Iva, nascoste sotto rapporti di lavoro subordinato e comunque interessate alla battaglia che si sta combattendo intorno al mondo dei professionisti.

Del resto, non poteva passare inosservato ai volponi di governo, Inps e Agenzia delle Entrate il numero esagerato di aperture di nuove partite Iva registrato a novembre 2014, quando le nuove aliquote previdenziali e i limiti di reddito previsti per il regime dei minimi stavano convincendo vere e false partite Iva a mettersi al riparo.

Gli ispettori dei suddetti enti hanno quindi cominciato a verificare i casi di presunzione automatica della subordinazione, ossia quelli in cui le false partite Iva sono in realtà lavoratori assunti. Si calcola infatti che su 5,5 milioni di partite Iva attive, circa 3 milioni siano riconducibili a lavoratori autonomi senza dipendenti. Di questi circa 800mila hanno un unico cliente e il 35-40% di loro (meno di 400mila) è costituito da false partite Iva. 

E se queste false partite Iva vengono accertate, gli ispettori prendono in considerazione tre indicatori per capire se far scattare o meno la presunzione di un rapporto di lavoro subordinato; se due su tre di questi indicatori sono presenti contemporaneamente, ecco che questa presunzione scatta e gli ispettori potranno decidere la trasformazione del rapporto in contratto in collaborazione coordinata e continuativa o contratto a tempo indeterminato.

I tre indicatori sono:
– postazione di lavoro fissa per la partita Iva nella sede del committente;
– durata della collaborazione della partita Iva non superiore agli 8 mesi annui per due anni consecutivi;
– soglia dell’80% dei corrispettivi annui dovuti alla collaborazione nell’arco di due anni consecutivi.

Se tre indizi fanno una prova, in questo caso due indicatori fanno le false partite Iva. Tutto molto bello, ma alle partite Iva vere, quando saranno date delle risposte convincenti per fermare il massacro in atto?

Jobs Act, legge di stabilità, partite Iva… che caos

Jobs Act e legge di stabilità, come era logico prevedere, hanno lasciato più amarezza e gente scontenta che facce sorridenti, un po’ in tutte le categorie professionali. I due decreti attuativi, comunque, costituiscono due atti importanti che non sono sfuggiti all’analisi degli addetti ai lavori.

Nello specifico, i consulenti del lavoro hanno trovato pane per i loro denti, tanto che l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Varese e l’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro – Unione Provinciale (Ancl-up) di Varese hanno dedicato un approfondimento a Jobs Act e legge di stabilità, come testimoniano le parole dei due presidenti, Vera Stigliano per l’Ordine e Ferdinando Butto per Ancl-up Varese.

Con occhio tecnico – sostiene Stigliano -, dico subito che siamo solo all’inizio e che il dettato normativo, ancora una volta ambiguo e lacunoso, non fa che ostacolare la certezza e l’applicazione dei pochi strumenti messi in campo. Confesso che se il fine è ridare impulso all’economia, sostenere le imprese che assumono, ridurre la burocrazia, rendere credibile la giustizia e i suoi tempi, livellare le disparità, da questi due decreti rileviamo che le novità sono un ‘restyling’ degli ammortizzatori sociali e un correttivo al sistema dei licenziamenti e, francamente, questo ‘nonsense’ ci spiazza non poco”.

Dello stesso parere su Jobs Act e legge di stabilità è anche Butto, che precisa: “Ancora una volta un ‘pasticcio all’italiana’, dove chi scrive le norme non è sicuramente chi opera sul campo e soprattutto lo si fa sempre più in maniera poco chiara e con conseguenze che danno adito solo a varie interpretazioni. La legge di stabilità in sintesi consoliderà molti contratti a tempo determinato, creerà nell’immediato e magari per tutto quest’anno nuovi posti di lavoro, ma alla scadenza dei tre anni, se l’economia non dovesse ripartire, i datori di lavoro saranno costretti a licenziare anche chi è stato assunto a tempo indeterminato, generando ulteriore contenzioso. Ovviamente il Governo si è occupato dei lavoratori futuri e non di quelli presenti”.

Un disinteresse per i lavoratori presenti cui Butto guarda con preoccupazione tanto quanto al fenomeno delle cosiddette “false partite Iva”: “Cosa dire dei giovani, troppo onerosi da assumere come lavoratori subordinati e quindi obbligati ad iscriversi e ad aprire partita Iva per entrare nel mondo del lavoro – prosegue infatti -. La legislazione ha concesso fino ad ora la possibilità di iscriversi come Contribuenti Minimi e la Legge di Stabilità ne ha modificato i parametri. I contribuenti minimi, ora ex, diventano i nuovi forfettari che con la nuova normativa saranno ulteriormente penalizzati. Con l’aumento dell’aliquota sostitutiva dal 5% al 15% e dell’aliquota Inps al 30,72%, i ricavi verranno dimezzati passando da 30mila euro a 15mila euro l’anno. La logica conclusione è che con questa tassazione non riusciranno più ad essere competitivi e saranno costretti ad applicare tariffe più alte per sopravvivere, con la conseguente perdita di lavoro e clienti. Bamboccioni o vittime delle tassazioni?”.

Come si vede, l’autogol sul regime dei minimi preoccupa anche i consulenti del lavoro. Per un Jobs Act che pare abbia mantenuto molto meno di quanto avesse promesso.

Vecchio regime dei minimi fino al 30 gennaio 2015

Come sempre accade in Italia, sulle questioni tributarie e fiscali si fanno sempre dei grandi polveroni. Non sfugge a questa regola neppure la telenovela sul nuovo regime dei minimi.

Il passaggio a una tassazione agevolata triplicata al 15% dal vecchio 5% ha spinto il ministro del Lavoro Poletti a gettare acqua sul fuoco, anziché benzina: “Sugli aspetti fiscali del nuovo regime dei minimi – ha detto – sarà il ministero dell’Economia a predisporre opportune modifiche, mentre per gli aspetti previdenziali confermo e mi impegno ad adottare i necessari interventi. Posso anticipare la mia intenzione di incontrare le associazioni e le figure professionali interessate da questo provvedimento nei prossimi giorni per superare i profili critici”.

E, dopo che il premier Renzi ha parlato di “clamoroso autogol”, ecco la possibilità di rientrare nel vecchio regime dei minimi entro il 30 gennaio 2015 a patto che, assicura l’Agenzia delle Entrate, si posseggano i requisiti soggettivi e oggettivi, si chieda di potersi avvalere del regime agevolato previsto dal dl n.98/2011 abrogato dalla Legge di Stabilità 2015 (art.1, comma 85, lettera b, legge n. 190/ 2014) e si dichiari come data di inizio attività il 31 dicembre 2014.

Infatti la legge consente di rientrare nel vecchio regime dei minimi in quanto prevede 30 giorni di tempo per i soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa per darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Si tratta dell’art. 35 del dpr n. 633/1972, che lascia così una scappatoia grazie alla quale evitare il nuovo regime dei minimi per le attività avviate il 31 dicembre 2014. 

Quello che tutto il mondo professionale si aspetta è però una revisione delle aliquote dei professionisti iscritti nella gestione separata che per il 2015 hanno subito l’impennata vergognosa; se non all’aliquota del vecchio regime dei minimi, al massimo a un 10%. Magari già negli emendamenti che saranno presentati al decreto Milleproroghe, in occasione del quale il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti (che già si era battuto per lasciare le vecchie aliquote) ha proposto la proroga del vecchio regime dei minimi anche per il 2015.

 

Quello che è certo è che sul nuovo regime dei minimi si è consumata una delle figure peggiori di un esecutivo che, al netto delle enormi difficoltà nelle quali si è trovato a operare, non ha sempre brillato per lungimiranza nei confronti dei professionisti.

La grande fuga dal nuovo Regime dei Minimi

Se l’effetto che il ministero voleva con il nuovo Regime dei Minimi era quello di un boom di partite Iva a fine 2014 complimenti, risultato raggiunto. Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Partite Iva del ministero delle Finanze, a novembre 2014 le nuove partite Iva aperte sono state 38351, +15,5% rispetto allo stesso mese del 2013.

Un dato motivato soprattutto da quanti hanno aperto partita Iva per sfuggire al penalizzante Regime dei Minimi 2015, aderendo quindi al vecchio: +84%, per un totale di 11917 contribuenti. Entrando nel dettaglio, il 71,7% delle nuove aperture è relativo a persone fisiche, il 21,8% a società di capitali, il 5,7% a società di persone. Del resto, anche il ministero lo esplicita nella sua nota: “Alcuni soggetti abbiano anticipato l’apertura della partita IVA entro la fine del 2014, ritenendo il regime allora in vigore più vantaggioso per la propria attività”, scrive.

La maggior parte delle nuove aperture (24,8%) è relativa al settore del commercio; seguono il settore delle attività professionali (15,9%) e quello dell’alloggio/ristorazione (9%). E, a testimonianza che si tratta soprattutto di professionisti ansiosi di sfuggire al nuovo Regime dei Minimi, il boom di aperture si è registrato tra le attività professionali (+84,5% rispetto a novembre 2013), seguite dalla sanità (+78,4%) e dai servizi d’informazione (staccati a +39%, ma pur sempre un incremento sensibile).

Se questi professionisti sfuggono con tutta evidenza al nuovo Regime dei Minimi, c’è invece chi, dal vecchio, rischia di finirci con entrambi i piedi. La legge di stabilità, che ha dato il via a questa sciagurata riforma, prevede infatti per alcune partite Iva uno scatto automatico da un Regime dei Minimi all’altro in presenza dei nuovi requisiti. Per fortuna loro, però, quanti godevano del regime di vantaggio legato alla condizione di mobilità o alla imprenditoria giovanile manterranno il vecchio Regime dei Minimi fino alla naturale scadenza dei 5 anni o al compimento (per i giovani imprenditori) del 35esimo anno di età. Altrimenti… cornuti e tassati.

Il CoLAP contro la legge di stabilità

Anche il CoLAP si scaglia contro la legge di stabilità nella versione approvata al Senato. Nonostante le promesse e i molteplici appelli, dice il CoLAP, non ha bloccato l’aumento dei contributi alla gestione separata dell’Inps per le partite Iva esclusive; ha dato via agli aumenti decisi dall’allora governo Monti e ha enormemente peggiorato, per i soli professionisti, il regime dei minimi (che, lo ricordiamo, fino al 2014 prevede 30mila euro di soglia e 5% di imposta mista, mentre dal 2015 passerà a 15mila euro di soglia e 15% di imposta mista).

La legge di stabilità – dice Emiliana Alessandrucci, presidente del CoLAPalloca risorse prendendole dalle tasche dei nostri professionisti; siamo ancora i più vessati, i più discriminati, i più tassati. Questo atteggiamento verso le partite Iva avrà effetti negativi sui redditi dei nostri professionisti che sono già sulla soglia della povertà (18mila euro reddito lordo annuo!), incentiverà il sommerso e lo sfruttamento dei giovani e delle donne”.

Chiediamo – incalza Alessandrucciche venga immediatamente aperto un tavolo di proposte e confronto al fine di valorizzare il lavoro autonomo ed eliminare questi ingiustificati comportamenti discriminatori tra chi lavora in forma dipendente e chi si costruisce il lavoro giorno per giorno investendo, affrontando la crisi e spesso creando occupazione”.

Conclusione amara quella del presidente del CoLAP: “Il popolo delle partite Iva aveva creduto che il trend del Governo che ha fatto del nuovo e dell’innovazione una bandiera, avesse segnato un cambio di passo; arriva in ritardo la dichiarazione di Renzi di attenzione al lavoro autonomo, quando avevamo due  occasioni pratiche per supportare questo mondo. E’ difficile comprende perché mentre a parole il governo dichiara di voler puntare su giovani, sulle competenze e sulla qualificazione professionale, alla luce dei fatti finisce per penalizzare proprio uno dei comparti più giovani, innovativi e dinamici del mercato del lavoro italiano. Ci aspettiamo una convocazione a gennaio perché abbiamo intenzione di collaborare seriamente alla ristrutturazione e al potenziamento del nostro comparto, con un approccio propositivo e collaborativo lontano da rivendicazioni e ostruzionismo che mai hanno rappresentato il nostro modo di fare e pensare alla politica”.

Regime dei minimi e “bancomat dello Stato”

Più o meno tutte le associazioni professionali e quelle di lavoratori a partita Iva sono in rivolta per la riforma del regime dei minimi ma, grazie al fatto di non avere né santi in paradiso né sindacalisti al posto giusto, non possono decidere di abbassare la saracinesca e indire un inutile sciopero generale come fanno gli stratutelati lavoratori dipendenti. E allora?

E allora minacciano “proteste non convenzionali“, qualora non ci fossero cambiamenti al Senato nel testo della legge di stabilità, a partire proprio dal nuovo regime dei minimi. Le parole sono di Acta, Confassociazioni e Alta partecipazione, ovvero le principali organizzazioni di categoria di consulenti, autonomi, free lance e professionisti.

Dopo la delusione alla Camera, dove il cosiddetto emendamento Zanetti che avrebbe rivisto in meglio alcuni aspetti è stato bocciato, Acta, Confassociazioni e Alta partecipazione rivendicano “il blocco dell’aumento dell’aliquota contributiva per le partite Iva iscritte alla gestione separata”, per evitare che siano “spinte fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di freelance, professionisti e lavoratori della conoscenza”.

Le associazioni, infatti, sottolineano come il proposito che ha mosso il governo nella riforma del regime dei minimi (ossia ampliare il numero di quanti potrebbero accedervi) rischia di diventare un boomerang: La somma della revisione dei minimi (che per autonomi e professionisti comporta una stretta sui ricavi e un incremento del prelievo fiscale) e della ennesima crescita dell’aliquota previdenziale – scrivono in un appello online renderà ancora più insostenibile la vita di autonomi e professionisti. Nel momento in cui si stanziano risorse per dipendenti (80 euro), imprese (irap), artigiani e commercianti (minimi + Inps), è paradossale che il lavoro autonomo e professionale divenga il bancomat dello Stato, spingendo sotto la soglia della povertà intere generazioni di lavoratori indipendenti”.

Se non altro, un ordine del giorno a firma Misiani, Gribaudo, Bonomo e Anna Ascani ha bloccato per il 2015 l’aumento dell’aliquota contributiva per i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS, che avrebbe toccato il 33,72% nel 2019. Ma il rischio che nei prossimi anni questa aliquota ancora rimane. Perché dopotutto, per far funzionare il “bancomat dello Stato”, da qualche parte i soldi bisogna metterceli, a partire dal regime dei minimi