Le regole dell’Inps sul calcolo dell’importo dell’assegno di reversibilità: la guida

Al decesso di un pensionato al coniuge superstite e in alcuni casi a determinati parenti, spetta la pensione di reversibilità. Si tratta di un assegno mensile che viene erogato alla vedova o ad altri eredi nel momento in cui un proprio parente muore. Le regole e la normativa vigente in materia è assai particolare. Infatti non sempre tale pensione spetta per intero come normativa prevede. Molto dipende dalla condizione reddituale di chi sopravvive al pensionato. Ed ogni anno come prassi l’Inps adegua i limiti reddituali utili alla fruizione della misura.

Compatibilità con redditi da lavoro per l’assegno di reversibilità

Una cosa che pochi considerano in materia di pensioni di reversibilità non è l’incompatibilità tra la prestazione ai superstiti e il lavoro proprio, che è assolutamente possibile, ma l’incidenza del proprio reddito sull’entità dell’assegno. A prescindere dalla tipologia di pensione che il defunto ha lasciato ai superstiti la cumulabilità della prestazione pensionistica con i redditi del lavoro è un fattore determinante. Al contrario della pensione di vecchiaia della pensione anticipata che sono perfettamente cumulabili con i redditi da lavoro e non subiscono l’incidenza del reddito, nella pensione di reversibilità anche se deriva da quelle due misure viene l’importo è determinato proprio in virtù del reddito prodotto dell’attività lavorativa.

Le condizioni da rispettare per un assegno intero

Esistono però delle condizioni da rispettare, perché la pensione di reversibilità, a differenza di ciò che la legge prevede per le pensioni di vecchiaia o per le pensioni anticipate, è influenzata e di molto dal reddito da lavoro del beneficiario di questa prestazione ai superstiti. I redditi del superstite oltre che sul diritto alla prestazione incidono anche sull’importo della stessa. Proprio il reddito dei superstiti determina l’importo della pensione di reversibilità spettante. Molti eredi non considerano che la pensione di reversibilità è collegata all’importo del trattamento minimo Inps. Il trattamento minimo Inps per il 2022 è pari a circa 524 euro. Ed è proprio questa la cifra da cui scaturisce il calcolo della reversibilità spettante ad un erede. Infatti quando si verifica il decesso di un pensionato o in alcuni casi anche di un lavoratore assicurato ma non ancora pensionato, sia il coniuge che alcuni altri familiari possono beneficiare del trattamento pensionistico.

Le cose a cui prestare attenzione

Occorre però rispettate delle condizioni reddituali. La vedova che lavora deve fare riferimento al trattamento minimo Inps. Proprio la natura della pensione di reversibilità impone l’applicazione di queste rigide regole. Infatti la prestazione non è altro che la tutela che sistema pensionistico italiano da ai familiari più stretti di un defunto. Mettendo a rischio la continuità reddituale di una famiglia infatti la morte di un pensionato viene tutelata dalla pensione di reversibilità. In genere la pensione di reversibilità spetta al coniuge superstite. La pensione di reversibilità al coniuge superstite erogata anche se quest’ultimo lavora.

I tagli della pensione di reversibilità

Nulla cambia se il coniuge superstite o l’eventuale familiare superstite con diritto alla reversibilità, hanno un lavoro autonomo o sono lavoratori dipendenti. Ciò che incide sull’assegno di reversibilità è il reddito, anche da lavoro. Sull’assegno di reversibilità potrebbe scattare una riduzione di importo in base al reddito del superstite. Un autentico taglio di importo che varia al variare dei redditi da lavoro del superstite beneficiario dell’assegno di reversibilità. L’importo della reversibilità, che per il coniuge superstite è in genere il 60% della pensione del defunto, è intero solo con redditi del superstite fino a 20.436 euro. Si tratta di quello che in gergo tecnico si chiama reddito fino a tre volte il trattamento minimo. Se invece il reddito è superiore a 3 volte e fino a 4 volte, cioè tra 20.436 e 27.248 euro, il 60% della pensione del defunto viene tagliata del 25%. Per i redditi più alti di 27.248 euro, e fino alle 5 volte il trattamento minimo che è pari a 34.060 euro, il taglio diventa del 40%. Infine per i redditi più alti la riduzione è pari alla metà.

Nessun taglio per superstiti particolari sull’assegno di reversibilità

Anche in presenza di nuclei familiari superstiti con redditi oltre le soglie prima citate, non si applicheranno tagli e riduzioni in determinati casi. Nel caso in cui oltre al coniuge superstite sono presenti altri eredi, e quindi altri superstiti titolari del diritto alla prestazione, la riduzione di importo non si materializza se trattasi di figli minori di 18 anni o maggiori ma con problemi di invalidità. Per nuclei familiari così compositi nessun taglio di assegno è previsto.

Coniugi con residenze diverse, come comunicare la prima casa

Coniugi con residenze diverse, devono comunicare quale sia la prima casa e la seconda ai fini dell’Imu, ecco come fare.

Coniugi con residenze diverse, dal 1 gennaio occorre scegliere la prima casa

Prima del primo gennaio 2022 non era infrequente trovare due persone, che se per vivendo insieme, avevano la residenza in due immobili diversi. Questo permetteva di avere due immobili, e non pagare l’Imu in entrambi, se il marito avesse residenza in un appartamento e la moglie in un altro. Perché com’è noto non si paga l’Imu sulla prima casa, e per dimostrare questo , occorreva portare la residenza.

Ci si è reso conto che questo sistema permetteva di eludere il pagamento della tassa comunale. Infatti molti davano immobili, facevano trasferimenti di proprietà proprio per godere di questo meccanismo. Ma la legge 215/2021 ha cambiato le regole del gioco. Ed ha anche chiarito che la coppia può godere di un’unica esenzione anche quando si hanno residenze in comuni differenti.

Il testo normativo e la scelta della prima casa

Il nuovo testo, in vigore dal 1° gennaio 2022 stabilisce infatti che:   “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare“.

A questo punto è chiaro che i coniugi devono scegliere e comunicare un unico immobile su cui godere delle agevolazioni prima casa. Dunque la scelta dell’immobile da considerare come prima casa va comunicata al Comune con il documento di Dichiarazione IMU. Ma nulla da temere per gli anni passati, infatti sembra che la legge non abbia effetti retroattivi. Ma attenzione a dichiarare il vero, perchè si potrebbero disporre “controlli” sui consumi per verificare la dichiarazione.

Coniugi con residenze diverse,  la Dichiarazione Imu al Comune

La dichiarazione IMU è il modo con il quale i contribuenti devono dichiarare al Comune in cui è situato un proprio immobile le variazioni che lo hanno interessato nell’anno precedente e che incidono sull’ammontare della tassa o determinato l’esenzione dal pagamento della stessa.

Tuttavia tutte le variazioni rilevanti ai fini IMU devono essere fatte entro il 30 giungo dell’anno successivo a quello nel quale le stesse hanno avuto luogo. Facendo un semplice esempio i cambiamenti avvenuti nel 2021, devono essere dichiarati entro il 30 giugno 2022. Quindi c’è tempo ancora un mese per regolare la situazione ai fini dell’imposta municipale propria.

 

 

 

Quali fatture elettroniche devono essere firmate digitalmente

Nel generare e nel trasmettere le fatture elettroniche, attraverso il Sistema di Interscambio (SdI) che è gestito dall’Agenzia delle Entrate, l’uso della firma digitale garantisce al documento non solo l’autenticità dell’origine, ma anche l’integrità del contenuto della fattura elettronica. Vediamo allora quali fatture elettroniche devono essere obbligatoriamente firmate digitalmente, e quali invece no.

Quali fatture elettroniche devono essere firmate digitalmente e quali invece no

Nel dettaglio, attraverso il Sistema di Interscambio (SdI) che è gestito dall’Agenzia delle Entrate, non c’è obbligo di firma digitale per le fatture elettroniche quando gli attori in gioco sono dei privati. Di contro, per le fatture elettroniche verso la Pubblica Amministrazione, quello della firma digitale del documento è in tutto e per tutto un obbligo.

Di conseguenza, inviare una fattura elettronica alla PA senza la firma digitale è un’operazione inutile. In quanto il Sistema di Interscambio (SdI) dell’Agenzia delle Entrate non farà altro che scartarla. In altre parole, qualsiasi titolare di partita IVA, al fine di avere dei rapporti di natura commerciale con le Amministrazioni Pubbliche, deve necessariamente dotarsi di firma digitale.

Dalla PEC alla firma digitale, nei rapporti con la PA si chiude il cerchio sulla dematerializzazione dei documenti

Nel rapporto con la PA, inoltre, l’uso obbligatorio della firma digitale per le fatture elettroniche chiude il cerchio sulla dematerializzazione dei documenti. Visto che, per l’invio e per la ricezione della documentazione, come quando si invia una raccomandata postale con ricevuta di ritorno, nei rapporti con la PA l’uso della posta elettronica certificata (PEC) è ormai ampiamente consolidato.

Come si firma il file FatturaPA e qual è il portale istituzionale con tutte le FAQ

Detto questo, per la firma digitale del file FatturaPA è necessario un certificato di firma qualificata. Ovverosia, un certificato che, previa esibizione di un documento di identità, è stato rilasciato ad una persona fisica.

Al riguardo, per la fatturazione elettronica verso la Pubblica amministrazione, attraverso il Sistema di Interscambio (SdI), c’è il portale istituzionale fatturapa.gov.it. Dove, tra l’altro, sono presenti sulla FatturaPA, compreso l’obbligo di firma digitale, tutte le risposte alle domande più frequenti.

In merito ricordiamo, infine, che l’obbligo di fatturazione elettronica verso la PA, con addio al documento cartaceo, è entrato in vigore con la Finanziaria del 2008. Ovverosia, con la Legge numero 244 del 24 dicembre del 2007.

Bonus facciate, come si compila il 730?

Come si compila il modello 730 per il bonus facciate? Per l’anno in corso la detrazione delle spese sostenute nel 2021 è pari al 90%. Per gli interventi a decorrere dal 1° gennaio 2022 è stata disposta la proroga dalla legge di Bilancio, ma con la riduzione della detrazione fiscale dal 90% al 60%. La compilazione del modello 730 segue righi diversi sulla base delle caratteristiche dei lavori eseguiti. Inoltre, è necessario distinguere il bonus facciate eco da quello non eco.

Bonus facciate eco, come si procede con la detrazione fiscale?

Per il bonus facciate eco, la detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi del 2022 è pari al 90%. Si tratta degli interventi che vanno oltre la sola tinteggiatura esterna dell’edificio o la sola pulitura. In questa tipologia di lavori rientrano anche quelli che influiscono sull’edificio dal punto di vista termico. O, in alternativa, che interessano più del 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda totale dell’immobile.

Quali righi del modello 730 sono interessati dal bonus facciate eco e non eco?

I righi interessati dal bonus facciate del modello 730 sono l’E 61 e l’E 62 relativi alla sezione IV. Si tratta, nel dettaglio, della sezione delle spese per i lavori includenti il risparmio energetico e il superbonus. Invece, i righi del bonus facciate non eco sono l’E 41, l’E42 e l’E 43, della terza sezione “A”. Si tratta, in questo caso, di lavori che si limitano alla parte esterna dell’edificio senza incidere sull’efficienza termica dell’edificio. E pertanto, vi rientrano i lavori per recuperare il patrimonio edilizio, per la riduzione del rischio sismico, per il bonus facciate e il superbonus.

Quale detrazione fiscale spetta per i lavori rientranti nel bonus facciate?

Le spese sostenute negli anni 2020 e 2021 e rientranti in lavori del bonus facciate beneficiano della detrazione fiscale Irpef e Ires lorda del 90%. I lavori devono essere stati effettuati nelle facciate esterne degli immobili situati nelle zone A o B secondo la classificazione del decreto numero 1444 del 2 aprile del 1968. Non vi sono limiti di spesa e il totale della detrazione deve essere beneficiata mediante quote annuali pari a dieci, di importo costante.

Come procedere con la detrazione fiscale del bonus facciate nella dichiarazione dei redditi?

Per la detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi del 2022, i contribuenti possono procedere con la prima rata di beneficio fiscale delle dieci previste purché:

  • la spesa effettuata nel 2021 sia stata pagata per intero mediante bonifico parlante;
  • non si tenga conto dello stato di avanzamento degli interventi alla data del 31 dicembre 2021;
  • le imprese invece devono tener conto dell’avanzamento dei lavori al 31 dicembre 2021 perché vige il principio di cassa;
  • il contribuente si assume i rischi della detrazione fiscale anticipata derivante da un possibile inadempimento da parte dell’azienda che svolge i lavori.

Detrazione fiscale del bonus facciate e sconto in fattura: come utilizzare il beneficio fiscale?

Fatte dunque queste premesse, il contribuente nel modello 730 del 2022, relativo all’anno di imposta del 2021, può detrarre nella dichiarazione dei redditi la corrispondente quota delle spese sostenute. Se, invece, il beneficio fiscale deriva dallo sconto in fattura applicato dall’impresa che esegue i lavori, il bonifico viene ridotto del 10% del totale dei lavori. Il restante 90%, dunque, non può essere detratto nella dichiarazione dei redditi perché il beneficio fiscale è stato trasferito dal contribuente all’impresa.

Come procedere con la compilazione del modello 730 per il bonus facciate?

La compilazione della dichiarazione dei redditi dei contribuenti e delle imprese per il bonus facciate eco e non eco, implica l’inserimento, nei rispettivi modelli 730 e Redditi, dei:

  • dati catastali che identificano l’edificio;
  • degli estremi dell’atto di detenzione dell’immobile nel caso in cui i lavori siano svolti a cura del detentore.

Se si tratta di bonus facciate eco, relativo a interventi che influiscono sull’efficienza termica dell’edificio o che interessano più del 10% dell’intonaco della superficie disperdente lorda totale dell’immobile, il contribuente non deve inserire i dati catastali. Lo stabilisce il paragrafo 4.1 della circolare dell’Agenzia delle entrate numero 2/E del 14 febbraio 2020.

 

Fatturazione elettronica, obbligo per le associazioni sportive dilettantistiche

Dal 1° luglio 2022 l’obbligo di fatturazione elettronica si estende a soggetti che finora esonerati, tra questi non solo coloro che hanno scelto il regime forfettario, ma anche alle Associazioni Sportive Dilettantistiche.

Fatturazione elettronica per le associazioni sportive

La fatturazione elettronica è considerata uno strumento efficace di lotta all’evasione fiscale, inizialmente però hanno goduto dell’esenzione dall’applicazione le partite Iva in regime forfettario, cioè le aziende e i professionisti con un volume di affari non particolarmente rilevante che hanno optato per tale regime. Sono state inoltre esclusi dalla fatturazione elettronica obbligatoria anche l’insieme di soggetti appartenenti al terzo settore e che svolgono anche attività di tipo commerciale, cioè le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) rientranti nella fattispecie delle associazioni di promozione sociale ed enti del terzo settore e le organizzazioni che si occupano di volontariato che possono comunque esercitare attività economica non prevalente.

Sanzioni per le associazioni sportive dilettantistiche che emettono in ritardo la fattura elettronica

Anche per le Associazioni Sportive dilettantistiche vi è però una certa gradualità nell’applicazione delle sanzioni, infatti, è previsto che per il terzo trimestre del 2022 ci sia un’applicazione mitigata delle sanzioni previste per chi non applica la fatturazione elettronica.

Se il soggetto provvede ad emettere la fattura elettronica entro un mese dalla data di effettuazione dell’operazione per la quale c’è  l’obbligo di fatturazione elettronica, la sanzione non si applica. Si riconosce quindi un maggiore lasso di tempo, ricordiamo che il trimestre comprende i mesi di luglio, agosto e settembre 2022. Da ottobre 2022 dovrà essere emessa la fattura elettronica entro i canonici 12 giorni dall’operazione.

Ricordiamo che nel 2022 sono esenti dall’obbligo di fatturazione elettronica i soggetti che hanno maturato nel 2021 un totale di ricavi e compensi inferiori a 25.000 euro. Dal primo gennaio 2023 la fatturazione elettronica si applica a tutti. Per le Associazioni Sportive Dilettantitistiche nel 2023 la fatturazione elettronica, in base al decreto PNRR-2  si applica se nel 2022 maturano compensi e ricavi superiori a 25.000 euro. In caso contrario l’obbligo parte dal 2024.

Spetta al contribuente valutare la sussistenza o meno dell’obbligo, naturalmente vi possono essere conseguenze in casi di mancato adeguamento.

Come effettuare la fatturazione elettronica per le associazioni sportive dilettantistiche

Per poter procedere alla fatturazione elettronica è necessario avere un software per la fatturazione elettronica che rispetti le specifiche tecniche messe a disposizione dall’Agenzia delle Entrate. Inoltre è possibile avvalersi dei software gratuiti messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate attraverso App per PC e tablet, inoltre è disponibile un sistema web attraverso la pagina “fatture e corrispettivi”.

Pensioni, conviene di più la ricongiunzione o il cumulo dei contributi?

Ai fini della pensione, quale conviene di più, la ricongiunzione o il cumulo dei contributi? Per rispondere alla domanda è necessario sapere che la ricongiunzione può comportare delle spese, ma un maggiore vantaggio in termini di assegno di pensione. Il cumulo, invece, è sempre gratuito ma assicura minori vantaggi per la futura pensione. L’esigenza di procedere con la ricongiunzione dei contributi o con il cumulo può presentarsi al superamento dei 60 anni per valorizzare gli anni di contributi versati in rapporto alla propria carriera lavorativa. E, inoltre, si possono unire le contribuzioni versate in differenti gestioni previdenziali.

Ricongiunzione dei contributi, che cos’è e come incide sulle pensioni?

Con la ricongiunzione dei contributi ai fini delle pensioni si procede ad accentrare in una sola gestione pensionistica i contributi versati presso diverse previdenze. Esercitando questa opzione, i contributi maturati vengono trasferiti nel fondo che accentra tutte le previdenze. L’operazione consente, dunque, di presentare domanda di pensione al fondo accentratore. La legge numero 29 del 1979 prevede la possibilità di concentrare i contributi tra le varie gestioni Inps in 2 modalità.

Come può avvenire la ricongiunzione dei contributi?

La prima direzione del ricongiungimento dei contributi ai fini delle pensioni è quella prevista dall’articolo 1 della legge numero 29 del 1979. Ovvero, il trasferimento dei contributi versati può avvenire per accentrarli dai fondi di gestione sostitutiva e alternativa all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago) al fondo lavoratori del settore privato. Nei fondi alternativi rientrano, a titolo di esempio, anche i lavoratori ex Inpdap. La seconda modalità di trasferimento consente di spostare i contributi verso i fondi differenti dal fondo pensioni dei contribuenti del settore privato.

Ricongiunzione dei contributi, quanto costa?

Le due operazioni di ricongiunzione dei contributi hanno un costo. L’onere che il contribuente deve sostenere corrisponde al 50% della differenza tra l’onere teorico della ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi inerenti trasferiti nel fondo accentrante. Tale meccanismo è disciplinato dalla circolare dell’Inps numero 142 del 2010.

Deducibilità dei costi sostenuti per la ricongiunzione dei contributi: come avviene?

L’operazione, in ogni modo, può avere un quale vantaggio per l’aspetto della deducibilità dei costi sostenuti per il trasferimento dei contributi. La deducibilità degli oneri dal reddito è disciplinata dalla lettera e), del comma 1, dell’articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi. Si può procedere con la rateizzazione senza l’applicazione di interessi. Il numero delle rate è calcolato in tante mensilità quanto è il periodo di tempo della ricongiunzione. Pertanto, la ricongiunzione può essere richiesta anche quando il lavoratore è attivo sul lavoro.

Cumulo dei contributi ai fini delle pensioni, quando si può fare?

Il cumulo dei contributi era stato introdotto dalla legge numero 228 del 2012 e poi modificato integralmente dalla legge numero 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017). La possibilità di procedere con il cumulo dei contributi è prevista per le seguenti tipologie di pensione:

  • pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • pensioni di vecchiaia;
  • inabilità;
  • pensione dei superstiti.

Il cumulo può essere esercitato per i contributi versati in tutte le gestioni previdenziali. Dunque, sia quelle private che quelle pubbliche e non vi è un prerequisito dei contributi stessi.

Cumulo dei contributi, si può utilizzare anche per le Casse previdenziali?

Il cumulo dei contributi può essere utilizzato anche per i versamenti effettuati presso le Casse professionali. In tal caso, il cumulo opera per i periodi lavorativi e contributi che non coincidono con altre gestioni previdenziali. L’obiettivo dello strumento è quello di permettere il raggiungimento dei requisiti richiesti per le pensioni anticipate, di vecchiaia, per la quota 102 (come previsto dalla legge di Bilancio 2022), per le pensioni ai superstiti e di inabilità. Devono essere, dunque, rispettati i requisiti fissati dalla legge Fornero (legge numero 214 del 2011) per le pensioni anticipate ordinarie e di vecchiaia. In merito alla pensione di inabilità, i requisiti sono fissati dalla legge numero 222 del 1984.

Quale differenza c’è tra ricongiungimento dei contributi e cumulo?

Rispetto a quanto abbiamo visto per il ricongiungimento dei contributi, con il cumulo non si ha il trasferimento dei contributi da una gestione previdenziale a un’altra. La pensione spettante viene calcolata per quote secondo i meccanismi previdenziali di ciascuna gestione previdenziale. La distinzione è stabilita dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017. Se un contribuente ha maturato anni di contributi entro il 31 dicembre 1995, l’assegno di pensione viene calcolato con il metodo retributivo ma secondo le regole fissate da ciascuna gestione previdenziale (ad esempio, Inps ed  ex Inpdap).

Pensione, quale conviene di più tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Il trattamento pensionistico, dunque, sarà il risultato delle pensioni calcolate dalle due gestioni previdenziali. Inoltre, pur essendo gratuito, il cumulo pensionistico comporta minori vantaggi rispetto alla ricongiunzione in termini di assegno pensionistico.

730 e modello Redditi PF, i rischi di incapienza e come funzionano

Da domani 31 maggio i contribuenti italiani potranno iniziare di inviare il modello 730. Inizia ad entrare in campo la stagione delle dichiarazioni reddituali. Ed alle solite ricerche sulle detrazioni e sulle spese da scaricare dal reddito, ecco che compaiono tutti gli altri dubbi riguardo alle dichiarazioni. La questione della incapienza fiscale è sempre uno degli argomenti caldi. Essere incapienti può portare anche a perdere ingenti somme di denaro relative ai rimborsi fiscali a cui hanno diritto molti contribuenti. Ma cosa significa incapienza e quando si materializza? Sono domande comuni a molti sia a chi è chiamato a presentare il modello 730, che per chi è chiamato a presentare il modello Redditi Persone Fisiche.

Rimborsi fiscali nel 730 o nel modello Redditi, gli incapienti rischiano

Un contribuente incapiente da un punto di vista fiscale è semplicemente colui che ha pagato l’Irpef non in misura piena o non l’ha pagata proprio perché non dovuta. Infatti i rimborsi fiscali riguardano l’IRPEF pagata dal contribuente su cui vanno detratti gli eventuali oneri detraibili relativi alle spese dell’anno precedente. Come è evidente la capienza fiscale è assolutamente determinante per portare a termine l’operazione di dichiarazione ed eventualmente ottenere il rimborso fiscale. Non è raro imbattersi in contribuenti che alla fine della dichiarazione dei redditi si trovano, contrariamente a quanto credevano, fuori dal perimetro dei rimborsi. La questione dell’ incapienza fiscale è molto importante.

Incapienti e cosa ci rimettono

Un contribuente incapiente per non aver pagato l’IRPEF a sufficienza o non avendola pagata per niente, può perdere i rimborsi fiscali anche se questi dovrebbero essere ingenti. Spese per ristrutturazione edilizia, ecobonus, spese sanitarie, spese dentistiche e così via sono tutte spese che evidentemente vengono perdute dal punto di vista dei bonus fiscali. Chi ha versato l’IRPEF lo nota dal proprio CUD o meglio dalla propria certificazione unica. L’IRPEF, acronimo di Imposta sul reddito delle persone fisiche, è un’imposta che grava sui redditi prodotti nell’anno precedente quello in cui si presenta il 730. È evidente che anche le spese detraibili devono essere riferite allo stesso anno. Il problema di fondo per gli incapienti è che non avendo versato imposte o avendone versate poche, come si vince sempre dalla certificazione unica, si trovano fuori dei rimborsi fiscali. In effetti una delle cose a cui prestare attenzione nel momento in cui si presenta la dichiarazione, è proprio quella dell’imposta pagata nell’anno precedente.

Anche bonus, superbonus e ristrutturazioni vanno perse in determinati casi

Una situazione molto grave quella dell’incapienza. Grave soprattutto per chi si trova ad aver effettuato lavori di ristrutturazione edilizia con il nuovo super bonus al 110%. Infatti non è raro trovare casi in cui il contribuente, convinto di aver diritto al rimborso fiscale, ha avviato opere di ristrutturazione edilizia. Proprio il superbonus probabilmente è stato il motivo per cui molti hanno avviato dei lavori di ristrutturazione che altrimenti non avrebbero effettuato. Trovarsi di colpo incapienti dal punto di vista fiscale e quanto di peggio possa accadere a chi conscio di dover recuperare dei soldi si ritrova con un 730 spesso anche a debito. Una questione difficile questa dal momento che chi non ha versato IRPEF è evidente che non ha diritto ai rimborsi.

I modelli detrazione ed i calcoli possibili in seno alla propria famiglia

Una soluzione a questo evento è quella di presentare per tempo al datore di lavoro la dichiarazione di aver diritto alle detrazioni di imposta in maniera consona alla propria capacità reddituale. Per completezza di informazione infatti va detto che non è raro trovare  casi in cui anche il semplice sfruttare le detrazioni per lavoro dipendente o ancora peggio il semplice sfruttate detrazioni per figli a carico può determinare una incapienza d’imposta evidente. L’esempio tipico è di due genitori che entrambi lavorano. In questo caso soprattutto per chi ha numerose spese sanitarie da scaricare, sarebbe opportuno spostare le detrazioni per i familiari a carico a nome dell’altro coniuge.  In pratica a volte, più IRPEF si è pagata meglio si sta. Più IRPEF si paga più diritto al rimborso c’è e soprattutto per chi deve scaricare molte spese e molti oneri dalla dichiarazione dei redditi l’imposta torna perfettamente utile. Evidente che nel momento in cui un contribuente deve scaricare poche spese mediche o poche altre spese detraibili il gioco del incapienza Fiscale non ha senso.

L’esempio delle pensioni nella no tax area e il 730

Frequente è anche il caso dei pensionati, soprattutto quelli che godono di prestazioni assistenziali e non previdenziali. L’assegno sociale per esempio, è una prestazione che l’Inps eroga a chi ha difficoltà economiche ed ha un età pensionabile. In questo caso l’assegno sociale non ha trattenute così come non le hanno le pensioni integrate al minimo.  Questo pensionato può avere qualsiasi tipologia di spesa detraibile e qualsiasi diritto al rimborso fiscale. Nulla cambia. Infatti finirà con il non recuperare niente in dichiarazione dei redditi ne tanto meno  con i conguagli fiscali di fine anno. La questione di incapienza fiscale quindi è determinante anche per spingere alla dichiarazione.  Come per chi magari non è tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi. Infatti c’è chi presenta il 730 soltanto perché deve recuperare parte nelle spese detraibili sostenute l’anno precedente. In questo caso non essendo soggetto tenuto alla dichiarazione dei redditi e non andando a rimborso perché incapiente, la storia cambia. Infatti come detto in precedenza, sarebbe il caso o meglio sarebbe più opportuno non presentare proprio dichiarazione.

Legge Fornero: applicazione totale dal 2023 o ci saranno correttivi?

Dal 1° gennaio 2023 potrebbe tornare il vigore al 100%, quindi senza correttivi e vie d’uscita anticipate, la legge Fornero, molti lavoratori sono già in allarme anche se non mancano proposte per evitare il ritorno di una delle riforme più odiate del sistema pensionistico italiano.

La legge Fornero torna in vigore nel 2023?

La legge Fornero in realtà in questi anni non ha mai cessato di esistere. La stessa prevede che si possa andare in pensione al raggiungimento di 67 anni di età e che l’età pensionabile sia rivista periodicamente in base alle aspettative di vita.

Per capire l’effetto dell’aumento dell’aspettativa di vita sulle pensioni, leggi l’articolo:  Pensioni: cosa cambia con il blocco dell’aspettativa di vita

Quota 100, Opzione Donna, Ape Sociale, Quota 102: chi può andare in pensione?

Nel frattempo il Governo ha provveduto di volta in volta a introdurre correttivi che hanno consentito a molti di andare in pensione in forma anticipata. In particolare prima abbiamo avuto la Quota 100 che ha cessato i suoi effetti il 31 dicembre 2021. In seguito si è passati a Quota 102. Le due riforme hanno consentito alle persone di andare in pensione dopo aver raggiunto la somma rispettivamente di 100 e 102 tra età anagrafica e anzianità contributiva. Per Quota 100 era previsto comunque il requisito dell’età minima a 62 anni, mentre per Quota 102, il requisito di età minima è 64 anni. Ne consegue che sono comunque necessari almeno 38 anni di contributi.

Nel frattempo il Governo ha provveduto alla proroga di Opzione donna ma solo per le donne che accettano di andare in pensione con il solo calcolo contributivo e quindi in molti casi perdendo circa 1/3 della pensione.

Pensioni: Opzione donna diventerà strutturale? Le ipotesi allo studio

Infine, c’è l’Ape Sociale rivolta esclusivamente a disoccupati, persone con invalidità civile almeno al 74% e che hanno maturato almeno 30 anni di contributi, caregiver e persone che hanno svolto lavori gravosi. Naturalmente per poter accedere occorre avere almeno 30 anni di contributi elevati a 36 anni per coloro che sono occupati in lavori gravosi. Inoltre l’attività gravosa deve essere stata svolta per almeno 6 anni negli ultimi 7 o 7 anni negli ultimi 10 anni.

Per conoscere i dettagli dell’Ape Sociale, leggi l’articolo: APE Sociale 2022: tutte le novità della legge di bilancio

Quali sono le proposte per superare la Legge Fornero?

Queste misure sono comunque tutte di tipo temporaneo e di conseguenza sono iniziate le pressioni da parte dei partiti, in particolare della Lega di Matteo Salvini al fine di prorogare i correttivi o introdurre nuovi correttivi che possano permettere di andare in pensione prima che scattino i requisiti previsti dalla legge Fornero.

Le ipotesi allo studio sono numerose, tra cui l’introduzione di Quota 101, la prosecuzione su Quota 102. Di certo questo è il momento in cui gli animi si scaldano, infatti è la fase antecedente rispetto a quella in cui iniziano trattative e discussioni sulla prossima legge di bilancio e soprattutto ogni partito inizia la sua campagna elettorale in vista delle prossime amministrative e delle politiche della prossima primavera.

Tra le ipotesi allo studio vi è anche la pensione in due tempi, suggerita anche da Tridico, presidente INPS. Si ipotizza in questo caso che nel momento del pensionamento anticipato rispetto alla Legge Fornero la pensione sarà calcolata solo con il sistema contributivo matematicamente sfavorevole ai pensionati. In un secondo momento, cioè alla maturazione dei requisiti anagrafici per il pensionamento con la legge Fornero, saranno aggiunte le somme che spetterebbero calcolando anche il sistema contributivo.

Per capire quando si applica il sistema contributivo e quando quello retributivo, leggi la guida: Pensione: quando si applicano il calcolo retributivo, contributivo e misto?

Legge Fornero e Quota 41: costi insostenibili

La proposta di Salvini invece è l’introduzione di Quota 41, cioè un sistema pensionistico che permetta a tutti di andare in pensione al raggiungimento di 41 anni di contributi. Per questa riforma c’è però un ostacolo importante e cioè i calcoli che non consentono all’INPS di erogare i trattamenti pensionistici così maturati. Tale sistema infatti costerebbe 12 miliardi di euro in più. A ciò deve essere aggiunto che dall’Europa già è arrivato il monito sulla Quota 102 che sarebbe insostenibile, figurarsi un’eventuale, più costosa, Quota 41.

Naturalmente al dibattito partecipano anche i sindacati che propendono per sistemi pensionistici maggiormente favorevoli ai lavoratori. Non resta che aspettare per capire, soprattutto chi è prossimo alal pensione, quali sono le vie d’uscita.

 

Ipoteca e pignoramenti e cosa succede dopo aver pagato i debiti anche se in misura ridotta

Avere debiti di qualsiasi natura espone Il debitore a quelle che vengono definite procedure di esecuzione forzata. Fermo amministrativo, ganasce fiscali, ipoteca, confisca e pignoramenti sono all’ordine del giorno per gli indebitati. Tutto scaturisce da un debito che può essere nei confronti di un privato o di una pubblica amministrazione. Ma cosa accade nel momento in cui Il debitore paga? La domanda è comune a molti anche perché, così come sono imposti i comportamenti al debitore, lo sono anche al del creditore. Infatti esistono conseguenze anche per il creditore che non cancella il pignoramento o la relativa ipoteca. Essere assoggettati a pignoramento o ipoteca soprattutto se riguarda una casa è una spiacevole situazione.

Quando cancellare ipoteca i pignoramenti

La legge però consente in alcuni casi di mettersi d’accordo per eliminare i vincoli su bene ipotecato o pignorato. Nulla ostacola debitore e creditore dal mettersi d’accordo per eliminare uno o tutti i vincoli imposti dalle procedure esecutive. Naturalmente tutto parte dal pagamento del debito da parte del debitore. Anche in questo caso nulla vieta alle parti di accordarsi per un pagamento in misura ridotta. Un tipico esempio è il pagamento con tanto di saldo e stralcio. In questo caso dopo il pagamento, anche se parziale, il creditore dovrebbe eliminare tempestivamente pignoramenti ed ipoteche. Proprio tempi utilizzati dal creditore per eliminare i vincoli sulla casa dell’indebitato sono oggetto di un’analisi da approfondire. Infatti capita sovente che anche dopo aver pagato un debito il creditore non adempia alla cancellazione di ipoteche e richieste di pignoramento che continuano così ad essere esecutivi.

Cosa succede dopo aver pagato i debiti

Il fatto è che il debitore spesso anche pagando si ritrova con ipoteca e pignoramento ancora imposti sulla propria abitazione. Effettivamente non tutti i creditori anche una volta ricevuto il pagamento provvedono in maniera solerte ad eliminare i vincoli sui beni assoggettati a queste procedure di esecuzione forzata. Va ricordato che il pignoramento e l’ipoteca sono le misure più utilizzate in materia. Per questo si tratta di un argomento che interessa molti.

Tempi tecnici per eliminare l’ipoteca immobiliare

Ma entro quanto tempo bisogna eliminare pignoramenti e ipoteche su una casa? Su questo argomento spesso sono tribunali e giudici ad essere intervenuti per districare controversie e contenziosi. A meno che non si cerchino intese alternative. Obiettivamente in questo caso si parla di accordo per chiudere un pignoramento immobiliare. Si tratta dell’intesa tra creditore debitore che di comune accordo decidono di chiudere la controversia. In pratica le parti si accordano affinché da una parte venga saldato il debito mentre dall’altra si rinunci ogni altra procedura di esecuzione forzata come lo è il pignoramento.

Le procedure giudiziarie in materia di ipoteca e pignoramenti

Detto questo va sottolineato il fatto che spesso sono i tribunali a sancire in materia. Ed essendo una procedura giudiziaria per togliere il pignoramento da un bene immobile di un debitore serve che il creditore avvii una procedura assai particolare. Infatti occorre innanzitutto che sia il legale del creditore, cioè il legale che ha provveduto a difendere il creditore In sede giudiziaria a depositare presso la cancelleria del Tribunale la revoca del provvedimento di pignoramento. In pratica Il debitore solo così rinuncerà alle procedure a suo tempo avviate.

La cancellazione dell’ipoteca deve avvenire quindi, davanti alla conservatoria dei registri immobiliari. Entra in campo anche l’Agenzia delle Entrate. L’unica differenza di procedura si ha nel momento in cui l’ipoteca è iscritta in collegamento ad un mutuo ipotecario su una casa e quindi parte da un provvedimento avviato da una banca o un altro istituto di credito.

Tutti i dubbi sulle procedure di esecuzione forzata

Per fugare qualsiasi dubbio va ribadito il fatto che pignoramento ipoteca sono due provvedimenti di natura diversa. È molto cambia anche in materia di cancellazione di questi provvedimenti. Infatti eliminare l’ipoteca su una casa non è gratis, anzi, espone chi deve adempiere anche a dei costi. Per contro il pignoramento è completamente gratuito. Appare evidente quindi che eliminare l’ipoteca da una casa grava sul creditore che deve sostenere queste spese. Anche in questo caso nell’accordo riguardo al pagamento del debito da cui scaturiscono questi provvedimenti può rientrare anche il costo della cancellazione.

La scadenza dei 20 anni per le ipoteche, ecco la guida

Se l’ipoteca e volontaria cioè messa in campo da chi prova ad accendere un mutuo la procedura è più rapida. Infatti parliamo di una ipoteca inserita a garanzia del prestito. In questo caso il pagamento dell’ultima rata del prestito cancella l’ipoteca. In questo caso non esistono procedure o adempimenti ma tutto è automatizzato. Diverso il caso dell’ipoteca imposta in caso di inadempienza nei pagamenti.

L’ipoteca iscritta a garanzia del credito di un privato, come quella giudiziale o legale, come si legge sulla Legge per tutti, costringe, per la sua cancellazione, alla richiesta presso  la Conservatoria dei registri immobiliari. La procedura prevede che venga effettuata tramite un notaio o un avvocato.

La legge non impone alcun termine per la cancellazione dell’ipoteca dei pignoramento. In genere però si dovrebbe operare in pochi giorni. Ma la procedura anche se non è propriamente snella e semplificato dal fatto che telematica.

Pochi adempimenti se scade il termine di validità

Va detto che l’ipoteca in genere è valida per 20 anni dopodiché scade. L’unica condizione per proseguire oltre i 20 anni e il rinnovo dell’ ipoteca. La scadenza ventennale è assai importante perché nei casi in cui il debito provenga da molti anni prima trovarsi prossimi ai 20 anni può evitare l’avvio della procedura. Un vantaggio dal momento che si evitano i costi che la procedura stessa come già detto prevede.

Il principio cardine è che il creditore una volta soddisfatto, cioè una volta che ha ricevuto il pagamento del debito anche se parziale, deve rinunciare al pignoramento dell’immobile. In questo caso Il debitore tutelato perché non deve sollecitare alcunché.

Italia nel mirino degli hacher, arrivano le minacce dai russi

Italia nel mirino degli hacher, almeno secondo quanto minacciato, dai filo-russi di Killnet. La Cyber sicurezza è in pericolo?

Italia nel mirino degli hacher, oggi la data che fa paura

Italia nel mirino degli hacher già da giorni. Ma oggi 31 maggio 2022, ore 5, dovrebbe essere il giorno culmine delle minacce ricevute dai filorussi Killnet. Si tratta di un gruppo di efficienti hacker informatici filo-russi che hanno già dato prova delle loro capacità. Infatti si sono resi protagonisti di diversi attacchi alle diverse istituzioni governative in diversi paesi, durante la guerra tra Russia ed Ucraina. La minaccia era arrivata domenica pomeriggio, ma alle ore 5 di stamattina tutto era ancora in ordine.

Un annucio che sembra più una sfida ai rivali di Anonymous schierati con l’Occidente. Secondo quanto riportato dalla rete Anonymous è un movimento decentrato di hacktivismo che agisce per perseguire un obiettivo concordato. Tuttavia, anche loro sono famosi per gli attacchi informatici contro molte società ed istituti sia governativi che non. Ma per fortuna, almeno al momento, gli effetti della guerra tra i due movimenti non se ne vedono, almeno in Italia.

Le parole che hanno fatto tremare l’Italia

L’annuncio di Killnet era stato molto chiaro: “Porteremo all’Italia un danno irreparabile“- avevano detto all’interno del video di minaccia. Secondo gli esperti si potrebbe parlare di un accatto diverso da quello in cui i nostri informatici sono stati abituati. Infatti fino ad oggi i filo-russi hanno sempre sganciato attacchi di tipo DDOS. Nel campo della sicurezza informatica sono l’innesco di  malfunzionamento. In particolare si fanno esaurire volontariamente le risorse di un sistema informatico che fornisce un servizio ai propri client.

Ad esempio si genera una serie di richieste al sito bersaglio, che non riuscendo più a gestirle, va in tilt. Questo era già successo, mandando in non funzionamento i siti di molti enti pubblici, ospedali, e creando davvero un problema per l’utenza che aveva bisogno di quei servizi. Ma fortunatamente, l’azione degli attacchi DDOS finisce qui, non ruba ad esempio i dati degli utenti.

Italia nel mirino degli hacher, cosa ci si attende

Gli informatici italiani sono in allerta, anche perché ci si aspetta un attacco differente. Tuttavia la polizia postale è pronta, e già da ieri si lavora online per capire il modo migliore di difendersi. Ma attenzione potrebbe essere che già la battaglia tra i rivali si siano svolta, ma ancora gli effetti non si sono palesati.

Oppure Anonymous è riuscita, come già successo, a mettere a tacere i loro nemici filo-russi. Ma una cosa è certa, se volevano avere attenzioni, ci sono riusciti già. Anche se in Italia nessuno abbassa la guardia. Così come in tutta Europa, perché sono tanti i Paesi che hanno dimostrato la volontà di non schierarsi con il Presidente Putin. Del resto i vertici europei, fino ad ora realizzati, sono tutti a sfavore di Mosca e le sanzioni economiche continuano ad essere previste. A

Assisteremo ancora ad un Cyber-war tra i due gruppi informatici? Questo non si sa, ma si sospetta di si. Il motivo è semplice, entrambi gli schieramenti, hanno lanciato sui propri canali Instagram campagne di reclutamento di esperti informatici. Non ci resta che attendere e confidare nelle mani sicure dei nostri informatici italiani e di Anonymous.