Ape Sociale: entro il 31 marzo 2023 deve essere chiesto il certificato Inps

La disciplina in materia di pensioni prevede la possibilità di sfruttare tre scivoli pensionistici: opzione donna, Quota 103 e Ape Sociale. Chi vuole andare in pensione con l’Ape Sociale, entro il 31 marzo 2023 deve necessariamente richiedere il certificato Inps attestante che il lavoratore ha maturato i requisiti per andare in pensione.

Cos’è l’Ape Sociale e come funziona?

L’Ape Sociale è uno degli scivoli pensionistici maggiormente apprezzati, per poter però andare in pensione anticipatamente è necessario avere maturato determinati requisiti, cioè:

  • Disoccupati con almeno 63 anni di età e 30 anni di contributi, deve trattarsi di persone in stato di disoccupazione in seguito a cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di conciliazione obbligatoria e che abbiano già esaurito la percezione della Naspi.
  • Caregivers con almeno 63 anni di età e 30 di contributi e che al momento della presentazione della domanda prestino assistenza a coniuge, alla persona in unione civile o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità (legge 104). Dal 2018 è possibile usufruirne anche nel caso in cui l’assistenza sia in favore di un parente di secondo grado, ma solo nel caso in cui i parenti di 1° grado siano impossibilitati.
  • Invalidi civili con percentuale di invalidità almeno del 74% e sempre con 63 anni di età e 30 di contributi.
  • Chi svolge lavori gravosi, anche in questo caso deve essere rispettato il requisito anagrafico dei 63 anni di età, sono invece richiesti 36 anni di anzianità contributiva di cui almeno sei anni negli ultimi sette oppure per almeno sette anni negli ultimi dieci con lavori gravosi. Per gli operai edili il requisito contributivo è di 32 anni.

Leggi anche: Pensione gravosi: si allarga la platea dei beneficiari per lavori usuranti

Entro quando deve essere richiesto il certificato Inps per l’Ape Sociale?

Per poter andare in pensione con l’Ape Sociale è necessario richiedere all’Inps il certificato che attesta che sono rispettati i requisiti, la normativa prevede però dei termini o meglio delle finestre temporali per poter richiedere tale certificato.

Le finestre sono:

  • 31 marzo 2023
  • la successiva finestra si apre il primo aprile e si chiude il 15 luglio 2023;
  • la terza finestra si apre il 16 luglio e si chiude il 30 novembre 2023.

Alla scadenza di ciascuna finestra l’Inps provvede a comunicare l’esito dell’istruttoria, anche qui i tempi sono contingentati:

  • per la prima finestra il termine è 30 giugno 2023;
  • seconda finestra 15 ottobre 2023;
  • terza finestra non oltre il 31 dicembre 2023.

Deve essere sottolineato che contestualmente alla richiesta del certificato Inps per l’Ape Social, si può presentare anche la domanda di pensione, naturalmente solo dopo aver certificato la presenza dei requisiti, l’Inps provvederà ad accettare anche la domanda di pensione, ma in questo modo è possibile accorciare i termini. Questo vuol dire che chi lascia scadere la finestra del 31 marzo 2023 pur avendo maturato i requisiti, dovrà poi attendere molti mesi per poter accedere.

Quoziente familiare, ecco come si dovrebbe calcolare

Il quoziente familiare è la vera novità che riguarda il sistema fiscale e che prende in considerazione degli aspetti specifici all’interno del nucleo familiare

Il quoziente familiare, che cos’è?

Le famiglie sono sempre più bersagliate dalle tasse, dall’inflazione e ogni mese sembra essere sempre più difficile arrivare a fine mese. Soprattutto coloro che hanno redditi bassi spesso hanno bisogno di aiuti concreti per mantenere le proprie famiglie. Così il governo Meloni ha  pensato al quoziente familiare, per cercare di mettere mano ad una riforma fiscale italiana che si rivolge a un sistema francese. I cittadini sono ad oggi chiamati a concorrere alle spese pubbliche in modo proporzionale alla capacità contributiva, e questo ad oggi non dovrebbe cambiare.

Il quoziente familiare è un indicatore che si ottiene dal risultato della divisione del reddito complessivo del nucleo familiare per il numero dei suoi componenti. Quindi rispetto all’Isee, il quoziente familiare tiene conto solo dei redditi della famiglia e non anche la composizione del suo patrimonio. L’Isee infatti tiene conto del valore degli immobili, delle giacenze medie e anche delle automobili in possesso. Tuttavia ad oggi il quoziente familiare non ha sostituito l’Isee e non è chiaro se lo manderà in pensione, oppure sarà semplicemente affiancato.

Come si calcola il quoziente familiare?

Per capire come si calcola il quoziente familiare è meglio procedere con un semplice esempio. Prendiamo come punto di partenza, la composizione di un famiglia media italiana composta da due genitori ed un bambino. Il coefficiente sarà di 2.5 dato dalla somma tra i due coniugi (un punto per uno) e 0,5 per il figlio a carico. Se il reddito complessivo di tutta la famiglia è pari a 30 mila euro, il calcolo dovrebbe farsi in questo modo.

Togliere il 10% della sommatoria dei redditi, quindi 30×10/100= 3. Pertanto si passa da 30 mila euro a 27 mila euro. Questo valore deve essere diviso per 2,5 ottenendo un importo di 10.800 euro. A questo punto si applica l’aliquota IRPEF relativa al pagamento delle imposte. Ecco che si verifica una delle promesse della campagna elettorale. Il quoziente familiare converrà sempre di più al crescere del numero dei componenti il nucleo familiare. Mentre potrebbe svantaggiare i single proprio perché in questo caso la divisione sarà fatta per 1.

Altre precisazioni su questo nuovo metodo di calcolo

Secondo questo nuovo calcolo abbiamo detto che le famiglie più numerose sono le più favorite. Ma in fondo è anche giusto, perché se a percepire il reddito è solo il capofamiglia, le spese mensili per andare avanti sono maggiori quando ci sono più figli, rispetto a chi invece vive da solo. Se una persona percepisce mille euro, un conto è che questo importo li gode una sola persona, invece se la stessa persona ha dei figli a carico diventa davvero più difficile spartire per tutti la stessa somma.

Non solo, il quoziente supera anche uno dei vincoli dell’Isee. Non considera l’aspetto patrimoniale – terreni, fabbricati, giacenze medie, saldi, Buoni Fruttiferi, investimenti – come l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente andando a sostenere maggiormente autonomi, professionisti e imprese. Alcune delle molte categorie, che tra l’altro in questi ultimi anni hanno fortemente subito le conseguente delle restrizioni da Covid-19 e quelle della crisi economica che ne è derivata.

 

 

Casa pignorata, il debitore può essere lui stesso il venditore?

La casa pignorata è davvero un grande problema per il proprietario, che ha un debito da pagare, e potrebbe non avere nemmeno un tetto sulla testa.

Casa pignorata, la nuova riforma

In seguito all’introduzione del decreto 69/2013 (il c.d. Decreto del Fare), l’art. 76 co. 1 del D.P.R. 602/1973 la prima casa è impignorabile.

Il pignoramento immobiliare non può essere effettuato se l’immobile gode delle seguenti caratteristiche:

  • è l’unico immobile di proprietà del debitore;
  • il debitore vi risiede ed ha residenza ad uso abitativo;
  • non è una casa di lusso, quindi non rientra nelle categorie di ville, castelli o palazzi di eminente pregio artistico e storico.

Al di fuori di questi casi la casa è pignorabile. Ma grazie alla riforma civile, il debitore può procedere personalmente alla vendita della casa sottoposta a pignoramento.

Casa pignorata, qual’è la procedura?

Il debitore può rivolgersi al giudice per avere l’autorizzazione alla vendita dell’immobile. Questo è possibile solo attraverso alcuni requisiti:

  • l’istanza si deposita almeno 10 giorni prima dell’udienza;
  • il prezzo deve essere superiore, o al massimo pari al valore di stima indicato nella relazione del CTU;
  • un’offerta di acquisto irrevocabile deve essere allegata all’istanza;
  • deve essere aggiunta anche una cauzione superiore a un decimo del prezzo proposto;
  • l’offerta deve essere notificata al creditore almeno 5 giorni prima dell’udienza;
  • se entro 120 giorni dalla data di presentazione dell’istanza di vendita non vi è risposta, l’offerta è da considerarsi respinta.

Se invece la risposta è affermativa si avrebbe così una vendita diretta. Questo permette di evitare che la costa venga proposta ad una procedura di vendita o acquisto casa all’asta.

I vantaggi della vendita diretta

Quando è lo stesso debitore a vendere l’immobile ci sono molteplici vantaggi. Come abbiamo detto la vendita diretta permette di non svalutare l’immobile, ma di comprarlo al prezzo stabilito dal giudice. Inoltre si alleggeriscono le spese del tribunale legate ad un’eventuale vendita all’asta, proprio perché si eliminano tutte le udienze. Il creditore è comunque garantito in quanto avrà i soldi che soddisfano la sua richiesta. Ed il debitore è parte attiva dell’intera procedura.

Il debitore che abita l’immobile può continuare ad abitare fino a che non venga predisposto l’atto di trasferimento. Mentre se la casa è abitata da terzi, perché magari è stato firmato un contratto di locazione, è necessaria una liberazione anticipata, che si conclude in fase di ordinanza di ammissione della vendita. Una cosa quindi sembra essere molto chiara, la vendita diretta da parte del debitore è molto più veloce, economica e conveniente per tutte le parti coinvolte.

 

 

 

 

Phishing e cybersicurezza: prestare il conto per riciclare il denaro è reato

La cybersicurezza è uno dei temi caldi di questo periodo, infatti gli attacchi hacker negli ultimi mesi si sono molti moltiplicati mettendo in allarme società e persone che rischiano di vedere esposti i dati personali. Naturalmente, sebbene non vi sia una normativa specifica per la tutela dal cyber crimine, si stanno stratificando massime che derivano da sentenze che applicano norme generali previste dal nostro ordinamento. L’ultima importante sentenza della Corte di Cassazione è la 6395 del 2023, che applica le norme sul riciclaggio di denaro proveniente da illeciti anche al phishing. Ecco cosa dice la sentenza.

Reato di riciclaggio per chi mette a disposizione il proprio conto per ricevere somme derivanti da phishing

La preoccupazione crescente in tema di cybersicurezza si nota in molte decisioni dei vari governi a livello globale e tra queste la scelta di vietare alcuni social, come Tik Tok.

Leggi anche: Tik Tok sarà vietato? Perché molti governi stanno vietando l’uso del social?

Naturalmente vi è l’esigenza di tutelare aziende e persone e mentre l’Unione Europea sceglie di fornire consigli alle aziende per proteggersi dagli attacchi, i vari Giudici sono chiamati a reprimere le condotte criminose.

La pronuncia della Corte di Cassazione va a punire un soggetto che ha ricevuto sul proprio conto corrente denaro proveniente dal reato di phishing, si tratta di una pratica volta a clonare i dati bancari di un soggetto introducendosi abusivamente in un sistema informatico altrui ( articolo 615 ter del codice penale).

La vicenda: condanna per riciclaggio a chi mette a disposizione il conto anche se non partecipa attivamente al reato

Il ricorrente era stato condannato dal Tribunale di secondo grado, non per aver perpetrato il reato di truffa, ma per aver messo a disposizione il proprio conto corrente per ricevere denaro proveniente dalla violazione degli articoli 615 ter, 640 e 617 quater del codice penale. Sottolinea la Corte di Appello che il ricorrente “ mettendo il proprio conto postale a disposizione degli hacker aveva posto in essere un passaggio necessario per far perdere le tracce del reato”.

La sentenza condanna l’imputato che ha messo a disposizione il conto corrente non per truffa (articolo 640 codice penale, punisce chiunque con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a se’ o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno), in quanto il soggetto non aveva partecipato a tale condotta, ma per riciclaggio ( articolo 648 bis del codice penale).

Sottolinea inoltre che integra il reato di riciclaggio la condotta di chi pur: senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata per ostacolare la provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate dall’illecito utilizzo di una carta donata, consentendo il versamento del denaro in precedenza prelevato al bancomat dal possessore di quest’ultima [… ] ovvero consentendo il diretto trasferimento, sulla predetta carta prepagata, delle somme ottenute dal possessore della carta clonata con un’operazione di “ricarica” presso lo sportello automatico.

 

Contratto preliminare, finalmente potrà essere registrato online

Il contratto preliminare di vendita a breve si potrà anche registrare online. Un grande aiuto per i professionisti del settore, ecco alcuni consigli.

Contratto preliminare, la registrazione è obbligatoria?

Il contratto preliminare di vendita è un accordo tra le parti, in cui si impegnano reciprocamente a portare al termine la vendita. Contiene tutte le specifiche del contratto definitivo in ordine all’identificazione dell’immobile, il prezzo di cessione, la presenza o meno di mutuo e tutte le altri condizioni a cui è sottoposta la vendita immobiliare.

I contratti preliminari di ogni specie sono soggetti a registrazione in termine fisso. Infatti sono soggetti all’applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 200 euro. Anche se va aggiunta l’imposta di bollo di 16 euro ogni 100 righe dell’atto. A  tale proposito si possono verificare due situazioni:

  • contratto preliminare che contiene una clausola che prevede la dazione di somme a titolo di caparra confirmatoria; in tal caso in relazione a tali somme è dovuta l’imposta di registro sulla misura dello 0.50%;
  • contratto preliminare che contempli il versamento di acconti di prezzo non soggetti ad Iva, ed in tal caso va applicata l’imposta proporzionale di registro nella misura del 3%.

Tuttavia non esiste nessun obbligo sulla presenza di un contratto preliminare ai fini della vendita, perché può anche non esistere e procedere direttamente alla vendita, con un semplice accordo tra le parti o una proposta di acquisto controfirmata dalle parti.

Contratto preliminare, registrazione anche online

Per la registrazione del contratto finora era necessario recarsi presso un ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate, entro 30 giorni dalla data della stipula dell’atto. Quindi questo comportava la necessità di fissare un appuntamento, con le lunghe file di attesa, e poi poter registrare allo sportello. Impiegando a volte mezza giornata anche per un solo atto tra privati.

Ma dal 7 marzo 2023 le cose saranno molto diverse. Infatti sarà disponibile un nuovo servizio che consente di inviare la richiesta di registrazione dei contratti preliminari di compravendita direttamente online insieme agli allegati. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate è approvato il modulo aggiuntivo del modello per  la “Registrazione di atto privato (Rap)”

Come procedere alla registrazione

Per richiedere la registrazione in via telematica occorre utilizzare il nuovo modello “Rap”. Sul modello si inseriscono i dati necessari ed allegare copia dell’atto da registrare firmato dalle parti ed eventuali documenti da allegare. Tra questi ci possono essere: planimetrie, mappe, inventari, disegni o altri documenti necessari.

Questi documenti dovranno essere allegati in un unico file, in formato TIF e/o TIFF e PDF/A (PDF/A-1a o PDF/A-1b). Una volta inserite tutte le informazioni necessarie, il sistema calcola in automatico le imposte (registro e/o bollo) e consente di versarle contestualmente tramite addebito su conto corrente. I soggetti non obbligati alla registrazione telematica possono comunque presentare il modello “Rap” presso un ufficio dell’Agenzia, insieme al contratto e agli eventuali allegati.

 

 

Divieto vendita auto a benzina, potrebbe saltare tutto

Il divieto di vendita di auto con motore endotermico dal 2035 è a rischio, ad avere riserve su questa misura non è solo l’Italia, ma anche la Germania e si uniscono al coro altri Paesi dell’Unione Europea. Ecco perché l’approvazione dei divieto di immatricolazione e vendita di auto a benzina dal 2035 potrebbe saltare.

Divieto vendita auto a benzina: Italia e Germania potrebbero far saltare la norma

L’obiettivo è portare le emissioni inquinanti provenienti dalla circolazione di auto a zero entro breve termine, ma la strada sembra essere in salita, infatti la sostituzione delle auto con motore endotermico con auto elettriche non è così semplice da realizzare. L’Italia ha più volte espresso perplessità sulla misura perché potrebbe mettere a rischio il settore automotive che in Italia non è pronto a tale conversione. La conseguenza sarebbe una notevole perdita di posti di lavoro. L’Italia in questi mesi ha lavorato molto per evitare “disastri”, ad esempio attraverso la norma volta a salvare la Ferrari. Il divieto infatti non troverebbe applicazione nei confronti dei produttori di auto con una quota di mercato ridotta.

A rendere la strada tortuosa vi è il fatto che ora anche la Germania inizia ad esprimere perplessità e proprio per questo l’approvazione definitiva, che doveva esservi mercoledì, non vi è in realtà stata, tutto rimandato.

Leggi anche: Caldaie a gas vietate dal 2025, le nuove norme dell’Unione Europea

Chi vota contro il divieto di vendita auto a benzina?

La sede in cui è avvenuto lo strappo è la riunione dei Rappresentanti Permanenti aggiunti dei 27, qui doveva essere votato il Regolamento che appunto prevede il divieto di vendita di auto con motore endotermico dal 2035. Il rinvio è stato determinato dal fatto che l’Italia ha presentato per iscritto la sua posizione contraria a tale normativa, di seguito la Germania ha espresso riserve. L’Italia sostiene che non si può prevedere un simile divieto senza prevedere incentivi volti a facilitare questo passaggio epocale.

Il potenziale voto contrario dell’Italia segue quello espresso già a novembre dalla Polonia, la Bulgaria si era invece astenuta e tale astensione ha lo stesso valore di un diniego. Se Polonia e Italia votano contro il provvedimento e Germania e Bulgaria si astengono di fatto la norma non può essere approvata per mancanza della maggioranza qualificata richiesta che prevede il consenso di Paesi che rappresentino il 65% della popolazione dell’Unione Europea.

Tra le possibili vie d’uscita all’impasse che si è creato vi è il sostegno all’e-fuel che potrebbe essere la via d’uscita per salvare le auto con motore endotermico.
Per un approfondimento è possibile leggere l’articolo: E-fuel: sarà l’alternativa alle auto elettriche? Novità per gli automobilisti

Aliquote Irpef 2023 e detrazioni lavoro dipendente: le novità per i contribuenti

Come anticipato in precedenza, l’Agenzia delle Entrate il 28 febbraio 2023 ha approvato definitivamente i nuovi modelli per gli adempimenti dichiarativi relativi ai redditi prodotti nel 2022. Uno degli ambiti in cui vi sono maggiori novità è quello relativo alla Dichiarazione Redditi Persone Fisiche e la più importante riguarda i nuovi scaglioni Irpef. Ecco una sintesi delle importanti novità che dovrebbero portare a una riduzione della pressione fiscale grazie alle aliquote Irpef 2023 e all’aumento dele detrazioni lavoro dipendente.

Aliquote Irpef 2023: cala la pressione fiscale

La prima cosa da sottolineare è che non sono cambiati i termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi Persone fisiche, quindi restano fermi al 30 novembre 2023. Cambiano invece le aliquote così come previsto nella legge di bilancio per il 2022:

  • 23% redditi da zero a 15.000 euro;
  • 25% redditi da 15.000,01 euro a 28.000 euro;
  • 35% redditi da 28.000,01 a 50.000 euro;
  • 43% redditi superiori a 50.000,01 euro.

Ricordiamo che sul tavolo del Governo c’è un nuovo progetto di riforma fiscale che dovrebbe portare a un’ulteriore riduzione delle aliquote Irpef che dovrebbero ridursi a 3, ma ne parleremo a tempo debito.

Leggi anche: Riforma fiscale: pronta la nuova bozza. Ecco cosa contiene

Aumentano le detrazioni da lavoro dipendente e pensione

Tra le importanti novità che porteranno a una possibile riduzione dell’imposta da versare vi è anche la riforma delle detrazioni da lavoro dipendente. In primo luogo il limite per poter fruire per intero della detrazione da lavoro dipendente è stata aumentata a 15.000 euro, la stessa inoltre è stata aumentata fino a 1.880 euro. In ogni caso non può essere inferiore a 690 euro o 1.380 euro per contratti di lavoro a tempo determinato, l’importo esatto della detrazione dipende dai giorni effettivamente lavorati.

Per i redditi superiori, le detrazioni diminuiscono proporzionalmente di importo, ma vi è comunque un’ulteriore detrazione di 65 euro spettante a coloro che dichiarano un reddito compreso tra 25.000 euro e 35.000 euro.

Le detrazioni spettanti ai pensionati invece sono in misura piena per redditi fino a 8.500 euro e in questo caso la detrazione massima è pari a 1.955 euro, mentre per i redditi compresi tra 25.000 euro e 29.000 euro vi è un aumento di 50 euro del valore della detrazione.

Tra le importanti novità che hanno caratterizzato il 2022 vi è l’introduzione dell’Assegno Unico e Universale che va ad incidere sulle detrazioni per figli a carico. Le stesse possono essere fruite per i mesi di gennaio e febbraio 2022 per tutti i figli, mentre per i figli di età pari o superiore a 21 anni possono essere fruite per tutto il 2022 (infatti questa categoria non percepisce l’Assegno Unico e Universale).

Leggi anche: Dichiarazione dei redditi 2023: i modelli possono essere consultati

Contratti di locazione, chi paga la rottura della caldaia?

Contratti di locazione si hanno quando un locatore concede in locazione un immobile, ma cosa succede quando si verificano dei mal funzionamenti?

Contratti di locazione, gli accordi tra le parti

Il contratto di locazione si ha quando un locatore o proprietario di un immobile, lo concede ad un altro soggetto detto conduttore, per un periodo stabilito, dentro il pagamento di un corrispettivo mensile. Gli immobili possono essere affittati con un normale contratto oppure con l’agevolazione della cedolare secca. Si tratta di un regime fiscale agevolato sostitutivo dell’IRPEF con cui il proprietario di un immobile concesso in locazione può scegliere di tassare il reddito da locazione ad aliquota fissa del 10% o del 21%.

Spesso si prende un appartamento vuoto e si traslocano i propri mobili. Ma a volte gli immobili sono arredati, quindi il conduttore assume anche la responsabilità di tutto quello che c’è dentro. Per questo motivo, spesso gli appartamenti arredati costano un pochino di più, in termini di canone mensile. Ma cosa succede in caso di guasti?

Contratti di locazione, un caso molto frequente

La famiglia V. ha preso in locazione un appartamento in una città in cui si sono trasferiti per motivi di lavoro del capo famiglia ed ha un problema comune.

Io e mio marito abbiamo preso in locazione un appartamento per la nostra famiglia. L’appartamento è arredato e fornito di caldaia a condensazione per riscaldare la nostra abitazione. Adesso però si è rotta, abbiamo chiamato il tecnico che ci ha fatto un preventivo della spesa da sostenere. Il proprietario vuole che la sostituiamo o la ripariamo a spese nostre. Ma è davvero così?”

Il problema della caldaia spesso si presenta tra il proprietario e il conduttore e crea non pochi attriti. Ma tutto ruota intorno al concetto di ordinaria o straordinaria manutenzione. Infatti tutti gli interventi di ordinaria manutenzione sono a carico del conduttore. Mentre tutti gli interventi di straordinaria manutenzione sono a carico del proprietario.

La caldaia in casa, come si gestisce?

Nel caso specifico della caldaia si specifica che tutti i costi inerenti all’uso quotidiano come il controllo periodico spettano all’inquilino. Il quale deve sostenere le spese per la fornitura del calore, il consumo del combustibile, la forza motrice per il bruciatore, l’energia e l’acqua. Sono a carico dell’inquilino anche gli adempimenti relativi al libretto della caldaia, come il classico controllo annuale, le certificazioni e la tassa ASL (o bollino blu) per la verifica dell’impianto caldaia. Il Bollino Blu è un certificato di revisione obbligatorio che ogni impianto termico con caldaia deve ottenere per adempiere a quanto previsto dal D. Lgs 311/06. La certificazione attesta il corretto funzionamento dell’impianto in termini di sicurezza, di efficienza energetica ma anche di inquinamento

Mentre l’installazione, il rifacimento e la manutenzione straordinaria degli impianti di produzione dell’acqua calda e di condizionamento spettano al proprietario dell’immobile. In caso di rottura dell’impianto, spetta al proprietario di casa pagare i costi per la sostituzione della caldaia o delle singole parti che derivano da guasto per caso fortuito. Lo stesso dicasi per gli interventi di adeguamento a legge, anch’essi a carico del locatore.

 

 

Pannelli solari ibridi, fotovoltaico e termico tutto in uno

Pannelli solari ibridi sono una perfetta sincronia tra il sistema fotovoltaico ed il solare termico, ecco quindi tutte le curiosità e come installarli.

Pannelli solari ibridi, che cosa sono?

L’economia mondiale sta muovendosi sempre più verso le fonti di energia rinnovabile. Il rispetto dell’ambiente spinge le Nazioni e la Commissione europea sempre più ad incentivare sistemi di produzione di energia pulita. Anche a livello domestico, l’interesse verso l’autoproduzione è sempre crescente. Tanto che negli anni anche il prezzo dei pannelli fotovoltaici è diminuito. Mentre si sta lavorando sempre più verso il potenziamento della capacità produttiva, come nel caso degli impianti fotovoltaici in balcone.

Ma in commercio è presente una tipologia di pannello solare, detto ibrido, perché capace di garantire non solo la produzione di energia elettrica, ma anche il riscaldamento dell’acqua. Cioè in con un solo sistema è possibile avere la produzione di energia elettrica per alimentare la luce e gli apparecchi elettrici di casa, ed in più avere il calore necessario per la climatizzazione dei locali e riscaldae l’acqua del sistema idrico- sanitario.

Pannelli solari ibridi, altre caratteristiche importanti

Con il pannello solare idrico, la tecnologia del fotovoltaico e quella del solare termico si uniscono e di scambiano. In particolare il pannello fotovoltaico assorbe il calore del sole, mentre la parte che non riesca ad accumulare, il calore termico, viene recuperato da uno scambiatore che incrementa la produzione di elettricità per riscaldare l’acqua.

I pannelli solari ibridi sono costituiti da moduli fotovoltaici collocati sulla superficie assorbente di un collettore solare termico. Quest’ultimo ha la funzione di raffreddare i moduli fotovoltaici per incrementarne il rendimento elettrico, pari a circa il 15-16%  in più rispetto a un pannello tradizionale

Quanto costa questo sistema?

Il costo di un sistema ibrido da 3 kWp costa circa 15 mila euro. Un costo superiore rispetto ad un impianto fotovoltaico normale, ma è del resto ha anche una doppia funzione. Tuttavia eistono diversi sisteme di pannelli solari ibridi, tra cui:

  • ad aria, in cui le basse prestazioni dell’aria di asportare calore riducono il recupero termico e il rendimento delle celle solari;
  • ad acqua permettono un’efficiente trasmissione del calore e di scambio termico;
  • vetrati, in cui il vetro riduce le dispersioni energetiche frontali. Lo svantaggio di questa tipologia di pannello si ha nei periodi di maggiore irraggiamento solare: le radiazioni solari causano la stagnazione, ovvero la temperatura interna è molto elevata e riduce il rendimento elettrico;
  • non vetrati, in cui la resa elettrica è minore rispetto alle altre tipologie di pannello;
  • a collettori piani e a concentrazione, i quali si distinguono per le elevate prestazioni nell’assorbimento dell’irraggiamento solare, sia per la generazione di energia che per la produzione di calore per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria.

In ogni caso è sempre meglio rivolgersi ad un tecnico esperto per aiutare a scegliere il prodotto migliore in base alle esigenze della propria famiglia.

Bonus nido 2023: ora si può presentare la domanda. Tutorial dell’Inps

È possibile presentare istanza per ottenere il bonus nido 2023, ecco a chi spetta e a quanto ammonta.

Come richiedere il bonus nido 2023

Il bonus nido 2023 prevede la possibilità di ottenere il rimborso delle spese sostenute per la frequentazione dell’asilo nido per bambini da zero a 3 anni. Può essere richiesto dal genitore naturale, adottivo e affidatario che sostiene la spesa per il pagamento della retta. La domanda può essere presentata ogni anno dalla fine di febbraio fino al 31 dicembre, c’è tempo invece fino al 31 luglio 2024 per allegare la fattura dei pagamenti sostenuti nel 2023. Per presentare la domanda occorre allegare:

  • codice fiscale del richiedente;
  • codice fiscale del minorenne;
  • denominazione e partita Iva dell’asilo nido;
  • Iban intestato al richiedente.

La domanda deve essere presentata telematicamente sul sito Inps, naturalmente per accedere è necessario avere un codice di identità digitale (Spid, Cie o Cns).

Come compilare la domanda per il Bonus Asilo Nido?

Al momento dell’inserimento della domanda è necessario indicare anche i mesi per i quali si vuole fruire del bonus nido 2023, ricordiamo che si può fruire per un periodo massimo di 11 mesi nell’arco dell’anno solare.

Nella compilazione è necessario scegliere la modalità di pagamento preferita tra cui accredito su conto corrente (italiano o estero), su carta prepagata (con codice Iban), bonifico domiciliato, libretto bancario, libretto postale. Deve essere ribadito che il codice Iban deve corrispondere a quello di un conto/libretto, carta, intestati allo stesso soggetto che richiede il bonus nido, insomma se è la madre a presentare istanza, l’Iban deve essere intestato alla madre.

Occorre quindi allegare le fatture dei pagamenti effettuati in favore dell’asilo nido scelto. Si è detto che questa operazione può essere compiuta fino al 31 luglio 2024, ma la domanda deve essere presentata entro il 31 dicembre del 2023. Nel caso in cui nel corso dell’anno si cambi asilo, è necessario indicarlo quando viene inviato il giustificativo del pagamento, se nello stesso mese vi sono due fatture è necessario allegarle in un unico file.

Ricordiamo che le voci ricomprese nel bonus nido sono: retta mensile, pasti del mese, imposta di bollo. Non possono invece trrovare riscontro le spese di iscrizione all’anno scolastico, l’Iva ed eventuali corsi ulteriori tipo “post scuola” “pre scuola”.

A quanto ammonta il bonus asilo nido?

Il rimborso della retta prevede comunque dei limiti e gli stessi dipendono dal valore Isee. I limiti sono:

  • 3.000 euro con Isee pari o inferiore a 25.000 euro;
  • 2.500 euro con Isee superiore a 25.000 euro e con limite massimo pari o superiore a 40.000 euro;
  • 1.500 euro con Isee superiore a 40.000 euro o in caso di Isee non presentato.

Il bonus non è cumulabile con detrazioni fiscali per l’iscrizione presso asili nido. I pagamenti avvengono mensilmente e comunque solo in seguito all’allegazione della fattura giustificativa, è possibile controllare i pagamenti attraverso l’App IO e il cassetto previdenziale. Nel caso in cui in un anno siano stati prenotati meno di 11 mesi e si cambi idea e quindi si desideri fruire di ulteriori mensilità, per queste è necessario presentare un’altra domanda.

Per tutte le informazioni è possibile guardare il video tutorial rilasciato dall’Inps.