Assegno affitto per l’ex coniuge si può scalare dalle tasse?

In caso di separazione o divorzio può essere stabilito un assegno periodico in favore del coniuge economicamente più debole. L’assegno può comprendere o prevedere esclusivamente anche il versamento dell’affitto per l’abitazione in cui vive l’ex coniuge, molti si chiedono qual è il trattamento fiscale riservato a tali importi? Si può ottenere una deduzione o una detrazione, insomma l’assegno affitto per l’ex coniuge si può scalare dalle tasse?

Trattamento fiscale di assegni di mantenimento e assegno affitto per l’ex coniuge

In sede di separazione e divorzio può essere disposto un assegno di mantenimento in favore dei figli e dell’ex coniuge. Generalmente sono indicati nel provvedimento gli importi riferibili all’ex coniuge e quelli di spettanza dei figli. In caso contrario si ritiene che le spettanze siano al 50% tra l’ex coniuge e i figli.

Questa precisazione è doverosa perché l’assegno corrisposto in favore del coniuge deve essere dedotto dal reddito del soggetto che lo versa, lo stesso importo di conseguenza deve essere dichiarato dal soggetto che percepisce il mantenimento e va quindi ad aumentarne la base imponibile. Naturalmente cambiando la base imponibile può anche cambiare lo scaglio Irpef.

Leggi anche: Aliquote Irpef 2023 e detrazioni lavoro dipendente: le novità per i contribuenti

Per i figli questa regola non vige, cioè l’assegno corrisposto ai figli non può essere portato in deduzione. Ricordiamo che il valore della deduzione deve essere scalato dalla base imponibile e di conseguenza la riduce.

Cosa succede però se il giudice dispone che debba essere versato l’affitto all’ex coniuge? Dubbi nei contribuenti insorgono perché generalmente si dispone tale misura quando presso l’ex coniuge sono collocati i figli e abbiamo già visto che per gli assegni versati in favore dei figli non si applicano deduzioni e detrazioni.

Si può fin da ora chiarire che l’assegno per l’affitto versato all’ex coniuge o per conto dell’ex coniuge può essere portato in deduzione, quindi va a ridurre la base imponibile. Deve quindi essere dichiarato nel modello 730/2023 al rigo E22. Come per l’assegno mensile di mantenimento, anche questo deve però essere dichiarato tra le entrate da chi lo riceve, quindi potrà essere tassato a costui. Lo stesso trattamento viene riservato anche alle eventuali spese condominiali pagate per l’abitazione del coniuge che riceve gli importi.

Leggi anche: Errori nel modello 730/2023 precompilato, cosa fare?

Deduzione contributi lavoratori domestici, innalzata la soglia

Nel Consiglio dei ministri in programma per il 1° maggio, festa dei lavoratori, il tema preponderante sarà il lavoro, infatti si discute proprio il decreto lavoro e sono numerose le novità in arrivo, tra queste la possibilità di portare in deduzione i contributi per i lavoratori domestici con una soglia molto più alta del passato, infatti la deduzione potrà raggiungere l’importo di 3.000 euro.

Decreto Lavoro, in arrivo un aumento delle deduzioni contributi lavoratori domestici

Le deduzioni possono essere definite delle voci negative nella dichiarazione dei redditi, le stesse infatti devono essere sottratte ai redditi, a differenza delle detrazioni che sono sottratte alle imposte, e quindi vanno a ridurre la base imponibile, determinando così una riduzione delle imposte da versare, inoltre possono determinare anche l’applicazione di un’aliquota più bassa. Nel decreto Lavoro a cui il Governo sta lavorando vi è l’innalzamento della soglia delle deduzioni contributi lavoratori domestici fino a 3.000 euro. Non è però questa l’unica novità che riguarderà colf, badanti e baby sitter, infatti viene introdotta anche per questi lavoratori la sorveglianza sanitaria.

Attualmente in base all’articolo 10 comma 2 del Tuir la soglia di deducibilità dei contributi per i lavoratori domestici è di 1.549,37 annui , in base invece ai nuovi programmi del Governo la stessa sarà portata fino a 3.000 euro. Questo determinerà una buona riduzione della base imponibile e quindi delle imposte da pagare. Tra le novità importanti vi è anche il fatto che sebbene siamo già al mese di maggio, le nuove norme troveranno applicazione già dal periodo di competenza 2023.

Tali nuove norme troveranno applicazione per tutti i lavoratori domestici, tra cui anche autisti, giardinieri, colf, badanti, baby sitter, persone che prestano assistenza alle persone anziane.

Come far valere le deduzioni lavoratori domestici

Dal punto di vista pratico non cambiano le regole applicabili. Per poter far valere la deduzione all’interno della dichiarazione dei redditi relativa al 2023, quindi presentata nel 2024, è necessario avere ricevute di pagamento complete della parte informativa sul rapporto di lavoro domestico intestati all’Inps ed eseguiti con c/c postale e/o MAV (pagamento mediante avviso).

Nella parte informativa sul rapporto di lavoro devono essere presenti le indicazioni inerenti le generalità del datore di lavoro e del lavoratore, ore trimestrali lavorate, retribuzione oraria erogata, importo complessivo pagato al lavoratore.

In base ai chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione 278 del 2019 la deduzione potrà essere fatta valere esclusivamente dal soggetto che dai dati prima visti risulti essere datore di lavoro, indipendentemente dal fatto che i versamenti possano essere effettuati da conto corrente intestato a terzi.

Sorveglianza sanitaria per i lavoratori domestici nel decreto Lavoro

In base all’articolo 33 dello schema di decreto su cui il Governo sta lavorando i lavoratori domestici possono chiedere di essere sottoposti a sorveglianza sanitaria dell’Inail. La richiesta di tale servizio non dovrebbe comportare ulteriori oneri per il datore di lavoro. Per conoscere le modalità operative della sorveglianza sanitaria sui lavoratori domestici sarà però necessario attendere il decreto attuativo del Ministero del lavoro.

Leggi anche: Contributi lavoratori domestici: quanto dovrò pagare? Aggiornamenti Inps

Detrazioni su donazioni al Terzo settore: quanto sono detraibili e deducibili?

Quanto sono detraibili le donazioni e le erogazioni liberali al Terzo settore? In sede di dichiarazione dei redditi, le erogazioni al Terzo settore costituiscono una quota crescente delle detrazioni, soprattutto in applicazione di quanto previsto dal decreto “Cura Italia” approvato in piena emergenza Covid. Pertanto, nelle dichiarazioni dei redditi successive si potrà avere consistenza delle donazioni effettuate verso gli enti del Terzo settore soprattutto nel periodo della pandemia di Covid-19. Tuttavia, le tipologie di donazioni sono varie e variano a seconda dell’ente ricevente, senza dimenticare il bonus art e le erogazioni a vantaggio delle popolazioni colpite da eventi dannosi.

Qual è la percentuale di detrazione fiscale spettante per le donazioni al Terzo settore?

In linea di massima, le erogazioni liberali a favore del Terzo settore danno diritto alle persone fisiche che le hanno effettuate a una detrazione fiscale dell’imposta sul reddito corrispondente al 30% dell’importo della donazione stessa. Il contribuente può aver provveduto a effettuare l’erogazione liberale sia in denaro che in natura. Il limite della detrazione fiscale è fissato in 30 mila euro, secondo quanto prevede il decreto “Cura Italia” all’articolo 66.

Detrazioni della dichiarazione dei redditi 2021 in virtù del decreto ‘Cura Italia’

Tuttavia, questa disciplina non trova applicazione nella dichiarazione dei redditi del 2022 (per i redditi prodotti nel 2021). Infatti, la percentuale di detrazione fiscale e i relativi limiti sono stati applicati alla dichiarazione dei redditi del 2021 per l’anno di imposta 2020. Per la dichiarazione dei redditi del 2022, pertanto, le persone fisiche beneficeranno delle detrazioni fiscali, delle deduzioni o dei crediti di imposta a seconda di chi beneficia delle erogazioni liberali e degli obiettivi perseguiti.

Detrazioni fiscali delle erogazioni liberali al terzo settore: cosa c’è da sapere per il modello 730?

Prendendo dunque a riferimento le varie donazioni effettuate nei riguardi di determinati enti, si può fare riferimento alle norme introdotte per la riforma del Terzo settore. L’articolo 83 del Codice del Terzo settore (Cts) permette a tutte le persone fisiche che abbiano provveduto a donazioni a vantaggio degli enti del Terzo settore di beneficiare della detrazione fiscale ai fini Irpef per una aliquota del 30% dell’importo della donazione stessa. Il limite massimo della detrazione spettante è fissato in 30 mila euro. La percentuale aumenta se riferita alle donazioni verso le Organizzazioni di volontariato (Odv) al 35%.

Deduzioni sulle donazioni fatte agli enti del Terzo settore del 10%

I contribuenti hanno, peraltro, la possibilità di scegliere tra la detrazione del 30 o del 35% e la deduzione. In quest’ultimo caso, si può effettuare la deduzione delle erogazioni liberate rispettando il tetto del 10% del reddito dichiarato. Sulle eventuali eccedenze è possibile effettuare la deduzione nei quattro periodi di imposta susseguenti. In ogni caso, nelle istruzioni del modello 730 viene indicato che queste agevolazioni possono essere utilizzate dai contribuenti per le dichiarazioni dei redditi del 2022 sulle somme donate a favore di:

  • Onlus;
  • associazioni di promozione sociale (Aps);
  • organizzazioni di volontariato (Odv);
  • associazioni di promozione sociale (Aps).

Come indicare nel modello 730 di dichiarazione dei redditi le somme concesse in donazione al Terzo settore?

L’indicazione delle somme date in donazione agli enti del Terzo settore nel modello 730 di dichiarazione dei redditi comporta l’iscrizione:

  • del codice 71 in corrispondenza dei righi E 8 ed E 10. Questo passaggio vale per le somme erogate a vantaggio delle associazioni di promozione sociale (Aps) e delle Onlus. La detrazione fiscale limite è pari a 30 mila euro;
  • il codice 76 in corrispondenza dei righi E 8, E 9 ed E 10. Questo passaggio riguarda le donazioni effettuate nei confronti delle organizzazioni di volontariato (Odv) con detrazione spettante del 35%.

Donazioni agli enti del Terzo settore, quando serve il pagamento tracciabile?

Ulteriore requisito per la detrazione fiscale delle liberalità effettuate verso le organizzazioni di volontariato (Odv), le Onlus e le associazioni per la promozione sociale è quello del versamento delle somme mediante mezzi tracciabili. Ad esempio, il versamento deve essere stato fatto attraverso la banca, la posta o con carta di credito.

Ulteriori formule di donazioni agli enti del Terzo settore: quali sono?

Oltre alle agevolazioni fiscale che abbiamo visto in precedenza, sono presenti anche altre formule di erogazioni. La prima è quella prevista dal comma 1.1 dell’articolo 15, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) che prevede la detrazione fiscale con aliquota del 26% sull’importo delle erogazioni in denaro a favore di iniziative;

  • religiose e laiche;
  • umanitarie;
  • di fondazioni, associazioni, enti e comitati.

Il limite per le persone fisiche delle donazioni è fissato in 30 mila euro; per i soggetti Ires vige lo stesso tetto oppure il 2% del reddito dichiarato. Lo prevede la lettera h, del comma 2, dell’articolo 100 del Tuir.

Donazioni a enti di ricerca scientifica e di beni culturali: quali sono?

Ulteriori donazioni possono essere fatte a favore degli enti di ricerca scientifica e di beni culturali. È infatti previsto che le persone fisiche possano elargire somme di denaro o in natura in donazione con la deduzione fiscale sul reddito complessivo dichiarato nel limite del 10%. La stessa agevolazione spetta ai soggetti Ires. Il tetto massimo di deduzione fiscale, in entrambi i casi, è pari a 70 mila euro. Questa agevolazione, che deriva dall’articolo 14 del decreto legge numero 35 del 2005, non è più valida dal 2018 per le donazioni a vantaggio delle associazione di promozione sociale e le Onlus. La stessa verrà disapplicata anche per le altre tipologie di enti beneficiari con l’entrata in vigore dei regimi fiscali relativi agli enti del Terzo settore (Ets). Si attende l’ok della Commissione europea.

Enti di cultura e di arte, detrazione fiscale alternativa del 19%

Le donazioni alternative per gli enti attivi nell’arte e nella cultura riguardano le detrazioni fiscali del 19% sull’importo delle erogazioni liberali. Gli enti che beneficiano delle donazioni sono obbligati a usare le somme donate nei termini fissati dalla lettera h) ed h bis) del comma 1, dell’articolo 15, del Tuir.

Bonus art ed erogazioni per calamità naturali, che cos’è e quale detrazione è prevista?

Un ulteriore beneficio fiscale sulle donazioni effettuate si può ottenere dal bonus art. Si tratta di una detrazione del 65% delle somme donate, con il tetto del 15% rispetto al reddito imponibile. Le donazioni devono prevedere somme per:

  • la manutenzione, il restauro, la protezione di beni culturali;
  • il sostegno a istituti di cultura pubblici;
  • orchestre ed enti concertistici;
  • festival, teatri e centri di produzione teatrale;
  • centri di danza e circuiti di distribuzione.

Inoltre, si possono detrarre le erogazioni effettuate per le popolazioni danneggiate dalle calamità straordinarie o da aventi dannosi. Per la detrazione fiscale è necessario utilizzare i righi E 8, E 9 ed E 10 del modello 730 di dichiarazione dei redditi. Il codice da usare è il 20.

Abitazione principale o data in locazione: come si dichiara la rendita?

Come si dichiara la rendita per l’abitazione nel caso in cui sia principale oppure se l’immobile è dato in locazione? Ovvero come vanno dichiarati i redditi prodotti e quando va dichiarata la rendita catastale nel modello 730 di dichiarazione dei redditi? Ecco come procedere con l’indicazione del quadro, della colonna e dei codici da utilizzare nel modello 730 e quando l’Imu sostituisce l’Irpef per l’abitazione principale.

Abitazione principale del contribuente: è soggetta a tassazione Irpef?

L’abitazione costituente la casa principale del contribuente non è soggetta alla tassazione Irpef. Tuttavia, la rendita catastale deve essere inserita nel modello 730 di dichiarazione dei redditi. È necessario chiarire che sull’abitazione principale vige il principio di alternanza tra Imu e Irpef se non è locata. Diversamente, in caso di contratto di locazione, si procede con il reddito imponibile dell’immobile.

Immobile esente da Imu, si applica l’Irpef?

Nel caso in cui l’abitazione è esente dall’Imu e non è stata locata, si attua il principio di alternanza tra Imu e Irpef. Ovvero, l’abitazione diventa soggetta ai fini dell’Irpef. Pertanto, il reddito dell’abitazione va a concorrere a formare il reddito complessivo per il calcolo dell’Irpef. Tuttavia, tale reddito dell’abitazione non è tassato: infatti, è prevista la deduzione dell’Irpef fino a concorrere all’importo della rendita catastale dell’abitazione stessa e delle relative pertinenze.

Come si dichiara nel modello 730 la rendita catastale dell’abitazione principale?

La rendita catastale, dunque, va inserita nel modello 730 di dichiarazione dei redditi nel caso di esenzione dall’Irpef. L’importo, non rivalutato, si inserisce nella colonna numero 1 del rigo B 1. Successivamente è necessario popolare la colonna “2” inserendo il codice “1”. La deduzione della rendita catastale ai fini della determinazione del reddito imponibile verrà effettuata da chi presta l’assistenza fiscale.

Abitazione principale, come si dichiara la rendita se l’immobile è soggetto a Imu?

Se, invece, l’abitazione principale è soggetta a Imu e, dunque, non è dovuta l’Irpef, si ricade nell’ipotesi nella quale la rendita non concorre alla formazione del reddito imponibile. Non è necessaria altresì la deduzione della rendita catastale. Nel modello 730 di dichiarazione dei redditi si deve procedere con la compilazione delle colonne “1” e “2” del rigo B 1. Nei campi si deve inserire la rendita catastale (senza la rivalutazione) e il codice “1”; invece nella colonna 12, indicata come “casi particolari Imu”, deve essere immesso il codice “2”.

Come inserire i redditi da locazione dell’abitazione nel quadro B del modello 730?

Diverso è il caso in cui l’abitazione, non costituente la casa principale, è data in locazione. In primis, chi possiede immobili oppure o è titolare di altri diritti reali deve compilare il quadro B del modello 730 di dichiarazione dei redditi.

Come si calcola l’imponibile del reddito da immobile?

La determinazione dell’imponibile per il calcolo del reddito dell’immobile varia dal fatto che il fabbricato sia locato oppure no. Gli immobili non locati, infatti, concorrono a formare l’imponibile nella misura della rendita catastale. È necessaria la rivalutazione del 5%. Tuttavia, se l’immobile è stato già assoggettato nello stesso anno del periodo di imposta a Imu, non concorre a formare il reddito ai fini dell’Irpef. Come per le abitazioni principali, dunque, vige il principio di alternanza.

Come indicare nel modello 730 i fabbricati non locati?

Per gli immobili che non sono case principali e non sono locati, dunque, l’iscrizione nel modello 730 al quadro B deve comunque avvenire, anche se nulla cambia ai fini della determinazione del reddito complessivo annuale, come avviene per gli immobili locati. C’è un’eccezione per gli immobili a uso abitativo e non locati ma che si trovano nello stesso comune nel quale il soggetto contribuente ha già l’abitazione principale. In questa condizione, il reddito concorre alla formazione della base imponibile ai fini dell’Irpef per il 50%. Gli immobili non locati devono essere iscritti alla colonna 1 e al rigo B 1. I campi devono essere popolati con la rendita catastale. La rivalutazione del 5% non deve essere inserita: infatti, verrà iscritta successivamente da chi effettua l’assistenza fiscale. Se il fabbricato è esente da Imu, e dunque assoggettato all’Irpef, il contribuente deve selezionare la casella 12 riguardante i casi particolari Imu.

Immobili concessi in locazione, compilazione del modello 730

Per gli immobili dati in locazione il calcolo del reddito è pari alla misura del canone ricevuto alla quale si applica la riduzione forfettaria del 5%. Se l’abitazione locato si trova nei comuni di Venezia, Burano, Giudeccca e Murano la riduzione è pari al 25%; inoltre per gli immobili di interesse storico od artistico la riduzione è del 35%.

Se il totale del canone è inferiore alla rendita catastale, il contribuente deve prendere a riferimento quest’ultima ai fini del calcolo del reddito. Gli immobili locati devono essere iscritti alla colonna “5” con i seguenti codici inerenti la tassazione:

  • codice “1” se si è proceduto alla riduzione forfettaria del 5%;
  • i fabbricati storici ed artistici necessitano del codice “4”.

Nella colonna numero 6 il contribuente deve inserire il complessivo del canone di locazione ricevuto. Invece, la colonna numero “11”, si deve utilizzare solamente nel caso in cui si applichi la cedolare secca.

Casi di rinegoziazione del canone di locazione nel 2021: come si procede?

Se nel 2021 è stato rinegoziato il canone di locazione si procede con la compilazione del modello 730 nella seguente maniera:

  • il quadro da compilare è quello “B”;
  • la colonna “7” si utilizza per i casi particolari;
  • è necessario inserire uno dei tre codici previsti ovvero 6, 7 e 8. Il codice “6” va utilizzato se la rinegoziazione ha previsto la riduzione del canone di locazione; diversamente, il codice “7” si utilizza se il contribuente non ha fatto comunicazione all’Agenzia delle entrate della rinegoziazione del canone dell’immobile a uso abitativo. Lo stesso codice si utilizza anche per i casi nei quali, oltre alla mancata comunicazione all’Agenzia delle entrate, non sia stato pagato il canone concordato, anche parzialmente.

Quando gli immobili a utilizzo abitativo si possono non assoggettare a tassazione?

Dal 1° gennaio 2020, il contribuente può non assoggettare a imposta i canoni di locazione riguardanti i fabbricati a uso  abitativo nei casi in cui:

  • non abbia ottenuto i canoni di locazione prima della data ultima prevista per la presentazione della dichiarazione dei redditi;
  • oppure non sia stata presentata ingiunzione di pagamento o intimazione allo sfratto per la morosità di chi ha preso in locazione l’immobile.

Tuttavia, il contribuente deve inserire nel modello 730 la rendita catastale.

Compilazione del modello 730: quando si usa il codice ‘8’?

Nel modello 730 di dichiarazione dei redditi, in corrispondenza della colonna 7 del quadro B, il contribuente deve immettere il codice “8” nei seguenti casi:

  • per la rinegoziazione del canone di locazione con riduzione del canone stesso;
  • se il contribuente non ha presentato comunicazione all’Agenzia delle entrate;
  • nelle situazioni di comproprietà con il contribuente comproprietario dell’immobile;
  • se la locazione sia stata fatta da uno o più comproprietari per la propria quota.

Decreto fiscale, ecco tutte le novità: sicurezza sul lavoro, incentivi auto, cassa integrazione e cartelle

Arrivano le novità del decreto Fiscale approvato dal Consiglio dei ministri. Tra queste, la stretta sulle imprese che non rispettano la sicurezza sul lavoro, il rifinanziamento (parziale) degli incentivi sull’acquisto di un’auto, la cassa integrazione Covid, il saldo e stralcio delle cartelle esattoriali e i fondi per il Reddito di cittadinanza.

Decreto fiscale e irregolarità sul lavoro: si abbassa la soglia di irregolari che dà luogo alla sospensione

Sulle imprese arriva la stretta in merito alla sicurezza sul lavoro. Infatti scende al 10% (dal 20%) il tetto degli addetti irregolari sui luoghi di lavoro che fa scattare la sospensione dell’attività. Il provvedimento prevede che non sia più necessaria la recidiva. In caso di violazione, scatta da subito la sospensione dell’attività. Il decreto rafforza anche le competenze dell’Ispettorato del lavoro: insieme alle aziende sanitarie del territorio dovranno intensificare la vigilanza del rispetto della norma. Si rafforzerà anche l’organico dell’Ispettorato: in arrivo concorsi per 1.024 nuovi posti oltre al bando di 1.122 in corso.

Aziende irregolari per a sicurezza: cosa fare per riprendere l’attività?

In caso di violazione del decreto Fiscale e della sospensione, l’azienda per riprendere l’attività dovrà ripristinare le condizioni regolari di svolgimento del lavoro. Si prevede anche il pagamento di una somma aggiuntiva. L’importo varia da 300 a 3000 euro per ogni lavoratore: vale la gravità della violazione. L’importo da pagare si moltiplica per due nel caso in cui l’azienda sia incorsa, nei 5 anni prima, già in un provvedimento di sospensione. Durante la sospensione, l’azienda non potrà avere contatti con la Pubblica amministrazione.

Decreto fiscale, le novità per gli incentivi auto

Cifre ben più modeste rispetto al 2021 sono state riservate dal decreto Fiscale sugli incentivi auto. Infatti l’ecobonus è stato rifinanziato di soli 100 milioni di euro dei quali:

  • 65 milioni andranno all’acquisto di nuove vetture a basso impatto ambientale, da 0 a 60 g/km di CO2. Si tratta, in buona sostanza, dei modelli plug in (ibridi) e delle auto elettriche;
  • 10 milioni di euro andranno alle auto mediamente impattanti per l’ambiente (da 61 a 135 g/km). Rientrano in questa categoria le vetture ibridi semplici e vari modelli Euro 6 a benzina e a gasolio;
  • per le auto usate il decreto Fiscale destina 5 milioni di euro.

Proroga Cassa integrazione Covid nel decreto Fiscale: da 9 a 13 settimane fino al 31 dicembre 2021

Il decreto Fiscale del governo prevede anche il rifinanziamento della Cassa integrazione Covid. La proroga è di 13 settimane per:

  • le piccole imprese del terziario;
  • il commercio;
  • gli artigiani;
  • grande distribuzione;
  • giornalisti.

Le 13 settimane vanno utilizzate dal 1° ottobre scorso al 31 dicembre 2021. Devono essere già state utilizzate tutte le precedenti 28 settimane di proroga della Cassa integrazione Covid. Proroga di 9 settimane, invece, per i settori tessili, dell’abbigliamento e delle calzature. L’utilizzo delle settimane deve avvenire sempre nel periodo dal 1° ottobre al 31 dicembre 2021 e devono essere state utilizzate le 17 settimane concesse precedentemente. La proroga della Cig Covid ha un costo di 878,4 milioni di euro.

Cartelle esattoriali, più tempo per pagarle

Altri 5 mesi (150 giorni) vengono concessi per il pagamento delle cartelle notificate dall’agente pubblico della riscossione. La notifica deve essere avvenuta dal 1° settembre 2021 fino al 31 dicembre 2021. Benefici anche per non perdere i vantaggi della rottamazione ter e del saldo e stralcio. Infatti, si possono saldare le rate del 2020 non ancora versate entro la scadenza del 30 novembre in un unico pagamento insieme alle rate rientranti nella pace fiscale di quest’anno. Inoltre, il piano di rateizzazione non decade per i contribuenti che hanno dilazionato i debiti con richiesta prima dell’8 marzo 2020.

Decreto Fiscale, rifinanziato il congedo parentale delle famiglie

Il decreto Fiscale procede anche al rifinanziamento dei congedi parentali al 50% delle famiglie. Il congedo va a favore sia dei lavoratori dipendenti che autonomi genitori di figli fino a 14 anni. I lavoratori possono assentarsi da lavoro per i casi di sospensione dell’attività educativa e didattica del figlio. La durata della sospensione può essere per tutta per una parte dell’infezione o per la quarantena che sia stata disposta dalle autorità sanitarie. Per i figli da 14 a 16 anni di età il congedo non è retribuito. Rifinanziato anche il fondo dell’Inps per la malattia dei lavoratori posti in quarantena.

Nuovo patent box rafforzato per le imprese dal decreto Fiscale

Va in pensione il vecchio patent box e il decreto Fiscale introduce e rafforza la deducibilità di quello nuovo. Nel provvedimento del governo si prevede la deduzione rafforzata del 90% relativa ai costi sostenuti per la ricerca e lo sviluppo. I costi deducibili, anche ai fini dell’Irap, devono essere stati sostenuti per:

  • software coperti da copyright;
  • marchi di impresa;
  • brevetti industriali;
  • modelli, disegni, formule delle imprese nello svolgimento della propria attività.

Le imprese che hanno in corso procedure con il vecchio patent box possono richiedere di accedere al più vantaggioso nuovo strumento.

Decreto Fiscale, 200 milioni al Reddito di cittadinanza

Dal decreto Fiscale arriva anche il rifinanziamento per 200 milioni del Reddito di cittadinanza. Salvaguardati anche 100 mila posti di lavoro di somministrati assunti con contratto a tempo indeterminato dalle Agenzie per il lavoro. Si tratta di lavoratori mandati a tempo determinato presso le imprese utilizzatrici. Il provvedimento cancella la scadenza del 31 dicembre 2021 per i 24 mesi della missione stessa.

Professionisti da casa: quali sono i costi deducibili?

I professionisti possono lavorare sia dentro che fuori l’ufficio. Ma alcuni di essi possono esercitare anche da casa. Ma quali sono i costi che possono essere scaricati?

Professionisti da casa: l’uso promiscuo dell’abitazione

I professionisti da casa possono svolgere la loro attività restando nella loro abitazione. Oppure decidere di andare in  in ufficio. Infatti, è possibile destinare una camera dalla propria abitazione ad uso ufficio. In questo caso si parla di “uso promiscuo“. In altra parole si tratta di un immobile che può essere utilizzato in parte per un’attività lavorativa. Ma anche viceversa un immobile ad uso ufficio o commerciale, usato in parte per abitarci. La legge italiana prevede una netta distinzione tra quelli che sono gli immobili destinati ad uso abitativo, identificati con lettera A nelle visure catastali e gli immobili destinati ad uso ufficio, identificati con la lettera A/10 oppure C/1 o C/3. Quando ci si trova nella condizione di uso promiscuo, quello che bisogna capire è l’uso prevalente di quell’immobile. In altre parole, cosa prevale di più, l’abitazione privata oppure la professione, questo deve essere chiaro.

Quali sono i costi che possono essere scaricati dal professionista?

Secondo quando esposto dalle recenti direttive dell’Agenzia delle entrate, il professionista pare possa detrarre due criteri:

  • la rendita catastale dell’immobile utilizzato come abitazione e studio;
  • il 50% delle spese dei servizi ad esso correlato.

Ciò vuol dire che se la porzione dello spazio usato come ufficio in casa a scopo professionale è diversa del 50%non è possibile variare la deduzione. La percentuale fa riferimento solo alle spese che possono essere promiscue, come ad esempio le spese delle utenze di acqua, luce e telefono.  Ma le bollette devono essere intestate al Professionista e non ad altra persona, anche se con esso conviventi.

E’ bene precisare che ci sono delle spese che non sono in alcun modo deducibili. E’ il caso delle spese strettamente personali, che sono chiare nella loro imputazione. Mentre invece, le spese che sono strettamente legate all’attività professionale possono sempre essere scaricate. Ovviamente nei limiti previsti del regime fiscale scelto dal professionista, con o senza partita IVA.

Alcuni esempi per essere più chiari

A questo punto per essere più dettagliati è meglio fare alcuni esempi specifici. Se un professionista compra un mobile, il costo può essere scaricato o meno? La risposta cambia in relazione al tipo di bene. Infatti, se il professionista, ad esempio un avvocato, lavora da casa ed acquista una cucina non sembrano esserci dubbi. La cucina non è legata all’attività lavorativa pertanto non è possibile dedurre questo costo. Se invece il soggetto compra un telefonino oppure un portatile come funziona? In questi casi è prevista una deduzione del 50% del costo del bene strumentale. Oltre al fatto che è possibile anche ammortizzare il costo sostenuto. Infine, se il professionista paga una spesa legata solo all’attività, come ad esempio un corso di aggiornamento specifico oppure un’assicurazione professionale, in quel caso è interamente deducibile.

Professionisti da casa: i costi relativi all’immobile

Per quanto riguarda i costi relativi all’immobile, qui ci sono alcuni problemi. Infatti, il professionista che lavora da casa, non può beneficiare di alcuna deduzione dell”IMU. Però solo nel caso di un immobile strumentale, adibito esclusivamente ad attività lavorativa, può arrivare ad una riduzione del 20%. In merito a Tari e Tasi non esiste un’applicazione univoca. Il metodo è quello dell’applicazione del 50%. Se il professionista prende in affitto un ufficio o uno studio, questi possono essere sottoposti a deducibilità. Ma se il soggetto va ad abitarci, ritorna la percentuale del 50%. Infine ai fini della locazione, il contratto va debitamente registrato, ma non si potrà godere delle agevolazioni fiscali per l’uso abitativo. E’ escluso quindi sia la cedolare secca che i contratti a canone concordati. Quindi, per evitare qualsiasi tipo di problema per l’Agenzia delle entrate, sembra corretto analizzare ogni volta il tipo di costo per una giusta imputazione.

Si possono dedurre le spese per abbigliamento, come fossero spese di rappresentanza?

Gentile Redazione, sono un piccolo imprenditore nel settore dei servizi e mi occupo anche dell’aspetto commerciale della mia impresa. Sono spesso a contatto con i clienti. Per questo motivo curo molto la mia la mia immagine. In che modo posso dedurre le spese che sostengo per il vestiario? Posso inserirle come spese di rappresentanza? (Mario G. – Rimini)

Caro Lettore, grazie per l’interessantissima domanda che ci ha posto. Crediamo possa essere d’interesse per molti altri nostri lettori.

Purtroppo non puoi dedurre le spese sostenute per il tuo vestiario. Infatti, l’acquisto di abiti così come l’acquisto di accessori (occhiali da sole, orologio…)  e anche le spese sostenute per acconciature o trattamenti di bellezza, sono considerate di tipo prettamente personale e non sussiste pertanto un vero e proprio principio di inerenza con la propria attività svolta.

Anche considerare queste spese come spese di rappresentanza risulta essere un errore, in quanto si tratta di spese strettamente finalizzate a migliorare l’immagine personale dell’imprenditore e non dell’impresa.

Noi sentiamo di consigliarti di non portare in detrazione queste spese, in quanto una verifica da parte dell’amministrazione finanziaria non riterrebbe valide ai fini della deduzione fiscale tali spese e conseguentemente queste verrebbero sottoposte a tassazione.

Deduzione e detrazione fiscale: qual è la differenza?

Tempo di dichiarazione dei redditi e di definizione dei termini più ricorrenti nel nostro operato.

In che cosa si differenzia una deduzione fiscale da una detrazione fiscale?

Per deduzione si intende l’importo da applicare al reddito imponibile, ovvero, ciò che si deduce dal reddito;

La detrazione è la somma che viene restituita al contribuente dalle tasse dovute, ossia, è un importo che si detrae dall’imposta calcolata sul reddito.

Due esempi plausibili e pratici sono quelli proposti di seguito.

Esempio di deduzione fiscale

Immaginiamo di avere un reddito di 25.000 euro ed avere diritto a deduzioni sul reddito per un totale di 4000 euro. Si calcoleranno le tasse su 21.000 euro.

Quindi si ha una riduzione del reddito imponibile.

Esempio di detrazione fiscale

Immaginiamo di dovere pagare 1000 euro di tasse in base al nostro reddito, ma di avere diritto ad una detrazione fiscale di 100 euro. Questa quota andra’ a ridurre le tasse da pagare da 1000 euro a 900 euro.

Quindi si ha una riduzione dell’imposta.

Fonte

Paola Perfetti

Leasing e rendita catastale per gli immobili strumentali dei professionisti.

Con riguardo ai canoni di leasing pagati da un professionista per un immobile strumentale in relazione ad un contratto di locazione finanziaria, occorre fare riferimento alla norma di cui al comma 2 dell’art. 54 del TUIR, modificata anch’essa dalla Finanziaria 2007.
Tale disposizione prevede che i canoni di leasing di un bene strumentale pagati da un professionista siano deducibili dal reddito di lavoro autonomo, a condizione però che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento stabilito per il bene specifico, con un minimo di 8 anni ed un massimo di 15 anni.
La deduzione dei canoni di leasing si applica ai contratti di locazione finanziaria stipulati nel periodo 1° gennaio 2007 – 31 dicembre 2009 e la deduzione è ammessa nella misura di 1/3 per i periodi d’imposta 2007-2008-2009.  Anche le quote di ammortamento sono deducibili, ma solo se relative ad immobili strumentali acquistati nel periodo 1° gennaio 2007 – 31 dicembre 2009.
Riepilogando:
• se il contratto di leasing dell’immobile strumentale è stato stipulato nel periodo 1° gennaio 2007 – 31 dicembre 2009: i canoni di leasing sono deducibili, sempre che siano rispettate le condizioni di durata del contratto;
• se il contratto di leasing dell’immobile strumentale è stato stipulato a partire dal 1° gennaio 2010: i canoni di leasing non sono deducibili.

Per quanto riguarda invece il trattamento fiscale della rendita catastale degli immobili strumentali in leasing:

• per i contratti di leasing stipulati fino al 31.12.2006: la rendita catastale è deducibile;
• per i contratti di leasing stipulati dal 1° gennaio 2010: la rendita catastale non è deducibile, in quanto la deducibilità non è stata più riproposta nella versione vigente dell’art. 54 del TUIR.

Tre domande dei nostri lettori per chiarire il tema “buoni pasto”

  • Sono un imprenditore […] ho iniziato la mia attività da poco e sto imparando giorno dopo giorno come si gestisce un’impresa e i suoi dipendenti […] ho letto il vostro articolo sui buoni pasto e vorrei sapere se sono tenuto a darli obbligatoriamente ai miei 3 dipendenti. Potete rispondermi?

Non c’è nessuna legge che obbliga il datore di lavoro a concedere i buoni pasto. La loro erogazione come benefit può essere frutto solo di uno specifico accordo, in fase di contrattazione.

  • Sono un agente di commercio e pranzo sempre fuori. Spesso pranzo al bar e non posso chiedere al barista di emettere una fattura per una cifra così bassa. Posso utilizzare anche io i buoni pasto?

Sì, anche gli agenti di commercio possono utilizzare i buoni pasto. Per questo tipo di lavoro autonomo si è soggetti alla stessa disciplina delle imprese e non a quella dei liberi professionisti, in quanto l’agente di commercio è una ditta. Per questo motivo la deducibilità del costo dei buoni pasto è relativa al reddito d’impresa, mentre l’iva non è comunque mai deducibile.

  • Sono un consulente e già da qualche tempo utilizzo i buoni pasto. A volte mi capita che il ristorante non li voglia accettare. I ristoratori non sono tenuti ad accettarli per legge?

No, nessun esercizio è obbligato ad accettare i buoni pasto, è una libera scelta degli esercenti. Sui siti dei principali distributori puoi trovare gli elenchi degli esercizi commerciali con i quali sono convenzionati.