Assegno di invalidità: quanto spetta a chi non lavora

In questa rapida ma esaustiva guida andremo a sviscerare la questione inerente all’ assegno di invalidità e come funziona per coloro che non lavorano, ed a quanto ammonta ciò che può spettargli. E se vi sono o meno compatibilità con l’ indennità di disoccupazione.

Assegno di invalidità: di cosa si tratta

Innanzitutto, vediamo di cosa si tratta quando si parla di assegno di invalidità.

Sostanzialmente, un assegno di invalidità civile non è altro che una provvidenza economica riconosciuta ai mutilati ed invalidi civili che abbiano una età compresa tra i 18 anni e i 67 anni, nei cui confronti sia accertata una invalidità civile compresa tra il 74% ed il 99%.
Andiamo nei paragrafi successivi ad approfondire la questione, in merito ai non lavoratori.

Assegno di invalidità per chi non lavora

Andiamo subito a precisare che l’assegno ordinario d’invalidità, spettante a chi è in presenza di determinati requisiti contributivi (minimo 5 anni di contributi, di cui 3 nell’ultimo quinquennio), agli invalidi oltre i 2/3, viene ridotto per chi è in possesso di redditi da lavoro.

I suddetti redditi da lavoro sono infatti cumulabili parzialmente con l’assegno d’invalidità ordinario.

Andiamo, di seguito a vedere in quali modalità:

  • se il reddito da lavoro è fino a 4 volte il minimo Inps (pari a 501,89 euro mensili), ovvero fino a 098,28 euro annui, avremo un assegno cumulabile al 100%;
  • se il reddito da lavoro è, invece superiore a 4 volte il minimo Inps, ovvero da 098,28 euro annui fino a 32.622,85 euro annui, l’assegno sarà cumulabile al 75%, cioè è ridotto del 25%;
  • se il reddito da lavoro è, in ultimo, ma non ultimo, superiore a 4 volte il minimo Inps, ossia da  622,85 euro annui in poi, l’assegno sarà cumulabile al 50%, ovvero sarà dimezzato.

Va aggiunto, a tutto ciò, che la somma dei redditi non può essere inferiore a quella che sarebbe spettante al lavoratore qualora fosse rimasto nei limiti della precedente fascia.

Va inoltre anche considerato che va applicata anche una seconda riduzione se, malgrado la decurtazione, l’assegno resta comunque superiore al trattamento minimo e l’anzianità contributiva risulta inferiore a 40 anni.

Assegno di invalidità per chi ha smesso di lavorare: come funziona

Dunque, qualora la persona che percepisce l’assegno ordinario d’invalidità smettesse di lavorare, cosa accade?

Possiamo dire che in tal caso non esiste più un reddito da lavoro che si somma all’assegno, pertanto la prestazione non viene più decurtata, ma sarà per intero.

Occorre, però, prestare attenzione nel caso in cui, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, spetti la Naspi, ovvero l’indennità di disoccupazione.

Di fatto, l’assegno ordinario di invalidità e l’indennità di disoccupazione Naspi sono due prestazioni che non possono essere cumulabili tra loro.

Assegno di invalidità e disoccupazione

Come si è potuto evincere dal precedente paragrafo, l’ assegno ordinario d’invalidità, diversamente dalla pensione d’invalidità civile, non è compatibile con l’indennità di disoccupazione.

Tuttavia, grazie a una nota sentenza della Corte Costituzionale, è possibile, per il disoccupato, fare una scelta tra il sussidio di disoccupazione e l’assegno d’invalidità ordinario.

Il diritto di opzione è un qualcosa che è stato riconosciuto pure da una successiva circolare dell’Inps, attraverso la quale l’istituto si è reso conforme alle previsioni della sentenza della Corte Costituzionale: il lavoratore è, quindi, libero di scegliere il trattamento più conveniente, ovvero tra disoccupazione e invalidità ordinaria. L’opzione è inoltre valida pure per l’indennità di mobilità e per analoghe indennità alla Naspi (come nei casi di Asdi e Dis Coll), in maniera ugualmente incompatibile con l’assegno d’invalidità ordinario.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla percezione dell’ assegno di invalidità e alle modalità di percezione, in particolar modo per coloro che non lavorano e/o che sono in disoccupazione.

Tagli sulle accise su benzina: cosa c’è da sapere

La situazione sul caro benzina è ormai in continuo fermento, con esso tutta la questione riguardante la crisi del gas. In questa rapida guida andiamo a scoprire cosa c’è da sapere sul taglio delle accise che il governo sta attuando in questo periodo.

Accise sulla benzina: a quanto ammontano

Innanzitutto, quando si parla di accise, cosa si intente è bene definirlo. Una accisa è un’imposta indiretta a riscossione immediata che viene applicata alla quantità di energia consumata indipendentemente dal contratto o dal fornitore scelto, in base al D.L.504 del 26/10/1995 del Testo Unico Accise (T.U.A.).

Con il taglio messo in proroga dal governo dal 3 maggio all’8 luglio 2022, le aliquote di accisa saranno le seguenti:

  • per la benzina 478,40 euro per mille litri;
  • per il gasolio 367,40 euro per mille litri;
  • mentre per il gpl 182,61 euro per mille chilogrammi;
  • infine, per il gas naturale usato per autotrazione zero. Con in più l’Iva per il metano che scenderà al 5%.

Tagli sulle accise di benzina, gas e gpl: un approfondimento sulla questione

Dunque, il Consiglio dei ministri ha ribadito il taglio delle accise sul carburante: lo sconto sui prezzi di benzina, diesel e gpl come detto, rimarrà in vigore fino al prossimo 8 luglio. L’attuale scadenza era prevista per il 2 maggio, con una inevitabile impennata dei prezzi che sarebbe giunta già dal 3 maggio.

Attraverso tale proroga il governo manterrà il prezzo di benzina e diesel ben al di sotto dei 2 euro, al contrario di quanto sarebbe avvenuto senza il taglio delle accise di 25 centesimi al litro (a cui va aggiunta l’Iva per una complessiva riduzione di 30,5 centesimi).

Sussistono novità pure per quanto riguarda i controlli. Infatti, il termine per gli esercenti nel quale trasmettere le giacenze nei serbatoi per la corretta applicazione del taglio delle accise va a posticiparsi al prossimo 8 luglio 2022. Una ulteriore novità riguarda il monitoraggio anti-speculazioni attuato dal Garante dei prezzi, il quale potrà avvenire pure con il sostegno e la presenza della Guardia di finanza.

Il Garante, quindi dovrà monitorare l’andamento dei prezzi, compresi quelli relativi alla vendita al pubblico. Inoltre, per quanto riguarda il metano avrà pure il compito di monitorare l’andamento nell’ambito dell’intera filiera di distribuzione commerciale.

Nel prossimo paragrafo vediamo una rapida carrellata sui prezzi.

Benzina, gpl, metano: uno sguardo ai prezzi

Dunque, a causa della proroga fino a luglio i prezzi di benzina, diesel e gpl potrebbero rimanere invariati o perlomeno subire poche oscillazioni rispetto a quelli odierni.

Cambia un po’ il discorso per il metano, per il quale è atteso un calo abbastanza drastico, con il taglio delle accise e la conseguente riduzione dell’Iva.

Ma quali sono i prezzi del carburante oggi? Per capirlo vediamo gli ultimi dati di Quotidiano Energia, basati sulle rilevazioni aggiornate al primo maggio. Si registra, nelle ultime ore, un rialzo dei prezzi dovuto all’aumento delle quotazioni dei prodotti petroliferi. Ecco i prezzo di oggi (in euro al litro):

  • Benzina self: 1,798 (precedente era 1,783)
  • Benzina servito: 1,931 (era 1,925)
  • Diesel self: 1,815 (era 1,795)
  • Diesel servito: 1,948 (era 1,936)
  • Gpl tra 0,849 e 0,872
  • Metano auto tra 2,076 e 2,342.

Questo, dunque è il quadro in linea di massima che si estende nel nostro paese per questo futuro immediato, per quanto riguarda la situazione sui tagli delle accise e i costi dei vari materiali, tra benzina e affini.

Ricalcolo millesimi condominiali: chi paga e come funzionano

Il ricalcolo dei millesimi condominiali nella sua funzionalità, questo sarà approfondito nella nostra rapida guida, anche per capire meglio chi paga quando esso avviene all’interno del condominio.

Ricalcolo millesimi condominiali: di cosa si tratta

Dunque, cosa sono, in pratica, i millesimi condominiali? Sono così definiti perché al condominio viene assegnato per convenzione un valore totale di 1.000: in pratica rappresentano l’unità di misura del condominio stesso. Ogni parte di esso ha quindi un valore in termini di millesimi condominiali.

E come avviene il ricalcolo dei millesimi condominiali?

Sostanzialmente, i valori millesimali delle proprietà all’interno del condominio possono essere rettificati o modificati in due casi precisi:

  • nel caso in cui sono sbagliati: in tal caso, si parlerà di rettifica dei millesimi;
  • quando mutano le condizioni di una parte dell’edificio o di un solo appartamento (ad esempio a seguito di soprelevazioni, incremento di superfici o incremento o diminuzione delle unità immobiliari) e, in tal senso, si altera per oltre un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino. In questa circostanza, si parla di modifica dei millesimi. 

Nel prossimo paragrafo, andiamo a vedere chi paga questo ricalcolo condominiale ed altre cose in merito da sapere.

Tabelle millesimali, cosa c’è da sapere

In un condominio, troviamo due tipologie di proprietà: la proprietà esclusiva, ovvero quella del singolo sul proprio appartamento e la proprietà comune, sarebbe a dire quella di tutti i partecipanti alla comunione sui beni condominiali.

Le tabelle millesimali non servono ad altro che a stabilire l’entità del contributo di ogni condomino nella spartizione delle spese sui beni comuni e a conoscere il “peso” di ciascun votante nelle delibere assembleari. Tuttavia, può succedere che non tutti i condomini facciano lo stesso uso dei beni comuni, per esempio come accade per le scale e al loro impiego da parte del proprietario del primo piano rispetto a quello dell’attico. Per tale motivo, oltre alla tabella generale della proprietà, ne esistono altre. Potremmo dire che in linea sostanziale le tabelle millesimali solitamente sono tre:

  1. tabella generale
  2. tabella per le scale e tabella per l’ascensore
  3. tabella per il riscaldamento.

Ricalcolo millesimi condominiali: chi li paga?

Nel caso in cui il ricalcolo dei millesimi diviene necessario per un errore presente all’interno delle vecchie tabelle o quando è il risultato della volontà dell’assemblea di cambiare le stesse adottando nuove regole, la spesa viene ripartita tra tutti i condomini. Ognuno di essi quindi contribuirà al pagamento della parcella del tecnico nominato dall’assemblea in base ai propri millesimi di proprietà. 

Nel caso in cui, il ricalcolo dei millesimi è effettuato a causa della modifica del valore, di oltre un quinto, anche solo di un singolo appartamento, la spesa va a carico di chi ha dato luogo alla variazione.
Dunque, in buona sostanza, il condomino che ha effettuato i lavori nella propria unità immobiliare dovrà anche sostenere la spesa per il rifacimento delle tabelle.

Occorre la maggioranza per modificare le tabelle millesimali?

Occorre sapere che sia per l’approvazione delle tabelle millesimali che per la modifica delle stesse non è necessario il consenso dell’unanimità dei condòmini, ma è sufficiente la maggioranza qualificata prevista dall’articolo 1136 del Codice civile ossia un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Quindi, a tal proposito vanno fatte le seguenti considerazioni:

  • qualora la modifica derogasse alla regola generale di divisione delle spese secondo millesimi, allora è necessaria l’unanimità;
  • se la modifica non deroga a tale norma, allora sarà sufficiente la maggioranza dei presenti che rappresentino almeno la metà dei millesimi. E questo vale anche se il regolamento condominiale era stato approvato all’unanimità.

Dunque, questo è quanto ci sia di più utile e necessario da sapere in merito alle beghe condominiali, sulla questione dei ricalcoli millesimali e alle conseguenti spese da supportare, all’interno di un condominio.

I 5 paesi d’Europa dove vivere meglio dopo la pensione

Il sogno di godersi la pensione, maturata dopo anni di lavoro, in un paese straniero, lontano da caro vita e dal trambusto metropolitano della propria città, accarezza molti anziani. Ma, quali sono i 5 paesi d’Europa dove vivere meglio dopo la pensione? Scopriamolo nella nostra guida.

Pensione e vacanze: una vecchiaia in relax

Molti scelgono mete esotiche tra il sud est asiatico e l’America centro e meridionale, molti altri pensano a mete europee dell’ est, per poter godersi i propri risparmi, in pensione.

Per chi vuol restate nella continentale Europa, vi è qualcuno che ha stilato una classifica dei 5 migliori paesi, per sostenere una vita in relax dopo la pensione.

Nello specifico ci ha pensato il World Economic Forum a stilare l’elenco dei migliori Paesi d’Europa in cui trasferirsi dopo la pensione nel 2022. Questi Stati presentano un costo della vita competitivo e le possibilità di godersi gli anni della pensione sono facilmente raggiungibili.

La modalità di ricerca si è basata in particolare su alloggio, residenza, tasse, sicurezza, assistenza sanitaria, governance, clima e costo della vita. E, curiosamente, al quinto posto della suddetta classifica troviamo proprio l’Italia.

Ecco la classifica: Top 5 per la pensione 2022

1. Portogallo
2. Svizzera
3. Grecia
4. Malta
5. Italia

A vincere la curiosa classifica è il Portogallo. Il paese lusitano ha un costo della vita accessibile a tutti, offre incentivi fiscali per i residenti stranieri, una vasta quantità di spiagge, un clima piacevole e un ottimo livello di sicurezza.

Stando, invece ad un report stilato da Blacktower Financial Magazine, il migliore paese d’Europa sarebbe la Finlandia.

In questo caso, la valutazione ha tenuto conto di fattori in base ai tassi di criminalità, al costo della vita, all’aspettativa di vita, ai prezzi degli immobili e all’età della popolazione.

La Finlandia delle sconfinate lande innevate comanderebbe la classifica.

L’atmosfera paciosa finlandese e la magia dell’aurora boreale vedono molti pensionati andare “off-grid” per godersi il loro meritato riposo di una vita. Con panorami mozzafiato, laghi freschi, vaste foreste e città pittoresche; non sorprende che la Finlandia attiri milioni di pensionati al loro confine ogni anno.

Anche in questa classifica l’Italia si piazza quinta nella lista, grazie a una qualità di vita alta e aspettative di vita tra le più alte d’Europa.

Mentre, curiosamente il Portogallo esce fuori dalla Top 5, piazzandosi settima.

Altri paesi in cui godersi la pensione, in Europa

Nell’ultimo caso, per il report di Blacktower, sembrerebbe che il Regno Unito sia poco adatto a godersi la propria pensione, piazzandosi ultimo nella lista di 24 paesi europei candidati.

Mentre, Spagna, Slovenia, Olanda e Italia completano la cinquina da sogno, con la Finlandia.

Nel primo report, troviamo la Svizzera seconda, da sempre meta neutrale e approdo per molti italiani migranti.

Sul terzo gradino del podio c’è, invece, la Grecia. Un’eccellente cucina, isole da sogno e un clima paradisiaco sono tre ottimi biglietti da visita del Paese ellenico. A questi se ne aggiunge un quarto, ovvero un programma di visto che consente a chi investe (solo se cittadini extra-Ue) almeno 250.000 euro in immobili di ottenere una residenza permanente della durata di cinque anni.

Completano la top 5 del World Economic Forum Malta e, come detto la nostra Italia, rispettivamente in quarta e quinta posizione. Malta è tra le mete predilette dai pensionati alla ricerca di sole tutto l’anno e assistenza sanitaria, tra le migliori in tutta Europa, ma allo stesso tempo è tra le nazioni dove il costo della vita è più alto che altrove.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla possibilità di scovare le migliori mete d’Europa per godersi la propria agognata pensione nel 2022 in corso.

Pensioni giornalisti 2022: cosa cambia e quali requisiti

In vista di una data molto importante, quella del prossimo 1 luglio 2022, andiamo a vedere cosa cambia nel futuro prossimo per le pensioni dei giornalisti. Quali importi e quali requisiti occorrono, lo scopriamo nella nostra guida in merito.

Pensioni giornalisti: come funziona

Vediamo in generale, come funziona la pensione per giornalisti, prima di avvicinarci al cambiamento del prossimo luglio 2022.

Innanzitutto, occorre sapere che il sistema pensionistico dei giornalisti dipendenti, iscritti all’INPGI, è finanziato attraverso un prelievo contributivo rapportato alla retribuzione erogata. L’attuale aliquota contributiva destinata al fondo pensioni è pari al 33%, ed è così suddivisa: 23,81% a carico azienda e 9,19% a carico del lavoratore.

Ma cosa cambia, dunque dal prossimo mese di luglio del 2022, lo scopriamo nei prossimi paragrafi.

Pensioni giornalisti, cosa cambia dal 1 luglio 2022

Dunque, alcuni articoli precisi dell’ultima legge di Bilancio indicano che anche i giornalisti passano all’Inps, pertanto la gestione INPGI convoglia a nuova forma.

Tale scelta è stata stabilita dal Governo, che per tale via ha inteso individuare una soluzione sostanziale per poter rimediare al disavanzo dell’Istituto Giovanni Amendola, a causa anche della crisi del settore editoriale tradizionale, per la crescita dell’informazione digitale.

Dunque, dal prossimo 1 luglio, i giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti titolari di un rapporto di lavoro subordinato in campo giornalistico saranno iscritti all’Inps. Questo passaggio riguarderà i rapporti attivi e quelli passivi, l’assicurazione IVS ed anche i trattamenti di disoccupazione e integrazione salariale dei giornalisti con contratto di lavoro subordinato.

Quindi, dalla data in questione le regole della gestione sostitutiva saranno di fatto uniformate a quelle applicate presso il fondo pensioni lavoratori dipendenti. Tutto questo, nell’osservanza del principio del pro-rata, cioè con salvaguardia del criterio di calcolo della pensione e seguendo l’interesse dei lavoratori stessi.

Pensione giornalisti: quali sono i requisiti

I requisiti utili per il cambio in atto saranno i seguenti per essere iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti:

  • I “giornalisti professionisti, i pubblicisti e i praticanti iscritti all’Albo negli appositi elenchi e registri” titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica;
  • Con evidenza separata, i titolari di trattamenti pensionistici diretti ed i superstiti già iscritti alla data del 30 giugno 2022 presso la gestione sostitutiva dell’INPGI.

Saranno invece esclusi dal trasferimento INPS le seguenti categorie

  • Giornalisti professionisti;
  • I pubblicisti;
  • I praticanti giornalisti;

che però esercitano l’attività in maniera autonoma (quindi senza rapporto di subordinazione) o nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, iscritti all’INPGI 2, noto come gestione separata.

Pensione giornalisti: il principio pro-rata

Il cosiddetto principio pro-rata rappresenta uno specifico meccanismo di calcolo pensionistico, il quale mira a proteggere i pensionandi dalle possibili novità e cambiamenti di legge peggiorative del sistema di calcolo del trattamento pensionistico finale.

In pratica, la logica sarebbe quella per cui le novità intervenute potranno essere applicate solo per calcoli futuri e non, quindi, in rapporto a contributi già versati negli anni precedenti. Quindi a tal proposito si ha un chiaro esempio in riferimento alle novità delle pensioni giornalisti, al via dal primo luglio di quest’anno.

Cambiamenti degli importi

Andiamo a vedere cosa cambia in merito agli importi della pensione in vista delle novità in arrivo da luglio, la situazione è la seguente:

  • l’importo del trattamento pensionistico per i soggetti già assicurati presso l’Inpgi sarà calcolato – per quelle quote corrispondenti alle anzianità contributive acquisite fino al 30 giugno 2022 – con le regole applicate nella stessa gestione sostitutiva;
  • per quanto riguarda l’importo della pensione collegata alle anzianità contributive acquisite a partire dal primo luglio 2022 in poi, varranno le disposizioni vigenti nel fondo pensioni lavoratori dipendenti.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alle principali novità sulle pensioni giornalisti 2022, in arrivo dal prossimo luglio 2022.

Ecco come denunciare un negozio online se si è vittima di truffe

Può capitare di imbattersi in siti truffa o in shop che vendono materiale che non recapiteranno mai al vostro indirizzo, dopo aver incassato i soldi. Cosa succede se ci si ritrova dinnanzi ad una truffa eseguita online? Vediamo come agire nella nostra rapida guida in merito.

Come denunciare un truffatore online

Ormai,  è ben evidente che sono sempre di più i consumatori italiani che effettuano acquisti online. Ovviamente ha contribuito a questo incremento anche l’attuale periodo vissuto, tra lockdown e limitazioni agli spostamenti, aiutando pure le persone meno tecnologiche ad adeguarsi allo shopping online. Di pari passo, però, crescono anche i raggiri e gli imbrogli a danno dei consumatori ed è per questo che diventa fondamentale adottare alcune semplici regole per tutelarsi da tali problemi e, nei casi più gravi, denunciare il sito e-commerce.

Cosa è bene fare dunque se ti accorgi di esser vittima di una frode online?

Andiamo, quindi a vedere come agire, a livello pratico per tutelarsi da una truffa online.

Nei casi in cui il consumatore abbia regolarmente pagato la merce, però questa non viene mai spedita semplicemente perché non è (e non lo è mai stata) disponibile, oppure se il consumatore ha ordinato un costoso oggetto firmato salvo ricevere una copia taroccata da pochi euro, od anche se al consumatore sono stati illecitamente carpiti i dati della propria carta di credito e così via. In questi specifici casi è del tutto evidente che siamo di fronte ad una vera e propria truffa.

Quindi, in suddetti casi, come denunciare un venditore online?

Vediamo alcuni pratici consigli per intervenire:

  • avere sistema operativo, antivirus e browser sempre aggiornati;
  • leggere i feedback e recensioni lasciati dagli utenti prima di acquistare;
  • verificare su Google l’esistenza di eventuali notizie/segnalazioni riguardanti il venditore;
  • pagare in contrassegno se il sito non è conosciuto o se è la prima volta che lo si utilizza;
  • cercare di verificare l’identità del venditore, ad esempio attraverso la partiva IVA, il dominio internet, il numero di telefono fisso, l’indirizzo fisico relativo al punto vendita o al magazzino, ecc.;
  • diffidare di prodotti venduti a prezzi estremamente vantaggiosi;
  • preferire siti di e-commerce italiani in quanto il consumatore è maggiormente tutelato;
  • preferire l’utilizzo di carte prepagate visto che è possibile circoscrivere l’eventuale ammanco all’importo effettivamente caricato sulla carta;
  • evitare di fornire – se possibile – dati personali (codice fiscale, coordinate bancarie, copia dei documenti, ecc.);
  • prestare attenzione a link e download di phishing.

Come denunciare una truffa online alla Polizia Postale

Un passaggio pratico per denunciare è accedere al sito della Polizia Postale e compilare il modulo di denuncia online.

In questo modo la Polizia Postale potrà indagare sulla vicenda, impedire che si ripeta ed avviare le pratiche per rimborsarti (ma su questo dipenderà dai casi) il denaro perduto, a meno che di questo non possa occuparsi la tua banca.

Occorre sapere che questa denuncia non sostituisce la denuncia fisica, ma rappresenta solo il primo passo della vera e propria denuncia per reati telematici (da presentare poi ai Carabinieri).

Nello specifico la Polizia Postale consente di

  • segnalare un sito (www.commissariatodips.it/segnalazioni/segnala-online/index.html), ovvero consente di porre alla loro attenzione talune condotte che si presumono illecite, al fine di poter svolgere gli opportuni accertamenti;
  • denunciare un sito (https://denunceviaweb.poliziadistato.it). Accedendo allo spazio “Denuncia via web di reati telematici“.

Come bloccare carte e pagamenti? E’ possibile recuperare il denaro dopo una truffa?

Dunque, dopo un allarme è bene bloccare subito le carte di credito e i bancomat con i quali si è subita la truffa.

Immediatamente prima di farlo, però, è bene controllare eventuali movimenti bancari sospetti. Nel momento in cui contatterete la vostra banca per bloccare le carte bisognerà fare presente eventuali prelievi o acquisti online non effettuati da te, in modo che l’Istituto bancario possa restituirti il denaro perduto.

Se invece hai semplicemente effettuato un acquisto online ma il prodotto non è mai arrivato, e non hai notato movimenti sospetti, chiama direttamente la tua banca.

Gli operatori ti consiglieranno se bloccare o meno le tue carte in base alla situazione.

Se l’acquisto sospetto è avvenuto con il metodo di pagamento PayPal, contatta pure il servizio di assistenza clienti di questa società in modo che possano avviare le pratiche di restituzione del denaro.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere in merito alle possibili risoluzioni per denunciare e limitare negozi online, in caso di truffe.

IMU 2022: come pagare in ritardo se non versata

Cosa succede se non si paga per tempo la tassa IMU 2022? A cosa si va incontro per il mancato esborso e in che modo sopperire, lo scopriamo in questa rapida ma essenziale guida sull’ argomento.

IMU 2022: di cosa si tratta

Innanzitutto, andiamo a definire cosa si intende con il termine IMU.

IMU è inteso come “Imposta Municipale Propria”. L’IMU è il tributo istituito dal governo Monti nella manovra Salva-Italia del 2011 e si paga a livello comunale sul possesso dei beni immobiliari. È operativa a decorrere dal gennaio 2012, fino al 2013 è stata valida anche sull’abitazione principale.
Andiamo a vedere come si può sanare il pagamento tardivo di tale tassa patrimoniale.

IMU 2022, come pagarlo se in ritardo

Coloro i quali non fossero riusciti a pagare la tassa IMU entro il 16 giugno 2022 potranno rimediare compilando il modulo F24 – cartaceo o online -, aggiungendo all’imposta interessi e sanzioni, dando quindi vita al ravvedimento operoso. A livello di compilazione dell’F24, dopo il rigo dedicato all’imposta principale – codice tributo 3918 – va compilato un 2° rigo in cui barrare il quadratino del ravvedimento, calcolando gli importi con le seguenti regole:

1) gli interessi, da calcolare al netto del tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito;

2) la sanzione in misura ridotta, fino al 1° luglio 2022 ridotta a 1/15 per ogni giorno di ritardo (in pratica 1%). Per cui, in sede di ravvedimento, la sanzione da versare sarà pari allo 0,1% per ciascun giorno di ritardo.

Superata, invece, la scadenza di un anno, si pagherà una multa del 30%.

Ravvedimento operoso

La dovuta sanzione, in caso di omesso o errato pagamento è del 30% dell’importo del versamento omesso o errato. Ma, cosa accade con il ravvedimento operoso?

Questa si riduce se si usufruisce del cosiddetto ravvedimento operoso, che riduce l’importo della sanzione di una percentuale diversa a seconda di quando l’imposta viene pagata. Ricordiamo che il ravvedimento operoso, compreso quello per regolarizzare il versamento di tributi locali come Tari, bollo auto e Imu, si applica a patto che la violazione non sia stata già contestata e comunque non siano iniziate le attività di accertamento.

Di seguito, troviamo differenti tipi di ravvedimento operoso:

  • ravvedimento operoso sprint: viene esercitato entro 14 giorni dalla data di scadenza, con la riduzione della sanzione a 1/15 per ciascun giorno di ritardo, pari allo 0,1% giornaliero. Si dovrà pagare l’importo dovuto del tributo con l’aggiunta di una sanzione dello 0,1% per ogni giorno di ritardo e gli interessi pari al tasso legale;
  • ravvedimento breve: pagando dal quindicesimo al trentesimo giorno, viene applicata una maggiorazione fissa dell’1,5%;
  • ravvedimento intermedio: oltre il mese di ritardo la multa sale all’1,67% e si può applicare fino al 90esimo giorno dalla scadenza;
  • ravvedimento lungo: un anno di tempo, quindi entro la scadenza per la dichiarazione dell’anno successivo, la sanzione è pari al  3,75%.

Acconto IMU 2022: chi non paga

Andiamo, in ultimo a vedere chi è omesso dal pagamento IMU 2022.

Coloro che sono licenziati dal pagamento dell’imposta sono i possessori di un immobile adibito ad abitazione principale accatastato nelle categorie A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7. Sono inoltre, esonerati dal pagamento i seguenti casi:

  • il nudo proprietario (quando sull’ immobile è presente un usufrutto);
  • l’inquilino dell’immobile (l’imposta deve essere versata dal titolare dei diritti reali);
  • la società di leasing concedente (in quanto paga l’ utilizzatore);
  • l’affittuario dell’azienda se l’azienda comprende un immobile (il versamento compete al proprietario dell’azienda concessa in affitto);
  • il comodatario (paga il comodante titolare dell’immobile),
  • il coniuge non assegnatario in caso di separazione o divorzio.

Questo, dunque, è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito al pagamento ritardato o mancato della tassazione IMU 2022.

 

BTP Futura: di cosa si tratta e perché è importante

In questa rapida guida ci occupiamo di piccoli risparmiatori, andando a scandagliare cosa si intende per BTP Futura e quanto può essere importante.

BTP Futura, di cosa si tratta

Molti costantemente sono incuriositi sul fenomeno dei BTP Futura e sono crescenti le domande su come far fruttare questo tipo di titoli di Stato.

Partiamo subito col dire che quando si parla di BTP si fa riferimento a dei titoli di Stato a medio-lungo termine con scadenza superiore ad 8 anni e cedole semestrali nominali, pensati unicamente per le esigenze dei risparmiatori e degli investitori retail.

Il BTP Futura era stato annunciato nell’aggiornamento delle Linee Guida per la gestione del debito pubblico 2020 di aprile e ad oggi, nel 2022 è giunto al quarto collocamento.

BTP Futura, come funziona e cosa c’è da sapere

Sostanzialmente, per comprendere al meglio cos’è il BTP Futura non si può prescindere da quello che è il suo obiettivo, ovvero quello di finanziare le spese legate al coronavirus e alla ripresa economica del nostro paese. In pratica, il titolo avrà lo stesso scopo del BTP Italia ma una struttura diversa.

Tra le caratteristiche del BTP Futura anche delle cedole step up, ossia cedole nominali semestrali calcolate sulla base di tassi prefissati e crescenti nel corso del tempo.

Queste saranno pagate con cadenza semestrale e il calcolo avverrà sulla base di un tasso cedolare fisso per i primi 4 anni, che aumenterà una prima volta per i successivi 4 anni e una seconda volta per gli ultimi 4 anni.

Di seguito vediamo quali sono i tassi minimi:

  • Anni 1-4: 0,75%
  • Anni 5-8: 1,25%
  • Anni 9-12: 1,70%  

Giusto per fare un esempio, il BTp Futura 2028 adesso offre oltre il 2,6% lordo, circa il 2% in più di quanto prospettato all’emissione di appena un anno e mezzo fa; il BTp Futura 2037 rende circa 3,45%, anche in questo caso oltre il 2% in più di quanto percepisce chi ha acquistato in fase di collocamento.

E’ necessario, inoltre sapere qualcosa in più per quanto riguarda i tempi.

Il BTP Futura è giunto alla quarta emissione. Il collocamento è iniziato l’8 novembre e si chiuderà il 12 prossimo novembre.

Saranno garantite almeno tre giornate intere di collocamento, che pertanto non potrà terminare prima del 10 novembre.

Tutto quello che c’è da sapere su BTP Futura

Volendo, dunque andare a riassumere i principali dettagli del BTP Futura nella quarta edizione li vediamo di seguito:

  1. interamente dedicato al retail;
  2. i suoi proventi finanzieranno la ripresa;
  3. rendimenti crescenti nel tempo;
  4. doppio premio fedeltà legato al PIL;
  5. cedole minime a 0,75%, 1,25% e 1,70%;
  6. lotto minimo di €1.000;
  7. quarta emissione dall’8 al 12 novembre;
  8. possibilità di chiusura anticipata;
  9. scadenza 12 anni;
  10. nessuna tassazione sull’acquisto

In ultima analisi, una volta compreso cos’è BTP Futura, molti si sono chiesti e si chiedono come comprare il titolo di Stato per i piccoli risparmiatori.

A fare chiarezza sulle modalità è stato lo stesso MEF, che ha confermato la possibilità di utilizzare le stesse procedure previste per il BTP Italia, dunque tramite l’ufficio postale o la propria banca di fiducia.

Inoltre, è stato altresì attivato il canale online tramite cui accedere al proprio internet banking.

Va tenuto conto che è probabile che il Tesoro decida di non lanciare nuovi collocamenti di BTP Futura per il 2022, in base al corrente contesto geopolitico ed economico che il nostro paese (e non solo) sta attraversando.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito ai BTP Futura e alla loro crescente importanza per i piccoli risparmiatori.

Immobile acquistato all’asta, danneggiato: cosa fare

Acquistare un immobile all’asta può essere un’occasione vantaggiosa, ma talvolta possono presentare difetti o danni che non erano elencati nella perizia tecnica. Cosa fare in tal caso? Lo scopriamo nella nostra guida.

Asta giudiziaria: come acquistare un immobile

Vediamo, innanzitutto cosa è un’asta giudiziaria e come si acquista un immobile in tali circostanze.

L’asta immobiliare giudiziaria è un procedimento attraverso il quale il giudice dell’esecuzione dà modo a ai creditori (su loro iniziativa) di soddisfare in maniera coatta il proprio credito, attraverso la vendita dei beni immobiliari del debitore.

In sostanza, l’asta giudiziaria è la parte terminale dell’esecuzione forzata, dove i beni vengono venduti affinché, sul loro ricavato, possano soddisfarsi i creditori.

L’asta giudiziaria può svolgersi in due modalità:

  • senza incanto, ovvero se l’offerta va presentata in busta chiusa e l’importo proposto deve essere uguale o superiore alla base d’asta. Nel caso in cui si presenti una sola offerta, l’interessato è obbligato ad acquistare l’immobile al prezzo offerto, pena in caso di ripensamento la perdita della cauzione pari al 10%;
  • con incanto, ovvero, quando si possono fare più offerte. Si tratta di una gara tra offerenti che ha come base l’offerta più alta ricevuta.

Immobile danneggiato: come e quando si può agire

Andiamo, dunque alla radice della questione, ovvero a capire cosa accade se si compra un immobile danneggiato.

Sostanzialmente, stando all’articolo 2922 del codice civile, non ci si può lamentare dopo l’acquisto di un immobile, differentemente da un normale acquisto in asta.

Tuttavia, il compratore può comunque far qualcosa per tutelarsi. Secondo la giurisprudenza, l’esclusione della garanzia per i vizi non si estende all’ipotesi di consegna di una cosa:

  • totalmente diversa da quella originariamente pattuita, circostanza che avviene, ad esempio, se l’immobile appartiene a un genere completamente diverso da quello indicato nell’ordinanza di vendita;
  • mancante delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione (se, ad esempio, la casa non è abitabile);
  • del tutto compromessa per quanto riguarda la destinazione all’uso, se questa ha motivato la presentazione dell’offerta d’acquisto.

In sostanza, possiamo dire che il compratore può agire in giudizio e rivendicare i danni soltanto se l’immobile risulta profondamente difforme rispetto alla perizia tecnica del tribunale od anche se è stato danneggiato a tal punto da comprometterne l’utilizzo in modo irreparabile.

Conclusioni

In conclusione, possiamo dire che se ricorre almeno una delle condizioni sopra elencate, in tal senso l’aggiudicatario potrà citare in giudizio il debitore, ovvero il precedente proprietario, per chiedere il risarcimento dei danni che ha arrecato all’immobile poco prima del rilascio.

Nel caso, in cui i danni dell’immobile acquistato all’asta fossero imputabili al custode giudiziario (che non rappresenta il debitore, naturalmente), allora sarà possibile intraprendere un’azione di risarcimento danni direttamente contro la sua persona.

Ciò accade, ad esempio se il custode è negligente, non curandosi delle infiltrazioni provenienti dal piano di sopra, così favorisce il danneggiamento di tutte le pareti e il crollo parziale del soffitto.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alle situazioni in cui si acquista un immobile danneggiato, comprato ad un’ asta giudiziaria.

Come aprire un negozio online su Amazon

Molti si chiedono come poter vendere i propri prodotti attraverso la nota piattaforma di Jeff Bezos. In questa rapida guida andiamo, quindi, a vedere come aprire un negozio online su Amazon.

Negozio online, di cosa si tratta

Innanzitutto andiamo a vedere cosa si intende quando si parla di negozio online, od anche noto come shop online.

Con il termine negozio online (o negozio in rete, negozio virtuale, più raramente con le espressioni inglesi webshop, online shop e online store) si fa riferimento, inevitabilmente, ad una tipologia di commercio elettronico nella quale il mezzo di realizzazione dell’acquisto è il sito web, e in cui la transazione economica si svolge, appunto, online.

In linea sommaria, per poter essere venditori su Amazon è necessario accedere ad Amazon Seller Central, la piattaforma attraverso cui è possibile creare il proprio catalogo di prodotti, definire le offerte, gestire gli ordini, comunicare con gli acquirenti, analizzare i dati di vendita e utilizzare gli strumenti pubblicitari di Amazon.

Nel prossimo paragrafo andremo nel dettaglio a vedere come aprire un negozio online su Amazon.

Come funziona aprire un negozio online su Amazon

Innanzitutto, è bene sapere che per aprire un negozio su Amazon è indispensabile avere un account sul medesimo sito di shopping online. Quindi occorre necessariamente creare un account Amazon, se non se ne possiede già uno.

Prima di vedere la procedura per creare il proprio negozio su Amazon, sarà necessario conoscere quali sono le tariffe per la gestione del proprio shop online e le spese applicate per ogni vendita andata a buon fine. Di base, possiamo dire che vi sono due tipologie di piani di vendita.

  • Piano di vendita Base: quello rivolto ai venditori occasionali che non hanno particolari esigenze, permette di creare al massimo 40 inserzioni al mese. Non ha alcun costo ricorrente e consente di aprire un negozio gratuitamente. Per ogni articolo venduto, è prevista una commissione di chiusura fissa pari a 0,99 euro, una commissione per segnalazione e una commissione di gestione che variano a seconda della categoria del prodotto venduto.
  • Piano di vendita Pro: con un costo di 39 euro/mese, esso consente di gestire un negozio professionale senza limitazioni nella creazione di inserzioni. Consente di usare strumenti automatizzati per caricare il proprio inventario, di monitorare i propri ordini e di vendere in tutte le categorie di Amazon. I venditori Pro non pagano la commissione di chiusura fissa ma vengono applicate le commissioni per segnalazione e di gestione.

Una volta chiarita la questione amministrativa, vediamo come creare all’atto pratico lo shop online su Amazon.

Come si crea un negozio online su Amazon

Dunque, vediamo quali requisiti occorrono per effettuare la procedura di apertura di uno shop online su Amazon.

Per registrarsi come venditore occorrono le seguenti cose:

  • un indirizzo postale aziendale, oppure un account cliente Amazon;
  • una carta di credito;
  • numero di conto corrente associato al referente legale;
  • un documento d’identità valido;
  • i dati di registrazione della società (compresa la partita IVA);
  • visura camerale aggiornata negli ultimi 6 mesi;
  • carta di credito rilasciata da un istituto bancario o virtuale (Es. N26) – (NO carte di Debito);
  • conto corrente bancario (IBAN, BIC, Swift);
  • e-mail dedicata e diversa da quella di un account compratore;
  • utenze (luce/gas) con indirizzo congruo alla sede legale;
  • numero di cellulare di un addetto ai lavori interni all’azienda, servirà in fase di accesso per ricevere un codice OTP numerico di sicurezza a seguito del login.

Dopodiché sarà necessario scegliere un nome per il proprio negozio, anche quello del brand di vendita inerente. E il gioco, sostanzialmente, è fatto.

Piano di vendita individuale

Vi sono due piani di vendita differenti, uno dei quali è quello di vendita individuale.

In questa tipologia, Amazon trattiene una tariffa prepagata di 0,99 euro su ogni oggetto venduto, senza dover sottoscrivere nessun tipo di abbonamento mensile. Sarà inoltre Amazon a impostare automaticamente le spese di spedizione degli ordini e a stabilire i termini di servizio che i venditori possono offrire agli acquirenti.

Piano di vendita Professionale

Come detto anche precedentemente, vi è un piano di vendita con costo mensile.

Il piano di vendita Professionale, infatti, richiede il pagamento di una quota di abbonamento pari a 39,00 euro/mese, non rimborsabile indipendentemente dall’effettiva vendita o pubblicazione di offerte. Non vengono applicate tariffe di chiusura fissa sulle vendite, ma sono previste delle commissioni sul prezzo dell’articolo, esattamente le stesse previste per i venditori Individuali.

Con questo piano vi è accesso alle funzionalità dell’inventario che consentono di caricare più file contemporaneamente o di gestire gli ordini tramite feed e report, ed è consigliabile a chi:

  • vende più di 40 articoli al mese;
  • vuole pubblicizzare i propri prodotti;
  • vuole risultare idoneo al posizionamento all’inizio dei risultati di ricerca;
  • vuole servirsi di strumenti di vendita avanzati, come API e report;
  • vuole vendere prodotti che rientrano in categorie soggette a restrizioni.

Questo, quindi è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere per aprire un negozio online su Amazon.