Fondo nuove competenze, arrivano nuovi fondi per le imprese

Nella bozza del decreto Lavoro approvata il 1° maggio c’è il rifinanziamento del Fondo nuove competenze che, di conseguenza, dovrebbe continuare ad essere utilizzato dalle imprese per la formazione e riqualificazione dei lavoratori fino al 2027.

Cos’è il Fondo Nuove Competenze

Il fondo nuove competenze nasce con il DL 34 /2020 del Governo Conte e finanziato con Fondi europei, possono accedervi le aziende che propongono la riqualificazione del personale. La misura è gestita dal punto di vista operativo da ANPAL ( Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro) e prevede il finanziamento di corsi di formazione utili alla riqualificazione del personale e alla eventuale ricollocazione dei lavoratori nel mondo del lavoro.

Il Fondo nuove competenze con il decreto lavoro ottiene un rifinanziamento fino al 2027 e tale nuova dotazione sarà diretta a finanziare accordi di rimodulazione dell’orario di lavoro, la retribuzione oraria e i contributi dell’orario di lavoro dedicato alla formazione,

Le risorse per il rifinanziamento del Fondo nuove competenze arrivano dal Piano nazionale Giovani, donne, lavoro a cui si aggiungono fondi del Fondo sociale europeo +, inoltre potrebbero aggiungersi risorse del Programma Operativo Complementare POC SPAO. Non è però ancora stato determinato l’ammontare del rifinanziamento.

Come accedere al Fondo nuove competenze?

I datori di lavoro possono accedere al fondo nuove competenze per finanziare le ore di formazione in favore dei lavoratori e quindi pagare i contributi per tali ore e sostenere il costo di materiale e professionisti.

Per accedere al fondo nuove competenze è necessario presentare istanza attraverso MyAnpal, il servizio messo a disposizione dal ministero del Lavoro.

Naturalmente per conoscere i nuovi fondi sarà necessario attendere il decreto attuativo che renderà il tutto operativo.

Ricordiamo che il decreto lavoro contiene anche ulteriori misure, come la detassazione fino a 3.000 euro dei fringe benefit, la nuova disciplina dell’assegno di inclusione che sostituisce il reddito di cittadinanza, sono inoltre previste nuove norme per il rinnovo dei contratti a tempo determinato.

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La tredicesima mensilità sarà detassata? Ecco le novità annunciate

Nell’audizione del 2 maggio 2023 nelle Commissioni riunite Finanze di Camera e Senato, il vice-ministro all’Economia e alle Finanze Maurizio Leo ha annunciato che tra le intenzioni del Governo vi è la detassazione della tredicesima mensilità. Sono molti i lavoratori e pensionati che a questa notizia hanno espresso la loro approvazione, ma potranno vedere una tredicesima più importante già a dicembre 2023? Questi i chiarimenti.

Nel decreto Lavoro taglio del cuneo fiscale, ma la tredicesima mensilità non sarà detassata

La prima cosa da sottolineare è che la detassazione della tredicesima mensilità non è prevista nel decreto Lavoro varato il 1° maggio 2023. Tale provvedimento contiene misure per il lavoro che contribuiranno per un breve lasso di tempo ad aumentare la busta paga, si tratta del taglio del cuneo fiscale.

La norma prevede un taglio del 6% sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico dei lavoratori dipendenti per i periodi di paga dal 1° luglio al 31 dicembre 2023, il taglio non si applica alla tredicesima mensilità. Solo nel caso di retribuzione imponibile inferiore a 1.923 euro l’esonero sale al 7%.

L’obiettivo è rendere il taglio del cuneo fiscale strutturale ma per il momento tale non è.

La tredicesima mensilità sarà detassata nel 2024?

Per quanto riguarda la detassazione della tredicesima mensilità annunciata dal vice-ministro Maurizio Leo, la prima cosa da sottolineare è che non si tratta di un provvedimento che sarà adottato a breve e valido per il 2023. Si tratta di un’ipotesi allo studio e ancora non è chiaro quale dovrebbe essere la forma, infatti Maurizio Leo ha annunciato che potrebbe essere applicata attraverso l’applicazione di una flat tax incrementale su redditi dei lavoratori dipendenti.

Sappiamo che la flat tax incrementale è una tassa piatta applicata all’aumento di reddito tra un determinato periodo di imposta e un periodo precedente, si parla generalmente del reddito medio degli ultimi tre anni. Secondo chi scrive una flat tax incrementale sui redditi dei lavoratori dipendenti difficilmente sarà in grado di produrre una detassazione sulla tredicesima mensilità, ma come anticipato è una bozza di progetto che non sarà comunque in vigore per dicembre 2023.

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Emergenza lavoro estate, mancano 100.000 lavoratori

Emergenza lavoro per l’estate, mancano 100.000 addetti, tutte le posizioni lavorative che i datori di lavoro fanno fatica a trovare.

Confesercenti, mancano 100.000 lavoratori per l’estate

Ogni anno in estate si aprono nuove opportunità di lavoro, ma sempre più spesso i datori di lavoro fanno fatica a trovare personale. A lanciare l’allarme per il 2023 è Confesercenti che sottolinea l’assenza di circa 100.000 lavoratori per la prossima stagione lavorativa.

Dai dati emerge che il 36% delle imprese impegnate nel settore del turismo fa fatica a trovare personale, Confesercenti e le imprese del settore denunciano che a rendere tali lavori poco appetibili è la percezione che trattasi di lavori stagionali e quindi la precarietà degli stessi. Non solo, secondo i sondaggi, a rendere i lavori estivi poco appetibili da parte dei giovani è il fatto di dover essere impegnati nei giorni festivi e pre-festivi, a ciò si aggiunge che molti ritengono che in questo settore ci sia scarsa possibilità di crescita.

Emergenza lavoro,  per l’estate assenti camerieri e facchini. Le cause

Si ha quindi un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, infatti il 46% delle imprese sottolinea che non riesce a trovare personale con una preparazione adeguata.

Il 19% delle aziende invece denuncia che in molti casi è mancato l’accordo per il compenso, quindi pur avendo trovato personale adeguatamente formato per l’impiego e disponibile, il compenso richiesto era più alto di quello che le stesse aziende erano disposte a pagare. Tale difficoltà si è manifestata anche per le aziende che hanno offerto compensi più elevati rispetto a quelli previsto dal Ccnl per le mansioni oggetto del contratto.

Il 31% delle aziende del settore non è riuscita a trovare personale neanche rivolgendosi ad agenzie interinali il cui ruolo è proprio quello di far incontrare domanda e offerta di lavoro.

Le proposte di Confesercenti

Questa la situazione disastrosa per la prossima estate che si annuncia bollente sotto il profilo del personale necessario per il settore turismo. Mancano soprattutto camerieri, ma anche addetti alle pulizie, lavapiatti, facchini. Secondo Confesercenti si dovrebbe puntare di più sul taglio del cuneo fiscale, reintrodurre i voucher per i pagamenti e richiede un decreto ad hoc per i lavori stagionali nel settore turismo che prevede anche un rafforzamento delle politiche attive del lavoro che possano aiutare a far incontrare domanda e offerta di lavoro.

Infine, Confesercenti sottolinea che è necessario rivedere anche il decreto flussi per favorire il reperimento di maggiore manodopera.

Secondo le stime tale mancanza di personale porterà a una perdita media sul fatturato del 5,3% e un abbassamento degli standard qualitativi del servizio prestato ai turisti. Un vero e proprio problema che potrebbe rendere l’Italia una meta meno ambita da parte soprattutto degli stranieri.

Principio di rotazione nel Codice degli appalti, cosa cambia per le imprese

Entra in vigore il nuovo Codice degli appalti previsto nel decreto legislativo 36 del 2023 e tra le norme che cambiano nel settore degli appalti pubblici vi sono quelle sul principio di rotazione regolato dall’articolo 49 del Codice degli appalti.

Il principio di rotazione nel Codice degli appalti: quando trova applicazione?

Il principio di rotazione era precedentemente disciplinato dall’art. 36, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016 vi sono però ora delle significative modifiche.

Il principio di rotazione trova applicazione nelle categorie di appalti sotto soglia, cioè quegli appalti affidati con procedure semplificate, ad esempio con procedura negoziata o affidamento diretto. Gli obiettivi sono la  tutela del principio di concorrenza ed evitare una posizione di dominio di un’impresa.

Il principio di rotazione prevede il divieto di affidamento o aggiudicazione di un appalto all’impresa uscente in seguito a due affidamenti consecutivi che abbiano ad oggetto un appalto:

  • nello stesso settore merceologico;
  • nella stessa categoria di servizi;
  • nella stessa categoria di opere.

La disciplina prevede che già nella fase degli inviti alle imprese a presentare una proposta debba essere rispettato il principio di rotazione.

Le deroghe al principio di rotazione nel nuovo Codice degli appalti

Il secondo punto della nuova disciplina prevede la possibilità per la stazione appaltante, ad esempio il Comune X, di ripartire gli affidamenti in fasce di prezzo, in questo caso l’obbligo di rotazione può essere riferito alla singola fascia economica, ad esempio l’impresa Zeta ha avuto per due anni l’affidamento della manutenzione strade in fascia economica 2, al terzo incarico non potrà partecipare alla procedura per lo stesso lavoro in fascia economica 2, ma può partecipare all’affidamento del lavoro in fascia 3.

Inoltre, il comma 4 dell’articolo 49 stabilisce che “in casi motivati con riferimento alla struttura del mercato e alla effettiva assenza di alternative, nonché di accurata esecuzione del precedente contratto, il contraente uscente può essere reinvitato o essere individuato quale affidatario diretto.” Le condizioni che ora abbiamo visto non devono però essere alternative, ma devono tutte concorrere, quindi essere presenti.

Il comma 6 invece stabilisce che è sempre possibile l’affidamento diretto senza rispetto del principio di rotazione per gli affidamenti di importo inferiore a 5.000 euro. In precedenza tale soglia era fissata a 1.000 euro. Tale deroga con innalzamento del limite viene giustificata dal fatto che è in grado di velocizzare le procedure e quindi rispetta il principio di economicità ed efficienza della Pubblica Amministrazione.

Le norme sull’obbligo di rotazione non trovano applicazione nel caso in cui la stazione appaltante decida di iniziare una procedura semplificata di affidamento senza limitare il numero di operatori economici che possono partecipare alla procedura. In questo caso viene infatti meno la necessità di tutelare il principio di concorrenza e non vi è il rischio che possano consolidarsi delle posizioni di dominio.

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Lavoratori agricoli: governo al lavoro per dare maggiori tutele

Il Governo vara il piano antisommerso volto a dare una vita dignitosa ai lavoratori agricoli cercando di contrastare l’annoso problema del caporalato e dello sfruttamento dei braccianti.

Lavoratori agricoli: formazione per gli operatori dei Centri per l’Impiego

Il Ministero del Lavoro con il decreto ministeriale 28 del 2023 va ad integrare il piano nazionale di lotta al lavoro sommerso del triennio 2023/2025. L’obiettivo è produrre linee guida che possano servire a contrastare lo sfruttamento dei lavoratori in nel settore agricolo, particolarmente rilevante nell’economia italiana e che vede, soprattutto al Sud Italia, condizioni di lavoro lesive della dignità umana. Nel nuovo piano del Ministero vi è l’obiettivo di dare un alloggio a ogni lavoratore straniero impegnato nel settore dell’agricoltura.

Il piano prevede interventi di formazione e informazione per gli operatori dei Centri per l’Impiego in modo che siano in grado di far fronte alle peculiarità di questo settore favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Implementando i servizi, i lavoratori agricoli possono più facilmente avere contratti di lavoro regolari ed evitare il lavoro sommerso, caratterizzato anche da insediamenti abusivi dopo le persone sono in condizioni disumane, ai limiti della schiavitù.

Alloggi per i braccianti agricoli: i Comuni al centro

Nel contrasto agli insediamenti abusivi si pone particolare attenzione agli enti locali che devono effettuare controlli sul territorio per evitare l’abusivismo e il diffondersi di baraccopoli in cui sono costretti i lavoratori agricoli. Naturalmente sono gli enti di prossimità, cioè i Comuni, a poter meglio svolgere il controllo del territorio.

Le amministrazioni locali sono inoltre coinvolte nel reperimento di alloggi che possano essere utilizzati da chi lavora nei campi, in particolare gli stagionali che nella maggior parte dei casi sono stranieri.

Infine, già nel secondo trimestre del 2023 dovrebbe essere attivo un gruppo di lavoro volto a delineare le nuove linee guida per la tutela dei lavoratori agricoli.

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Ismea Più Impresa: agevolazioni in agricoltura per giovani e donne

Agricoltura: esonero contributivo 2023 per coltivatori diretti e Iap

Retribuzioni eque per uomini e donne, come dovranno adeguarsi le aziende

Con 427 voti favorevoli, 79 contrari e 76 astensioni l’Unione Europea ha approvato la direttiva che prevede maggiore trasparenza nei contratti di lavoro con obbligo di indicare fin dal contratto o, meglio ancora, dalla pubblicazione dell’annuncio di lavoro, la retribuzione prevista. Obiettivo: raggiungere retribuzioni eque per uomini e donne e superare il gender pay gap.

Retribuzioni eque per uomini e donne: il gender pay gap in UE

In tutta Europa è purtroppo presente il divario di genere per quanto riguarda le retribuzioni e, sebbene l’Italia abbia dati non confortanti, altri Paesi dell’Unione Europea si può dire che siano messi peggio. In Italia il divario è del 4,2%, nonostante abbia adottato nel tempo delle misure di contrasto. La media del divario nell’ambito dell’UE è del 13% con punte di discriminazione particolarmente elevate nell’Europa dell’Est.

Obbligo di trasparenza per le aziende

Ora ci prova l’Unione Europea che con la direttiva approvata mira a imporre la neutralità nella selezione del personale attraverso l’obbligo di trasparenza sulle retribuzioni ancora prima della stipula del contratto. In questa fase invece i datori di lavoro non potranno chiedere al candidato informazioni inerenti la loro precedente retribuzione, in questo modo si evita che tale dato possa influenzare il datore di lavoro sulla retribuzione da corrispondere.

In realtà il divario matura soprattutto dopo l’ingresso nel mondo del lavoro quando, nel tentativo di conciliare lavoro e famiglia, le donne perdono opportunità e quindi hanno piani di carriera meno interessanti rispetto a quelli degli uomini.

Tra le novità apportate dalla normativa vi è anche il divieto di discriminazione intersezionale, che impone parità retributiva per le persone non binarie.

La normativa va a contrastare il segreto retributivo, deve quindi essere noto quale sarà lo stipendio erogato per le varie posizioni presenti in azienda, in questo modo non sarà possibile discriminare le persone di un sesso rispetto a quelle dell’altro. Nel contratto stipulato dopo l’entrata in vigore della direttiva sarà vietato inserire la clausola che vieta di divulgare la retribuzione.

Retribuzioni eque per uomini e donne: cosa devono fare le aziende per evitare sanzioni ?

La direttiva prevede l’obbligo per le aziende con più di 100 dipendenti di adottare misure volte a correggere le disparità salariali. Le aziende sono obbligate ad adottare misure correttive nel caso in cui il divario di retribuzione tra persone di sesso diverso e intersezionale superi il 5%. I lavoratori avranno diritto ad accedere ai dati disaggregati per sesso relativi alle retribuzioni, dovranno inoltre conoscere i criteri utilizzati per definire gli aumenti salariali, che dovranno essere neutri dal punto di vista del genere.

Per la violazione di tali norme sono naturalmente previste delle sanzioni. La direttiva sul gender pay gap è stata ampiamente condivisa dai vari esponenti politici, in Italia deve però essere registrato il voto contrario dei rappresentanti dei partiti Forza Italia e Fratelli d’Italia. Per l’entrata in vigore effettiva ci vorrà tempo, infatti gli Stati Membri sono tenuti a recepirla entro 3 anni e considerando che gli esponenti del Governo hanno votato contro, non è detto che l’Italia si affretti anche perché sono già state sollevate questioni inerenti la privacy.

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Esonero contributivo parità di genere: prorogato il termine

Le legge n° 162 del 5 novembre 2021 prevede la possibilità di esonero contributivo per i datori di lavoro in possesso del certificato di parità di genere. Il termine per presentare il rapporto di parità di genere e accedere all’agevolazione è fissato al 15 febbraio 2023, la l’Inps con il Messaggio 1269 del 3 Aprile 2023 ha provveduto a differirlo al 30 aprile 2023. Ecco cosa cambia.

Difficoltà tecniche: differito il termine per la presentazione dell’istanza per esonero contributivo

Con la circolare 137 del 22 dicembre 2022 l’Inps ha provveduto a dettare le linee guida per la presentazione dell’istanza volta a ottenere l’esonero contributivo (articolo 46-bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 ) pari all’1% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, destinato alle aziende che presentato il rapporto sulla parità di genere. La certificazione sulla parità di genere deve essere stata rilasciata entro il 31 dicembre 2022 utilizzando lo specifico modulo telematico “PAR_GEN” . L’istanza doveva presentarsi entro il 15 febbraio 2023, ma considerate le difficoltà tecniche riscontrate per l’adempimento, il termine slitta al 30 aprile 2023.

Come compilare il modulo per l’esonero contributivo per chi presenta il rapporto sulla parità di genere

Il Messaggio specifica inoltre alcune modalità tecniche, in particolare sottolinea che alla voce “retribuzione” deve essere indicata la retribuzione media mensile globale e non quella del singolo membro. Nel Messaggio si specifica, inoltre, che coloro che avessero già inviato istanza per l’esonero contributivo entro i termini prestabiliti senza rispettare tale norma, devono comunque integrare la domanda. La correzione delle istanze deve avvenire previa rinuncia alle domande erronee e al successivo invio di una nuova richiesta contenente l’esatta stima della retribuzione mensile.

La retribuzione media mensile deve essere indicata per tutto il periodo di durata del certificato di parità di genere.

In seguito alla presentazione delle istanze a ciascun contribuente sarà data comunicazione dell’importo autorizzato con nota in calce al modulo di istanza online presente all’interno del “Portale delle Agevolazioni” (ex “DiResCo”) . Tale importo può essere fruito dal primo mese di validità del certificato. L’Inps provvederà comunque ad effettuare i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni anche incrociando tutti i dati disponibili presso il Dipartimento per le Pari opportunità, dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e dall’Ispettorato nazionale del Lavoro (INL).

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Analisi cliniche, l’Agenzia delle Entrate chiarisce: occorre la fattura

L’Agenzia delle Entrate precisa che per ottenere agevolazioni fiscali su spese sostenute per le analisi cliniche presso una struttura sanitaria autorizzata non basta lo scontrino parlante, occorre la fattura.

Esenzione Iva per le analisi cliniche

Nella risposta ad Interpello 275 del 4 aprile 2023 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito dubbi che attanagliano molti contribuenti, lo stesso riguarda la possibilità di ottenere agevolazioni fiscali per le spese sostenute per le analisi cliniche volte ad accertare una patologia in presenza del solo scontrino parlante. A proporre l’istanza è una struttura sanitaria che ritiene di poter adempiere agli obblighi utilizzando il semplice scontrino parlante in base a quanto previsto dalla Risoluzione 60/E del 2017.

L’Agenzia nella risposta ad interpello chiarisce diversi dubbi. Il primo riguarda l’esenzione Iva per le prestazioni “sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione della persona rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza” prevista dall’articolo 10 del decreto Iva. Come sottolinea l’Agenzia anche le analisi cliniche rientrano in questa categoria.

Obbligo di fattura per le analisi cliniche

Il successivo articolo 22 del decreto Iva fornisce però anche l’elenco delle prestazioni sanitarie per le quali non è obbligatoria, tranne nel caso in cui ne faccia espressa richiesta il paziente, l’emissione della fattura.

Precisa l’Agenzia delle entrate che questo elenco deve ritenersi analitico e di conseguenza non si possono applicare “estensioni interpretative”. Siccome le analisi cliniche non sono ricomprese nell’elenco delle prestazioni sanitarie per le quali non è obbligatoria l’emissione di fattura, deve ritenersi che non sia corretto il comportamento delle strutture sanitarie che a fronte di tali prestazioni non emettono fattura.

La Risoluzione 60/E del 2017, chiarisce l’Agenzia, si applica solo alle prestazioni di autoanalisi svolte da professionisti per conto delle farmacie e a queste ultime fatturate.

Naturalmente nel momento in cui per tali prestazioni non si dovesse ottenere la fattura, il paziente non potrà utilizzare la detrazione del 19% delle spese sanitarie sostenute nell’arco dell’anno, proprio per questo è sempre bene prestare attenzione.

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Aziende: velocizzati i pagamenti delle pubbliche amministrazioni

Per le aziende che lavorano per la Pubblica Amministrazione i tempi per i pagamenti sono spesso troppo lunghi, al punto che molte imprese pur vantando crediti importanti rischiano fallimenti a causa della mancanza di liquidità. Il Governo tenta ora di arginare questo fenomeno ormai diventato ingestibile introducendo norme che puniscono i dirigenti che ritardano i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni. Ecco cosa prevede la nuova disciplina.

Premi di risultato: potrebbero saltare in caso di ritardi nei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni

Il Governo ha presentato emendamenti al decreto legge Pnrr-Ter, tra quelli particolarmente interessanti vi è quello che disciplina i premi di risultato per i dirigenti della Pubblica Amministrazione.

I premi di risultato sono una quota aggiuntiva alla retribuzione riconosciuta ai dipendenti nel caso in cui si siano distinti per le loro prestazioni sul lavoro e quindi per il raggiungimento di obiettivi, per un incremento di produttività, insomma quando è palese una certa efficienza dell’operato del dipendente.

I premi di risultato possono essere riconosciuti sia nel lavoro nel settore privato, sia nel settore pubblico. Spesso però in quest’ultimo non sempre sono chiari gli elementi utilizzati nella valutazione dell’operato del dipendente. In particolare, visto che la PA deve essere trasparente, vengono resi noti i motivi che portano al riconoscimento del premio di risultato, ma di fatto il cittadino difficilmente può controllare se effettivamente tale efficienza vi sia stata. Sono ora invece individuati degli elementi negativi che impediscono il riconoscimento dei premi di risultato.

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Niente premi di risultato ai dipendenti che ritardano i pagamenti della PA alle aziende

In particolare l’emendamento presentato dal Governo al decreto legge Pnrr-Ter prevede che in caso di ritardi nel pagamento delle imprese che operano per la pubblica Amministrazione, al dirigente non possono essere riconosciuti i premi di risultato.

Si inseriscono quindi nella scheda di valutazione per determinare il diritto al premio di risultato anche i tempi necessari al pagamento dei creditori. Ricordiamo che il decreto legge Pnrr-ter è ora all’esame della Commissione Bilancio del Senato. Dopo questa fase dovrà passare la voto del Senato, previsto per mercoledì 12 aprile, e poi alla Camera. La conversione deve avvenire entro il 25 aprile 2023.

DdL Concorrenza: addio ai saldi, vendite promozionali liberalizzate

Il commercio è uno dei settori che negli ultimi anni ha sofferto di più, sia a causa dell’emergenza Covid che ha costretto molti esercizi commerciali, tra cui abbigliamento e tecnologia, a lunghe chiusure, sia perché la concorrenza delle vendite online ha portato via una grossa fetta di clientela. Ora con il DdL Concorrenza qualcosa potrebbe cambiare, infatti i saldi o vendite promozionali potrebbero essere liberalizzate.

Saldi: addio ai limiti. Ecco cosa prevede il Disegno di Legge Concorrenza

La normativa attualmente in vigore prevede dei limiti alle vendite promozionali e in particolare per i saldi. Le vendite in saldo possono essere effettuate solo in due periodi dell’anno, coincidenti con la stagione invernale, a partire generalmente dal 5-6 gennaio, e nel periodo estivo a partire dall’inizio di luglio. Le date possono leggermente differire nelle varie Regioni. Le vendite in saldo devono teoricamente avere ad oggetto beni che possono subire un deprezzamento, proprio per questo i saldi inizialmente riguardavano solo l’abbigliamento, cioè abiti e scarpe che a causa del variere delle tendenze/mode, per la successiva stagione sarebbe stato difficile rimettere in commercio. Nel tempo però i saldi si sono diffusi in tutti i settori.

Spesso i commercianti per aggirare tali divieti e attirare i clienti scelgono di inviare comunicazioni con sconti ai clienti fidelizzati.

Il DdL Concorrenza all’articolo 7 prevede il venir meno di tali divieti e limiti. Nel nuovo articolo non c’è traccia di date per le vendite promozionali, indicazione della durata e poteri delle Regioni, di fatto cadono i limiti ora previsti.

Critiche dalle associazioni di settore al DdL concorrenza: addio ai saldi non aiuta il commercio tradizionale

Ricordiamo che siamo ancora di fronte a un Disegno di Legge e di conseguenza intercorrerà tempo prima che si arrivi all’approvazione definitiva del testo e potrebbero esservi delle modifiche. Ad esprimere critiche a tale scelta è Confesercenti che non condivide tale scelta e parla di un vero blitz normativo operato senza il preventivo confronto con le associazioni di categoria. Confesercenti parla di una deregulation che non è in grado di tutelare consumatori e commercianti della catena tradizionale. In poche parole ritiene che sia un provvedimento non in grado di aiutare i commercianti a recuperare clientela e ad avere buoni introiti. Anzi, secondo l’associazione potrebbe essere un regalo per il commercio online e la grande distribuzione e danneggiare ulteriormente gli altri commercianti.