5 x 1000: l’elenco degli enti ammessi dall’Agenzia. I contribuenti possono scegliere

L’Agenzia delle Entrate ha reso noto il giorno 9 giugno 2022 l’elenco degli enti ammessi al 5 X 1000 2022. Ecco dove trovare l’elenco per scegliere a chi devolvere le proprie imposte.

Cos’è il 5 per 1000?

Il 5 x 1000 è una quota delle imposte da pagare (Irpef) che i contribuenti possono scegliere di devolvere ad associazioni culturali, associazioni di promozione sociale, enti che si occupano di volontariato, ricerca scientifica, associazioni sportive dilettantistiche. I contribuenti possono valutare a chi devolvere il loro 5 per mille scegliendo tra soggetti ritenuti meritevoli di ricevere tali aiuti in quanto rispondenti ai requisiti previsti dalla normativa.

Gli enti che vogliono essere ricompresi devono proporre domanda. Questa deve essere presentata solo dalle onlus e dalle associazioni che non sono già inserite. Chi risultava inserito l’anno precedente non doveva presentare nuovamente la domanda essendo valida la precedente.

Leggi anche: Terzo Settore: vuoi accedere al 5 x1000? Proponi la domanda entro l’11 aprile

Ecco dove trovare l’elenco degli enti ammessi e degli enti esclusi dal 5 per 1000

Una volta scaduto il termine per presentare la domanda, quest’anno cadeva il giorno 11 aprile 2022, inizia la fase istruttoria. Ora che è terminata anche questa l’Agenzia delle Entrate ha provveduto a pubblicare l’elenco degli enti che sono stati ammessi e degli enti esclusi. Si può trovare l’elenco alla pagina dedicata dell’Agenzia delle Entrate https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/web/guest/area-tematica-5×1000

Questo link è utile alle onlus, ADS che hanno presentato la domanda e vogliono conoscerne l’esito, ma anche ai contribuenti che vogliono scegliere a chi devolvere il loro 5 per mille.

Enti ammessi in sintesi

Come ogni anno l’Agenzia rende noti anche i dati, i contribuenti potranno scegliere tra oltre 72.000 enti, questi oltre 52.000 cioè la stragrande maggioranza sono associazioni di volontariato. Seguono le ASD ( Associazioni Sportive Dilettantistiche) che sono oltre 11.000. Gli enti di ricerca scientifica ammessi sono 528, 106 sono gli enti della sanità, 146 sono gli enti che si occupano di promozione e sviluppo dei beni culturali e paesaggistici, 24 enti gestori di aree protette e quasi 8.000 comuni. Per quanto invece riguarda le finalità che gli italiani preferiscono ci sicuramente il volontariato e la ricerca scientifica.

Per conoscere i dettagli sulla normativa e sui beneficiari delle varie devoluzioni fiscali, leggi l’articolo 8 per mille, 5 per mille e 2 per mille: caratteristiche cumulo e beneficiari

Contratto di lavoro e volontariato sono incompatibili. Ecco le eccezioni

C’è incompatibilità tra l’attività di volontariato e il sussistere di un contratto di lavoro subordinato presso lo stesso soggetto? In linea di massima sì e tale incompatibilità è sancita dal Codice del Terzo Settore all’articolo 17 comma 5, ma è lo stesso Ministero del Lavoro a precisare che vi sono dei casi in cui tale incompatibilità non sussiste.

Contratto di lavoro e volontariato: perché c’è incompatibilità?

L’articolo 17 del Codice del Terzo Settore è piuttosto chiaro nel delimitare i limiti per la possibilità di stipulare contratti di lavoro presso soggetti con cui si svolgono attività di volontariato. La ratio di tale incompatibilità/divieto è nel fatto che il volontariato deve mantenere le sue caratteristiche peculiari e cioè deve essere caratterizzato da:

  • libertà di scelta, cioè non si deve essere indotti a svolgere volontariato al fine di mantenere il rapporto di lavoro o costituire il rapporto di lavoro, non si deve quindi essere indotti da uno stato di bisogno, ma solo dal desiderio di aiutare gli altri e la comunità in genere;
  • per mantenere la sua genuinità deve essere senza scopo di lucro (anche indiretto) e l’attività deve quindi essere svolta in forma gratuita;
  • la prestazione di volontariato deve essere spontanea e personale, cioè non si può delegare un altro soggetto a svolgere attività di volontariato al proprio posto.

Eccezioni all’incompatibilità tra volontariato e lavoro subordinato

Precisati i fondamenti dell’attività di volontariato, appare di tutta evidenza perché non si possa svolgere presso lo stesso ente con il quale intercorre il rapporto di lavoro subordinato. Il Ministero del Lavoro è stato però investito da un particolare interpello a cui ha risposto con la nota 4011 del 10 marzo 2022. L’interpello aveva ad oggetto l’eventuale compatibilità tra un contratto di lavoro subordinato presso un comitato regionale e l’attività di volontariato presso un ente di base o un comitato regionale di diversa regione rispetto a quella per la quale si presta l’attività lavorativa.

Il Ministero, oltre a sottolineare i requisiti di libera scelta e gratuità del rapporto di volontariato, ha anche ricordato che la Corte dei Conti nella deliberazione sez. autonomie n. 26 del 24/11/2017 ha ribadito che il volontario deve in qualunque momento poter recedere dal rapporto senza subire alcun tipo di pressione, condizioni o penali.

Queste disposizioni devono però tutte essere messe in relazione alla profilazione organizzativa delle realtà complesse, come può essere una rete associativa oppure un ente di secondo livello. In tali casi le varie strutture hanno autonomia organizzativa, statutaria, amministrativa e patrimoniale. Al verificarsi di questa ipotesi infatti tra il soggetto/ente che si avvale del volontario e il soggetto che invece si avvale del lavoro subordinato vi è distinzione e separazione al punto che non sono pregiudicate le due distinte posizioni di lavoratore e volontario. Di conseguenza il Ministero del Lavoro in ipotesi simili ritiene che non sia sussistente l’incompatibilità.

Per approfondimenti sul terzo settore è possibile leggere gli approfondimenti:

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Registro Volontari Enti Terzo Settore: come cambia con le nuove regole?

Il Registro dei Volontari degli Enti del Terzo Settore rappresenta un importante passo avanti per questo settore. Lo stesso era già previsto dal decreto del Ministro dell’Industria del 1992, ma in quel caso era limitato ai soli volontari delle OdV (Organizzazioni di Volontariato) con il Codice del Terzo Settore invece viene esteso tale obbligo a tutti gli enti, inoltre ha provveduto a semplificare le procedure.

Registro Volontari del Terzo Settore: dal decreto del 1992 al Codice del Terzo Settore

La disciplina vigente prima dell’entrata in vigore del Codice del Terzo Settore ( che abbiamo già visto sta gradualmente entrando in vigore) prevedeva che le sole Organizzazioni di Volontariato tenessero un registro dei volontari, ciò al fine di predisporre anche tutti gli adempimenti volti a stipulare polizze assicurative a copertura dei rischi derivanti dalla stessa attività di volontariato. Il registro doveva essere vidimato da un Pubblico Ufficiale o da un notaio.

Il Codice del Terzo Settore (D.lgs 117 del 2017) ha provveduto attraverso l’articolo 17, comma 1, a disciplinare nuovamente tale Registro introducendo qualche novità. Questo prevede che gli ETS possano avvalersi della collaborazione di volontari per lo svolgimento delle proprie attività e che sono tenuti a iscrivere in un apposito registro i volontari che prestano la propria opera in modo non occasionale.

Si ricava dalla formulazione dell’articolo in oggetto che i volontari possono essere divisi in due categorie:

  • occasionali;
  • non occasionali.

Ne consegue anche che solo per i volontari non occasionali debba essere previsto il registro. Lo stesso principio però non vale ai fini dell’obbligo della stipula delle polizze assicurative, infatti l’articolo 18 dello stesso decreto legislativo prevede che per tutti i volontari debba essere predisposta la copertura assicurativa contro malattie e infortuni che possono derivare dallo svolgimento di attività per l’Ente del Terzo Settore in cui operano.

Deriva da ciò che è bene predisporre una seconda sezione del Registro dei Volontari in cui siano indicate le generalità dei volontari che prestano il loro operato in modo occasionale  così che lo stesso possa essere consegnato alle compagnie di assicurazione al fine di provvedere a idonea copertura assicurativa.

Modalità di tenuta del Registro Volontari Enti Terzo Settore

Novità importanti circa le modalità di tenuta del Registro dei Volontari sono intervenute con il decreto interministeriale del 6 ottobre 2021 che ha indicato le nuove modalità operative di questo importante strumento. La prima novità importante è rappresentata dal fatto che lo stesso può essere tenuto in forma telematica. In questo caso è però indispensabile utilizzare un software che impedisca modifiche successive ai dati immessi. Si potrà così garantire l’integrità del registro sia dal punto di vista temporale che formale.

In secondo luogo il decreto interministeriale del 6 ottobre 2021 precisa che nel caso in cui l’Ente decida di utilizzare il registra cartaceo, in caso di variazioni non è più necessario barrare e firmare la parte oggetto di variazione.

Il Registro telematico o cartaceo deve essere costantemente aggiornato e deve indicare:

  • generalità del volontario (nome e cognome);
  • codice fiscale;
  • data e luogo di nascita;
  • residenza;
  • data di inizio e di fine dell’attività di volontariato.

Le polizze assicurative: individuali e collettive

Si è già detto che una delle finalità del Registro dei Volontari è stipulare polizze assicurative in favore dei volontari che operano in modo occasionale o non occasionale e proprio per questo è bene dividerlo in due sezioni. L’articolo 18 stabilisce che la polizza deve coprire:

  • infortuni;
  • malattie connesse allo svolgimento delle attività di volontariato;
  • eventuali danni a terzi.

Infine, è prevista per le associazioni che non svolgono prevalente attività commerciale la possibilità di stipulare polizze collettive (cioè non individuali). Questo naturalmente non esime dalla tenuta del registro in modo poi da individuare chi può usufruire della copertura della polizza assicurativa. Infatti il decreto interministeriale stabilisce che le polizze collettive devono essere stipulate in modalità tali che possano garantire trasparenza delle condizioni e assenza di discriminazioni tra i volontari. I vantaggi delle polizze collettive sono soprattutto di tipo economico, infatti solitamente l’importo è inferiore rispetto a polizze individuali che richiedono anche un maggiore impegno amministrativo/burocratico.

Per approfondimenti sulla riforma del Terzo Settore, puoi leggere gli approfondimenti:

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Lavoro: quando si può chiedere l’aspettativa retribuita e non retribuita?

Il lavoratore può avere esigenze particolari che lo portano a dover lasciare per un periodo il lavoro, in questo caso è possibile richiedere l’aspettativa, naturalmente non devono essere tenute in considerazione solo le esigenze del lavoratore, ma anche quelle del datore di lavoro che ha bisogno delle prestazioni lavorative dei suoi dipendenti. Proprio per bilanciare gli interessi del datore di lavoro con quelli del lavoratore sono previste condizioni e limiti all’aspettativa. Vediamo ora quando il lavoratore può fare istanza per l’aspettativa e il trattamento economico.

Cos’è l’aspettativa

La prima cosa da sottolineare è che il lavoratore può richiedere l’aspettativa retribuita e non retribuita.

L’aspettativa è un periodo di astensione temporanea dal lavoro riservata ai dipendenti del settore pubblico e del settore privato. Chi chiede e ottiene l’aspettativa ha diritto a conservare il posto di lavoro e in alcuni casi ha diritto alla retribuzione e vedremo in quali. L’aspettativa è disciplinata dalla legge 50 del 2000, attuata con regolamento 278 del 2000, e dallo Statuto dei Lavoratori, legge 300 del 1970, deve però essere precisato che ulteriori regole sono contenute nei vari CCNL. Di conseguenza in questa sede ci occuperemo della disciplina generale, avendo però cura di precisare che ci possono essere variazioni dovute appunto a tali contratti. Un’altra premessa, prima di passare ai casi in cui si può chiedere l’aspettativa, è che la stessa può essere fruita in modalità continuativa o frazionata.

Gravi motivi personali

La prima tipologia di aspettativa è quella richiesta per gravi motivi personali che naturalmente devono essere dichiarati. L’aspettativa per motivi personali o familiari può essere richiesta a causa di un disagio personale oppure per gravi motivi come cura e l’assistenza dei parenti e affini (anche se non conviventi ) entro il 3° grado, si tratta di coniuge, figli, genitori, suoceri, generi, nuore, fratelli e sorelle.

La richiesta deve essere presentata al datore di lavoro allegando i certificati medici di tali soggetti da cui si possano evincere le condizioni di salute e quindi anche il bisogno di assistenza continua di tali soggetti. Il periodo di aspettativa per motivi personali o familiari ha una durata massima di due anni. Si tratta di un’aspettativa non retribuita e il periodo interessato da tale istituto non viene calcolato ai fini previdenziali e per l’anzianità di servizio.

La cosa da sottolineare in merito all’aspettativa per gravi motivi familiari o personali è che il datore di lavoro può rifiutarsi di concederla, deve però motivare tale decisione e di solito la motivazione deve essere inerente la tipologia di problematica dichiarata dal lavoratore, su istanza del lavoratore deve inoltre riesaminare la richiesta. La Corte di Cassazione in merito ha precisato che il datore di lavoro deve comunque comportarsi con buona fede e correttezza, evitando comportamenti ostruzionistici Cass. n. 12563/2014.

Disagio personale

In merito a questa tipologia di aspettativa deve essere anche sottolineato che i motivi, oltre alla malattia di un parente, possono essere legati a un “disagio personale” del dipendente, naturalmente questa formula non è semplice da interpretare. In genere si ritiene che il lavoratore non possa chiedere questa tipologia di aspettativa per motivi di salute perché in questo caso c’è la malattia, ma alcuni CCNL e in particolare quello dei metalmeccanici, turismo, telecomunicazioni, tessili, pulizie e servizi integrati, prevedono la possibilità di utilizzarla per malattia o infortunio fruibile al termine del periodo di comporto.

Aspettativa per motivi di formazione e studio

Può essere richiesta anche per motivi di formazione e studio. Si tratta di un’opportunità concessa ai dipendenti del settore pubblico e privato con almeno 5 anni di servizio in azienda che intendano:

  • completare la scuola dell’obbligo;
  • conseguire un titolo di studio di secondo grado;
  • intendano conseguire un diploma universitario o una laurea;
  • partecipare ad attività formative diverse da quelle proposte o finanziate dal datore di lavoro.

In questo caso può avere una durata non superiore a 11 mesi e non è retribuita. Anche in questo caso il datore di lavoro può rifiutare tale concessione oppure chiedere che sia effettuata in un periodo diverso.

Diversa è invece l’aspettativa per il dottorato, questa infatti è prevista solo per il contratto del pubblico impiego, la durata dell’aspettativa è la stessa del corso di studio, naturalmente può essere concessa solo al dipendente che sia stato ammesso al corso di dottorato. Deve essere specificato che con la legge Gelmini (legge 240 del 2010) non è più un diritto, infatti il datore di lavoro, quindi l’amministrazione pubblica, concede l’aspettativa previa verifica della compatibilità tra il dottorato e le esigenze di servizio nella Pubblica Amministrazione. Inoltre l’aspettativa può essere rifiutata per motivi di servizio.

In questo caso cambiano anche le norme relative alla retribuzione. Se il richiedente è stato ammesso al dottorato con borsa, non avrà la retribuzione, mentre nel caso in cui sia stato ammesso senza borsa dovrà essere concessa l’aspettativa retribuita con retribuzione ordinaria. In questo caso inoltre il periodo di aspettativa sarà utile a fini pensionistici e per la progressione di carriera.

Aspettativa per cariche pubbliche elettive

Questa tipologia si riconosce a coloro che vengono eletti alle seguenti cariche:

  • Parlamentare Europeo o Nazionale;
  • membro delle assemblee regionali;
  • sindaco di comuni;
  • presidente di provincia,
  • presidente di consiglio comunale, provinciale, di consigli circoscrizionali (solo nelle città con più di 500.000 abitanti);
  • assessore;
  • consigliere comunale, provinciale, di comunità montane e unioni di comuni.

In questo caso l’aspettativa non è retribuita.

Aspettativa per tossicodipendenza

L’aspettativa per tossicodipendenza viene concessa a lavoratori che abbiano problemi di dipendenze da sostanze psicotrope e che decidono di seguire programmi riabilitativi. Può inoltre essere concessa a lavoratori che abbiano l’esigenza di assistere familiari in percorsi di riabilitazione per problemi di tossicodipendenza. Si tratta anche in questo caso di aspettativa non retribuita, inoltre è necessario che il SERT o altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali certifichino la partecipazione a tali piani riabilitativi. Nel primo caso la durata massima dell’aspettativa è di tre anni, mentre nel secondo caso la durata è di tre mesi.

Aspettativa per ricongiungimento

Può essere richiesta quando è necessario recarsi all’estero per ricongiungersi con il coniuge che lavora all’estero. E’ fruibile solo dai dipendenti pubblici, non si riceve la retribuzione e la concessione avviene solo nel caso in cui la Pubblica Amministrazione di appartenenza non abbia la possibilità di collocare il dipendente a lavoro nel Paese di destinazione.

Volontariato

Può essere richiesta da lavoratori del settore pubblico e del settore privato. Il lavoratore può richiederla in seguito al verificarsi di calamità naturali al fine di partecipare ad attività di soccorso con durata massima di 30 giorni consecutivi o 90 frazionati nell’anno. Può inoltre essere richiesta per attività di pianificazione, simulazione di emergenza e formazione per una durata massima di 30 giorni continuativi. E’ retribuita, ma il datore di lavoro può chiedere il rimborso della retribuzione versata all’autorità di protezione civile competente per territorio.

Dall’aspettativa deve essere distinto il congedo straordinario legge 104 che vedremo a breve.

Terzo Settore: rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024

Il terzo settore negli ultimi anni è stato oggetto di numerosi interventi volti a uniformare la disciplina, particolare rilevanza hanno il codice del Terzo Settore e il Registro Unico Nazionale Terzo Settore RUNTS. Una delle riforme che più ha destato clamore è stata introdotta con il decreto legge 146/2021, questo prevedeva che dal primo gennaio 2022 le Associazioni di Promozione Sociale e le Associazioni di Volontariato, pur non svolgendo alcuna attività commerciale fossero, assoggettate ad IVA. Con la legge di bilancio 2022 c’è invece stato il rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024. Vediamo i vari passaggi che hanno portato al rinvio.

Normativa su obbligo di applicazione IVA per gli Enti del Terzo Settore

La disciplina dell’applicazione dell’IVA anche alle operazioni compiute da OdV e APS deriva dalla normativa comunitaria, quindi l’Italia in un certo senso ha dovuto adottare queste misure. Infatti è in corso una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, n° 2008 del 2010, proprio per non aver provveduto ad adeguare la disciplina del Terzo Settore e per violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, 9 della direttiva IVA (2006/112/CE).

In base alla disciplina dettata dal decreto fiscale le operazioni esentate ( ma da dichiarare ai fini IVA) sono per i servizi prestati e i beni ceduti dagli enti nei confronti dei propri soci, ad esempio corsi di formazione in favore degli associati. Questo naturalmente comporta sia un maggiore esborso a fronte di attività considerate socialmente utili, sia un aggravio dei costi di gestione con obbligo di tenuta dei registri IVA

La normativa prevede delle semplificazioni per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) e per le Associazioni di Promozione Sociale (APS) che al permanere dei requisiti previsti dalla legge decidono di aderire al regime forfettario.

Naturalmente vista la situazione pandemica e le difficoltà a cui devono fare fronte gli Enti del Terzo Settore, i partiti hanno presentato diversi emendamenti volti a far slittare l’entrata in vigore dell’obbligo di pagare l’IVA per gli Enti del Terzo Settore.

Perplessità sul regime IVA per Enti del Terzo Settore

La portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Vanessa Pallucchi ha espresso molte perplessità. Ha sottolineato come in realtà questa norma introdotta con il decreto fiscale 146/2021 non solo arreca un ingiusto danno alle associazioni, in particolare a quelle più piccole, ma non porta alcun vantaggio reale alle Casse dello Stato. Il regime IVA prevede, ad esempio, che debba essere applicata l’IVA sulla somministrazione di bevande e alimenti, ma se questa è in favore di indigenti, le operazioni sono esenti da IVA. Nonostante questo possa sembrare un vantaggio in realtà non lo è, infatti se le Associazioni sono escluse dal regime IVA non devono compiere adempimenti, ma nel momento in cui si parla di esenzione e non di esclusione, le operazioni devono essere dichiarate e quindi occorre comunque dotarsi di partita IVA e la tenuta dei Registri che comunque rappresentano costi.

Inoltre la portavoce critica il momento di introduzione dell’IVA che arriva nel corso dell’esecuzione degli adempimenti per l’iscrizione nel RUNTS con tutti gli oneri relativi ad eventuali cambi di Statuti da raccordare alla nuova disciplina. Ciò che molti contestano alla disciplina prevista dal decreto fiscale è il fatto che la norma non differenzia il regime IVA in base alla tipologia di prestazioni e alla tipologia di associazioni, o meglio in base allo scopo. Trattando in modo indifferenziato diverse realtà, da un lato si va oltre le richieste dell’Unione Europea creando un danno agli Enti del Terzo Settore e dall’altro si realizza un’ingiustizia sostanziale. Della disciplina del decreto fiscale sono inoltre contestati i tempi brevi tra l’approvazione di questa novità e i tempi di entrata in vigore, cioè già dal 1° gennaio 2022.

Rinvio dell’entrata in vigore dell’ IVA per il Terzo Settore fino al 2024

Con la legge di bilancio 2022 si è quindi provveduto a posticipare l’entrata in vigore dell’obbligo di dichiarazione IVA, tenuta dei registri e pagamento delle relative imposte fino al 2024. In realtà si spera nella scrittura di una nuova normativa che possa coinvolgere anche i diretti interessati.

Per saperne di più sulle nuove norme relative al Terzo Settore, puoi leggere:

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali 

Registro Unico del Terzo Settore diventa operativo dal 23 novembre 2021

 

Contributo a fondo perduto Enti Terzo Settore: guida e scadenza

Il decreto legge 137 del 2020 all’articolo 13 quaterdecies prevede la possibilità per gli Enti del Terzo Settore di accedere a un contributo a fondo perduto. Naturalmente i tempi per l’operatività si sono dilatati e solo ora è disponibile la modulistica per poter presentare la domanda. C’è tempo fino all’11 dicembre 2021, ma quali sono i requisiti per poter ottenere il contributo a fondo perduto Enti del Terzo Settore (ETS) anche conosciuto come Ristoro Enti Terzo Settore?

Contributo a fondo perduto per Enti Terzo Settore: a chi è rivolto

Il Terzo Settore, o volontariato, nel periodo della pandemia ha visto fortemente ridotte le proprie attività istituzionali e sebbene abbia svolto un ruolo essenziale per aiutare chi era in difficoltà, ha avuto problemi nel reperimento di risorse non potendo organizzare attività istituzionali. Nonostante ciò è uno dei settori che ha ricevuto minori attenzioni. Per rimediare a questa diseguaglianza, o meglio discriminazione, ci sono i Ristori Terzo Settore che dopo oltre un anno finalmente diventano operativi.  Il contributo a fondo perduto per gli Enti del Terzo Settore è stato istituito in seno al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’ammontare per l’anno 2021 è di 70 milioni di euro in favore di:

  1. organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali e delle province autonome;
  2. associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano;
  3. organizzazioni non lucrative di utilità sociale

Oltre ai requisiti soggettivi, sono richiesti anche requisiti oggettivi, cioè possono richiedere di accedere al Fondo Straordinario per il Sostegno degli Enti del Terzo Settore:

  • ETS che nel corso del 2020 hanno cessato o ridotto l’esercizio delle attività previste dallo Statuto a causa delle limitazioni alla circolazione delle persone determinate dalla pandemia;
  • Le attività sospese o ridotte devono inoltre ricadere nei codici ATECO indicati nell’allegato dell’avviso 2/2021 del Ministero delle Politiche Sociali.
  • Inoltre gli Enti del Terzo Settore che vogliono richiedere tale contributo a fondo perduto, al momento della presentazione delle istanze devono ancora essere attivi attraverso l’iscrizione nei relativi registri. L’iscrizione deve aver avuto luogo prima del 25 dicembre 2020. Cioè non possono accedere al contributo le associazioni nate dopo l’emanazione del decreto che ha istituito il fondo.

Per scaricare l’allegato e controllare tutti i codici ATECO clicca QUI

Come presentare la domanda per i Ristori Enti Terzo Settore

La disposizione però, come anticipato, non ha trovato immediata applicazione in quanto occorreva attendere un decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze che indicasse i criteri di ripartizione dei fondi tra Regioni e Province autonome in modo da ripartire in modo equo gli stessi.

Infine, vi è stato il decreto direttoriale 614 del 2021 del Ministero del lavoro in cui si trovano le indicazioni inerenti le modalità per la presentazione delle istanze per poter ottenere la propria quota di fondi.

Di conseguenza dal 29 novembre 2021, fino all’11 dicembre 2021 sarà possibile per gli Enti del Terzo Settore presentare la domanda.

Le domande devono essere presentate sul sito https://servizi.lavoro.gov.it L’istanza deve essere promossa dal rappresentante legale dell’ETS (Ente Terzo Settore) attraverso l’uso delle sue credenziali SPID o CIE.

In caso di APS Nazionale la domanda deve essere presentata solo dal soggetto nazionale anche per conto delle articolazioni territoriali.

Una volta effettuato l’accesso è necessario cliccare sull’icona con la scritta “ Ristori Enti Terzo Settore”e andare alla voce “Inserisci Istanza” e immettere quindi i dati richiesti. Nella domanda è necessario indicare se l’ultimo bilancio approvato ha un valore superiore o inferiore a 100.000 euro.

Una volta compilate tutte le parti sarà possibile inviare l’istanza. In seguito sarà possibile rivedere l’istanza e anche modificarla, sarà possibile inoltre scaricare la ricevuta dell’istanza presentata.

Le fase successive all’11 dicembre saranno il vaglio delle istanze presentate e quindi la ripartizione dei fondi successive.

Ricordiamo che dal 23 novembre 2021 è anche attivo il Registro Unico Terzo Settore. Per saperne di più, leggi l’articolo: Registro Unico terzo Settore diventa operativo dal 23 novembre 2021

 

Ristori enti Terzo settore, si può presentare domanda da lunedì 29 novembre

In arrivo i ristori per gli enti non profit. Si potrà presentare da lunedì 29 novembre 2021 la domanda per gli aiuti agli enti del Terzo settore (Ets). La piattaforma telematica per l’invio delle istanze sarà a disposizione fino all’11 dicembre.

Ristori agli enti non profit, il decreto interministeriale del 26 novembre 2021

Si tratta di risorse da destinare agli enti che ne faranno richiesta dal Fondo straordinario degli enti del Terzo settore. Il decreto interministeriale che ha fissato gli aiuti da ripartire è stato firmato nella giornata di ieri, venerdì 26 novembre. I ristori andranno a sostenere gli enti non profit che, per l’emergenza sanitaria ed economica conseguente alla Covid-19, abbiano dovuto interrompere le proprie attività istituzionali.

Ristori agli enti non profit, quante risorse?

In tutto saranno 230 milioni di euro da destinare agli enti del Terzo settore. Venti milioni andranno agli enti non commerciali che rientrano nelle attività socio-sanitarie e socio-assistenziali. I ristori verranno assegnati agli enti sulla base delle domande che verranno presentate, nei limiti delle risorse assegnate. Per gli enti che abbiano dichiarato entrate per oltre 100 mila euro, l’entità del ristoro verrà aumentata del 30%.

Quali enti non profit possono presentare domanda dei ristori?

Gli enti che possono presentare domanda sono:

  • le Onlus;
  • le organizzazioni di volontariato;
  • le associazioni di promozione sociale (Aps).

Ciascun ente deve risultare iscritta nei registri in data anteriore rispetto al 25 dicembre 2020.

Come presentare la domanda di ristori per gli enti non profit?

La domanda dei ristori potrà essere presentata dagli enti del Terzo settore dal 29 novembre a sabato 11 dicembre 2021. Per inoltrare l’istanza è necessario utilizzare la piattaforma dedicata sul portale Servizi lavoro “Ristori enti terzo settore“. Il ministero del Lavoro, a completamento delle domande, individuerà  sia gli enti che potranno beneficiare dei ristori che l’ammontare spettante a ciascuna associazione.

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali

Nella disamina fatta finora inerente alle associazioni culturali più volte ci siamo imbattuti nel Codice del Terzo Settore e in particolare nel RUNTS, pur precisando anche attualmente il Registro non è ancora attivo e quindi continuano ad applicarsi le norme previste dal TUIR e dalla legge 391 del 1998, è bene fin da ora fare qualche breve cenno al Codice del Terzo Settore e ai cambiamenti che interverranno per le associazioni culturali che potranno scegliere tra diverse opzioni.

Cos’è il Codice del Terzo Settore

Il Codice del Terzo Settore è una riforma organica contenuta nel decreto legislativo 117 del 2017, la stessa riforma prevede l’emanazione di successivi regolamenti attuativi e ad oggi, complice anche la crisi pandemica, non è ancora entrato in vigore in tutte le sue parti.  Nel momento in cui entrerà in vigore andrà però a determinare dei notevoli cambiamenti anche per quanto riguarda le associazioni culturali, in quanto lo stesso codice prevede espressamente che queste siano assoggettate al codice del terzo settore. Ciò infatti è espressamente previsto nell’articolo 4 che sottolinea che tale disciplina si applica sia alle associazioni riconosciute, quindi che hanno chiesto e ottenuto la personalità giuridica, sia a quelle non riconosciute, che ad oggi sono la maggior parte.

Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS)

La principale novità del Codice del Terzo Settore è l’introduzione del RUNTS, cioè il Registro Unico Nazionale Terzo Settore. Le associazioni culturali non sono obbligate ad iscriversi, ma se non lo fanno perdono molte agevolazioni fiscali. Per potersi iscrivere è però necessario adeguare il proprio statuto alle nuove regole del RUNTS. Attualmente le associazioni culturali si trovano in una situazione di transizione che diventa particolarmente pesante perché l’entrata in vigore del RUNTS è slittata già più volte e in teoria dovrebbe entrare in vigore nel 2022 (salvo ulteriori proroghe dei termini).

Le associazioni culturali per l’iscrizione potranno scegliere tra 7 settori:

  • Organizzazione di volontariato;
  • Associazione di promozione sociale (APS);
  • Ente filantropico;
  • Impresa sociale (che comprende anche le cooperative);
  • Rete associativa;
  • Società di mutuo soccorso;
  • Altro ente del Terzo Settore.

Le associazioni culturali devono scegliere una sezione del registro che sia congrua rispetto alle finalità perseguite. Tutte le associazioni del terzo settore senza scopo di lucro potranno però aderire ad un regime di tassazione forfettario. I vantaggi fiscali non finiscono qui, infatti le donazioni e le quote di associazione versate dai contribuenti alle associazioni culturali  godono di agevolazioni sulle imposte indirette.

Se vuoi scoprire gli attuali vantaggi delle associazioni culturali, leggi l’articolo: Pro e contro di un’associazione culturale

Le Associazioni di Promozione Sociale (APS)

Naturalmente non mancano svantaggi legati alla iscrizione nel registro. Tra questi vi è l’impossibilità di continuare a beneficiare della de-commercializzazione  dei corrispettivi versati dai soci, infatti tale agevolazione è riconosciuta solo agli enti di promozione sociale, ma un associazione culturale per ricevere tale qualificazione deve rispettare canoni particolarmente stringenti:

  • il numero minimo di soci è di 7 persone e non tre come per le associazioni culturali semplici;
  • deve avvalersi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri soci e riduce al massimo l’assunzione di lavoratori dipendenti;
  • l’assunzione di dipendenti è limitata ai soli casi in cui questa sia necessaria per lo svolgimento delle attività sociali e per raggiungere lo scopo sociale. In base all’articolo 36 del codice, tale assunzione di dipendenti può riguardare gli associati;
  • Il numero dei lavoratori impiegati non deve essere superiore al 50% dei volontari e al 5% degli associati.

Questi requisiti possono essere difficili da raggiungere per molte associazioni, come quelle di promozione culturale che organizzano corsi. L’esempio classico è quello delle associazioni culturali che formano bande musicali, in questo caso è necessario avere un numero congruo di insegnanti per i vari strumenti e può essere difficile non superare la quota del 5% degli associati.  Diventa essenziale a questo punto distinguere la figura del volontario da quella dell’associato, infatti non coincidono.

Il volontario in base all’articolo  17 del CTS è una persona che mette a disposizione il suo tempo e le proprie capacità in modo gratuito e senza scopo di lucro al fine di raggiungere lo scopo sociale. Gli associati sono coloro che partecipano alla struttura sociale dell’associazione stessa, come soci fondatori o soggetti che hanno aderito successivamente versando la quota sociale. Naturalmente gli associati possono ricoprire anche il ruolo di volontari, mentre non è detto che i volontari siano associati.

I vantaggi delle Associazioni di Promozione Sociale

Deve però essere sottolineato che in base al Codice del Terzo Settore avere la qualifica di Associazione di Promozione Sociale è molto rilevante perché:

  •  consente di avere benefici fiscali simili a quelli attualmente vigenti con la legge 398 del 1991 per ricavi commerciali inferiori a 130.000 euro (art.86);
  • inoltre le associazioni culturali che scelgono di avvalersi della disciplina prevista per le Associazioni di Promozione Culturale possono ottenere contributi pubblici e privati;
  • possono  partecipare a percorsi di co-progettazione e co-programmazione con pubbliche amministrazioni (artt.55 e 56);
  • possono incentivare fiscalmente le donazioni anche attraverso il riconoscimento del social bonus (artt.81 e 83).

Questi benefici si perdono nel caso in cui si opti per la soluzione dell’ente del terzo settore generico (punto 7 dei settori) , ma come visto non sempre è facile riuscire a qualificarsi come associazione culturale di promozione sociale.

Le Imprese Sociali

La terza soluzione possibile è quella di iscriversi nel settore delle Imprese Sociali, anche in questo caso vi sono dei pro e dei contro. Sicuramente vi sono più agevolazioni fiscali rispetto agli enti del terzo settore generico, ma comunque si tratta di una struttura più complessa con:

  • necessità di nominare i sindaci a prescindere dai volumi delle attività commerciali effettuate;
  • necessità di adottare una contabilità ordinaria;
  • approvare il bilancio civilistico e sociale;
  • effettuare la valutazione di impatto sociale.

Tra gli elementi presenti nel Codice del Terzo Settore che sono positivi vi è la possibilità di migrare da un settore all’altro del Registro senza particolari oneri. E’ possibile iscriversi inizialmente come ente del terzo settore generico e passare poi all’Impresa Sociale oppure alle Associazioni di Promozione sociale e viceversa, cioè sono possibili diversi passaggi. Tali passaggi possono essere effettuati senza dover devolvere il patrimonio sociale. Quest’ultimo può essere un vantaggio rispetto alla disciplina corrente, infatti abbiamo visto che l’associazione culturale al momento dello scioglimento deve devolvere il patrimonio ad un’associazione/ ente che abbia finalità simili.