Affitti brevi: ecco i documenti da inviare al Fisco, la guida

Una delle formule ormai più diffuse di contratto di affitto è senza dubbio quella della locazione breve. Gli affitti brevi sono una soluzione ottimale sia per chi prende una casa in affitto per un periodo limitato di tempo, che per chi ha un immobile su cui si vuole fare business. Ma esistono regole precise che vanno rispettate, anche per la modulistica da inviare all’Agenzia delle Entrate. Soprattutto alla luce di alcune novità recentemente entrate in vigore.

Tutte le novità approvate  dall’Agenzia delle Entrate sugli affitti brevi

La normativa di riferimento che riguarda le locazioni brevi parte dal 2017. In effetti il DL n° 50 del 2017, all’articolo 4 comma 1, poi convertito nella legge n° 96 del 23 giugno 2017, stabilisce le regole da seguire. E si parte dalla definizione di affitto breve. Infatti per poter parlare di affitto breve i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo non devono essere sopra i 30 giorni come durata totale.  L’unica eccezione normativa sono i contratti di sublocazione o di concessione in godimento a terzi .

In primo luogo va detto che l’obbligo di trasmissione dei dati ricade inizialmente, e se presente nel contratto, sull’intermediario immobiliare. Infatti è il soggetto che esercita l’attività di intermediazione immobiliare, ovvero colui che mette in contatto la domanda e l’offerta di case in affitto, a dover comunicare i dati ed inviare la documentazione alle Entrate. L’obbligo riguarda tutti gli affitti brevi conclusi tramite il loro interessamento, e va espletato entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si chiudono i dati. Non è esente da sanzioni la mancata comunicazione dei dati o la comunicazione mendace o errata di questi dati.

Si ricorda che la scadenza è importante per evitare sanzioni, ma se la trasmissione dei dati avviene entro i primi 15 giorni dalla scadenza, la sanzione si abbatte drasticamente ed è ridotta del 50%.

Quali i dati che vanno comunicati

  • L’obbligo di comunicare i dati alle Entrate non è disattendibile. Infatti occorre indicare:
  • I dati anagrafici ed il codice fiscale del locatore;
  • La durata del contratto;
  • L’importo del corrispettivo lordo oggetto del contratto;
  • L’indirizzo dell’immobile dove si materializza il contratto.

Qualcosa però per il 2022 è cambiato. Infatti un recente provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate ha introdotto non poche novità. Per esempio, i soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, devono comunicare  anche tutti i dati catastali dell’immobile oggetto della locazione.

L’indicazione dei dati catastali resta facoltativa nella fase transitoria, fino al 2023 quando diventerà obbligatorio inviare questi dati.

Affitto: quali spese sono a carico del proprietario e quali dell’inquilino

Uno dei maggiori argomenti anche di discussione nei contratti di affitto, tra inquilino e proprietario di casa riguarda le spese. Riparazioni straordinarie, spese condominiali, spese ordinarie e così via. La materia è assai vasta. Ecco una sintetica guida alle normative vigenti che fissano i limiti ma che a volte variano in base a precisi accordi tra le parti.

Affitto e spese, chi paga tra proprietario e inquilino?

In un contratto di locazione, in immobile viene ceduto dal proprietario all’inquilino, dietro pagamento di un canone periodico. Inquilino e proprietario sono le due figure predominanti di questo contatto. E sono queste due  parti che finiscono, spesso, in contenziosi e accese discussioni quando si tratta di sostenere delle spese di manutenzione o anche quando sopraggiungono particolari spese condominiali. Molto dipende dal tipo di spesa e dal tipo di intervento di manutenzione dell’immobile per esempio. In linea generale, le spese ordinarie sono sempre in capo all’inquilino, che viene detto pure conduttore.

Cosa dice il Codice Civile

Come dicevamo, ci sono delle direttive legislative che trattano la materia. L’apparato normativo parte dell’articolo n° 1576 del Codice Civile. Secondo la norma, le spese di riparazione sono tutte a carico del proprietario o locatore. Solo gli interventi di piccola manutenzione sono a carico del conduttore. Parliamo di riparazioni di cose mobili, di manutenzione ordinaria. A carico del conduttore le spese per la pulizia, le spese di consumo quali quelle per l’energia elettrica, l’acqua, il gas da riscaldamento. Ma anche quelle per la manutenzione ordinaria dell’ascensore o quelle per fornitura di servizi comuni nei condomini. In base al Codice delle locazioni invece, anche i servizi di portineria devono essere sostenute dall’inquilino (solo il 10% è a carico del locatore).

Le tabelle Ministeriali in aiuto agli interessati per capire la ripartizione di queste spese

L’importanza di questi aspetti del rapporto tra inquilini e proprietari è dimostrata dal fatto che sono state predisposte tabelle atte a fugare eventuali dubbi che il Codice Civile poteva lasciare per via di una normativa piuttosto vaga.

Le associazioni di categoria, quindi Confedilizia per i proprietari immobiliari e Sunia, Sicet e Uniat per i conduttori, hanno concordato alcune regole con tanto di tabelle che dividono le spese tra le parti in causa. Tabelle avvalorate dalla vidimazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che nel 2017 ha preparato e approvato un decreto ad hoc.

Cosa fare in sede di stipula del contratto

Quando si sottoscrive un contratto di affitto tra locatore e conduttore, dentro si può scrivere tutto, anche regole diverse da quelle stabilite in materia di ripartizione delle spese. Naturalmente essendo enorme la casistica di eventi che possono produrre spese sull’immobile, lasciare qualcosa fuori è assai facile anche per i più attenti. Come si legge sul sito di “la legge per tutti.it”, il consiglio è di allegare le tabelle ministeriali, che come detto sono frutto di una intesa tra le associazioni rappresentative di entrambe le parti, al contratto.

Negli immobili dove è presente l’ascensore, come detto in precedenza, gravano sull’inquilino tutte le spese ordinarie anche di manutenzione, dell’ascensore. E naturalmente, le spese relative ai consumi di energia elettrica dell’ascensore stesso nonché le spese di collaudo e revisione.

Le altre spese a carico del conduttore nei contratti di affitto

Per il serbatoio idrico e la sua autoclave vale la stessa regola dell’ascensore, così come le spese per il videocitofono, l’illuminazione comune, l’antifurto. Tutti gli altri impianti, da quello elettrico a quello del gas, per le spese di manutenzione ordinaria, tutto grava sull’inquilino. Anche le spese per ispezioni, controlli, collaudi e così via dicendo. Anche le spese antincendio sono a carico del conduttore, come anche le spese per gli impianti sportivi eventualmente presenti in condominio (le piscine, comprese le spese per il bagnino, il custode e gli addetti alla pulizia anche dell’acqua).

Sono a carico dell’inquilino pure le spese relative alla manutenzione ordinaria di grondaie, colonne di scarico, tetti, lastrico solare, condutture, pozzetti, fognatura. Stesso discorso per la manutenzione ordinaria di pareti, delle ringhiere  delle aree verdi, della segnaletica.

Le spese a carico dell’inquilino in affitto, all’interno dell’appartamento

Quanto detto prima riguarda le parti comuni di un condominio. Evidente che se c’è da cambiare l’ascensore del tutto, o se c’è bisogno di montarne uno dove non era presente, le spese non sono ordinarie ma straordinarie. E le sostiene il proprietario. In linea di massima ogni spesa che va ad incidere, anche se marginalmente sul valore dell’immobile, deve essere a carico del proprietario. Una cosa è sistemare la grondaia, un’altra è sostituirla del tutto. Così come per qualsiasi impianto, televisivo, di rete, elettrico o idrico.

Per quanto riguarda la casa di abitazione dell’inquilino, ovvero per la parte privata e non comune con i condomini, l’inquilino deve pagare sempre le spese per la manutenzione ordinaria di pavimenti e rivestimenti, manutenzione ordinaria di infissi e serrande. E poi, spese di manutenzione ordinaria di impianti sanitari, idrici, elettrici, di riscaldamento, televisivi, di rete.

La sostituzione di vetri rotti, così come le serrature nuove da montare, la pitturazione delle pareti.

Affitto casa ai giovani: quali agevolazioni fiscali sono previste?

Quali agevolazioni fiscali sono previste per i figli che vorrebbero prendere in affitto un’abitazione per conto proprio? I giovani tra i 20 e i 31 anni di età (non ancora compiuti) possono prendere in locazione un’unità abitativa intera oppure una porzione di essa e godere di benefici fiscali grazie a un’Irpef più bassa. È necessario il contratto di locazione e la legge di riferimento per l’affitto è la numero 431 del 1998. Il beneficio fiscale applicato all’Irpef è del 20%.

Quale detrazione fiscale si ottiene con l’affitto della casa ai giovani fino a 30 anni?

Il massimo della detrazione fiscale Irpef ottenibile dall’affitto di una casa ai giovani è pari a 2 mila euro. Quella di base, il minimo della detrazione ottenibile, anche per il 2022 rimane 991,60 euro. Il 20% di beneficio fiscale si applica mediante la percentuale del 20% sul canone di affitto pattuito. Più il canone di affitto è alto, maggiore è lo sconto fiscale applicando la percentuale prevista.

Quali sono i requisiti per beneficiare della detrazione fiscale del 20% sull’affitto della casa per i giovani?

Per poter beneficiare della detrazione fiscale del 20% sull’affitto della casa ai giovani è necessario possedere determinati requisiti. Innanzitutto il reddito complessivo non deve eccedere i 15.493,71 euro. Chi prende l’immobile in affitto, si ritiene, vi ci deve spostare la propria residenza. Quest’ultima, dunque, deve essere necessariamente differente da quella relativa alla casa principale dei genitori. Rispetto al passato, il beneficio fiscale si può sfruttare per quattro anni e non più per tre. L’età di chi prende in affitto la casa o una porzione di essa deve essere compresa tra i 20 e i 31 anni. Quest’ultima età non deve essere già stata compiuta.

Quale sconto fiscale si può ottenere per l’affitto di una casa per studenti universitari fuori sede?

Lo sconto fiscale del 20% sull’affitto di una casa per i giovani non è l’unico vantaggio ottenibile per chi sposti la propria residenza abituale. Infatti, è ancora in vigore lo sconto fiscale per gli studenti universitari fuori sede. Le condizioni di accesso all’agevolazione fiscale, nel 2022 sono rimaste invariate. Si può ottenere la detrazione fiscale Irpef del 19% sui canoni di locazione versati per l’alloggio universitario. Il beneficio fiscale ha il limite massimo di 2.633 euro. Il beneficio fiscale per gli studenti fuori sede si può applicare sui canoni di locazione inerenti i contratti previsti dalla legge numero 431 del 1998, ovvero:

  • i contratti di ospitalità;
  • gli atti di assegnazione in locazione o godimento stipulati con gli enti che non abbiano fini di lucro oppure con le cooperative.

Cosa fare per beneficiare dello sconto Irpef sulle locazione per i figli universitari fuori sede?

Per beneficiare della detrazione fiscale è necessario che lo studente studi a un’università che si trovi in un comune diverso di quello di appartenenza. L’università deve trovarsi in una provincia differente e distante non meno di 100 chilometri dal comune di residenza dello studente fuori sede. La detrazione fiscale non spetta nel caso di subaffitto. La detrazione fiscale spetta anche se l’onere viene sostenuto nell’interesse di famigliari a carico. L’importo limite di 2.633 euro rappresenta il massimo di spesa del quale può beneficiare ciascun contribuente, anche se riferito a più contratti di affitto intestati a più figli.

Quali limiti di reddito per beneficiare della detrazione fiscale sugli affitti di figli universitari fuori sede?

È importante far riferimento ai limiti di reddito inseriti per poter beneficiare della detrazione fiscale sugli affitti a favore di figli universitari fuori sede. Il limite complessivo del reddito non deve eccedere i 120 mila euro. Entro tale limite la detrazione fiscale è piena per poi decrescere, fino ad azzerarsi, in corrispondenza di redditi pari a 240 mila euro. La spesa di affitto sostenuta deve essere tracciata mediante le opportune modalità di pagamento.

Quali altre modalità di detrazione fiscale esistono sugli affitti?

Quelle esposte non sono le uniche modalità per beneficiare di detrazioni fiscali sugli affitti. È rimasta invariata la detrazione fiscale spettante agli inquilini di alloggi che siano adibiti ad abitazione principale. Infatti, per i soggetti che abbiano stipulato oppure rinnovato un contratto alle condizioni fissate dalla legge numero 431 del 1998, la detrazione fiscale rimane di 300 euro. È necessario che il reddito complessivo non sia eccedente la cifra di 15.493,71 euro. Se il reddito eccede tale limite ma non supera i 30.987,41 euro, la detrazione spettante scende a 150 euro. Se il contratto di affitto è a canone concordato, fermo restante i limiti di reddito sopra menzionati, la detrazione fiscale è pari, rispettivamente, a 495,8 euro e a 247,90 euro.

Detrazioni fiscali per affitto casa, altra residenza, per motivi di lavoro

Si può ottenere la detrazione fiscale anche nel caso in cui i lavoratori dipendenti debbano trasferire la propria residenza per motivi di lavoro. In questo caso è necessario che il trasferimento di residenza (necessario) avvenga in un’altra regione oppure in un comune differente dalla residenza precedente di non meno di 100 chilometri. Si può arrivare a uno sconto fiscale corrispondente a 991,60 euro purché il reddito non sia eccedente i 15.493,71 euro. La detrazione fiscale scende a 495,80 euro se il reddito eccede i i 15.493,71 euro, ma non deve essere comunque superiore a 30.987,41 euro.

Affitto, contratto non registrato risulta nullo: cosa fare per regolarizzarlo

I contratti di affitto abitativo non registrati risultano nulli. La relativa disciplina è fissata dalla legge numero 431 del 1998: l’affitto deve essere regolamentato sia per tutelare gli aspetti della locazione, dunque la durata e i canoni, sia per il recupero di quanto debba essere denunciato ai fini dell’imposizione fiscale.

Contratto di affitto non registrato: cosa significa che è nullo?

Un contratto di affitto non registrato, stipulato senza la dovuta forma scritta, è nullo. Il vizio può essere rilevato da una delle due parti o d’ufficio, ma non può essere utilizzato in giudizio. Sono altresì nulli i contratti di affitto a canone libero nei quali siano stati stabiliti dei patti volti a determinare un canone maggiore di quello che risulta dal contratto scritto e registrato. Similmente, risultano nulli anche i contratti che stabiliscono degli obblighi a carico di chi prenda in affitto l’immobile oppure dei vantaggi per chi affitta. Tali vantaggi si concretizzano in un corrispettivo maggiore a quello iscritto nel contratto.

Quali altri contratti di locazione sono nulli?

Risultano nulli anche i contratti di locazione conclusi alle condizioni delle organizzazioni di categoria che assegnino, a chi affitta, un canone maggiore di quello inserito nell’accordo. Analogamente, anche le scritture integrative riportate in un documento separato ma unito al contratto stesso, sono soggette a nullità.

Cosa deve fare chi affitta un immobile a uso abitativo in caso di nullità del contratto di locazione?

La disciplina che prevede la nullità del contratto di locazione di un immobile a uso abitativo, dispone che chi affitta abbia 30 giorni di tempo per procedere alla registrazione del contratto. I 30 giorni partono dalla sottoscrizione del contratto stesso. Nei 60 giorni successivi all’avvenuta registrazione del contratto, chi affitta ne deve dare comunicazione documentata di aver svolto l’adempimento. La comunicazione deve essere fatta pervenire sia all’affittuario che all’amministrazione del condominio.

Cosa può fare chi prende in affitto un locale a uso abitativo con contratto nullo?

Per un contratto di affitto di unità abitativa dichiarato nullo, chi ha preso in affitto l’immobile può chiedere che gli vengano restituite le somme pagate in maniera indebita. Il termine per la richiesta è fissato in 6 mesi dal momento in cui l’immobile oggetto di locazione viene riconsegnato. Dunque, il termine decorre dal momento del rilascio effettivo dell’unità abitativa e non da quando scade il contratto. Il che coincide, di norma, con la riconsegna delle chiavi.

Perché chi prende una unità abitativa può chiedere la restituzione delle somme?

La restituzione di quanto indebitamente percepito da chi affitta un immobile con contratto dichiarato nullo va a vantaggio di chi prende in affitto l’unità abitativa. Il motivo risiede nel fatto che la norma intende tutelare maggiormente la parte debole del contratto, ovvero chi prende in affitto l’immobile. Il conduttore, infatti, potrebbe non essere disponibile a esercitare i propri diritti per paura di possibili ritorsioni del locatore.

Contratto registrato tardivamente, chi prende in affitto l’immobile può chiedere la restituzione delle somme?

Nei fatti, la Giurisprudenza ha sanato buona parte delle nullità dei contratti di affitto determinate da un canone effettivo maggiore di quello riportato nel contratto e registrato tardivamente. La Cassazione a Sezioni Unite ha decretato che chi registra il contratto di affitto tardivamente, oltre il termine consentito, possa vedersi sanato il vizio del contratto stesso con effetti retroattivi. Pertanto, chi prende in affitto un immobile e paghi un importo superiore a quello risultante dal contratto registrato tardivamente, non può richiedere la restituzione delle somme pagate in più rispetto a quanto riportato nel contratto.

Contratto di affitto sanato da nullità e controlli ai fini del Fisco

Quanto ha stabilito la Cassazione vanifica pertanto l’azione del conduttore dell’immobile. Quest’ultimo è tenuto al pagamento di tutti gli importi pattuiti fin dal principio del contratto stesso, poi sanato. Per chi affitta l’immobile rimane invece la necessità di regolarizzare l’aspetto fiscale. Ovvero, chi registra tardivamente il contratto di affitto di un immobile a uso abitativo viene individuato come locatore da tenere sotto controllo per far venir fuori eventuali redditi che non siano stati dichiarati al Fisco.

Cosa avviene per i contratti di locazione di immobili abitativi in forma verbale?

Diverso è il caso in cui il contratto di affitto di una unità abitativa avvenga in forma verbale. Nei casi di controversie tra chi affitta e chi prende in affitto l’immobile è il giudice a stabilire quale deve essere il canone dovuto. E, pertanto, l’ammontare del corrispettivo dovuto non può essere superiore a quello minimo stabilito per i contratti di tipo transitorio.

Bonus affitti, il quadro RU per indicare gli aiuti ricevuti nel 2020

Con l’emergenza sanitaria, il legislatore ha previsto delle agevolazioni per sostenere autonomi e imprese dai danni causati dalla crisi. Una delle varie misure è stata il credito di imposta per i canoni di locazione pagati nell’esercizio dell’attività. Anche per il bonus affitti, dunque, è necessario indicare gli aiuti ricevuti nel quadro RU del modello.

Affitti, il primo bonus del 2020 da dichiarare nel quadro RU: il credito d’imposta per botteghe e negozi

Un primo aiuto sugli affitti, all’inizio della pandemia, è stato previsto dall’articolo 65 del decreto legge numero 18 del 2020. Il credito d’imposta per i canoni di locazione delle botteghe e dei negozi, è stato utilizzato dalle attività a partire dal 25 marzo 2020. Ai beneficiari è stato garantito un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al solo mese di marzo 2020. Da segnalare che il credito d’imposta era ammesso limitatamente agli immobili rientranti nella categoria catastale C/1.

Attività che hanno beneficiato del credito di imposta sugli affitti a marzo 2020

Più nel dettaglio, il credito d’imposta è stato riconosciuto alle imprese che hanno dovuto chiudere l’attività per l’aggravarsi della situazione sanitaria in Italia. Il bonus, dunque, collegato al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, aveva sospeso le attività:

  • commerciali al dettaglio, a eccezione di quelle di generi alimentari;
  • ristorative;
  • dei servizi alla persona, come barbieri, parrucchieri, estetisti.

Il collegamento con il D.P.C.M. spiega anche l’esclusione di immobili di categoria catastale diversa dalla C/1, e dunque delle relative attività, al credito d’imposta sugli affitti.

Come si indica nel quadro RU il credito imposta affitti di marzo 2020

Chi ha percepito il credito d’imposta sugli affitti del mese di marzo 2020 adesso dovrà indicarlo nel quadro RU con il codice 11. L’importo da indicare nel rigo RU 5, alla colonna numero 3, è quello inerente alle spese sostenute nel corso del 2020. La compensazione si deve indicare nel rigo RU 6. Se è sopraggiunta la cessione del credito, va indicata nel rigo RU 9: in tal caso il cessionario non ha l’obbligo di compilare il quadro RU.

Bonus affitti 2020, il credito d’imposta istituito con il Dl 34 del 2020

I beneficiari del credito d’imposta istituito con il decreto legge numero 34 del 2020 sono stati sicuramente in numero più elevato. Il comma 1 dell’articolo 28 del provvedimento specifica che, al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza da Covid, ai soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione, con volume di ricavi o di compensi non oltre i 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto, è previsto un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili a uso non abitativo. L’immobile deve essere destinato allo svolgimento di attività industriali, commerciali, artigianali, agricole, turistiche oppure all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo.

Bonus affitti Dl 34, i periodi da considerare sono marzo, aprile e maggio 2020

Il credito d’imposta dell’articolo 28 del Dl 34/2020 spetta, altresì, alle strutture alberghiere e agrituristiche a prescindere dal volume di ricavi o compensi registrati nel periodo di imposta precedente. Ulteriori beneficiari del credito di imposta sono gli enti non commerciali e del terzo settore. Inoltre, rientrano anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti. Il periodo di imposta previsto dal Dl 34 del 2020 deve essere considerato in riferimento ai mesi di marzo, aprile e maggio. Le strutture turistiche ricettive con attività stagionali devono far riferimento ai mesi di aprile, maggio e giugno 2020.

Come si registra il bonus affitti 2020 nel quadro RU

Attività e autonomi che hanno beneficiato del bonus affitti di marzo, aprile e maggio 2020 devono indicarlo nel quadro Ru. Il rigo di riferimento è Ru 5 alla colonna 3: qui si deve indicare l’ammontare del credito d’imposta spettante in riferimento ai canoni di locazione o di affitto relativi al periodo d’imposta oggetto della dichiarazione. In caso di cessione del credito d’imposta si deve indicare, invece, il rigo RU 9. In tale ipotesi, deve essere riportato nella colonna l’importo ceduto e comunicato all’Agenzia delle entrate tramite la procedura prevista. Non si deve compilare, in caso di cessione del credito d’imposta, la sezione VI B.

Credito di imposta nel rigo RU 5 per bonus affitti 2020: prospetto Aiuti di Stato

A differenza del primo bonus relativo a “botteghe e negozi”, il credito d’imposta previsto dal decreto legge 34 deve rispettare i limiti e le condizioni previste dal “Quadro temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid”. Quindi, l’ammontare del credito indicato nel rigo RU 5 deve essere anche inserito nel prospetto “Aiuti di Stato” che si trova nel quadro RS. In questo caso, è necessario andare al rigo RS 401 e utilizzare il codice 60.

Affitto, una scelta di vita

In Italia, chi va in affitto e perché? Lo ha determinato un’analisi condotta dall’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa sui contratti di affitto stipulati attraverso le agenzie Tecnocasa e Tecnorete nel primo semestre 2016 sul territorio nazionale.

L’analisi evidenzia che nella maggioranza dei casi si opta per un affitto per scelta abitativa (61,3%), mentre il 35% del campione lo fa per motivi di lavoro e il 3,9% per motivi di studio. Rispetto al primo semestre del 2015 queste percentuali sono rimaste sostanzialmente invariate, con una leggera diminuzione della percentuale di affitto legato allo studio, che passa dal 4,6% all’attuale 3,9%.

Il contratto di locazione più utilizzato rimane quello a canone libero da 4 anni più 4 (66,4%); da segnalare però un netto aumento della percentuale nella stipula di contratti a canone concordato da 3 anni più 2 (22,9% contro il 18% del 2015 ed il 13,9% del 2014).

Il taglio più richiesto in locazione è il bilocale (40,5%), seguito dal trilocale con il 35,6%.

Molto elevata la percentuale di single che cercano casa in locazione: sommando celibi/nubili, separati/divorziati e vedovi, la percentuale rilevata arriva al 61,3%.

Come cambia in Italia il mercato degli affitti

Buone notizie dal mercato italiano degli affitti. Secondo i dati rilevati dall’Ufficio Studi Tecnocasa, nel secondo semestre del 2015 i canoni di locazione nelle grandi città hanno segnato un calo dei valori dello 0,3% per i monolocali, un aumento dello 0,2% per i bilocali e dello 0,7% per i trilocali.

Andamento non omogeneo per gli affitti, poiché nei capoluoghi di provincia la contrazione ha interessato solo i bilocali (-0,2%) mentre i canoni di locazione dei sono aumentati dello 0,3% per i trilocali e dello 0,6% per i monolocali.

Ma chi ha scelto la soluzione degli affitti nella seconda metà del 2015? Ancora una volta si è trattato per la maggior parte di persone che non riescono ad accedere al mercato del credito, primi fra tutti i giovani, i monoreddito e gli immigrati, ai quali si aggiungono gli studenti e i lavoratori fuori sede.

Il 57,5% di chi cerca casa in affitto lo fa per scelta abitativa, a seguire il 36,1% che si trasferisce per motivi di lavoro e il 6,4% per motivi di studio. Tra le grandi città a Firenze e a Milano si registra la percentuale più elevata di chi richiede affitti per motivi di lavoro e di studio: 61,3% e 24,2% e 56,1% e 21,3%.

Quanto allo stato civile, a livello nazionale, prevalgono i single (63,5%) con punte del 76,2% a Milano (di cui il 69,6% celibi o nubili).

Per quanto riguarda la tipologia dei contratti degli affitti, a livello nazionale il 66,6% ricorre al canone libero e il 20,3% al canone concordato, percentuale che rispetto ad un anno fa è in crescita. Una formula contrattuale che prevale a Genova (79,6%) e a Verona (72%). La tipologia maggiormente affittata a livello nazionale è il bilocale (40%).

Infine, crescono gli affitti di immobili che presentano soluzioni di “qualità” – in termini di stato dell’immobile, qualità dell’arredamento, ambienti luminosi e servizi in zona -, così come l’interesse per gli immobili arredati in tutto o in parte e con la presenza del collegamento ad internet.

Nel 2015 mercato immobiliare in frenata

L’Osservatorio sul mercato immobiliare residenziale italiano condotto dall’Ufficio Studi di Immobiliare.it ha rilevato che, se il 2015 è stato un anno positivo per il mercato immobiliare, soprattutto grazie alla forte ripresa dei mutui che ha rimesso in moto l’intero settore, per quanto riguarda i prezzi di vendita è stato contraddistinto da una ulteriore contrazione: -5,1% sull’intero anno, con un -2,9% solo nel secondo semestre.

A dicembre 2015 il prezzo medio ponderato richiesto per gli immobili residenziali italiani è sceso a 2.056 euro/mq e, nell’intero quarto trimestre, la discesa prezzi è stata dello 0,4%.

La riduzione più consistente dei prezzi si è registrata al Nord, con un -5,7%. In generale, la regione con il mercato immobiliare più in frenata è stata la Liguria (-7,6% dei prezzi a metro quadro), seguita da Friuli Venezia Giulia (-7,3%) e Sicilia (-7,0%).

La Regione con il prezzo medio di vendita più elevato è risultata il Trentino Alto Adige (3.014 euro/mq), mentre la Regione in cui il dato medio è il più basso è stata la Calabria, con 1.115 euro/mq richiesti a dicembre.

Nel panorama del mercato immobiliare nazionale, il 2015 è stato l’anno in cui Roma ha ceduto il primato di capoluogo più caro a Firenze: pur perdendo meno rispetto alla città toscana (-4,3% rispetto -6% di Firenze), la Capitale non riesce a riguadagnare il suo storico primato, assestandosi a 3.413 euro/mq, contro i 3.436 euro/mq di Firenze. Milano è ancora terza sul podio dei prezzi di vendita, con una media di 3.262 euro richiesti al metro quadro per le abitazioni.

Affittansi fari. Affarone!

Sono molti gli immobili di proprietà dello Stato che, inutilizzati e a volte fatiscenti, rappresentano un costo se non uno spreco. E alcuni di essi potrebbero invece trasformarsi in ottimi affari. È il caso di alcuni fari, per i quali recentemente il Demanio ha emesso un bando di gara per il loro affitto 50ennale, che ha registrato un successo di adesione.

Si tratta di 11 fari di pregio storico e paesaggistico, sparsi tra Centro e Sud Italia, per il cui recupero e riuso sono arrivate al Demanio 39 proposte. A presentarle, sia immobiliari, sia associazioni ambientaliste e locali, sia investitori esteri.

Nel dettaglio, i fari interessati dal bando sono 7 gestiti dal Demanio e 4 dal ministero della Difesa. I primi sono il faro di Brucoli ad Augusta (SR), il faro di Murro di Porco a Siracusa (SR), il faro di Capo Grosso nell’Isola di Levanzo – Favignana (TP), il faro di Punta Cavazzi a Ustica (PA), il faro di Capo d’Orso a Maiori (SA), il faro di Punta Imperatore a Forio d’Ischia (NA), il faro di San Domino alle Isole Tremiti (FG).

I fari gestiti dal Ministero della Difesa, sono quelli di Punta del Fenaio sull’Isola del Giglio (GR), il faro di Capel Rosso sempre al Giglio, il faro Formiche di Grosseto e quello di Capo Rizzuto a Isola di Capo Rizzuto (KR).

Tra i fari offerti in affitto, quello che ha ricevuto più proposte, 7, è stato quello di Capo d’Orso, quello con meno offerte, 0, il faro di Isola di Capo Rizzuto.

Una volta chiuso il bando, due commissioni, appositamente costituite per l’Agenzia del Demanio e per il ministero della Difesa, apriranno i plichi con le offerte in seduta pubblica verificando la correttezza formale della documentazione presentata.

Le proposte idonee al recupero e riuso dei fari saranno valutate secondo il criterio dell’offerta “economicamente più vantaggiosa“, risultato della proposta progettuale, valutata con punteggio pari al 60%, e della proposta economica, punteggio massimo pari al 40%.

Le proposte progettuali dovranno essere coerenti con gli indirizzi e le linee guida del progetto Valore Paese – FARI, per le quali i fari potranno accogliere iniziative ed eventi di tipo culturale, sociale, sportivo o essere utilizzati per la scoperta del territorio.

La riscossa degli affitti

Abbiamo visto già dai mesi scorsi come il mercato immobiliare italiano abbia ripreso un po’ di dinamismo sul fronte delle compravendite, segno che le famiglie italiane cominciano ad avere un po’ più di fiducia nella ripresa. Aspettando che si risvegli anche il settore delle costruzioni.

Oltre che nel mercato delle compravendite immobiliari, però, si registra una ripresa anche nel mercato degli affitti. Secondo l’ultimo Rapporto sulle locazioni commissionato a Nomisma da Solo Affitti, nel 2015 gli affitti sono aumentati in media in Italia dell’1,7%. I rincari più significativi hanno riguardato gli affitti dei quattro locali (+3,3%) e dei trilocali (+2,4%).

Considerando invece la distribuzione geografica relativa ai rincari degli affitti, la città che ha fatto segnare il maggior incremento è stata Bologna (+11,6%), seguita da Perugia (+9%), Bari (+8,5%), Napoli (+6,3%), Genova (+5,5%) e Catanzaro (+5,2%). Non mancano i capoluoghi di provincia nei quali il prezzo medio degli affitti è calato: Palermo (-7,7%), Potenza e Campobasso (-5%), Roma (-2,2%).

Un altro dato significativo emerso dal Rapporto è stato l’incremento del numero di famiglie che hanno scelto gli affitti come principali modalità abitative: 59,5% nel 2015 contro il 50,3% del 2014 (addirittura 80% a Trento e Palermo).

Fino a qui abbiamo parlato di incrementi, statistiche e percentuali. Ma, nel dettaglio, a quanto ammontano le cifre medie degli affitti degli italiani? Il Rapporto parla di 516 euro al mese (558 se è la casa è ammobiliata, 572 se oltre alla casa si affitta anche il garage). Nettamente sopra alla media nazionale si posizionano Milano (916 euro), Roma (809 euro) e Firenze (642 euro); poco sopra Bologna (568 euro) e Venezia (566 euro).

Al Centro Sud, gli importi medi degli affitti si abbassano sensibilmente: 379 euro al mese a Potenza, 381 euro a Campobasso, 396 a Perugia e 399 a Catanzaro.