Bonus facciate o ecobonus, quale conviene di più?

Ecobonus o bonus facciate, quale è più conveniente per i lavori edilizi e per le detrazioni fiscali? L’ecobonus, la vecchia agevolazione, nel 2022 è diventata l’alternativa più concorrenziale per chi voglia fare il cappotto termico. Con la riduzione del vantaggio fiscale dal 90% al 60% del bonus facciate a decorrere dal 1° gennaio 2022, come decretato dalle recente legge di Bilancio, l’ecobonus potrebbe rappresentare la soluzione più conveniente. E non solo per la maggiore detrazione fiscale del 65% che, in alcuni casi, può arrivare anche al 70% o al 75%.

Bonus facciate o ecobonus, quali lavori si possono realizzare con il vantaggio della detrazione fiscale?

Il primo vantaggio per un cappotto termico con le detrazioni fiscali è rappresentato, dunque, dalla maggiore percentuale applicata agli sconti edilizi. Tuttavia, la scelta tra bonus facciate ed ecobonus comprende anche altri aspetti. Innanzitutto vanno valutati i lavori che si ha intenzione di fare. È necessario verificare, infatti, che gli interventi realizzabili con il bonus facciate siano detraibili anche con l’ecobonus.

Esempi di interventi che si possono fare con il bonus facciate e non con l’ecobonus

A titolo di esempio, si può usufruire del bonus facciate per interventi semplici non eco relativi al decoro urbano. In questo ambito, i lavori si possono effettuare ai pluviali e alle grondaie. In merito si è espressa l’Agenzia delle entrate con la circolare numero 2/E del 2020. Gli stessi interventi sono più difficilmente detraibili con l’ecobonus. Lo stesso discorso si può fare sui fregi e sugli ornamenti (interpello Agenzia delle entrate numero 411 del 2020), ma anche per rifare il parapetto in muratura dei balconi. Analoga situazione si presenta per la pavimentazione dei balconi o per verniciare le ringhiere in metallo. A tal proposito l’Agenzia delle entrate si è espressa, rispettivamente, con gli interpelli numero 185 del 2020 e numero 673 del 2021.

Quando si può usare l’ecobonus e non il bonus facciate?

Analogamente, alcuni interventi che si possono fare con l’ecobonus non si possono fare con il bonus facciate. È il caso dell’isolamento termico relativo alle facciate confinanti con cortili, cavedi e chiostrine. Su questi interventi, l’Agenzia delle entrate è intervenuta con la circolare numero 2/E del 2020. Stesso discorso può farsi per i terrazzi a livello o per i lastrici solari (interpelli dell’Agenzia delle entrate numero 185 del 2020 e numero 816 del 2021).

Bonus facciate ed ecobonus a confronto per i limiti di spesa ammessi a detrazione

Sui limiti di spesa, la scelta dovrebbe andare a vantaggio del bonus facciate. Infatti, la misura di detrazione fiscale non ha dei tetti di spesa. Tuttavia, è necessario assoggettare la detrazione fiscale al visto di congruità delle spese per gli interventi che abbiano avuto inizio a partire dal 6 ottobre 2020. Il visto è necessario non solo per ottenere lo sconto in fattura o per beneficiare della cessione del credito di imposta, ma anche per la detrazione ai fini della dichiarazione dei redditi.

Ecobonus, i limiti di importo per i lavori effettuati rispetto al bonus facciate

Rispetto al bonus facciate, l’ecobonus ha dei tetti di spesa per gli interventi. Infatti, la detrazione si applica all’Irpef e all’Ires nella percentuale del 65% sul limite di 60 mila euro. Il che corrisponde a un tetto di spesa per l’intervento di 92.307 euro. Ulteriori tetti di spesa sono fissati in 40 mila euro da moltiplicare per ciascuna unità abitativa per i lavori effettuati sulle parti comuni di un condominio.

Ecobonus, i miglioramenti di classe da effettuare per il 70% e il 75% di detrazione fiscale

Sono due i casi in cui si possa rientrare nell’ecobonus del 70% e del 75% di detrazione fiscale. Nel primo caso, è necessario che l’intervento copra più del 25% della superficie disperdente lorda dell’intero immobile; nel secondo caso, oltre a interessare più del 25%, è necessario migliorare la prestazione energetica dell’edificio. Tali prestazioni sono dettate dalle tabelle 3 e 4, dell’allegato numero 1, del decreto del 26 giugno del 2015.

Cappotto termico, meglio l’ecobonus al 65% o il bonus facciate al 60%?

Nel caso di lavori per il cappotto termico, è meglio ottenere l’ecobonus al 65% oppure il bonus facciate al 60%? L’ecobonus conviene, e anche alle imprese che effettuano i lavori. Le imprese, tuttavia, devono prestare attenzione al fatto che il periodo di imposta non debba essere coincidente con l’anno solare. Diversamente, per interventi agevolati con il bonus facciate, il 60% (dal 90% vigente fino al termine del 2021) deve essere applicato alle spese sostenute seguendo il principio della competenza dei costi, nel periodo di imposta del 2022 per i lavori fatti entro il prossimo 31 dicembre.

Bonus facciate o ecobonus per i lavori di pulitura e tinteggiatura esterna della facciata?

Bonus facciate ed ecobonus possono essere utilizzati anche per i lavori di sola tinteggiatura o pulitura esterna delle facciate degli edifici. In questo caso, la differenza di detrazione fiscale va a vantaggio dell’ecobonus sul bonus facciate (il 65% contro il 60%). Tuttavia, nel caso in cui si scelga l’ecobonus è necessario seguire i parametri di risparmio energetico secondo quanto prevede il decreto del ministero per lo Sviluppo Economico del 6 agosto 2020. Il provvedimento riporta i requisiti tecnici da rispettare, nonché le pratiche da ottemperare per l’Ape finale e per la comunicazione all’Enea alla quale va inviata la pratica stessa.

Dichiarazione Iva senza contestazioni, ecco come

Oggi in questa rapida guida ed essenziale ci addenteremo nel mondo della dichiarazione IVA, per scoprirne di più e capire soprattutto come fare dichiarazione IVA senza contestazione. E cosa si rischia, qualora si incappa in una contestazione del documento.

Dichiarazione IVA, di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo dalla base della questione, stabilendo di cosa si tratta, quando parliamo di dichiarazione IVA.

In maniera molto rapida ed essenziale, possiamo dire che la dichiarazione Iva è quel documento fiscale che il professionista deve a presentare all’Agenzia delle Entrate al fine di indicare le operazioni attive e passive in relazione all’anno d’imposta precedente.

Tale documento è costituito da due elementi che vediamo di seguito:

  • un modulo che è costituito da più quadri, sui quali vanno indicati i dati contabili relativi all’attività svolta;
  • un frontespizio con due facciate: una relativa all’informativa sulla privacy e l’altra al codice fiscale e ai dati anagrafici del dichiarante;

Ma a cosa serve la dichiarazione IVA?

In sostanza, tale dichiarazione Iva è necessaria a calcolare le imposte e, quindi capire a quanto ammonta l’Iva da versare o se il contribuente ha diritto ad un credito. Il credito eventuale potrà essere utilizzato in compensazione in base alle seguenti modalità:

  • per crediti Iva fino a 5.000 euro: compensazione libera;
  • per crediti Iva da 5.000 euro a 15.000 euro: la compensazione deve necessariamente essere preceduta dall’invio del modello Iva;
  • per crediti Iva superiori a 15.000 euro: la compensazione deve essere preceduta dall’invio del modello Iva munito del visto di conformità.

Dichiarazione IVA senza contestazioni

Andiamo, dunque a vedere il nocciolo della questione, quello che è lo snodo centrale della nostra guida: ovvero come evitare contestazioni nella dichiarazione IVA.

Nella probabilità in cui la dichiarazione Iva dovesse essere scartata dall’Agenzia delle Entrate, il contribuente, per evitare di incappare nelle sanzioni che vedremo successivamente, può effettuare un nuovo invio del modello entro 5 giorni dalla data di scarto.

In ogni caso, per dribblare eventuali problemi e poter dimostrare che il modello Iva è stato presentato nel rispetto dei termini previsti, si consiglia sempre di conservare sia la comunicazione ricevuta da parte dell’Ente e sia la dichiarazione corretta inviata successivamente.

Sanzioni per dichiarazione IVA errata, cosa si rischia?

In ultimo, ma non ultimo, nel novero della questione, vediamo cosa si può rischiare in caso di dichiarazione IVA effettuata in maniera errata o comunque contestata.

Qualora il contribuente avesse trasmesso la dichiarazione IVA oltre il termine di scadenza andrà incontro al pagamento di determinate sanzioni. Ad esempio, se il modello viene presentato entro 90 giorni dalla scadenza del termine, sarà comunque valido ma è necessario pagare una sanzione da un minimo di 250 euro ad un massimo di 2000 euro. Ad ogni modo, l’invio tardivo della dichiarazione può essere sanato con il ravvedimento operoso cioè pagando una sanzione ridotta di 25 euro.

Invece, la dichiarazione Iva presentata oltre 90 giorni dal termine si considera omessa e comporta l’applicazione delle seguenti sanzioni:

  • dal 120% al 240% dell’ammontare dell’imposta dovuta, con un minimo di euro 250,00, in presenza di debito d’imposta;
  • da 250 euro a 2000 euro se il soggetto effettua esclusivamente operazioni per le quali non è dovuta l’imposta.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla questione relativa alla dichiarazione IVA e come agire in caso di contestazione dell’ invio del modello.

Cartelle esattoriali scadute, ecco la via d’uscita in assenza di rottamazione

Le cartelle esattoriali sono l’incubo di molti contribuenti. Per il 2022 sembra non esserci in vista nessuna rottamazione, ecco cosa fare.

Cartelle esattoriali, la scadenza del 31 marzo 2022

Durante lo scorso anno molte cartelle esattoriali sono state poste a saldo e stralcio e rottamazione. Una misura che sembra essere piaciuta e di cui hanno approfittato molte persone. Mentre per il 2022 sembra non esserci provvedimenti in tal senso. Anche se forse sono molte le forze di governo che spingono in questa direzione.

Infatti tutte le cartelle esattoriali che arriveranno dal primo gennaio al 31 marzo 2022, avranno a disposizione 180 giorni per essere pagate. E quindi non più i soliti 60 giorni, ma circa sei mesi per quelle di gennaio. In questi 180 giorni non sono previsti né interessi e né more di alcun tipo.

Cosa succede se non si pagano le rate?

La pandemia ha portato molti contribuenti ad una situazione di difficoltà economica. Pertanto lo stato ha disposto una dilazione nei pagamenti delle cartelle per permettere a chiunque di mettersi in pari. Una  manovra che è piaciuta a molti contribuenti. Anche se a dire il vero, e nonostante tutto, alcune rate potrebbero non essere state pagate. Cosa succede in questi casi?

Ecco se non si pagano le rate del piano di rateizzazione, decade l’intero piano. Infatti chi non paga perde i benefici previsti dalla definizione agevolata e riprendono a decorrere i termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei carichi oggetto della dichiarazione di adesione. In tal caso i pagamenti effettuati diventano un acconto dell’importo dovuto. Tuttavia l’agente della riscossione prosegue l’attività di recupero, e il pagamento non può essere rateizzato (ai sensi dell’articolo 19 del dpr 602/1973).

Cosa succede se non si paga una sola rata?

Può succedere che non si paghi una sola rata. Ma c’è una via di evitare che il piano venga perso. Infatti entro un breve ritardo ci si può rimettere in carreggiata, attraverso un meccanismo della rateizzazione. Ma ovviamente più lungo è il ritardo più pesanti saranno le conseguenze.

Quindi anche se una rata non viene pagata, anche della rottamazione ter, conviene subito ricorrere a riparare i danni. Le conseguenze principali per il mancato pagamento delle rate sono:

  • uscita dalla sanatoria, se il tardo continua a prolungarsi;
  • il ritorno del carico debitorio pieno delle vecchie cartelle;
  • la decorrenza, quindi, dei termini di prescrizione e decadenza per il recupero dei carichi oggetto della rottamazione.

Infine se si hanno dubbi sulla propria posizione debitoria si può sempre accedere al servizio “Verifica lo stralcio dei debiti nella tua Definizione agevolata“, presso l’Agenzia delle entrate.

 

 

 

 

 

 

Contributi a fondo perduto Marche: fino a 6000 euro per avvio e trasferimento imprese

Entro il 31 maggio 2022 si potranno presentare le domande per il contributo a fondo perduto a favore dell’avvio e del trasferimento delle imprese. L’iniziativa è promossa dalla Regione Marche in collaborazione con la Camera di commercio. Il contributo è rivolto a promuovere e a valorizzare il territorio regionale con l’obiettivo di favorire le attività economiche e l’incremento dell’imprenditorialità, anche nei borghi dell’entroterra.

Chi può presentare domanda per il contributo a fondo perduto della Regione Marche?

Possono presentare domanda per il contributo a fondo perduto i seguenti soggetti:

  • le imprese individuali;
  • le società di capitali;
  • le società di persone;
  • le cooperative;
  • chi voglia avviare una nuova impresa.

Tutti i soggetti che vogliano presentare domanda devono appartenere al settore del commercio con codice Ateco che inizi per 47 (più relative sottocategorie).

Contributo a fondo perduto per il trasferimento della sede o per aprire una nuova unità locale: ecco i requisiti

Nell’ambito del bando della Regione Marche, è possibile ottenere il contributo a fondo perduto per il trasferimento della sede o dell’unità locale. Risulta ammessa anche l’apertura di una nuova unità locale nella quale si svolga l’attività di commercio. I requisiti richiesti riguardano:

  • l’iscrizione e il risultare attivi presso il Registro delle imprese;
  • essere in regola con i versamenti del diritto annuale (ci si può regolarizzare entro 10 giorni al fine di presentare la domanda);
  • non essere sottoposti a fallimento, a concordato fallimentare, a liquidazione coatta amministrativa, a concordato preventivo con effetti liquidatori o ad amministrazione straordinaria;
  • avere in regola i pagamenti inerenti gli obblighi contributivi, assicurativi e assistenziali (verso l’Inps, l’Inail e Cnce);
  • non avere in corso rapporti di fornitura con la Regione Marche per beni e servizio.

Contributi a fondo perduto: ecco cosa bisogna fare per aprire una nuova impresa

Nel caso in cui si voglia aprire una nuova impresa, per presentare richiesta dei contributi a fondo perduto della Regione Marche è necessario che il richiedente non risulti già imprenditore. Infatti, la domanda può provenire da chi risulti disoccupato o inoccupato. Non sono ammessi i percettori del reddito di cittadinanza o di altre modalità di sostegno al reddito. Tale condizione deve sussistere alla data di presentazione della domanda e devono essere mantenuti fino all’erogazione del contributo a fondo perduto.

Contributo a fondo perduto, quali sono gli interventi ammissibili per le nuove attività o per quelle esistenti?

Gli interventi ammissibili ai fini dei contributi a fondo perduto sono relativi:

  • ad avviare una nuova impresa commerciale, purché il codice Ateco inizi per 47 e si sviluppi tra le varie sottocategorie;
  • interventi per una nuova unità locale dell’impresa, al pari appartenente al settore del commercio con codice Ateco 47. In tal caso, la sede deve essere situata in uno dei borghi delle Aree interessate. Il relativo elenco delle Aree interessate è reperibile sul bando dei contributi a fondo perduto della Regione Marche.

Contributi a fondo perduto per quali spese ritenute ammissibili?

I contributi a fondo perduto della Regione Marche vanno a favore delle imprese per incentivare le attività economiche e il ripopolamento dei borghi indicati nelle Aree interessate mediante il trasferimento. Le spese ammissibili sono nell’ordine:

  • quelle di costituzione dell’impresa ovvero l’onorario notarile, le assicurazioni per i rischi;
  • le spese per acquistare le attrezzature, i beni mobili purché siano funzionali all’attività economica;
  • i costi sostenuti per le consulenze tecniche;
  • le spese per frequentare le attività formative;
  • i costi della pubblicità;
  • le spese per acquistare hardware, software, licenze e brevetti;
  • i costi sostenuti per il trasloco;
  • i costi per le certificazioni Emas Ecolabel.

Contributi a fondo perduto imprese, qual è l’entità del finanziamento alle imprese?

Le spese ammesse al contributo a fondo perduto devono essere sostenute tra il 1° dicembre 2021 e la fine di maggio del 2022. L’agevolazione del contributo a fondo perduto è pari al 70% delle spese ammissibili. Il massimo ottenibile (e anche la spesa minima da sostenere per l’avvio o per il trasferimento delle unità produttive) deve essere pari a 5 mila euro. Sono previste delle premialità se la domanda viene presentata da una persona fisica under 36 anni o da una imprenditrice donna (1000 euro in più per un contributo massimo di 6000 euro). La domanda deve essere presentata in via telematica sul sito della Regione Marche.

Contributi a fondo perduto in arrivo: per quali imprese? Ultime notizie

Dal decreto Sostegni Ter, varato il 21 gennaio 2022, arrivano importanti novità per molte imprese, infatti ci saranno nuovi contributi a fondo perduto volti ad aiutare le imprese che più di altre hanno subito gli effetti del protrarsi della pandemia. Ecco le ultime novità

Decreto Sostegni Ter: ecco le attività che possono avere contributi a fondo perduto

I contributi a fondo perduto sono particolarmente apprezzati dalle imprese perché non vi è obbligo di restituzione degli stessi e quindi offrono una certa tranquillità e in questo caso non è necessario neanche effettuare degli investimenti, infatti sono determinati in base alle perdite subite. Il decreto Sostegni Ter istituisce il “Fondo per il rilancio delle attività economiche che, secondo le indiscrezioni, dovrebbe avere un ammontare di 200 milioni di euro. Da ciò che emerge dal decreto, il contributo a fondo perduto dovrebbe andare in favore delle attività che nel 2021 abbiano maturato perdite di fatturato almeno del 30% rispetto al 2019 e con ricavi, sempre nel 2019, non superiori a 2 milioni di euro.

Il decreto Sostegni Ter indica anche i codici ATECO delle attività che possono ottenere tale beneficio:

47.19 (grandi magazzini, commercio al dettaglio), 47.30 (commercio carburante), 47.43 (commercio al dettaglio di apparecchi audio e video), tutte le attività dei gruppi 47.5 (commercio elettrodomestici) e 47.6 (commercio articoli culturali e sportivi), 47.71 (abbigliamento), 47.72 (calzature), 47.75 (erboristerie, profumerie, cosmetici), 47.76 (fiori, animali domestivi, concimi), 47.77 (orologi, gioellerie), 47.78 (mobili, oggetti d’arte, artigianato), 47.79 (antiquariato, articoli di seconda mano), 47.82 (commercio ambulante tessile e calzature), 47.89 (commercio ambuilante altri prodotti)e 47.99  (distributori automatici).

A quanto ammontano i contributi a fondo perduto?

L’importo dei contributi a fondo perduto delle imprese sarà calcolato avendo come riferimento la differenza tra i ricavi del 2019 e quelli del 2021. Sono inoltre indicate delle percentuali, le stesse sono:

  • 60% per imprese con ricavi nel 2019 non superiori a 400.000 euro.
  • 50% per ricavi nel 2019 superiori a 400.000 euro, ma inferiori a 1 milione di euro;
  • 40% per soggetti che nel 2019 hanno dichiarato ricavi superiori a 1 milione di euro e fino a 2 milioni di euro.

Ricordiamo che la percentuale viene però applicata alla differenza tra questi valori.

Contributi a fondo perduto per il settore wedding e tempo libero: ultime notizie

Modalità diverse sono invece riconosciute ad attività del settore wedding e tempo libero in genere, si tratta dei codici ATECO 96.09.05, 56.10, 56.21, 56.30, 93.11.2 , questi potranno ottenere ristoro nel caso in cui la diminuzione di fatturato tra il 2019 e il 2021 sia del 40% e un risultato economico d’esercizio del 2021 inferiore al 30%. Per queste attività sono stanziati 40 milioni di euro.

Dal decreto Sostegni Ter emerge però che se il fondo disponibile non dovesse essere sufficiente a coprire gli importi così calcolati, gli stessi saranno proporzionalmente ridotti.

La domanda dovrà essere presentata al MISE, ma attualmente ancora non sono disponibili le modalità operative, si dovrà attendere ancora qualche giorno.

Discoteche, sale da ballo e turismo

Il decreto Sostegni Ter non prevede solo contributi a fondo perduto per le imprese, ma anche la sospensione dei versamenti fiscali e contributivi in favore delle imprese che hanno avuto perdite a causa delle sospensioni dovute all’emergenza Covid, si tratta di discoteche e sale da ballo.

Importanti novità vi sono anche per il settore del turismo che potrà ottenere un credito d’imposta pari ai costi di locazione versati da gennaio a marzo 2022. Tale credito viene riconosciuto se vi è una riduzione del fatturato di almeno il 50% tra i mesi in corso rispetto allo stesso periodo del 2019.

I contributi a fondo perduto per le imprese non sono l’unica novità prevista dal decreto Sostegni ter, infatti si è provveduto anche a istituire un fondo per gli indennizzi danni da vaccino Covid. Per saperne di più si consiglia la lettura dell’articolo: Indennizzi danni da vaccino Covid: il Governo stanzia i fondi

Congedo straordinario legge 104: a chi spetta e come richiederlo

Il congedo straordinario legge 104 è un particolare periodo di aspettativa retribuita della durata di 24 mesi che può essere richiesto da familiari di persone con disabilità ai sensi della legge 104/92.

Chi può chiedere il congedo straordinario legge 104?

Il congedo straordinario legge 104 è disciplinato da D.lgs. 26.03.2001 n.151, art. 42 come modificato dal D.lgs. 119/2011 ed è riservato a lavoratori del settore privato e del settore pubblico. Affinché sia possibile avvalersene è necessario che nel verbale sia specificato che si tratta di “Persona con handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, Legge 104/1992)” .

Si è detto che il congedo straordinario legge 104 spetta ai familiari, in realtà non è richiedibile in modo generico da essi, ma secondo in preciso ordine. Ora vedremo qual è.

Possono richiedere questa misura:

  • il coniuge convivente o parte dell’unione civile;
  • il padre o la madre della persona colpita da grave disabilità, naturalmente può trattarsi anche di figli adottivi, affidatari, figli nati in costanza di matrimonio o in assenza di matrimonio, insomma sono parificati tutti i figli. Il padre o la madre possono però richiedere di assistere solo se non ci sia un coniuge, ad esempio perché il soggetto colpito da patologia non sia mai stato sposato, oppure nel caso in cui il coniuge sia impossibilitato ad occuparsene, ad esempio perché gravemente malato;
  • uno dei figli conviventi della persona malata, in questo caso si deve comunque essere in una situazione di assenza di coniuge o parte dell’unione civile o sua impossibilità a occuparsene e in assenza è impossibilità ad occuparsene da parte dei genitori. Nel caso in cui il figlio non sia convivente al momento della richiesta deve comunque instaurare una convivenza con il genitore che ha bisogno di tutela.
  • fratelli e sorelle del soggetto colpito da disabilità, in questo caso l’assenza o impossibilità deve riguardare: coniuge convivente o parte dell’unione civile, genitori del disabile e figli conviventi del disabile;
  • un parente o affine entro in terzo grado, ma solo in assenza o impossibilità per gravi motivi di salute di uno dei soggetti già visti. Parenti e affini entro il terzo grado sono i nipoti, suoceri, generi, nuore, pronipoti, zii, bisnonni.

 

Come presentare la domanda per il congedo straordinario legge 104

Il congedo straordinario legge 104 prevede quindi una scala gerarchica ben precisa di soggetti che possono avvalersene per occuparsi del disabile grave. Non si può ottenere tale congedo nel caso in cui il disabile sia ricoverato presso strutture. Il congedo straordinario è pagato dal datore di lavoro e poi rimborsato a questi dall’INPS. Può essere goduto in maniera frazionata anche a giorni, ma in questo caso i festivi non sono calcolati nel computo.

La domanda per accedere al congedo straordinario legge 104 deve essere presentata telematicamente sul sito INPS attraverso la voce “Invio OnLine di Domande di Prestazioni a Sostegno del Reddito” . Può inoltre essere presentata attraverso il CAF o patronati, oppure attraverso il contact center al numero 803164 da telefono fisso (gratuito) e 06164164 (a pagamento secondo il proprio piano tariffario). I tempi per la lavorazione della domanda sono di circa 30 giorni, nel rispetto della legge n. 241/1990.

Una volta approvata l’istanza il lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per 2 anni che possono essere goduti anche in modalità frazionata. Il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione avendo come riferimento lo stipendio dell’ultimo mese antecedente rispetto alla richiesta del congedo straordinario legge 104.

Il periodo di congedo non viene calcolato in riferimento alla maturazione delle ferie, tredicesima e TFR. Sono invece coperti da contributi figurativi e quindi sono validi al fine della maturazione del diritto alla pensione e al calcolo dell’assegno pensionistico. E’ previsto un tetto massimo di retribuzione per il congedo straordinario legge 104, questo viene determinato di anno in anno. Per il 2021 l’importo previsto era di 48.737 euro questa somma deve coprire sia il costo della contribuzione che quello della retribuzione, quindi possono esservi leggere ripercussioni per coloro che dovessero avere un “costo” ulteriore rispetto a tali somme.

Lavoratori che non possono richiedere il congedo straordinario legge 104

L’INPS sottolinea che non possono richiedere il congedo straordinario legge 104 alcune categorie di lavoratori, in particolare si tratta di:

  • lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari;
  • lavoratori a domicilio;
  • addetti ai agricoli giornalieri;
  • i lavoratori autonomi;
  • i lavoratori parasubordinati;
  • dipendenti con contratto di lavoro part-time verticale , durante le pause di sospensione contrattuale.

Il congedo straordinario è solo una delle misure di cui possono avvalersi i lavoratori che si trovano a dover far fronte a periodi “difficili”. Per conoscere gli altri strumenti disponibili si possono leggere gli approfondimenti:

Congedi per padri lavoratori e tutela della paternità: la disciplina

Lavoro: quando si può chiedere l’aspettativa retribuita e non retribuita

Nuovi strumenti di aiuto per famiglie e imprese indebitate

In tempi di crisi e di imprese indebitate, andiamo insieme a scoprire quali possono essere quei nuovi strumenti utili all’aiuto di famiglie e imprese che non se la passano bene. Scopriamolo assieme, nella guida di seguito.

Il quadro generale per i nuovi strumenti di aiuto

Stando al decreto legge giustizia del 5 agosto 2021 vi è il rinvio al prossimo 16 maggio 2022 l’entrata in vigore del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, e addirittura al 31 dicembre 2023 l’applicazione delle misure d’allerta. Ha inoltre previsto, dal 15 novembre, una nuova procedura negoziale di composizione della crisi.

Vediamo, invece come si presenta il Decreto Ristori che gioca di anticipo l’entrata in vigore di alcune novità del Codice per andare in aiuto alle famiglie e agli imprenditori in crisi per situazioni debitorie insostenibili:

  • le procedure per rientrare dai debiti diventano più accessibili ed efficaci;
  • viene introdotto il “sovraindebitamento familiare”;
  • viene ammessa la domanda del debitore incapiente;
  • viene sanzionato il creditore che aggrava la situazione di indebitamento.

Le norme si applicano anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 176/2020 del Decreto Ristori (pubblicata in G.U. il 24 dicembre 2020) ed entrata in vigore il 25 dicembre 2020, modificando la legge n.3/2012 sulle crisi da sovraindebitamento. Le norme sono indirizzate a facilitare l’accesso alle procedure per gestire il debito, previste dalla legge e si pongono l’obiettivo di intervenire in un momento  delicato come quello attuale, generato dalla pandemia da Coronavirus.

Sovraindebitamento, a chi spetta

Dunque, al sovraindebitamento familiare possono accedere le seguenti categorie:

  • i consumatori: nella definizione di consumatore vi rientrano anche gli eventuali soci di una società di persone, purché il suo sovra-indebitamento sia inerente solo a debiti personali;
  • l’imprenditore agricolo;
  • la cd. start-up innovativa;
  • l’ex imprenditore;
  • lo studio professionale;
  • tutte le altre (piccole) imprese non fallibili (che, cioè, rientrano nella “soglia fallimentare”).

Debito familiare, a chi spetta

Ci troviamo dinnanzi ad un ampliamento della platea dei beneficiari che introduce il “debito familiare”:

  • la possibilità che i membri della stessa famiglia presentino un’unica procedura di composizione della crisi di sovraindebitamento, se conviventi, o quando la situazione di crisi ha un’origine comune;
  • vanno considerati familiari i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, le parti dell’unione civile e conviventi di fatto.

Va detto che la norma dovrà evitare superflue ripetizioni di adempimenti procedurali e, quindi, ridurre i costi che in questo modo vengono suddivisi tra i vari soggetti sovraindebitati, in proporzione ai rispettivi debiti.

Meritevolezza e esdebitazione

Vediamo quali sono le condizioni oggettive di meritevolezza e quali sono le possibilità di esdebitazione del debitore incapiente:

  • il debitore-consumatore deve essere  meritevole, ovvero non deve avere determinato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode;
  • il debitore-imprenditore, per accedere all’accordo di composizione, non deve aver commesso atti  diretti a frodare le ragioni dei creditori.

Stando alla Legge di conversione del Decreto Ristori, dunque risulta possibile l’esdebitazione per il debitore totalmente incapiente, ovvero quella persona fisica che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità neppure in prospettiva futura, purché:

  • risulti meritevole (come visto poco sopra)
  • venga fatto l’obbligo di pagamento del debito entro un tempo di 4 anni, qualora sopravvengano utilità rilevanti che consentano di soddisfare i creditori almeno per il 10%.

Creditori e sanzioni

Ma quali sono le sanzioni per i creditori che non rispettano le verifiche del caso verso i propri debitori?

Il creditore che ha colpevolmente determinato o aggravato la situazione di sovraindebitamento non potrà quindi:

  • esporre osservazioni al piano;
  • esporre reclami verso l’omologazione;
  • far valere eventuali cause di inammissibilità a patto che non derivino da comportamenti dolosi del debitore.

Tempi e procedure di sovraindebitamento

Andiamo in ultimo a vedere quali possono essere i tempi e le procedure.

Vediamo, quindi in breve, come funziona la situazione di sovraindebitamento:

  • il debitore presenta una proposta per il rientro del debito o per la liquidazione del patrimonio;
  • il gestore della crisi, ovvero l’esperto nominato dall’OCC va ad analizzare la situazione debitoria e la attesta in una relazione;
  • il Tribunale, stando ad istanza del debitore, potrà omologare la proposta oppure rigettare l’istanza.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla situazione di nuovi strumenti in aiuto e a sostegno di famiglie e imprenditori indebitati.

SRL semplificata, quanti soci può avere?

Oggi in questa rapida guida, andremo ad addentrarci nel mondo delle SRL, per comprendere e approfondire cosa vuol dire una SRL semplificata e quanti soci può avere al suo interno. Scopriamone di più nei prossimi paragrafi.

SRL semplificata, cosa vuol dire

Innanzitutto, partiamo dalle basi, definendo cosa si intende per SRL e cosa vuol dire SRL semplificata. La SRL può essere una società unipersonale, ovvero costituita anche soltanto da un unico socio.

La società a responsabilità limitata semplificata (ovvero Srls) è una società di capitali e quindi, a differenza dell’impresa individuale e delle società di persone, garantisce un’autonomia patrimoniale perfetta.

Questo va a significare che:

  • i soci non sono tenuti a pagare i debiti con i propri beni personali e non sono obbligati a prestare i propri soldi alla società;
  • in caso di difficoltà economiche, e quindi di impossibilità di pagare i debiti (“insolvenza”), la società può fallire, ma i soci (o il socio unico) non sono trascinati nel fallimento;
  • prevale la volontà di chi ha una maggiore partecipazione al capitale sociale.

Le società a responsabilità limitata semplificate a socio unico sono state istituite per dare, a chiunque ne abbia i requisiti, la possibilità di poter fondare una Srls anche senza la collaborazione di altre persone.

Stando a questo modo, è possibile usufruire dei vantaggi offerti da una Srls, tra cui spiccano soprattutto il fatto che i costi iniziali e il capitale necessario per la sua apertura sono ridotti, oltre al dettaglio non trascurabile costituito dalla limitazione della responsabilità, in caso di debiti, al capitale versato, in questo caso dal socio unico.

In ultimo, a differenza del titolare di una ditta individuale, il socio unico di una Srls ha la possibilità assumere dipendenti per lo svolgimento delle attività che costituiscono lo scopo della società.

Quanti soci può avere una Srls?

Quindi, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, una Srl semplificata può avere anche un unico socio.

Non c’è nessuna legge che vieta al socio unico di una Srl semplificata unipersonale di essere amministratore della stessa azienda; anzi, al contrario, in passato l’amministrazione di questo tipo di società era riservato esclusivamente ai soci. Nel non troppo lontano 2013 è stata, anzi, apportata una modifica all’ordinamento giuridico, grazie alla quale adesso l’amministrazione delle Srls può essere affidata anche a individui terzi estranei alla società.

Quale è la differenza tra socio ed amministratore?

La differenza fondamentale fra un socio e un amministratore è che quest’ultimo può non essere responsabile degli eventuali debiti contratti dall’azienda. Questa cosa costituisce sostanzialmente una contraddizione, in quanto a conti fatti è proprio l’amministratore a definire le strategie che esso reputa più adatte per la gestione dell’azienda in modo da farla prosperare.

Tuttavia, la la legge italiana non ha ancora impugnato provvedimenti in merito. Nell’eventualità di cattiva gestione, tutto ciò che i soci o il socio possono fare, è sostituire l’amministratore o gli amministratori della società.

Responsabilità amministratore di Srl semplificata

In ultimo, ma non ultimo, per approfondire la questione in merito alle Srls, vediamo che responsabilità può comportare ad un amministratore socio della azienda che rischia il fallimento.

Stando alla legge italiana, nel caso di fallimento di una società a responsabilità limitata che non può far fronte ai propri debiti solamente con il proprio capitale, è possibile proporre un’azione di responsabilità nei confronti di eventuali soci amministratori, qualora vengano ritenuti, appunto, responsabili in quanto i debiti sono stati causati dalla cattiva gestione dell’azienda.

In caso in cui la colpa o il dolo dell’amministratore fossero confermati da una sentenza del tribunale, i creditori possono arrivare a rivalersi su di lui anche per ciò che riguarda il patrimonio privato, ovvero gli eventuali immobili e i beni personali che non sarebbero, invece, intaccati nel caso dell’esclusiva responsabilità limitata.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla Srl semplificata e alle possibilità di amministrazione dei suoi soci o del singolo socio.

Progetto Nocciola Italia: le opportunità per l’agricoltura di questa filiera

Progetto Nocciola Italia è un progetto di sviluppo rurale che si estende dal Nord al Sud e che offre importanti opportunità a coloro che decidono di investire nella produzione di nocciole di qualità. Il piano prevede l’incremento delle piantagioni del 30% entro il 2025, ci sono quindi ancora molte probabilità di sviluppo e di rientrare nel progetto.

I contratti di filiera in agricoltura

Sappiamo tutti che il reddito degli agricoltori non è in linea con quello generalmente percepito dalle altre categorie di lavoratori e imprenditori, a ciò si aggiunge che spesso calamità naturali e intemperanze meteorologiche mettono a rischio il raccolto. L’Unione Europea prevede una serie di aiuti volti ad adeguare il reddito derivante dall’agricoltura a quello delle altre attività e lo fa tramite la PAC, ma buone opportunità arrivano agli agricoltori anche dai contratti di filiera, come la filiera del grano. Negli ultimi anni a questa si aggiunge la filiera della nocciola con il Progetto Nocciola Italia, che vuole sostenere la produzione italiana al fine di far fronte al fabbisogno delle aziende dolciarie italiane e in particolare Ferrero che fa largo uso di questo particolare frutto della coricoltura. I contratti di filiera mirano a produzioni mirate, quindi senza esuberi e rischi di invenduto e soprattutto consentono di avere buoni guadagni.

Progetto Nocciola Italia: chi può accedere?

Possono accedere al Progetto Nocciola Italia i soggetti che abbiano la disponibilità di almeno 3-4 ettari di terreno. Al verificarsi di questa condizione è possibile rivolgersi a una delle organizzazioni locali dei produttori di frutta a guscio e proporre quindi il proprio terreno per la piantumazione di nocciole.

Una volta intrapreso l’iter, i responsabili del Progetto Nocciola Italia esamineranno il terreno e le caratteristiche climatiche della zona. Se le stesse sono considerate compatibili con una produzione di qualità, si può procedere oltre. Ferrero non si interfaccia con il singolo produttore ma con l’organizzazione dei produttori locali, in genere questi si occupano di una media di 400 – 500 ettari nelle singole zone.

A coloro che decidono di aderire si sssicura un contratto di fornitura della durata di 15 anni, naturalmente in seguito il contratto può essere prorogato. Il coltivatore dovrà conferire a Ferrero il 75% del raccolto, ciò per far in modo che una fetta della produzione resti comunque disponibile per il mercato. Potrà comunque decidere di offrire anche l’ulteriore 25% a Ferrero.

Come viene determinato il prezzo delle nocciole?

Fin dall’inizio del contratto il coltivatore conosce il prezzo minimo per le nocciole, lo stesso può poi essere soggetto ad aumento in base alla qualità e alle quotazioni del mercato. La tutela del prezzo minimo è però una buona garanzia per chi si occupa di agricoltura. Il prezzo minimo prende il via avendo in considerazione i costi di produzione, a cui si aggiunge il mark up. Inoltre viene calcolato al 30% sull’indice dei prezzi della Turchia (primo produttore al mondo di nocciole per quantità e primo fornitore di Ferrero).

Il prezzo finale sarà determinato anche dalla percentuale del cimiciato, cioè nocciole rovinate che non possono essere immesse sul mercato. Tra i fattori che incidono sul prezzo finale vi sono anche la varietà di nocciola piantumata, la pelabilità della stessa, la rotondità. Insomma maggiore è la qualità e maggiore sarà il prezzo finale. Il prezzo base dovrebbe comunque essere intorno a 1,94 euro al kg, che vuol dire 194 euro al quintale.

Cosa prevede il Progetto Nocciola Italia

Uno dei vantaggi di questo contratto è dato dal fatto che il produttore riceve assistenza anche per il raccolto, infatti l’organizzazione dei produttori locali mette a disposizione le macchine per il raccolto. Non sarà quindi necessario un investimento da parte dell’agricoltore.  Il suo lavoro termina con la consegna delle nocciole. Lo stoccaggio, l’essiccazione e i vari trattamenti successivi sono a cura dell’Organizzazione dei Produttori locali. Inoltre deve essere sottolineato che l’agricoltore può essere aiutato anche nella fase dell’impianto, cioè viene fornito il know how migliore per realizzare impianti efficienti e a basso impatto ambientale. Tale forma di consulenza è completamente gratuita e mira ad avere un prodotto di elevata qualità.

Contributi, agevolazioni e aiuti

La resa di un noccioleto solitamente è di circa 20-30 quintali per ettaro, ma si deve considerare che per i primi 5 anni non vi è raccolto. Proprio per questo è disponibile, per chi aderisce al Progetto Nocciola Italia, un finanziamento con restituzione degli importi solo dal momento del primo raccolto. Per la piantumazione delle nocciole è possibile accedere anche alle agevolazioni previste dalla normativa italiana e da quella regionale, come ad esempio quelli messi a disposizione dalla regione Umbria, ecco perché questa coltivazione può essere particolarmente conveniente.

Chi dovesse decidere di impegnarsi in questo settore potrà anche avvalersi delle varie agevolazioni previste per le aziende agricole, come l’esenzione dall’IRAP e agevolazioni per le assunzioni, oppure per i giovani imprenditori agricoli.

Per saperne di più sulle agevolazioni previste per l’agricoltura, leggi:

Aziende agricole: reso noto il Piano Strategico Nazionale per la PAC 

Esenzione IRAP in agricoltura: a quali aziende si applica?

 

 

Pensioni anticipate 2022: tra novità e proroghe che misure restano?

Il sistema previdenziale italiano su cui si attendeva una profonda riforma, resta ancora agganciato a quanto previsto dalla legge Fornero nel 2011. Infatti la legge di Bilancio non ha introdotto sostanziali novità sulle pensioni, se si esclude una nuova misura, la quota 102, che però è una riproposizione di quota 100, con una età pensionabile più elevata.

Per il resto, tutto come prima, perché altre due misure che scadevano il 31 dicembre 2021 come la quota 100 poi cessata, sono state invece prorogate. Parliamo di Ape sociale e Opzione donna. Ma non sono solo queste le misure di pensionamento anticipato che saranno fruibili nel 2022. Ecco una dettagliata guida alle varie possibilità.

Pensioni 2022, i canali ordinari

Che la legge Fornero sia tutt’oggi viva e vegeta in materia previdenziale è un dato oggettivo. Infatti dal 2011 le due misure ordinarie sono rimaste la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata. Quest’ultima fu introdotta proprio dalla legge Fornero in sostituzione della pensione di anzianità. E come la precedente, anche la pensione anticipata è rimasta slegata da qualsiasi collegamento a limiti di età dei potenziali beneficiari.

Nel 2022 con la pensione anticipata ordinaria si può lasciare il lavoro con 41 anni e 10 mesi di contributi versati per le donne e con 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Pochi i vincoli, perché come detto non esistono limiti anagrafici. I contributi utili sono tutti quelli a qualsiasi titolo versati, ma di questi, 35 anni devono essere effettivi, ovvero al netto dei contributi figurativi da disoccupazione indennizzata o da malattia.

L’altra misura canonica del sistema è la pensione di vecchiaia ordinaria. Bastano 20 anni di contributi versati e una età pensionabile di 67 anni. In questo caso zero differenze di genere e pochi vincoli, con la contribuzione utile che è quella a qualsiasi titolo versata.

La nuova quota 102

Nel 2022 e solo per il 2022, ecco la quota 102. Una misura che ricalca fedelmente la quota 100, di cui si differenzia solo per l’età minima di uscita che passa dai 62 anni ai 64 anni. Con la quota 102 si può lasciare il lavoro se nel corso del 2022 si completano le combinazioni 64+38, 65+38 o 66+38, dove il 38, numero comune a tutte e tre le combinazioni, è quello degli anni di contribuzione necessaria.

La stessa età contributiva di quota 100  quindi. Ma la vecchia misura aveva due combinazioni in più, cioè 62+38 e 63+38. Chi è riuscito a completare queste due combinazioni entro il 31 dicembre del 2021, potrà beneficare ancora di quota 100. Infatti chi si trova in questa condizione può beneficiare della cristallizzazione dei requisiti.

Anche in questo caso 35 dei 38 anni di versamenti contributivi necessari devono essere effettivi. La pensione prevede le finestre di uscita.  I lavoratori del settore privato vedono la decorrenza della prestazione partire 3 mesi dopo la data di maturazione dei requisiti. I lavoratori del settore pubblico invece devono aspettare 6 mesi dalla maturazione del diritto per il primo rateo di pensione. Solo nel comparto scuola le finestre non incidono. Questo perché in quel particolare settore i pensionamenti sono collegati all’anno scolastico e non all’anno solare o alla data di maturazione dei requisiti.

Confermato per la misura, anche il divieto di cumulo con redditi da lavoro ad esclusione dei redditi da lavoro autonomo occasionale fino al tetto massimo di 5.000 euro per anno. Il divieto di cumulo resta in vigore fino al compimento dei 67 anni di età.

La pensione anticipata contributiva, via dal lavoro a 64 anni

Se 64 anni è l’età minima per la quota 102, lo è anche per una misura strutturale del sistema, la pensione anticipata contributiva. La misura, destinata a chi è privo di versamenti nel sistema retributivo, è condizionata da una serie di fattori.  Primo tra tutti lo status di contributivo puro.

Va ricordato che per contributivo puro si intende quel lavoratore la cui carriera è iniziata dopo il 31 dicembre 1995. Si tratta dell’ultimo anno prima dell’avvento della riforma delle pensioni di Lanfranco Dini e del suo sistema contributivo.

Per avere accesso alla pensione anticipata contributiva occorre:

  • Non avere versamenti di qualsiasi genere ed a qualsiasi titolo prima del 1°gennaio 1996;
  • Avere almeno 64 anni di età compiuti;
  • Avere almeno 20 anni di contribuzione previdenziale versata;
  • Ottenere una pensione liquidata alla data di uscita, pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale valido per l’anno in cui si lascia il lavoro (più o meno 1.290 euro al mese di pensione lorda).

Ape sociale 2022, le pensioni a 63 anni

Una delle misure che permettono uscite anticipate è senza dubbio l’Ape sociale. Si tratta dell’Anticipo pensionistico a carico dello Stato, che consente uscite già a partire dai 63 anni di età. La misura è destinata a quattro categorie di potenziali beneficiari. Infatti abbiamo:

  • Disoccupati;
  • Caregivers;
  • Invalidi;
  • Lavori gravosi.

Per i disoccupati servono:

  • Almeno 63 anni di età;
  • Almeno 30 anni di contributi;
  • Almeno 3 mesi di distanza dall’ultima rata di Naspi percepita.

Per gli invalidi servono sempre non meno di 63 anni di età e 30 di contributi. Va sottolineato però che è necessario un grado di invalidità certificata dalle competenti commissioni mediche Asl superiore al 74%. Per i caregivers, cioè per i soggetti con parenti disabili, a carico e conviventi, con invalidità superiore al 74%, stessa età e stessi contributi. Alla pari di disoccupati e invalidi, servono 63 anni di età e 30 anni di contributi. Però è necessario che l’assistenza al parente disabile deve essere partita almeno 6 mesi prima della domanda di pensione.

I lavori gravosi e l’Ape sociale, novità 2022

Diversa la carriera richiesta per i lavori gravosi. Ed è proprio lo spaccato dei lavori gravosi  la grande novità dell’Ape sociale 2022. Infatti alle 15 categorie di lavoro gravoso previste fino al 2021, ne hanno aggiunte altre. È il frutto del lavoro di una commissione tecnica incaricata dal Ministero del Lavoro di valutare quali e quante attività gravose esistono nel nostro sistema lavoro.

Prendendo a riferimento, soprattutto la cadenza delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro, la commissione ha determinato una graduatoria da cui attingere per determinare le altre attività di lavoro gravoso a cui aprire le porte dell’Ape sociale. Per i lavori gravosi, fermo restando il limite dei 63 anni di età da cui si può iniziare ad andare in pensione, l’età contributiva minima è fissata in 36 anni. Solo per edili e ceramisti invece, si parte dai 32 anni di contributi versati.

È necessario che l’attività gravosa sia stata svolta per 7 degli ultimi 10 anni di lavoro o per 6 degli ultimi 7. L’Ape sociale è misura che non prevede tredicesima. Inoltre, si tratta di misura che non da diritto alle maggiorazioni, agli assegni familiari e non è reversibile. Inoltre è una misura temporanea, che accompagna il lavoratore ai 67 anni di età utili alla pensione di vecchiaia.

Quota 41 per i precoci, misura strutturale

L’estensione delle attività gravose non vale per la quota 41. Per la misura la platea resta quella valida fino al 31 dicembre 2021. E sono gli stessi disabili, caregiver e disoccupati di cui parlavamo prima per l’Ape sociale. Ma la quota 41 può essere appannaggio pure  dei lavori gravosi, limitatamente alle 15 attività previste fino al 31 dicembre appena trascorso.

Per la misura non esistono limiti di età come per le pensioni anticipate ordinarie. Servono però 41 anni di contributi, di cui 35 effettivi (senza figurativi per disoccupazione e malattia) e di cui uno versato prima dei 19 anni di età, anche in maniera discontinua.

Opzione donna 2022

Altra misura che ha trovato una estensione nella legge di Bilancio per tutto il 2022 è l’Opzione donna. Il regime sperimentale contributivo per le donne per il 2022 riguarda le lavoratrici dipendenti e le lavoratrici autonome, che hanno completato entro il 31 dicembre 2021, rispettivamente 58 o 59 anni di età con almeno 35 anni di contributi versati.

La misura resta contributiva, ovvero, le lavoratrici devono accettare il ricalcolo completamente contributivo della loro pensione. Inoltre, finestra di 12 mesi per le dipendenti e di 18 mesi per le autonome.

Le pensioni anticipate per i notturni e usuranti anche nel 2022

Un capitolo a parte in materia di pensioni anticipate va fatto per lo scivolo usuranti. Si tratta di una misura che consente, a determinate e particolari categorie, di accedere alla quiescenza con 61 anni e 7 mesi di età, con 35 anni di contributi versati e con contestuale completamento della quota 97,6. Misura che riguarda alcune particolari categorie di lavoratori, come i palombari o i lavoratori del vetro cavo per esempio, ma anche alcune categorie piuttosto comuni come gli operai delle linee a catena o gli autisti dei mezzi di trasporto pubblico.

Dentro lo scivolo usuranti anche i lavoratori notturni, ma con quota ed età variabili in base al numero di notti lavorate ogni anno. E per notti si intendono le attività lavorative effettuate tra le ore 00:00 e le ore 05:00 del mattino.

Pensioni di vecchiaia, anche la anticipata per invalidi

Ultima misura, ma probabilmente quella che più riesce a far anticipare la pensione ai lavoratori, è la pensione di vecchiaia anticipata con invalidità pensionabile. Infatti con una invalidità pensionabile almeno all’80%, possono accedere alla pensione con una finestra di 12 mesi, gli uomini con 61 anni di età e le donne con 56 anni di età.

L’invalidità pensionabile però è differente dalla invalidità civile certificata dalla commissioni mediche per le invalidità civili delle Asl. Infatti è necessario che l’invalidità sia con riduzione della capacità lavorativa e certificata dalle commissioni mediche accertatrici dell’Inps.