Spese detraibili senza riduzioni o azzeramento in base al reddito: quali sono?

Oltre alle spese detraibili ai fini della dichiarazione dei redditi che dipendono dal reddito complessivo del contribuente, vi sono le spese detraibili che non risentono del livello di reddito. In questo caso, dunque, non sussistono azzeramenti o riduzioni in base a quanto si guadagna. Ecco, pertanto, l’elenco completo di tutte le spese detraibili nella dichiarazione dei redditi senza limiti di reddito.

Spese mediche, sanitarie e prestazioni: tutte le detrazione in dichiarazione dei redditi senza limiti di reddito

Sulle spese sanitarie ai fini delle detrazioni fiscali della dichiarazione dei redditi è prevista la percentuale del 19%. Dal 2020 la normativa fiscale richiede il pagamento tracciabile, a eccezione dei casi sotto descritti. Ovvero, per i medicinali e per i dispositivi, la detrazione spettante è del 19% e sono detraibili anche le spese per il noleggio dei dispositivi. Non serve il pagamento tracciabile. Per le prestazioni sanitarie sostenute nelle strutture pubbliche o private convenzionate con il Sistema sanitario nazionale (Ssn), la detrazione del 19% spetta anche se i costi sono pagati in contanti. Il pagamento può avvenire anche con contante per le prestazioni sanitarie al 100% a carico del privato.

Spese sanitarie per le persone con disabilità: quale detrazione è prevista?

Per le spese sanitarie a favore di persone con disabilità, la detrazione fiscale è del 19%. Si tratta di costi sostenuti per i mezzi necessari ad accompagnare, a deambulare, per la locomozione e per il sollevamento a favore dell’autosufficienza e dell’integrazione della persona. Sono incluse le spese sostenute per i sussidi informatici e tecnici. La detrazione viene applicata sull’intero importo, senza la franchigia. Per queste spese è richiesto il pagamento tracciabile e la documentazione, mediante verbale o autocertificazione, della condizione di disabilità.

Detrazioni del 19% per le spese sanitarie per i familiari non a carico con patologie esenti

Sulla detrazione del 19% per le spese sanitarie a favore di familiari non a carico affetti da patologie esenti, non è prevista la franchigia. Il limite di detrazione annuo è pari a 6.197,48 euro. Sulle spese per comprare cani guida, la detrazione è del 19% ma può essere applicata:

  • per un solo animale e una volta ogni 4 anni, salvo che non si perda il cane;
  • la rateizzazione in quattro anni.

Quanto può essere detratto per le spese sostenute per i veicoli a favore di persone con disabilità?

Qual è la detrazione spettante per chi compra un veicolo a favore delle persone con disabilità? La percentuale è pari al 19%. Si tratta di motoveicoli e di autoveicoli, anche prodotti in serie, allestiti ad hoc per le limitazioni motorie della persona disabile. La detrazione, tuttavia, si può applicare anche agli acquisti di autoveicoli non adattati, per trasportare persone non vedenti, sorde, con handicap mentale e fisico. La persona deve fruire dell’indennità di accompagnamento. Sono compresi tra i beneficiari anche le persone affette da pluriamputazioni o con grave possibilità di deambulare. Il tetto di spesa annuo è fissato  in 18.075,99 euro. La detrazione spetta per un unico veicolo (moto o auto) che deve essere usato esclusivamente o prevalentemente dal disabile. Si può beneficiare della detrazione una sola volta ogni 4 anni, a meno che il veicolo non sia stato cancellato dal Pubblico registro automobilistico (Pra).

Detrazioni spettati per le spese mediche e assistenziali specifiche per le persone affette da disabilità

Una particolare tipologia di detrazione fiscale spetta per le spese mediche e assistenziali specifiche per le persone affette da disabilità. Si tratta di assistenze infermieristiche e riabilitative e di altra assistenza operate da figure professionali qualificate. La deducibilità opera anche in assenza di una specifica prescrizione medica purché nel documento di spesa risulti il profilo professionale e la prestazione effettuata. Se la persona viene ricoverata in un istituto di assistenza, la deduzione non avviene sull’intera retta, ma sulla parte inerente le spese mediche e paramediche di assistenza riconducibili ai casi sopra esposti. Risultano deducibili, inoltre, le spese sostenute per comprare i medicinali. Le detrazioni spettano anche qualora le spese sono effettuate a favore di familiari non a carico.

Interessi sui mutui per abitazioni principali o altri immobili: quali sono le detrazioni fiscali spettanti?

Sono varie le detrazioni fiscali spettanti sugli interessi dei mutui ipotecari. Il beneficio fiscale del 19% per gli interessi sui mutui ipotecari per l’abitazione principale ha un limite massimo di 4 mila euro; l’immobile deve essere adibito ad abitazione principale (entro il limite di un anno dalla data di stipula); Non è prevista alcuna detrazione sulle:

  • aperture di credito, anche ipotecarie;
  • cessioni degli stipendi;
  • altri finanziamenti differenti dai mutui.

Per i mutui di importo eccedenti il costo dell’acquisto dell’immobili, gli interessi devono essere detratti in proporzione al costo stesso. Risultano detraibili anche gli oneri accessori a favore di istruttorie, perizie e notaio.

Detrazione del 19% sugli interessi sui mutui ipotecari per altri immobili: tutte le condizioni

Per gli interessi sui mutui ipotecari stipulati per immobili differenti dall’abitazione principale, il 19% ha un massimale di 2.065,83 euro per i mutui stipulati prima del 1993. Per quelli stipulati nel 1991 e 1992, invece, la detrazione spetta solo a chi ha comprato immobili da adibire ad abitazione differente da quella principale. Nel frattempo, tale condizione non deve risultare variata.

Varie detrazioni fiscali sugli interessi sui mutui: ecco l’elenco

Per i mutui contratti nel 1997 per il recupero edilizio, il 19% di detrazione fiscale si applica per un massimale di 2.582,28 euro; sugli interessi applicati ai mutui ipotecari per costruire l’abitazione principale, la detrazione fiscale è la stessa per i prestiti stipulati a decorrere dal 1998; per gli interessi sui prestiti agrari, la detrazione fiscale del 19% si applica su un importo che non deve eccedere i redditi dei terreni dichiarati.

Contributi e assegni, quali sono le detrazioni fiscali spettanti?

Sui contributi assistenziali e previdenziali si applica la detrazione fiscale anche se le spese sono sostenute a favore di familiari a carico. Nel beneficio fiscale sono compresi:

  • l’assicurazione delle casalinghe;
  • i versamenti volontari per i riscatti e per ricongiungere i periodi.

Sui contributi versati a chi svolge servizi domestici, familiari e di assistenza personale, il massimale è di 1.549,37 euro all’anno. I contributi sono esclusi se vengono rimborsati dal datore di lavoro.

Assegno periodico al coniuge: quale detrazione fiscale spetta?

Rientra tra le detrazioni fiscali anche l’assegno periodico a favore del coniuge. Tale assegno è dovuto in base al provvedimento del giudice in conseguenza della separazione o dello scioglimento, della cessazione degli effetti civili del matrimonio o dell’annullamento. L’assegno comprende anche il contributo casa deciso dal giudice. Sono esclusi gli assegni di mantenimento a favore dei figli. La detrazione fiscale spetta anche sugli assegni periodici per rendite e vitalizi corrisposti sulla base del testamento o della donazione modale; infine, il beneficio fiscale spetta anche per gli assegni alimentari ai familiari decisi da un’autorità giudiziaria.

Contributi ai fondi del Ssn, alle casse di assistenza sanitaria e alle forme previdenziali complementari: quali detrazioni spettano?

Le detrazioni fiscali spettano anche sui contributi versati ai fondi integrativi del Ssn (Servizio sanitario nazionale) entro il tetto di 3.615,20 euro. Entro il massimale rientrano anche le spese per i contributi alle casse sanitarie e quelli del punto 441 della Certificazione Unica del 2022. Per i contributi versati in via diretta dai lavoratori in pensione alle casse di assistenza sanitaria a fini di assistenza, il massimale è lo stesso. La detrazione spetta anche se i contributi sono versati a favore di familiari non a carico. Sui contributi versati a forme previdenziali complementari (pensione integrativa e fondi pensione), il limite per la detrazione è pari a 5.164,57 euro. Altri oneri deducibili sono presenti, per il 2022, alle pagine da 62 a 66 delle istruzioni al modello 730.

Altri canoni e spese sui quali si può effettuare la detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi

Ulteriori spese sulle quali si può effettuare la detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi riguardano i canoni, i censi, i livelli e gli altri oneri sui redditi degli immobili, a esclusione dei contributi agricoli unificati. Non spetta la detrazione se l’immobile è stato locato con la cedolare secca. Risultano deducibili pure i contributi obbligatori sugli immobili non affittati, e dunque non tassati per l’imposta Irpef ma sottoposti all’Imu, purché l’onere non sia stato già incluso nella rendita catastale. Infine, sulle somme tassate che, negli anni precedenti, non avrebbero dovuto formare i redditi da lavoro dipendente o assimilati, la dedubilità è fruibile se al beneficiario non siano state già restituite le somme al netto della ritenuta.

Spese detraibili in base al reddito: quali sono e come procedere col bonus fiscale

Quali sono le spese detraibili nella dichiarazione dei redditi con variazione in base al reddito? Si tratta di tutta una serie di spese sostenute nel periodo di imposta la cui detrazione è ammissibile entro specifici limiti di reddito complessivo. Al di sopra della soglia di reddito, si perde la detraibilità.

Quali sono i limiti di reddito per la detraibilità delle spese?

Se non è indicato diversamente, il limite di reddito complessivo è pari a 240 mila euro. Al superamento di questo tetto, la spesa non si può detrarre. Se il reddito complessivo è di importo tra i 120 mila e i 240 mila euro, la detrazione decresce all’aumentare del reddito stesso.

Spese universitarie e spese differenti da quelle universitaria: come funziona la detrazione delle spese?

Per quanto concerne le spese universitarie, la detrazione fiscale è nella misura del 19%. Sulle spese sostenute per le università non statali oppure estere, il limite della detrazione è stabilito ogni anno dal decreto ministeriale. Per le spese di istruzioni differenti da quelle universitarie, la detrazione fiscale è fissata al 19%. Si tratta di spese sostenute per le scuole dell’infanzia, del primo ciclo di istruzione e per la scuola secondaria di secondo grado. Per la detrazione è necessario fare riferimento all’articolo 1 della legge numero 62 del 2000. L’importo massimo della detrazione è fissato in 800 euro per ciascuno studente. Si possono detrarre le spese dei familiari a carico e del contribuente.

Spese per l’assistenza personale e spese funebri: ecco la detrazione fiscale

Le spese per l’assistenza personale sono detraibili all’aliquota del 219%, nel massimale di 2.100 euro. La detrazione spetta solo se accompagnata dalla certificazione medita della condizione di non autosufficienza. Il limite del reddito per la detrazione fiscale è fissato a 40 mila euro, compresi i redditi derivanti dalla cedolare secca. Per le spese funebri, invece, il massimale è di 1.550 euro (con detrazione fiscale del 19%). In particolare, la detrazione può essere goduta anche se la persona deceduta non era legata da rapporti di parentela.

Le attività sportive dei figli sono detraibili nella dichiarazione dei redditi?

Anche le attività sportive dei figli sono detraibili nella dichiarazione dei redditi per il 19%. Il beneficio fiscale spetta, infatti, per i figli di età non inferiore ai 5 anni e non superiore ai 18 anni. In particolare, sono detraibili le spese sostenute per le associazioni sportive, le piscine, le palestre e tutti gli impianti e le strutture per svolgere sport a livello dilettantistico. Sono detraibili anche le erogazioni a favore delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche al 19% e fino a 1.500 euro.

Canoni di locazione per gli studenti fuori sede e intermediazione immobiliare: come funziona la detrazione fiscale?

I canoni di locazione per i figli studenti fuori sede sono detraibili al 19%, purché la locazione avvenga in un comune di almeno 100 chilometri distante da quello di residenza. Oppure, in un’altra provincia o in uno Stato differente d’Europa. Il massimale spettante per la detrazione è pari a 2.633 euro. Per l’intermediazione immobiliare, la detrazione è del 19% su abitazioni adibite come prima casa. Il massimale della detrazione è pari a mille euro.

Detrazione sulle spese di beni soggetti a regime vincolistico ed erogazioni liberali varie

La detrazione sui beni soggetti a regime vincolistico del 19% opera a favore dei soggetti obbligati dal decreto legislativo numero 42 del 2004 e dal decreto del Presidente della Repubblica 1409/63. Nel caso in cui suddette spese non siano obbligatorie per via della normativa, devono essere autocertificate al ministero della Cultura (Mibac).

Erogazioni liberali varie: come vanno detratte le relative spese?

Sulle erogazioni liberali a favore di attività artistiche e culturali si può beneficiare della detrazione del 19% solo per le spese che non rientrano nell’art bonus. Sono comprese le erogazioni liberali in natura sulla base di convenzioni. Tutte le spese devono essere autocertificate al ministero della Cultura (Mibac). Per le erogazioni liberali a vantaggio di enti che operano nello spettacolo (detrazione fiscale del 19%), il limite che non deve essere superato è quello del 2% del reddito complessivo.

Erogazioni liberali per le scuole, titoli di Stato e Onlus: le detrazioni

Per le erogazioni liberali a vantaggio di istituti scolastici, senza distinzioni di ordini e gradi, per finalità di innovazione tecnologica, edilizia scolastica ed universitarie, incremento dell’offerta formativa, la detrazione è del 19%. Si prevede il pagamento unicamente con versamento bancario oppure postale o tracciabile con carta di debito, carta di credito, carta prepagata e assegni circolari o bancari. Infine, per le erogazioni liberali al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, il 19% deve risultare da una donazione o da una disposizione testamentaria. Sulle erogazioni liberali a vantaggio delle Onlus, la detrazione è del 26% su un massimale di 30 mila euro all’anno. Le Onlus devono essere impegnate in iniziative umanitarie e gestite da associazioni, da fondazioni, da comitati e dagli enti individuati dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri nei Paesi che non siano nell’area Ocse.

Spese sostenute per i soggetti sordi e veterinarie: quali detrazioni fiscali?

In entrambi i casi la detrazione fiscale è del 19%. In particolare, la detrazione si applica alle spese sostenute nell’anno di imposta per i servizi di interpretariato dei soggetti riconosciuti quali sordi. La legge 381 del 1970 disciplina la detrazione fiscale a favore dei portatori di minoranze. Le spese veterinarie hanno un massimale di 500 euro, mentre sulla parte eccedente il massimale è di 129,11 euro. La facoltà di avvalersi o meno del pagamento tracciabile vige solo per i medicinali veterinari. Diversamente, le spese di mantenimento dei cani guida danno diritto a una detrazione fiscale a forfait. Ovvero di 1.000 euro, indipendentemente dai documenti di spesa. Tale importo dal 2020 dipende dal reddito.

Premi assicurativi: quali spese si possono detrarre?

Tutti i premi assicurativi sono detraibili nella misura del 19%. Sui premi delle assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni, il massimale annuo è pari a 530 euro; per i premi assicurativi a tutela delle persone con disabilità grave, è necessario osservare che se il contratto è stato stipulato oppure rinnovato a decorrere dal 2001 solo per il rischio di invalidità permanente (più del 5%) o di morte il limite di detrazione fiscale è fissato in 750 euro. Per i premi assicurativi inerenti il rischio di non autosufficienza, il contratto deve escludere la possibilità di recesso della compagnia assicuratrice. Il limite è fissato in 1.291,14 euro.

Premi assicurativi per eventi calamitosi anche rientranti nel superbonus: quali detrazioni fiscali sono previste?

Sui premi assicurativi per eventi di calamità naturale, la detrazione fiscale del 19% è valida per gli immobili abitativi su polizze a decorrere dal 2018. Inoltre, per i premi sul rischio di eventi calamitosi rientranti nel superbonus, è previsto il 90% di detrazione fiscale. Se la polizza è stipulata contestualmente alla cessione del credito di imposta e l’intervento rientra nel super sisma bonus, la detrazione fiscale è del 110%.

Detraibilità spese abbonamenti trasporti, figli con Dsa e iscrizioni per studiare musica

Sugli abbonamenti ai servizi dei trasporti pubblici locali, regionali o interregionali, la detrazione è del 19% fino al massimo di 250 euro. Sulle spese per familiari con Dsa (sia minorenni che maggiorenni), il 19% si può detrarre fino al completamento della scuola secondaria di II grado per gli strumenti compensativi e i sussidi tecnici e informatici. L’iscrizione dei figli agli studi e alla pratica della musica dà diritto alla detrazione fiscale del 19%. L’età deve essere compresa tra i 5 e i 18 anni. L’iscrizione deve avvenire in conservatori, scuole Afam, bande, cori e istituti di musica riconosciuti. Il massimale è di mille euro fino a un reddito annuo di 36 mila euro. Oltre questa soglia si perde la detrazione.

Spese di canoni di leasing di abitazioni principali e contributi associativi alle società di mutuo soccorso e riscatto laurea: ecco la detrazione fiscale spettante

Sulle spese sostenute per i canoni di leasing di abitazioni da adibire a principale, la detrazione fiscale del 19% si applica ai contratti stipulati tra il 2016 e il 2020. Il reddito non deve eccedere i 55 mila euro. Sui contributi associativi alle società di mutuo soccorso si applica la detrazione del 19% per un massimale di 1.300 euro. Si possono detrarre al 19% anche le spese sostenute per riscattare la laurea di familiari a carico. Nel caso in cui tali spese siano state sostenute per sé, si può procedere alla deducibilità dal reddito.

Erogazioni liberali in natura o in denaro per Covid dell’anno 2020, detrazione del 30%

Infine, le erogazioni liberali in natura oppure in denaro effettuate per contrastare la Covid nel 2020 danno diritto alla detrazione fiscale del 30%. Si tratta di erogazioni fatte a favore:

  • dello Stato;
  • delle regioni;
  • degli enti locali, degli enti (anche religiosi, civilmente riconosciuti) o delle istituzioni pubbliche;
  • delle fondazioni, e delle associazioni no profit.

Contributi volontari: quanto si paga, ritardi e deducibilità

Quanto si paga per i contributi versati volontariamente ai fini della pensione? E i contributi versati periodicamente possono essere deducibili? Sono queste alcune delle domande che si pongono i contribuenti nel momento in cui vogliano produrre richiesta di autorizzazione al versamento volontario dei contributi. Sicuramente il costo dei contributi da versare rappresenta uno degli aspetti sui quali si riflette maggiormente. Leggiamo quanto costa versare i contributi in maniera volontaria.

Quanto costa versare i contributi volontariamente ai fini della pensione?

Il costo da sostenere per versare i contributi volontari ai fini della pensione si calcola sulla retribuzione media percepita nell’ultimo anno nel quale si è lavorato. Per i lavoratori dipendenti (non appartenenti al settore agricolo), l’importo da pagare si determina applicando l’aliquota contributiva prevista per ciascun anno, alla retribuzione media percepita nelle 52 settimane antecedenti il giorno di presentazione dell’istanza. Non si paga più, come in passato, in base alle classi di contribuzione determinate dal decreto legislativo numero 184 del 1997.

Versamento dei contributi volontari, come si determina la retribuzione minima settimanale?

La determinazione della retribuzione minima settimanale ai fini del versamento dei contributi volontari si determina secondo quanto prevede il comma 1, dell’articolo 7, della legge numero 638 del 1983. Il calcolo, pertanto, consiste nell’applicazione del 40% sull’importo del trattamento minimo stabilito per il 1° gennaio di ciascun anno. In base all’indice Istat per il calcolo della retribuzione minima settimanale utile al calcolo dei contributi volontari, l’importo del 2022 è corrispondente a 210,15 euro. Tale importo è ottenuto applicando il 40% alla pensione minima che per il 2022 è pari a 525,38 euro.

Contributi volontari di lavoratori dipendenti, quanto si paga?

Per i lavoratori dipendenti, il calcolo di quanto si versa una volta ottenuta l’autorizzazione per i contributi volontari tiene conto dell’aliquota contributiva del 33%. Pertanto, se un contribuente ha percepito 20 mila euro nei 12 mesi di retribuzione precedenti alla presentazione della domanda, l’importo da pagare per i contributi volontari è pari a 6.600 euro all’anno. I contributi, dunque, si calcolano applicando il 33% a 20 mila euro. Il che corrisponde a un importo di 1.650 euro a trimestre e di 126,92 a settimana.

Contributi volontari, non si possono fare ritardi nel pagamento per non perdere il beneficio

Ai fini del pagamento dei contributi volontari, i soggetti non possono pagare nemmeno con un giorno di ritardo, pena la perdita dell’accredito del trimestre corrispondente che rimane pertanto scoperto. Il pagamento effettuato anche con un solo giorno di ritardo rispetto a quando previsto provoca il mancato riconoscimento del periodo di accredito con conseguente restituzione di quanto versato. In tal caso, il contribuente può chiedere che il pagamento in ritardo di un trimestre sia valido per il trimestre susseguente.

Contributi volontari, quali sono le scadenze per pagare?

Dunque, se il contribuente paga in ritardo i contributi scadenti il 30 giugno e relativi ai mesi di gennaio, febbraio e marzo, in alternativa può chiedere che quanto pagato sia utile per il trimestre successivo, ovvero per i mesi di aprile, maggio e giugno da pagare entro il 30 settembre. Il primo trimestre, in ogni modo, rimane vacante da contributi volontari. In linea generale, i versamenti dei contributi volontari devono essere effettuati entro le scadenze del:

  • 30 giugno per i mesi di gennaio, febbraio e marzo (1° trimestre dell’anno);
  • 30 settembre per i mesi di aprile, maggio e giugno (2° trimestre dell’anno);
  • 31 dicembre per i mesi di luglio, agosto e settembre (3° trimestre dell’anno);
  • 31 marzo per i mesi di ottobre, novembre e dicembre dell’anno prima (4° trimestre dell’anno).

Deduzione o detrazione dei contributi volontari ai fini della pensione?

Il versamento dei contributi volontari produce una deduzione e non a una detrazione. Ovvero, un abbattimento del reddito complessivo. Pertanto, la deduzione permette di non pagare l’Irpef sulle spese relative. Nel caso della detrazione, invece, si ha diritto a uno sconto sull’Irpef da versare in base alla percentuale dello sconto stesso. I contributi versati volontariamente sono peraltro deducibili anche se versati a favore dei famigliari fiscalmente a carico (ad esempio, il coniuge).

Spese mediche pagate dall’assicurazione: sono detraibili?

Sono detraibili le spese mediche pagate dall’assicurazione? A questo dubbio ha risposto recentemente la Giustizia Tributaria della Regione Piemonte con la sentenza numero 640/3 del 2021. In particolare, i giudici hanno deciso che le spese mediche che vengono sostenute direttamente dall’assicurazione sono indetraibili per il contribuente. La motivazione risiede nel fatto che, non essendo sostenute dal contribuente, non sono a suo carico, pur avendo versato premi assicurativi non detraibili e nemmeno deducibili.

Spese sanitarie detraibili del 19%: quali sono?

Le spese sanitarie detraibili sono quelle per le quali si applica il bonus del 19%. Si tratta della detrazione spettante per tutta una serie di spese mediche, tra le quali si ricordano:

  • le spese sanitarie generiche, comprensive di quelle per comprare i farmaci, specialità di medicinali e medicinali omeopatici;
  • le prestazioni mediche specialistiche;
  • le spese per l’assistenza specifica e per l’analisi;
  • i ricoveri;
  • le indagini radioscopiche;
  • le terapie;
  • le prestazioni chirurgiche.
  • Il caso sottoposto alla Giustizia Tributaria di rimborso Irpef

Domanda di rimborso Irpef per le spese sanitarie: quando può avvenire?

I giudici si sono espressi in merito al caso di un contribuente che aveva presentato domanda di rimborso dell’Irpef, non avvenuto in quanto la dichiarazione dei redditi mancava di alcune spese mediche pagate direttamente dall’assicurazione. Nella dichiarazione dei redditi, pertanto, non erano inserite queste spese che erano inerenti a cure prestate per un figlio fiscalmente a carico. Il richiedente richiedeva quindi l’applicazione della detrazione del 19% per le spese mediche e il rimborso dell’Irpef.

Per la Giustizia Tributaria le spese pagate dall’assicurazione non sono oggetto di detrazione fiscale

Le spese cui fa riferimento il richiedente dovrebbero rientrare, secondo la sua versione, in quelle relative al contribuente secondo quanto prevede l’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986. Tuttavia, il Ctr del Piemonte ha respinto la richiesta individuando nell’articolo 15 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) tutti gli oneri deducibili o detraibili. In base all’elenco, le spese mediche devono essere sostenute dal contribuente per se stesso o per i soggetti fiscalmente a suo carico nell’anno di riferimento della dichiarazione dei redditi.

Detrazioni fiscali ammesse se le spese sanitarie sono anticipate dal richiedente e poi rimborsate dall’assicurazione

Caso diverso è quello in base al quale le spese sanitarie siano state anticipate dal richiedente e poi rimborsate dall’assicurazione. In questa situazione, le spese sanitarie si considerano a carico del contribuente se successivamente rimborsate dalla compagnia assicuratrice. La condizione da rispettare è che sui premi pagati non vengano applicati altri benefici fiscali. Tuttavia, non è questo il caso riguardante il soggetto richiedente che aveva ottenuto il pagamento diretto delle spese sanitarie da parte della compagnia di assicurazioni.

Come verificare se una spesa medica è deducibile fiscalmente?

Gli articoli inerenti la questione presi in esame dai magistrati della Giustizia Tributaria riguardano, in definitiva:

  • l’articolo 10 del Testo unico sulle imposte dirette (Tuir) per quanto attiene agli oneri deducibili;
  • l’articolo 15 del Tuir per le detrazioni per oneri.

Per ulteriori chiarimenti in merito alla detraibilità delle spese sanitarie è possibile verificare anche la circolare numero 7/E del 2021 dell’Agenzia delle entrate.

Donazioni in natura: qual è la disciplina per i costi deducibili, l’Iva e i vantaggi fiscali?

Le donazioni in natura rappresentano sempre più un fenomeno sentito dalle imprese. Si tratta di erogazioni in natura che vanno a favore degli enti non profit. Tuttavia, è interessante seguire la normativa per quanto riguarda i costi deducibili, l’applicazione dell’Iva e la tassazione sui redditi. Inoltre, le donazioni in natura si possono elargire solo su un paniere di beni ben definito dalla normativa e verso enti identificati.

Beni dati in donazione: a chi bisogna fare la comunicazione della cessione?

La disciplina di riferimento è la legge numero 166 del 2016 (legge “Antisprechi”). All’articolo 16, contente disposizioni in materia di cessione gratuita di derrate alimentari, di prodotti farmaceutici e di altri prodotti a fini di solidarietà sociale, si legge che “le cessioni previste dall’articolo 10, 1° comma, numero 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, numero 633, sono provate con modalità telematiche da parte del cedente agli uffici dell’amministrazione finanziaria o ai comandi del Corpo della guardia di finanza competenti, con l’indicazione della data, dell’ora e del luogo di inizio del trasporto, della destinazione finale dei beni nonché dell’ammontare complessivo, calcolato sulla base dell’ultimo prezzo di vendita, dei beni gratuitamente ceduti, ivi incluse le derrate alimentari“.

Donazioni in natura, quando non deve essere fatta la comunicazione?

Lo stesso articolo disciplina anche i casi in cui la comunicazione all’amministrazione finanziaria o alla Guardia di finanza non deve essere fatta nel caso di cessioni in natura di beni. Infatti, precisa il comma 1, “la comunicazione deve pervenire ai suddetti uffici o comandi entro la fine del mese cui si riferiscono le cessioni gratuite in essa indicate e può non essere inviata qualora il valore dei beni stessi non sia superiore a 15.000 euro per ogni singola cessione effettuata nel corso del mese cui si riferisce la comunicazione. Per le cessioni di beni alimentari facilmente deperibili si è esonerati dall’obbligo di comunicazione”.

Cessioni in natura, come deve essere applicata l’Iva?

La stessa legge 166 permette alle imprese che offrano cessioni in natura di beni di non scontare l’Iva. In tal caso, la donazione è esente per i beni merce che sono donati a enti pubblici, alle associazioni riconosciute, alle fondazioni con finalità assistenziali.  Rimane valida, tuttavia, la detrazione dell’imposta per le operazioni di acquisto dei beni successivamente dati in donazione. Dal punto di vista della tassazione diretta, la cessione gratuita di beni non genera alcun ricavo tassabile. In tal caso, infatti, i beni non si considerano destinati a obiettivi estranei all’esercizio dell’impresa. È tuttavia consentito di beneficiare della deducibilità per intero del costo di acquisto dei beni.

Deducibilità per i beni ceduti gratuitamente

L’articolo 83 del Codice del Terzo settore disciplina la possibilità della deducibilità, fino al 10%, del reddito complessivo in presenza di beni ceduti gratuitamente. Ma occorre distinguere se i beni ceduti sono strumentali oppure merci. Nel caso dei beni strumentali, la deducibilità è applicabile sul costo residuo del bene che non sia stato già ammortizzato. Per le merci, invece, la deducibilità opera prendendo a riferimento il minor valore tra il valore normale e quello che si attribuisce alle rimanenze.

Donazioni in natura, verso quali enti si possono cedere gratuitamente i beni?

Un occhio di riguardo deve essere posto per gli enti verso i quali si possono fare donazioni in natura. Infatti, la legge prescrive che i beneficiari delle donazioni possono essere sia gli enti pubblici che non profit. Sono inclusi tra i destinatari delle donazioni anche tutti gli enti del Terzo settore (Ets) purché siano iscritti al Registro unico. Sono altresì inclusi tra i beneficiari le cooperative sociali e le imprese sociali che sono costituite nella forma societaria.

Cessione gratuita dei beni, quali sono quelli che si possono donare?

Riguardo ai beni che possono essere donati in natura è importante porre particolare attenzione al paniere individuato dalla legge. Rientrano tra i beni:

  • generi alimentari;
  • medicinali;
  • prodotti per la cura e l’igiene della casa e della persona;
  • prodotti di cartoleria e di cancelleria;
  • integratori alimentari;
  • prodotti tessili;
  • prodotti di abbigliamento;
  • i mobili e i complementi di arredo;
  • i giocattoli;
  • i materiali per l’edilizia;
  • gli elettrodomestici a uso civile e industriale;
  • i computer, i televisori, i tablet, gli e-reader e gli altri apparecchi elettronici.

Donazione dei beni alimentari, a cosa prestare attenzione

Particolare specificità riguarda la donazione di beni alimentari per la disciplina alla quale sono sottoposti. Infatti, la cessione gratuita di alimenti può riguardare i beni invenduti per i seguenti motivi:

  • i beni ritirati dalla vendita per una decisione dell’azienda;
  • le rimanenze delle attività promozionali;
  • per l’alterazione dell’imballaggio esterno anche se l’alimento si presenta integro;
  • la vicinanza alla data di scadenza;
  • il superamento del termine minimo di conservazione, riguardante in particolare pasta e biscotti.

In tutti gli altri casi, sono le aziende a decidere se cedere gratuitamente i beni che reputano non più idonei alla commercializzazione. O, comunque, procedere alla donazione dei beni che non si ha più intenzione di immettere nel mercato.

Pensione integrativa, a chi conviene aderire alla previdenza complementare e quando

A chi conviene aderire alla previdenza integrativa dei fondi pensione e in quale momento? Sono questi due tra i maggiori quesiti che si pongono i lavoratori nel momento in cui devono decidere se affidarsi a una futura pensione “di scorta” e a partire da quale età.

Perché si ricorre alla pensione integrativa?

Il ricorso alla pensione integrativa è dettato innanzitutto dalla motivazione di mantenere nel tempo una mensilità adeguata alle proprie esigenze e al tenore di vita condotto. Infatti, quando un contribuente va in pensione da lavoro, l’assegno mensile potrebbe non soddisfare le proprie necessità. Da qui l’esigenza di integrare la propria pensione futura con un assegno maturato sulla base dell’adesione volontaria ai fondi pensione.

Con l’aumento della speranza di vita le pensioni sono spalmate su più anni

La tendenza del ricorso alla previdenza complementare è tanto più ampia quanto maggiori sono i dubbi sulle pensioni da lavoro. Le pensioni pubbliche, infatti, continuano a subire nel tempo aumenti dei requisiti di uscita e diminuzione della rata mensile. A partire dagli anni ’90 il progressivo aumento della speranza di vita, e dunque l’incremento della vita media a partire dai 65 anni di età, ha avuto come conseguenza  l’allungamento del periodo in cui si beneficia della pensione, oltre a un maggior numero di anni di contributi da versare durante la vita lavorativa.

Previdenza integrativa: adesione perché le pensioni sono sempre più basse

Inoltre, proprio l’allungamento della vita da pensionato unito al forte rallentamento della crescita economica (con conseguente riduzione del peso dei contributi versati durante la vita lavorativa), ha imposto dei cambiamenti ai meccanismi previdenziali italiani. Il risultato ottenuto è quello che, progressivamente, si esce a un’età sempre più alta con un mensile di pensione sempre più basso a causa di coefficienti di trasformazione tendenzialmente al ribasso.

Contribuenti e futuro tenore di vita: l’integrazione dei fondi pensione

Con il superamento del sistema previdenziale retributivo, inoltre, le rivalutazioni delle future pensioni non saranno più legate, in alcun modo, all’aumento delle retribuzioni. In questo scenario di progressivo aumento della speranza di vita e di riduzione dell’assegno di pensione, il contribuente preoccupato del proprio tenore di vita futuro rappresenta il profilo più sensibile alle possibilità offerte dalla previdenza complementare.

Come sapere di quanto sarà l’importo mensile della pensione?

Il primo passaggio da compiere è conoscere quale sarà l’importo della propria pensione nel momento di uscita dal mondo del lavoro. L’Inps, ma anche altri siti specializzati in pensioni, ha creato una piattaforma (la Busta arancione) all’interno del proprio portale istituzionale per avere una stima di quello che sarà il futuro assegno previdenziale. Oltre all’importo prospettato per la pensione, dalla simulazione si può ricavare anche il tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria.

Il tasso di sostituzione per capire se è necessario ricorrere alle pensioni integrative

Il tasso di sostituzione esprime il rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo stipendio (o il reddito per i lavoratori autonomi). Pertanto, è l’indicatore che maggiormente descrive quale sarà la futura pensione rispetto allo stipendio in termini percentuali. Ad esempio, a fronte di uno stipendio attuale di 1200 euro e con un tasso di sostituzione pari al 70%, la futura pensione sarà di 840 euro.

Quanti dei contributi versati torneranno indietro sotto forma di pensione?

La simulazione Inps che consente di avere una stima della futura pensione (da ripete periodicamente per i cambiamenti che intervengono nella vita lavorativa) potrebbe rappresentare un primo indizio per il ricorso alla previdenza complementare. Quanto ritorna indietro dei contributi che si sono versati durante la vita lavorativa? Chi dalla simulazione ottiene un  risultato non soddisfacente, può giocarsi la carta della previdenza complementare. L’obiettivo è quello di avere un’alternativa previdenziale per poter beneficiare, in futuro, di una rendita che vada a integrare la pensione pubblica.

Fondo pensione: in che modo aderire?

Non è necessario che la rata mensile dei contributi versati a un fondo pensione sia elevata. Invece, è consigliabile spalmare la contribuzione complementare su un numero più ampio possibile di anni. Anche un importo non elevato può rappresentare, per un numero elevato di anni, una formula di previdenza e di risparmio soddisfacente. Inoltre, se si sceglie di aderire a un fondo pensione in giovane età è possibile aderire a fondi più rischiosi, ma con un rendimento più elevato. Diversamente, più si è vicini all’uscita per la pensione e maggiormente si vira verso fondi più sicuri e con rendimenti meno elevati.

Quali sono i vantaggi dell’adesione al fondo pensione in età giovanile?

Un aspetto del “quando aderire” è rappresentato dai vantaggi riservati ai più giovani. Infatti, meno elevata è l’età di partecipazione al fondo pensione e maggiori sono i benefici della previdenza complementare. Sono almeno quattro i vantaggi che possono riscontrarsi in un’adesione di lunga data:

  • la rivalutazione assicurata dai fondi con i connessi vantaggi della deducibilità fiscale;
  • La deducibilità fiscale per i versamenti previsti periodicamente per la partecipazione al fondo;
  • la possibilità di accedere a quanto già versato nel caso in cui si dovessero presentare situazioni di difficoltà;
  • il reintegro del capitale nei periodi più favorevoli.

Quanto si può avere in più di pensione con la previdenza complementare?

Con la stima della propria futura pensione è più facile scegliere, tra i fondi pensione, quello che potrà garantire l’integrazione utile a mantenere un tenore di vita adeguato. Per conoscere di quanto si può integrare la pensione con la previdenza complementare esistono sul web numerosi comparatori. Questi strumenti servono a mettere a confronto tra loro le diverse formule di pensione integrativa. L’attenzione va posta sulla soluzione che massimizza il rapporto dei costi di accesso ai rendimenti.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità delle partite Iva forfettarie

I lavoratori autonomi che adottano la partita Iva in regime forfettario non possono sfruttare tutte le detrazioni e le deduzioni fiscali contemplate nel regime ordinario della partita Iva, ad eccezione dei contributi previdenziali obbligatori. Tuttavia, anche chi rientra nel regime forfettario può avvalersi di deduzioni e detrazioni fiscali nel caso di altri redditi sui quali sono dovute le imposte Irpef. Rientrano in questo campo di applicazione l’ulteriore reddito da lavoro dipendente o da locazione, purché senza cedolare secca.

Pensione integrativa e regime forfettario

Nel caso del regime forfettario, l’adesione alla pensione integrativa, dunque, non comporta l’applicabilità della deduzione fiscale dei contributi versati al fondo pensione. La deducibilità, tuttavia, è possibile sugli ulteriori altri redditi soggetti a Irpef. L’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica è prevista sulla parte di contributi non dedotta.

Esenzione fiscale della prestazione finale del fondo pensione

Tuttavia, anche nel caso del regime forfettario di partita Iva è prevista l’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica futura. Infatti, nell’erogazione della prestazione previdenziale si deve considerare:

  • che la prestazione è soggetta a ritenuta con aliquota agevolata, tra il 15 % e il 9% a seconda della durata, in anni, di partecipazione al fondo pensione;
  • che la ritenuta è esente, in parte, da tassazione.

Base imponibile prestazione pensione integrativa soggetta a ritenuta

Il vantaggio, anche per le partite Iva a regime forfettario, consiste nel fatto che sulla base imponibile della futura prestazione pensionistica, e sulla quale andrà applicata la ritenuta d’imposta, dovrà essere escluso quanto già tassato precedentemente. Dunque, risultano esenti dalla prestazione pensionistica:

  • i rendimenti già tassati nella fase in cui si sono versati i contributi;
  • i contributi che il contribuente non ha dedotto ficalmente.

Partita Iva con regime forfettario: come funziona la deducibilità dei contributi al fondo pensione

Un contribuente con partita Iva a regime forfettario che abbia versato al fondo pensione contributi per 4.500 euro, dunque, non potrà godere, a differenza degli altri regimi di partita Iva, della deduzione fiscale sui contributi versati. In ogni caso, il contribuente dovrà procedere a inoltrare al fondo pensione la comunicazione dei “contributi non dedotti“. Il lavoratore autonomo deve presentare la comunicazione non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale i contributi sono stati versati. L’importo che deve contenere la comunicazione è pari a 4.500 euro, ovvero al totale annuo dei contributi pagati al fondo.

Contribuenti forfettari: esenzione fiscale della prestazione pensionistica

Come già detto in precedenza, i 4.500 euro versati al fondo pensione, pur non essendo deducibili nel momento in cui sono stati versati, rappresentano l’esenzione fiscale della futura prestazione pensionistica. E pertanto, il contribuente in regime forfettario, con la comunicazione dei contributi non dedotti, dichiara al gestore del fondo di non essersi avvalso della deducibilità fiscale dei contributi versati. Ma godrà della detassazione totale per 4.500 euro una volta che avrà ottenenuto la prestazione previdenziale complementare.

Deducibilità contributi pensione integrativa per partite Iva ordinarie

Diverso è il caso dei lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Un contribuente che versi al fondo pensione contributi per 3.000 euro l’anno, ottiene la deducibilità fiscale dei versamenti per lo stesso importo.  I contributi versati al fondo non superano il limite massimo della deducibilità, fissato in 5.164,57 euro. Non dovrà presentare alcuna comunicazione al fondo pensione per contributi non dedotti, ma cambia la fiscalità della futura prestazione pensionistica. Infatti, all’ottenimento della pensione integrativa i rendimenti saranno tassati.

Pensione integrativa: quali vantaggi per la partita Iva ordinaria?

Diverso è, inoltre, il caso di un contribuente, in regime di partita Iva ordinaria, che versi contributi al fondo pensione superiori al limite di deducibilità. Ad esempio, un lavortore autonomo che versi 7.000 euro annui a fronte del massimo deducibile di 5.164,57 euro. Proprio il limite costituisce dunque, il massimo della deduzione fiscale dei contributi versati in sede di dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la differenza tra quanto versato e il massimo, pari a 1.835,37 euro, deve essere comunicata al fondo pensione. La comunicazione dovrà avvenire per mettere al corrente dei contributi che il contribuente non ha dedotto.

Futura pensione complementare di chi lavora con partita Iva

In quest’ultimo caso, dunque, il contribuente si avvarrà, nella futura prestazione complementare, di una quota esente da tassazione rappresentata dai contributi che non sono stati dedotti fiscalmente. E pertanto, nella base imponibile soggetta a ritenuta d’imposta sulla futura pensione integrativa, dovranno essere sottratti i contributi che non sono stati dedotti fiscalmente negli anni di accumulo. Nel caso in questione, tali contributi sono pari proprio a 1.835,57 euro.

Qual è l’importo massimo deducibile nella dichiarazione dei redditi?

La deduzione, a livello fiscale, è un’agevolazione che garantisce un risparmio di imposta. In quanto permette al contribuente, che si tratti di una persona fisica o di un’impresa, di abbassare il reddito imponibile che è poi quello sul quale, in sede di dichiarazione dei redditi, si andranno a pagare le tasse. In particolare, nell’anno di imposta di riferimento, un onere è deducibile quando questo è stato effettivamente sostenuto dal contribuente includendo pure quando la spesa è stata sostenuta per i familiari che sono fiscalmente a carico.

Per tutti gli oneri sostenuti e portati in deduzione fiscale, per l’anno di imposta di riferimento in sede di dichiarazione dei redditi, il contribuente è tenuto sempre a conservare tutta la documentazione originale. E, in caso di controlli o accertamenti fiscali, è poi obbligato a esibirla. Ma detto questo, qual è l’importo massimo deducibile nella dichiarazione dei redditi? Al riguardo c’è da dire che gli oneri deducibili sono davvero tanti e, nel rispetto dei requisiti di fruizione, presentano dei massimali che sono differenti caso per caso.

Ecco gli oneri deducibili più comuni, dai contributi previdenziali agli assegni di mantenimento

Per esempio, tra gli oneri deducibili più comuni rientrano i contributi versati dai lavoratori autonomi. In tal caso la percentuale di deduzione fiscale, in base al reddito, varia da un minimo del 23% ad un massimo del 43%. Si possono portare in deduzione fiscale, inoltre, pure i contributi che sono stati versati per la previdenza complementare fino ad un massimo di 5.164,57 euro.

Pure i contributi previdenziali versati per i lavoratori domestici, ovverosia per le colf, per le badanti e per le babysitter, rientrano allo stesso modo tra gli oneri deducibili. La percentuale di deducibilità fiscale varia sempre in base al reddito dal 23% al 43%, ma con un massimale che in questo caso è pari al 1549,37 euro.

Sono deducibili dal reddito, sempre dal 23% al 43% in base al reddito, pure gli assegni di mantenimento che, nell’anno di imposta di riferimento, sono stati versati all’ex coniuge. Così come, in caso di adozione internazionale, il 50% della spesa che è stata sostenuta è deducibile fiscalmente dal 23% al 43% in base al reddito.

La deducibilità fiscale dal reddito di impresa delle erogazioni liberali per il Covid-19

La deducibilità fiscale di oneri e spese, tra l’altro, può variare nel tempo in base alle disposizioni di legge. Per esempio, con il cosiddetto Decreto ‘Cura Italia’ è stata introdotta, per le imprese, la deducibilità fiscale per le erogazioni liberali, effettuate sempre con strumenti e servizi tracciabili, per gli interventi in materia di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Per l’anno di imposta 2020, e per i soggetti titolari di reddito d’impresa, le erogazioni liberali per il Covid-19 sono deducibili e non sono considerate come destinate a finalità che sono estranee all’esercizio dell’impresa. Ma a patto che le erogazioni liberali siano state effettuate in favore dello Stato italiano, delle Regioni, degli enti locali territoriali o di enti o istituzioni pubbliche. Oppure a favore di fondazioni e di associazioni ma a patto che siano legalmente riconosciute e senza scopo di lucro.

Spese di pubblicità e di rappresentanza: ecco come comportarsi

Non sempre sono chiare le norme che regolano le spese di pubblicità e di rappresentanza, anche se la disciplina fiscale, in questo caso, è piuttosto precisa.

La pubblicità, ad esempio, deve essere considerata come l’attività preordinata alla diffusione del nome e dell’immagine dei prodotti di una determinata azienda presso il pubblico, e si differenzia dalla propaganda, che invece è intesa come l’azione di divulgazione di particolari caratteristiche e speciali qualità del bene o del servizio.
Per il fisco, comunque, entrambe possono essere interamente dedotte.

Possono essere capitalizzati i costi sostenuti per avviare una nuova attività o per promuovere il lancio di un prodotto innovativo, mentre non sono oggetto di capitalizzazione i costi riguardanti il sostegno della commerciabilità di un prodotto già esistente.

Le spese di rappresentanza sono quelle sostenute per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi per fini promozionali o di pubbliche relazioni.
L’Agenzia delle Entrate considera spese di rappresentanza le erogazioni gratuite per i clienti, e anche quelle effettuate verso altri soggetti con cui l’impresa sia interessata a intrattenere rapporti, perché in questo caso si tratterebbe di finalità promozionali e quindi di spese strettamente attinenti al bene dell’impresa.

Occorre però stabilire chi può essere considerato un cliente: sono clienti quei soggetti attraverso i quali l’impresa consegue attualmente i propri ricavi; sono da considerare clienti potenziali, invece, quei soggetti che abbiano, in qualche modo, già manifestato o possano manifestare un interesse di natura commerciale verso i beni ed i servizi dell’impresa, perciò destinatari dell’attività caratteristica esercitata dalla stessa.

Vengono considerate spese di rappresentanza quelle effettivamente sostenute e documentabili riferite ad erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, che abbiano fini promozionali o di pubbliche relazioni.
Possono essere dedotte le spese che riguardano:

  • viaggi turistici, a patto che siano previste in essi attività promozionali di beni e servizi la cui produzione o il cui scambio costituisce oggetto dell’attività caratteristica dell’impresa;
  • feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di ricorrenze aziendali o festività nazionali o religiose;
  • inaugurazione di nuove sedi, uffici o stabilimenti dell’impresa;
  • eventi organizzati in occasione di mostre, fiere e simili in cui sono esposti i beni e i servizi prodotti dall’impresa;

 

  • qualsiasi altra spesa per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni simili il cui sostenimento risponda ai criteri di inerenza già individuati.

Non possono, al contrario, essere considerate spese di rappresentanza, e quindi non sono deducibili, viaggi, vitto e alloggio per clienti solo potenziali, così come visite a sedi, stabilimenti o unità produttive dell’impresa, che, invece, sono da considerarsi spese di ospitalità.
Niente deducibilità anche per i costi sostenuti da imprese che per propria natura organizzano manifestazioni fieristiche e eventi di simile natura e anche le spese di viaggio, vitto e alloggio affrontate dall’imprenditore individuale in maniera diretta per la partecipazione a fiere, mostre ed eventi simili in cui l’impresa esponga beni e servizi propri o correlati alla propria attività.

Possono essere interamente dedotte le spese per gli omaggi, purché non superino il valore unitario di 50 euro. A questo proposito, occorre distinguere tra:

  • quelli concessi a partire dal 2008, che sono deducibili integralmente se rispettano la condizione legata al loro valore, mentre rientrano nei nuovi limiti contenuti nel decreto attuativo se superano la soglia dei 50 euro;
  • quelli rientranti tra le spese di rappresentanza realizzate fino al 2007, deducibili integralmente se di valore unitario non superiore a 25,82 euro, solo per un terzo ripartito nei cinque esercizi per quote uguali se di valore superiore.

Occorre specificare che le spese di rappresentanza non possono superare l’1,3% di quelli dichiarati nella denuncia dei redditi dell’anno in cui vengono sostenute per una quota pari a 10.000 euro, lo 0,5% per la quota che supera i 10.000 euro e fino a 50.000 euro, lo 0,1% per la parte che eccede il limite.
Ciò significa che è stato abolito il limite di 200.000 euro in vigore precedentemente.

Vera MORETTI

Map 2012: cosa possono dedurre i professionisti

 

Con la Circolare 35/E, l’Agenzia delle Entrate fornisce nuove e ulteriori specifiche al Modulo di aggiornamento professionale (MAP) 2012. Le chiarificazioni riguardano la deducibilità delle spese dei professionisti per la formazione e per l’uso promiscuo di immobili.

Nel primo caso, le spese sostenute per la partecipazione alla formazione continua obbligatoria degli iscritti agli albi professionali: potranno essere dedotte fino al 50% come stabilito dal Tuir, D.P.R. 22 dicembre 1986, n.917. L’Agenzia delle Entrate confuta quindi la facoltà di dedurre per intero le spese di formazione, sulla base della differenziazione fra i corsi di aggiornamento professionale e la partecipazione a convegni e congressi.

Le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno, sono deducibili nella misura del 50% del loro ammontare” si legge nell’articolo 54 comma 5 del Tuir.

Il dubbio riguardava una quota-parte di tali spese, forfetizzata nella misura del 50%, da ritenersi sostenuta per finalità di carattere ludico e extra-professionale. La richiesta verteva quindi sulla possibile detrazione integrale delle spese di pura partecipazione alla formazione continua obbligatoria degli iscritti in albi professionali, vista la perfetta inerenza rispetto all’esercizio della propria attività professionale. La legge non prevede alcuna distinzione circa la natura del corso, ed è quindi applicabile anche alle spese sostenute per la partecipazione alla formazione continua obbligatoria  di iscritti in albi professionali: la detrazione va dunque calcolata al 50%.

Secondo punto: per gli immobili ad uso promiscuo, ovvero quelli utilizzati dai professionisti per uso abitativo e di lavoro, la rendita catastale è deducibile nella misura del 50%. Unico vincolo: il contribuente non dovrà disporre nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte e della professione. Allo stesso modo (50%) sono deducibili le spese per i servizi, ovvero utenze gas, luce e telefono). Indifferente la porzione dell’unità immobiliare: la quota che è possibile dedurre non può superare il 50%, come previsto dall’articolo 54, comma 3, del Tuir.