Debito Irpef a rate con trattenuta, cosa succede se cambio datore ?

Cosa succede se si rateizza il debito Irpef attraverso la trattenuta in busta paga ma prima del pagamento di tutti gli importi si perde il datore di lavoro o si cambia? A fornire delucidazioni su Irpef a rate è l’Agenzia delle Entrate.

Irpef a rate, ma ho perso il datore di lavoro

Nel caso in cui dalla dichiarazione dei redditi emerga un debito Irpef, lo stesso deve essere saldato entro la fine del mese di novembre. L’importo può però essere rateizzato, prima viene presentata la dichiarazione dei redditi e maggiore sarà il numero di rate attraverso le quali è possibile dividere il pagamento degli importi.

I lavoratori dipendenti possono rateizzare gli importi attraverso trattenute in busta paga, in questo caso sarà il datore di lavoro a “trattenere” dallo stipendio gli importi e a versarli all’Agenzia delle Entrate.

Nel caso in oggetto il contribuente chiede delucidazioni sulle modalità di pagamento in quanto, sta per cambiare il datore di lavoro e ha ancora rate residue di Irpef da versare.

Irpef a rate con il modello F24

L’Agenzia delle Entrate attraverso la rubrica FiscoOggi ha sottolineato che nel caso in oggetto, cioè il debito Irpef rateizzato dal lavoratore con trattenuta dalla busta paga, il datore di lavoro all’atto di cessazione del rapporto di lavoro deve comunicare tempestivamente al lavoratore gli importi Irpef ancora da versare. A questo punto sarà il lavoratore a dover versare gli importi residui entro i termini di scadenza attraverso l’uso del modello F24.

Questa la regola generale, ma è possibile avvalersi in alcuni casi di una “eccezione”. Nel caso in cui il datore di lavoro al cessare del rapporto di lavoro avesse delle somme residue da versare al lavoratore, questo potrebbe richiedere al datore di versare le residue rate Irpef all’Agenzia delle Entrate trattenendo le somme su tali importi residui dovuti ( circolare14 del 2013 AdE).

Leggi anche: Rimborso Irpef 2023, il calendario

Ferie non godute 2020 termini e rischi per le imprese

Le ferie sono un diritto del lavoratore e nel caso in cui lo stesso, per un qualunque motivo non riesca a goderle, sono previste sanzioni per il datore di lavoro/impresa. Ecco entro quando il datore di lavoro deve far in modo che i dipendenti fruiscano delle ferie per evitare sanzioni legate a ferie non godute.

Entro quando il lavoratore deve godere delle ferie per evitare sanzioni al datore di lavoro?

Scade il 30 giugno 2022 il termine per consentire ai lavoratori che hanno maturato ferie nel 2020 e non le hanno utilizzate di usufruirne evitando così l’applicazione di sanzioni a carico del datore di lavoro. L’articolo 2109 comma 2 del codice civile stabilisce il lavoratore ogni  anno  ha diritto a un periodo di ferie retribuito possibilmente continuativo. La durata di tale periodo è stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi.

Il decreto legislativo 66 del 2003 stabilisce inoltre che il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite di almeno 4 settimane. Il periodo feriale secondo le norme deve essere goduto per almeno 2 settimane nell’anno di maturazione e le restanti due settimane possono essere godute nell’arco dei 18 mesi successivi, quindi entro il 30 giugno. Per il 30 giugno 2022 scade il termine per godere delle ferie del 2020, mentre il 30 giugno 2023 scade il termine per godere delle ferie maturate nel 2021.

Quali sono le sanzioni per il datore di lavoro per le ferie non godute dai dipendenti?

In caso di mancato rispetto delle norme relative al godimento delle ferie sono previste sanzioni a carico del datore di lavoro/impresa. Le stesse sono da:

  • da 120 a 720 euro per un anno di violazioni riguardanti fino a 5 lavoratori;
  • da 480 euro a 1.800 euro nel caso in cui la violazione abbia riguardato più di 5 dipendenti oppure nel caso in cui la violazione sia stata perpetrata per 2 anni;
  • da 960 euro a 5.400 euro nel caso in cui la violazione abbia riguardato più di 10 dipendenti oppure si sia prolungata in almeno 4 anni.

Chi riceve il conguaglio Irpef a luglio 2022? Tutte le date

Molti contribuenti si chiedono, viste anche le difficoltà economiche che molti affrontano, quando potranno ricevere il conguaglio Irpef, cioè le eccedenze sulle detrazioni Irpef effettuate dal sostituto di imposta: datore di lavoro o ente pensionistico. Possiamo subito dire che molti potranno riceverlo già a luglio, ecco chi saranno i beneficiari.

I tempi previsti per l’invio del modello 730 e il conguaglio Irpef

Generalmente dalla seconda metà del mese di aprile è disponibile online il modello 730 precompilato. Dal mese di maggio invece è possibile procedere all’inoltro del modello 730 precompilato senza modifiche oppure con integrazioni e modifiche. Questi termini concedono all’Agenzia delle Entrate i tempi tecnici necessari a effettuare i controlli ( in caso di nuovo invio da parte del caf o del commercialista oppure in caso di modifiche del modello precompilato) e di conseguenza mettere in pagamento i rimborsi Irpef dal mese di luglio.

Quest’anno le cose non sono andate esattamente così. Il modello precompilato è stato disponibile solo dal 23 maggio 2022, mentre l’opzione per la modifica è stata disponibile solo dal 31 maggio. A questo si è aggiunto che in tale data ci sono stati dei problemi tecnici al sito quindi l’effettivo accesso alla modifica è stato disponibile solo dal tardo pomeriggio del 31 maggio 2022. L’Agenzia ha dichiarato che tali ritardi erano legati a verifiche sul corretto funzionamento operate da Sogei, la società che realizza e gestisce le piattaforme.

Questo intoppo ha messo in allarme molti contribuenti che hanno temuto di non riuscire a ottenere il rimborso Irpef nel mese di luglio 2022. Molti usano tali somme per le vacanze, soprattutto se sono tra coloro che non hanno diritto alla quattordicesima mensilità.

Ricordiamo che da quest’anno il modello 730 precompilato può essere inviato anche da parenti e persone di fiducia. Per approfondimenti: Modello 730 precompilato con invio da parenti o persone di fiducia. Guida

Le date dei conguagli Irpef 2022

L’Agenzia delle Entrate ha quindi reso noto che, coloro che tramite caf, commercialista oppure tramite invio del modello precompilato ( senza modifiche o integrazioni o come modifiche) hanno proceduto fin dai primi giorni disponibili alla presentazione della dichiarazione, potranno ricevere già con lo stipendio di luglio i rimborsi Irpef. Nello specifico, chi ha inviato entro il 31 maggio, potrà ricevere il conguaglio a luglio, infatti il prospetto di liquidazione per queste persone è disponibile dal 15 di giugno. Sono compresi coloro che non hanno utilizzato la dichiarazione precompilata, ma si sono rivolti al commercialista o al caf.

Chi invia tra il 1° giugno e il 20 giugno invece riceverà i soldi probabilmente nel mese di agosto, l’Agenzia invierà il prospetto di liquidazione al datore di lavoro/sostituto di imposta entro il 29 giugno.

Per coloro che invece presentano la dichiarazione dal 21 giugno al 15 luglio il prospetto di liquidazione sarà disponibile dal 23 luglio.In questo caso è probabile che l’effettivo pagamento avvenga nel mese di settembre.

Per le domande presentate dal 16 luglio al 31 agosto, il prospetto sarà disponibile dal 15 settembre.

L’effettivo conguaglio dipende da quando il datore di lavoro eroga lo stipendio. I conguagli sono messi in pagamento dal mese successivo rispetto a quello in cui il datore di lavoro riceve il prospetto.

Rimborsi Irpef ritardati per chi invece presenta la dichiarazione oltre tale data.

L’Agenzia delle Entrate ha reso noto che pensionati ricevono in conguaglio con la pensione nel mese di agosto e settembre.

Datori di lavoro, cambia tutto, nuovi obblighi sulle assunzioni

Anche nel mondo del lavoro le direttive dell’Unione Europea (UE) dettano le regole. E così proprio una nuova direttiva della Comunità Europea va a determinare nuove norme da seguire in materia di obblighi di comunicazione da parte dei datori di lavoro. Vediamo nello specifico cosa cambia e quali sarebbero queste novità. Anche perché il decreto del Consiglio dei Ministri è già pronto e attende la chiusura del canonico iter approvativo parlamentare.

Nuovi obblighi di comunicazione per i datori di lavoro

E nell’indirizzo di una maggiore trasparenza la novità con cui presto i dati di lavoro dovranno interfacciarsi. Come direttiva UE vuole, ricadono sui datori di lavoro nuovi obblighi normativi ben specifici.
Aumentano i dati che le imprese e le aziende devono fornire all’atto dell’assunzione di un lavoratore nel momento che si instaura in nuovo rapporto di lavoro. Il tutto a garantire al rapporto di lavoro stesso, maggiore trasparenza, come dicevamo prima.
La comunicazione di assunzione di un lavoratore subordinato dovrà essere eseguita in forma scritta ed accompagnata da una forma chiara che gli interessati possono consultare e capire in ogni momento. In pratica, no. Ci devono essere dati celati o nascosti, tutto deve essere alla luce del sole.

Cosa occorre comunicare alla luce della nuova direttiva della Comunità Europea

Il decreto legislativo del governo italiano richiama alla Direttiva UE n° 1152 del 2019. E la recepisce in tutto dal momento che nello schema del decreto recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri (il 31 marzo 2022, ndr), l’ampliamento delle comunicazioni è assolutamente lapalissiano.
Sono gli standard comunitari in materia di obbligo di informativa in favore dei lavoratori ad essere quelli da seguire. E per i datori di lavoro cambia la disciplina di riferimento.
Adesso si attende il disco verde delle commissioni parlamentari affinché le novità trovino conferma.

Cosa cambia con le nuove direttive per i datori di lavoro

In base alle attuali normative, è nei 30 giorni che gli interessati devono provvedere alle comunicazioni di nuove assunzioni. E per interessati si fa riferimento ai datori di lavoro.
Il nuovo decreto dovrebbe andare a modificare i contenuti delle informazioni che comunemente i datori di lavoro producono. E cambiano pure le modalità con cui dare queste comunicazioni.
Tra le novità più rilevanti quella che riguarda l’obbligo che è in capo pure ai committenti nei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, i cosiddetti Co.CO.CO. Obblighi allargati a tutti, perché riguarda pure i casi relativi alle prestazioni di lavoro occasionale da parte dei committenti per chi svolge questo genere di attività prive della continuità.
Restano anche le sanzioni, perché il mancato adempimento espone a multe e sanzioni che vanno da un minimo di 250 euro e un massimo di 1.500 euro.

L’elenco dei nuovi dati da inviare

Nelle comunicazioni dentro il diritto alla formazione, il diritto di conoscere congedi retribuiti e ferie, orario di lavoro e regole sul lavoro straordinario. In pratica, informativa più dettagliata a 360 gradi.SI risolve una evidente carenza di cui l’Italia da sempre era accusata in materia di questo fondamentale adempimento.
Vengono modificate le tempistiche perché non resta il tetto dei 30 giorni fine termine entro cui comunicare i dati prestabiliti. Un lasso di tempo che scattava dal giorno dell’assunzione. Adesso occorre adempiere immediatamente all’atto d’instaurazione del rapporto e prima dell’inizio dell’attività.
O si adotta il contratto di lavoro per iscritto o la copia della comunicazione di apertura del rapporto di lavoro. Ci sono 7 giorni comunque per completare le comunicazioni se sono carenti o errate. E i 30 giorni di prima tornano utili se i dati carenti sono dati non essenziali.

Come e quando si versano le imposte sulle rivalutazioni dei fondi per il Tfr e quali sono i codici tributo

Sulle rivalutazioni dei fondi per il Tfr, il trattamento di fine rapporto, si pagano le tasse. Nella fattispecie, si tratta di un’imposta sostitutiva che è a carico dell’ente pensionistico o del datore di lavoro. Inoltre, per il versamento dell’imposta sostitutiva ci sono annualmente delle scadenze ben precise da rispettare.

Vediamo allora, nel dettaglio, come e quando si versano all’Agenzia delle Entrate le imposte sulle rivalutazioni dei fondi per il trattamento di fine rapporto (Tfr). Ed anche quali sono i codici tributo da indicare.

La rivalutazione del trattamento di fine rapporto, in particolare, avviene attraverso due tassi, di cui uno fisso ed uno variabile. Il tasso fisso e quello variabile, in particolare, vanno a formare quello che viene definito come coefficiente di rivalutazione del Tfr. Che si applica alla fine di ciascuno anno. Oppure al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Rivalutazioni dei fondi per il Tfr, ecco come e quando si versa l’imposta sostitutiva

Nel dettaglio, per il versamento dell’imposta sostitutiva sulle rivalutazioni dei fondi per il Tfr le scadenze annuali sono due. Ovverosia, l’appuntamento con l’acconto, entro e non oltre il 16 dicembre di ogni anno, e l’appuntamento con il saldo il cui termine ultimo, invece, è fissato per il 16 febbraio dell’anno successivo così come si legge sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate.

Considerando che le imposte sulle rivalutazioni dei fondi per il Tfr si versano sempre in due tranche, i codici tributo da indicare sono due. Ovverosia, il codice tributo 1712 per l’acconto, ed il codice 1713 per il saldo dell’imposta sostitutiva.

Quale modello di pagamento si utilizza per versare le tasse sulle rivalutazioni dei fondi per il Tfr

Su quale modello di pagamento si utilizza per versare le tasse sulle rivalutazioni dei fondi per il trattamento di fine rapporto (Tfr), tanto per l’acconto quanto per il saldo si utilizza l’F24. Indicando i codici tributo sopra riportati. Inoltre, se il datore di lavoro ha crediti maturati per altre imposte o contributi, questi per il versamento dell’imposta sostitutiva si possono portare in compensazione direttamente nel modello di versamento e di pagamento unificato F24.

Sempre in compensazione, fino all’ammontare dell’imposta sostitutiva che è dovuta, il datore di lavoro può portare pure il credito che deriva dal prelievo anticipato sui Tfr. Inoltre, ed in alternativa, per la determinazione dell’acconto da versare sull’imposta sostitutiva, entro e non oltre il 16 dicembre di ogni anno come sopra accennato, è possibile avvalersi del metodo di calcolo storico oppure del metodo di calcolo previsionale.

Obbligo di repechage: i principi a cui deve attenersi il datore di lavoro

Tra datore di lavoro e lavoratore si instaura un rapporto di buona fede e correttezza, lo stesso si esplica in diversi obblighi per il datore di lavoro e per il lavoratore. Tra questi vi è il c.d obbligo di repechage, o ripescaggio, che prevede che il datore di lavoro prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve cercare un’altra collocazione al lavoratore, solo nel caso in cui ciò sia impossibile si potrà procedere al licenziamento.

Disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

L’obbligo di repechage è strettamente connesso all’articolo 3 della legge 604 del 1996 che consente al datore di lavoro di licenziare i dipendenti “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Il datore di lavoro per esigenze economiche oppure di riorganizzazione dell’attività lavorativa può licenziare del personale (tra le esigenze di riorganizzazione viene riconosciuta rilevanza anche alla possibilità di esternalizzare alcune attività che prima erano gestite in modo diretto dall’azienda, ad esempio i servizi di pulizia, ma non solo), ma deve essere tutelato l’interesse del lavoratore a conservare il posto di lavoro.

In quest’ottica il licenziamento appare possibile nel caso in cui:

  • le ragioni del datore di lavoro siano reali e non pretestuose (ecco perché spesso i giudici esaminano i bilanci per verificare la sussistenza di ragioni eocnomiche);
  • ci sia un nesso causale tra le ragioni addotte dal datore di lavoro e il licenziamento del lavoratore;
  • non sia possibile il repechage, cioè impiegare il lavoratore in mansioni diverse per le quali abbia comunque le giuste competenze al fine di proseguire il rapporto di lavoro.

Obbligo di repechage anche con demansionamento

Occorre ricordare che in questo caso è possibile anche il demansionamento. Noi sappiamo che non è possibile in azienda collocare il lavoratore in mansioni inferiori rispetto all’inquadramento raggiunto. Vi è un unico caso in cui questo è possibile ed è proprio quello che ci interessa, cioè la necessità per l’azienda di sopprimere delle posizioni per una nuova organizzazione o per difficoltà economiche. In questo caso l’azienda può offrire al dipendente un lavoro di inquadramento diverso. Resta però la libertà del lavoratore di accettare o meno il demansionamento, l’alternativa è il licenziamento.

Il datore di lavoro per poter procedere in tal modo è tenuto a dimostrare di non poter offrire una posizione equivalente e di aver ottenuto un rifiuto al demansionamento.

Tra l’altro vi sono ipotesi in cui il demansionamento può essere unilaterale, si tratta del caso in cui dalla riorganizzazione aziendale emergano delle posizioni con mansioni appartenenti a un livello di inquadramento inferiore che però rientrano nella medesima categoria legale di appartenenza. Negli altri casi, occorre invece un accordo tra le parti.

Non vi è obbligo di repechage se per il datore di lavoro questo rappresenta un costo

Il Tribunale di Roma nella sentenza del 24 luglio 2017 ha sottolineato che non vi è obbligo di repechage nel caso in cui il datore di lavoro per poter ottemperare a ciò debba sostenere costi di formazione eccessivi. Tale obbligo non può trasformarsi in un onere economico per il datore di lavoro. Quindi devono essere tenute in considerazione le posizioni presenti in azienda che richiedono le stesse competenze professionali del lavoratore che in teoria sarebbe in esubero. Tale orientamento è confermato dalla sentenza 31521 della Corte di Cassazione del 2019.

C’è obbligo di repechage anche tra aziende appartenenti allo stesso Gruppo?

La risposta è negativa o meglio solo in alcuni limitati casi il datore di lavoro ha l’obbligo di proporre al lavoratore il trasferimento in un’altra azienda del Gruppo. Si tratta delle ipotesi in cui vi sia un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Si verifica ciò nei casi:

  • vi sia un’unica struttura organizzativa e produttiva;
  • si verifichi integrazione tra le attività svolte dalle varie aziende del gruppo e il correlativo interesse comune;
  • sia possibile individuare un unico soggetto direttivo in virtù di un profondo collegamento tecnico e amministrativo-finanziario tra le varie parti del Gruppo;
  • infine, vi sia un’utilizzazione contemporanea delle prestazioni del lavoratore da parte delle aziende del gruppo.

In base alla sentenza 1656 del 2020 della Corte di Cassazione in questi specifici casi il repechage si applica anche tra le aziende del Gruppo. La prova della presenza di questi requisiti deve essere fornita dal lavoratore.

C’è sempre divieto del datore di lavoro di assumere altre persone?

Dalla giurisprudenza emergono note interessanti inerenti il caso in cui il datore di lavoro assuma altri dipendenti. Il primo caso è contenuto nella sentenza della Corte di Appello di Milano n° 909 del 2017, in questo caso il datore di lavoro successivamente aveva assunto con contratto a tempo determinato un altro lavoratore con le stesse mansioni/inquadramento. Tale assunzione non è stata ritenuta in violazione dell’obbligo di ripescaggio perché fatta al fine di sostituire un altro dipendente assente, ma con diritto alla conservazione del posto di lavoro. Si trattava quindi di un posto di lavoro “diverso”.

Un altro caso particolare è invece trattato dall’Ordinanza del Tribunale di Roma del 27 ottobre 2014, in questo caso vi era stata prima un’assunzione a tempo determinato e in un secondo momento il licenziamento del lavoratore con contratto a tempo indeterminato. Nella ordinanza si sottolinea che tale tipologia di contratto esclude l’obbligo per il datore di lavoro di proporre tale posizione come alternativa al licenziamento.

La sentenza 1508 del 2021 della Corte di Cassazione invece sottolinea che in caso di licenziamento del lavoratore per motivi economici, cioè l’azienda era nella necessità di tagliare i costi, l’obbligo di repechage viene meno proprio perché in contrasto con tale necessità.

Sanzioni per il datore di lavoro

Il datore di lavoro che attua un licenziamento per giustificato motivo oggettivo senza impegnarsi nel ripescaccio può essere sanzionato in diversi modi  a seconda della data del contratto di lavoro. Naturalmente la sanzione è prevista laddove il giudice ritenga che vi fossero le condizioni per il repechage del lavoratore. Per i rapporti di lavoro nati prima del 7 marzo 2015 si applica l’articolo 18 dello Statuto del Lavoratori. Se vi è una manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo c’è il diritto al reintegro nel posto di lavoro, dove non vi sia tale manifesta insussistenza invece c’è solo il risarcimento nella misura massima di 12 mensilità.

Per i rapporti di lavoro stipulati dopo il 7 marzo 2015 invece non è previsto il reintegro obbligatorio nel posto di lavoro ma una tutela risarcitoria di importo pari a due mensilità per ogni anno di servizio e comunque non inferiore a 6 mensilità e non superiore a 36 mensilità.

Quando il datore di lavoro può pagare in contanti i lavoratori?

La tracciabilità dei flussi di denaro è uno dei modi in cui lo Stato combatte l’evasione fiscale e proprio per questo la legge stabilisce che anche le prestazioni lavorative debbano essere pagate con strumenti tracciabili, ma vi sono dei casi in cui il datore di lavoro può pagare in contanti i lavoratori. Ecco le specifiche e i limiti all’uso dei contanti.

Obbligo di pagare i lavoratori con strumenti tracciabili

La legge 205/2017, legge di bilancio per il 2018, all’articolo 1 comma 910 stabilisce che dal primo luglio 2018 i datori di lavoro o committenti debbano usare strumenti tracciabili per il pagamento delle prestazioni lavorative. In particolare i lavoratori devono essere pagati con:

  • bonifico su IBAN indicato dal lavoratore;
  • strumenti di pagamento elettronici, ad esempio il POS, carte pre-pagate;
  • assegno o vaglia consegnato al lavoratore o a un suo delegato (la delega è possibile solo in caso di comprovata impossibilità di pagamento al lavoratore, può essere in favore del figlio almeno sedicenne, del coniuge o del convivente, familiare in linea retta o collaterale);
  • infine, può essere disposto il pagamento in contanti presso una banca o un ufficio postale, ma anche in questo caso il pagamento è comunque tracciabile perché vi è la presenza di un intermediario. Il datore di lavoro quindi non paga direttamente in contanti il lavoratore. Il pagamento deve essere disposto presso una banca o un ufficio postale dove il datore di lavoro abbia un conto corrente e dietro mandato di pagamento.

Nel caso in cui si dovesse contravvenire a queste regole, è prevista la somministrazione di una sanzione amministrativa compresa tra 1.000 euro e 5.000 euro. Non sono previste conseguenze penali.

Eccezioni: quando il datore di lavoro può pagare in contanti il lavoratore?

Vi sono limitati episodi in cui è possibile il pagamento in contanti delle prestazioni lavorative. Si tratta del caso in cui il pagamento avvenga in favore di stagisti, tirocinanti, colf, badanti e collaboratori occasionali.

Non solo, infatti vi sono alcune tipologie di “pagamenti” che possono essere effettuati in contanti, vediamo quindi quando il datore di lavoro può pagare in contanti i lavoratori.

Con la nota 16 luglio 2018, n. 6201 l’Ispettorato del Lavoro ha fatto sapere che non vi è l’obbligo del pagamento con strumenti tracciabili nel caso in cui le somme siano erogate per elementi diversi rispetto alla vera e propria retribuzione.

Questo implica che è possibile pagare in contanti i rimborsi spese, le spese di trasferta, gli anticipi di cassa, spese di vitto e alloggio. Anche in questi casi è però necessario prestare attenzione, infatti il pagamento in contanti di questi importi incontra un altro limite, cioè il limite all’uso dei contanti. Per il 2021, ormai agli sgoccioli, esso è fissato a 2.000 euro, ma per il 2022 il limite viene abbassato a 1000 euro. Questo vuol dire che il datore di lavoro potrà pagare la trasferta al dipendente in contanti per un importo massimo di 999,99 euro. La violazione di questa norma porta all’applicazione di sanzioni specifiche previste per il divieto di uso di contanti e quindi da 1.000 euro a 50.000 euro.

Ricordiamo inoltre che le spese di trasferta concorrono a formare il reddito del dipendente, mentre le spese per il vitto, l’alloggio, il viaggio e il trasporto fuori dal Comune di lavoro non concorrono a determinare il reddito, tali spese devono comunque essere documentate.

Per maggiori informazioni sulla tassazione dell’indennità di trasferta, leggi l’articolo: indennità di trasferta: come funziona il rimborso della diaria?

E

Trasferte fisse e occasionali: quando sono dovuti i contributi

Imprese: datore di lavoro deve convocare la Riunione sulla Sicurezza

Conoscere i rischi specifici del proprio luogo di lavoro è essenziale per prevenire infortuni e patologie. Proprio la consapevolezza di tutti gli “attori aziendali” è spesso un punto nevralgico per le imprese e di conseguenza è prevista la Riunione sulla Sicurezza obbligatoria con cadenza annuale.

Aziende in cui deve svolgersi la Riunione sulla Sicurezza obbligatoria

Il decreto legislativo 81 del 2008 all’articolo 35 pone l’obbligo per il datore di lavoro di convocare almeno una volta l’anno la Riunione sulla Sicurezza. Tale obbligo vige solo nelle aziende con più di 15 dipendenti. Le unità produttive con meno di 15 dipendenti potranno comunque tenere la Riunione sulla Sicurezza, sebbene la stessa non sia obbligatoria. In questi casi solitamente la stessa viene richiesta al datore di lavoro da parte del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. La riunione deve inoltre essere convocata ogni volta in cui in azienda ci siano delle innovazioni che possano portare a una modifica delle condizioni di salute e sicurezza. Ad esempio nel caso in cui siano introdotti nuovi macchinari, nuove tecnologie, nuovi protocolli, cioè tutti quegli elementi che richiedono l’adozione di specifiche misure di prevenzione.

Chi partecipa alla Riunione sulla Sicurezza

In base all’articolo 35, la riunione sulla sicurezza obbligatoria deve essere convocata dal datore di lavoro, ma devono partecipare anche il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, (RSPP), il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) e il medico competente nei casi in cui lo stesso deve essere nominato, cioè quando è necessario attivare il servizio di sorveglianza sanitaria obbligatoria.

Oggetto della Riunione sulla Sicurezza

Durante la riunione il datore deve sottoporre ai lavoratori il Documento di Valutazione dei Rischi. Inoltre deve essere analizzato l’andamento degli infortuni sul luogo di lavoro, delle malattie professionali e della sorveglianza sanitaria. E’ buona norma che il Documento sia consegnato ai partecipanti in anticipo rispetto alla data prevista per la riunione, in modo che possano adeguatamente essere informati sul contenuto. Si tratta quindi di fare un punto della situazione in modo da poter poi successivamente individuare delle soluzioni opportune per poter migliorare la condizione lavorativa.

Durante la riunione il medico competente dovrebbe rendere noti anche i dati sugli infortuni, naturalmente in forma aggregata e anonima.

La riunione deve trattare ulteriori argomenti e in particolare è necessario affrontare i criteri di scelta dei dispositivi di protezione individuali e collettivi. A questo punto ricollegandosi alla prima parte, cioè alla valutazione degli infortuni e delle malattie professionali verificatesi, è necessario determinare se le misure adottate sono sufficienti oppure è necessario implementarle con l’uso di ulteriori dispositivi. Infine, occorre sottoporre all’attenzione di tutti gli addetti i programmi inerenti corsi di formazione e informazione per le varie parti coinvolte.

Naturalmente nel corso della riunione si può anche discutere di norme di comportamento da adottare per migliorare la sicurezza e di ulteriori misure che si vogliono intraprendere. Insomma la stessa ha l’obiettivo di fare il punto sulla situazione e può avere carattere propositivo.

Il verbale della Riunione sulla Sicurezza

Della Riunione sulla Sicurezza obbligatoria deve essere redatto un verbale scritto, lo stesso deve essere reso disponibile a tutti i partecipanti. Il verbale deve essere sottoscritto dal datore di lavoro RSPP, RLS e medico competente.

In caso di inadempimento, cioè se il datore di lavoro non dovesse convocare la riunione obbligatoria, sarà sottoposto a sanzioni amministrative di ammontare massimo 7.233,60 €. La sanzione si applica anche nel caso in cui la riunione si svolga, ma di essa non sia redatto il verbale.

Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS): chi è e cosa fa

Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza è una persona, o più persone, eletta dai lavoratori tra dipendenti, o tra le rappresentanze sindacali, che ha il compito di rappresentare e tutelare i lavoratori in materia di sicurezza e salute.

Chi è il Rappresentante del lavoratori per la sicurezza (RLS)

La sicurezza sul luogo di lavoro è da sempre un argomento che richiama l’attenzione delle parti sociali e del legislatore. La principale disciplina in materia oggi in vigore è il decreto legislativo 81 del 2008 di cui ci siano già occupati molto. Si è visto che questa norma riordina la materia, ma soprattutto prevede diverse figure professionali coinvolte sul tema sicurezza, le stesse però sono strettamente collegate al datore di lavoro e di conseguenza, al fine di rappresentare in modo congruo anche le istanze dei lavoratori e in un certo senso dare un contrappeso, è stata prevista la figura del Rappresentante per la Sicurezza dei Lavoratori, si tratta dell’unica figura nominata dai lavoratori. La disciplina della nomina e delle funzioni di tale rappresentante è prevista negli articoli 37, 47 e 50.

Il numero degli RLS

La prima cosa da considerare è il numero di RLS che è necessario nominare. La normativa prevede l’obbligo di avere almeno un RLS che deve essere eletto tra i dipendenti nelle aziende fino a 15 dipendenti, mentre nelle aziende con più di 15 dipendenti deve essere eletto dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali e se queste mancano tra i lavoratori stessi. Per quanto riguarda il numero, l’articolo 47 del decreto legislativo 81 stabilisce che:

  1. nelle aziende o unità produttive fino a 200 dipendenti deve essere eletto un solo RLS;
  2. in aziende o unità produttive con più di 200 dipendenti e fino a 1000 dipendenti devono essere nominati 3 RLS;
  3. infine, nelle aziende con più di 1000 dipendenti devono essere eletti 6 RLS.

Gli accordi sindacali possono prevedere un numero maggiore di RLS.

Cosa fa il Responsabile del Lavoratori per la Sicurezza

I compiti principali del RLS sono inerenti la sorveglianza sulla qualità dell’ambiente sul luogo di lavoro, quindi:

  1. valuta se il luogo stesso è una potenziale fonte di pericolo, ad esempio a causa di pavimenti scivolosi;
  2. partecipa alle varie fasi di valutazione dei rischi e prevenzione degli stessi, ad esempio gli deve essere consegnato per conoscenza il DVR;
  3. è un punto di riferimento nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratori.

I compiti assegnati al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza sono delineati dall’articolo 50 del D.Lgs 81 del 2008. Il RLS:

  • può accedere liberamente ai luoghi di lavoro;
  • effettua i controlli per la sicurezza sui luoghi di lavoro e nel caso in cui vi siano delle variazioni chiede al datore di lavoro di convocare una riunione;
  • deve essere consultato in merito alla valutazione dei rischi, programmazione , realizzazione e verifica di piani di prevenzione dei rischi;
  • può promuovere misure volte a migliorare le condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro;
  • riceve informazioni e documentazione aziendale inerente la sicurezza sul luogo di lavoro;
  • riceve informazioni dal servizio di vigilanza;
  • formula osservazioni e proposte;
  • partecipa alla riunione periodica da fissare almeno una volta l’anno e che ha ad oggetto la discussione di problemi inerenti la sicurezza sul luogo di lavoro (articolo 35 dlgs 81 del 2008);
  • nel caso in cui nel corso del suo lavoro rilevi la presenza di determinati rischi deve avvertire il responsabile dell’azienda;
  • nel caso in cui ritenga che le misure adottate per la prevenzione degli infortuni e la protezione della salute sul luogo di lavoro siano insufficienti, può fare ricorso all’autorità competenti.

L’articolo 50, oltre a delineare i doveri e i compiti del RLS, si occupa anche dei suoi diritti, infatti deve avere l’opportunità di svolgere il suo ruolo senza perdita di retribuzione e deve disporre del tempo necessario per poterlo svolgere in modo adeguato.

Compiti del datore di lavoro nei confronti del RLS

La disciplina prevede che ci sia una piena collaborazione tra il datore di lavoro e il RLS e che quindi il primo non ostacoli il secondo nello svolgimento delle sue delicate mansioni, anzi che offra tutto l’aiuto necessario. Il datore di lavoro deve provvedere a consultare il Rappresentante per la Sicurezza sul Lavoro in diverse occasioni e in particolare in occasione della valutazione dei rischi, nella realizzazione di piani di evacuazione, piani antincendio, nella redazione del DVR, in occasione della designazione del RSPP, nell’attività di programmazione di Pronto Soccorso.

E’ previsto che il RLS sia in grado di gestire autonomamente le sue funzioni utilizzando il monte ore totale di 40 ore senza pregiudicare la sua attività lavorativa ed è consigliato fornirgli la strumentazione adeguata allo svolgimento di tali mansioni, in particolare è raccomandato che gli sia fornito un PC. In seguito all’elezione come RLS è previsto che lo stesso segua un corso di formazione della durata di 32 ore inerenti le materie di cui dovrà occuparsi, quindi la sicurezza sul luogo di lavoro.

Come viene eletto il RLS?

Per l’elezione sono previste due modalità, la prima si applica quando in azienda non vi sono rappresentanze sindacali. In questo caso sono i lavoratori a doversi organizzare e quindi devono nominare una commissione elettorale formata da almeno due persone, di cui uno scrutatore e un segretario, i cui nominativi devono essere consegnati al datore di lavoro. Si provvederà quindi a scegliere una data per le elezioni e a darne notizia, devono inoltre essere predisposti i seggi in azienda.  Possono votare tutti i lavoratori, tra cui quelli con contratto a tempo indeterminato, determinato, in prova. Votano a scrutinio segreto, possono candidarsi tutti i lavoratori, tranne quelli in prova e viene eletto il candidato che riceve il maggior numero di voti. La carica dura 3 anni.

Nel caso in cui in azienda sia presente almeno una organizzazione sindacale si procede alla elezione seguendo gli accordi interconfederali di riferimento.

Una volta nominato il RLS il suo nominativo deve essere comunicato all’INAIL.

Per saperne di più su tutte le figure coinvolte nella gestione della sicurezza sul luogo di lavoro puoi leggere:

Sicurezza sul lavoro: obblighi del lavoratore all’uso dei DPI 

Aziende: come redigere il Documento di Valutazione dei Rischi

La sorveglianza sanitaria obbligatoria per la sicurezza sul luogo di lavoro   

Sicurezza sul luogo di lavoro: la figura del medico competente

 

Aziende: come redigere il Documento di Valutazione dei Rischi

Il DVR o Documento Valutazione Rischi, è previsto dal decreto legislativo 81 del 2008 ed è obbligatorio in tutte le aziende che abbiano almeno un dipendente o comunque un addetto ulteriore rispetto all’imprenditore, anche se trattasi di un socio. Il DVR deve essere conservato in azienda. L’unica eccezione prevista riguarda le imprese familiari che invece sono sottoposte alla disciplina  del codice civile.

Chi redige il Documento di Valutazione Rischi

L’articolo 17 del decreto legislativo 81 del 2008 stabilisce che la redazione del Documento di Valutazione Rischi spetta al datore di lavoro e si tratta di un’attività che questi non può delegare ad altri soggetti, anche se è tenuto a sentire il medico competente, in tutti i casi in cui esso deve essere nominato, del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) e del RLS, Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza. Ricordiamo che in alcuni casi il ruolo di RSPP può essere svolto dallo stesso datore di lavoro. Il datore di lavoro per la redazione del DVR può però consultare un tecnico specializzato nel campo della sicurezza sul luogo di lavoro.

Il DVR una volta redatto, deve essere consegnato anche al RSPP e al RLS per conoscenza.

L’obiettivo del Documento di Valutazione Rischi è individuare i potenziali rischi per la salute e l’incolumità delle persone che possono derivare dall’attività svolta in azienda e indicare le misure idonee a prevenire e ridurre i rischi stessi. Infatti in seguito alla redazione del documento devono essere predisposte le misure di sicurezza volte a prevenire il rischio stesso.

Come procedere alla redazione del DVR

La redazione del Documento di Valutazione Rischi deve seguire delle direttive molto precise, infatti non deve trattarsi di un testo generico, ma di un testato specifico.

In primo luogo si parte da un’anagrafica dell’azienda in cui deve essere indicato anche l’organigramma coinvolto nella gestione della sicurezza e quindi medico competente, RSPP, RLS, dirigenti e preposti.

Una parte molto rilevante è la descrizione del luogo di lavoro e delle strumentazioni adottate tra cui tipologie di impianti, materiali utilizzati, rischio chimico e tutto ciò che può generare un potenziale rischio.

Il secondo passo è identificare le mansioni che sono svolte in azienda e in relazione ad ognuna di essa devono essere individuati anche i potenziali rischi a cui gli addetti sono esposti. Ad esempio il rischio chimico, rischio inalazione sostanze, vibrazioni, rumori, campi elettromagnetici (CEM), radiazioni ottiche artificiali (ROA), rischi connessi alla Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC), rischi derivanti dall’esposizione a video terminali (VDT) e tutti gli altri rischi presenti in azienda.

Per una maggiore praticità e chiarezza, i rischi dovrebbero essere elencati partendo da quello di maggiore rilevanza a quello che invece ha meno probabilità di avvenire e allo stesso tempo comporta minori disagi.

Misure di prevenzione per ridurre i rischi

Una volta delineati tutti i potenziali rischi, all’interno del DVR devono essere indicate anche tutte le misure di prevenzione adottate per evitare che gli stessi divengano reali e che possano esservi dei sinistri sul luogo di lavoro. Ad esempio devono essere indicati i corsi di formazione a cui si intendono sottoporre i vari dipendenti/addetti, la periodicità degli aggiornamenti, deve essere indicato il piano di visite da parte del medico competente e la cadenza delle visite.

Devono essere delineati i dispositivi di protezione collettivi e individuali che sono stati adottati e che si intendono adottare. Questa parte del documento dovrebbe essere speculare rispetto alla parte in cui sono individuati i rischi, ad esempio se vi sono rischi correlati all’uso di sostanze chimiche, devono essere indicate tutte le misure che si intendono adottare per limitare i danni, ad esempio mascherine di protezione per occhi, naso e gola, programmi di aerazione dei locali, protocolli di conservazione dei vari materiali.

Per una redazione facilitata del Documento di Valutazione dei Rischi, sono disponibili modelli standard, ma il loro uso non sempre è consigliabile, in quanto ogni azienda ha delle specificità che possono rendere i modelli standard poco efficienti. Gli stessi possono comunque essere presi come misura di riferimento.

I termini dell’adozione del Documento di Valutazione dei Rischi

Il DVR deve essere redatto entro 90 giorni dall’inizio di una nuova attività, ma non basta, infatti è necessario che lo stesso sia aggiornato. Il Documento di Valutazione dei Rischi non ha una scadenza, quindi potenzialmente è possibile redigerlo al momento dell’apertura dell’attività e può restare valido nel tempo fino alla chiusura della stessa. Nella realtà però nel tempo cambiano processi produttivi, vengono introdotte nuove strumentazioni e nuove macchine, cambia il modo di lavorare e di conseguenza è necessario aggiornare il DVR. La normativa stabilisce che l’aggiornamento deve essere effettuato ogni qual volta ci siano modifiche inerenti:

  • il processo produttivo ( ad esempio c’è un nuovo protocollo di lavoro);
  • l’acquisto di un nuovo macchinario che quindi può portare nuove rischi in azienda;
  • l’aggiornamento deve esserre disposto nel caso in cui in azienda vengano affidate nuove mansioni che comportino nuovi o diversi rischi;
  • nuova organizzazione del lavoro (ad esempio viene introdotto il turno notturno che ha rischi specifici);
  • infine, il DVR deve essere aggiornato quando ci sono scadenze specifiche, ad esempio per i rischi specifici come rumore e vibrazioni.

Sanzioni per la mancata adozione/aggiornamento

Il DVR oltre ad essere consegnato, come visto prima, al medico competente, RSPP e RLS deve essere sempre disponibile in sede e a richiesta fatto ispezionare dal personale di ASL, INPS, INAIL o Vigili del Fuoco .

La mancata adozione del DVR espone il datore di lavoro al rischio di sanzioni, in particolare è prevista un’ammenda da un minimo di 3.000 euro a un massimo di 15.000 euro, pena detentiva fino a 8 mesi. In caso di reiterazione del comportamento, quindi nel caso in cui in seguito a una prima sanzione non sia disposto il DVR o il suo aggiornamento nel caso in cui lo stesso sia richiesto, sarà possibile attuare la sospensione dell’attività di impresa.

Per conoscere l’impianto generale del sistema di sicurezza sul luogo di lavoro, leggi la guida: Lavoro e misure di prevenzione e protezione: doveri dell’azienda