Rendita vitalizia dei contributi prescritti: quando è possibile il riscatto?

Per un lavoratore, i periodi non coperti o con insufficienti contributi previdenziali rappresentano un danno per la sua futura pensione. La legge permette di rimediare, anche nel momento in cui il termine di prescrizione sia scaduto. Si tratta della rendita vitalizia, lo strumento mediante il quale si possono riscattare in modo oneroso i periodi non coperti o carenti di contributi previdenziali. Il riscatto può avvenire da parte del datore di lavoro o, in mancanza, per iniziativa del lavoratore stesso.

Circolare Inps numero 78 del 29 maggio 2019

Sulla questione è intervenuta recentemente l’Inps con la circolare numero 78 del 29 maggio 2019. Nel documento l’Istituto di previdenza elenca i dettagli procedurali per la presentazione della domanda e l’indicazione dei mezzi di prova che supportano la richiesta. La prova documentale dell’esistenza del rapporto di lavoro, la data certa, l’esistenza certa, le dichiarazioni ora per allora e quelle dalla Pubblica amministrazione, le attestazioni del sindaco sono altresì precisate nella medesima circolare. Tuttavia, l’istituto del riscatto dei contributi omessi risale già all’articolo 13 della legge numero 1338 del 1962.

La legge 1338 del 1962 sulla costituzione della rendita vitalizia

Secondo la legge, infatti, “il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria di invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’articolo 55 del regio decreto legge 4 ottobre 1935, numero 1827, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”.

Rendita dei contributi prescritti, effetto immediato sulla pensione

La stessa legge specifica che la rendita dei contributi prescritti integra con effetto immediato la pensione già in essere. In caso contrario, i contributi sono valutati ai fini dell’assicurazione obbligatoria prevista per la pensione di invalidità, per la vecchiaia e a favore dei superstiti.

Contributi prescritti, quando il pagamento spetta al datore di lavoro

Il datore di lavoro può esercitare la facoltà del versamento dei contributi prescritti esibendo all’Inps i documenti di data certa, dai quali si evince l’effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro. Deve risultare, inoltre, anche la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore stesso.

Quando i contributi prescritti devono essere versati dal lavoratore?

I contributi prescritti possono essere versati dal lavoratore nel momento in cui non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita. In questo caso, il lavoratore si sostituisce al datore di lavoro, salvo il diritto del risarcimento del danno. Ricade sul lavoratore stesso l’onere di fornire all’Inps le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione. Tra i soggetti interessati alla costituzione della rendita vitalizia rientrano anche i superstiti del lavoratore.

Quando può essere presentata la domanda all’Inps dei contributi prescritti?

La domanda dei contributi prescritti può essere presentata all’Inps senza limiti temporali, anche dopo il verificarsi del pagamento di un trattamento di pensione. È inoltre ammessa la domanda per omissioni parziali, nel caso in cui sia stata versata una contribuzione parziale rispetto alle retribuzioni che sono state percepite effettivamente. Infine, si può presentare domanda dei contributi prescritti anche per coprire parzialmente il periodo durante il quale si sia verificata omissione contributiva. Ad esempio, il riscatto può avvenire solo per le settimane necessarie per perfezionare i requisiti della pensione.

Chi sono i destinatari del riscatto o della costituzione della rendita vitalizia?

La circolare Inps 78 del 29 maggio 2019 riporta compiutamente i destinatari dello strumento del riscatto dei contributi omessi, ovvero gli interessati alla costituzione della rendita vitalizia. Infatti, figurano:

  • i lavoratori di un rapporto di lavoro subordinato;
  • i familiari coadiuvanti e coadiutori di chi è titolare di impresa artigiana o commerciale;
  • i collaboratori del nucleo diretto coltivatore diversi dal titolare e collaboratori dei nuclei colonici e mezzadrili;
  • i lavoratori che, essendo soggetti al regime assicurativo della gestione separata, non siano obbligati al versamento diretto della contribuzione, essendo la propria quota trattenuta dal committente o associante e versata direttamente da quest’ultimo;
  • gli iscritti alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate.

Prescrizione dei contributi, quale attesa?

Il presupposto per attivare l’istituto del riscatto dei contributi omessi è che i contributi stessi siano caduti in prescrizione. Ciò avviene al trascorrere di cinque anni se la domanda viene presentata dal datore di lavoro e di dieci anni se è invece il lavoratore stesso a farne denuncia all’Inps.

Quanto si paga per riscattare i contributi omessi nel sistema retributivo?

Se i periodi per i quali si richiede il riscatto dei contributi omessi rientrano nel meccanismo retributivo, il costo viene calcolato in termini di “riserva matematica”. Ciò significa che si effettua il differenziale annuo tra la pensione con il riscatto dei contributi e quella senza il riscatto. Il risultato va moltiplicato per il coefficiente inerente al sesso, all’età e all’anzianità contributiva.

Costo del riscatto dei contributi omessi nel sistema contributivo

Diverso è il calcolo del riscatto di periodi di contributi omessi rientranti nel sistema contributivo. In questo meccanismo rientrano i lavoratori:

  • che abbiano iniziato a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996 e con meno di 18 anni di contribuzione prima del 1996;
  • i periodi dal 2012 in poi per contribuenti che abbiano almeno 18 anni di contributi versati prima del 1996.

Per queste categorie di contribuenti il costo è quantificato applicando l’aliquota contributiva in vigore nel momento in cui si presenta domanda alla retribuzione percepita nei 12 mesi precedenti la domanda stessa. Si tratta di un sistema simile, dunque, al riscatto della laurea per chi non può beneficiare del sistema agevolato dell’articolo 4 del 2019.

Costo riscatto contributi iscritti alla Gestione separata Inps, artigiani e commercianti

Per i contribuenti iscritti alla Gestione separata Inps il costo del riscatto di periodi di omessa contribuzione fa riferimento al valore medio mensile dei compensi assoggettati alla contribuzione obbligatoria degli ultimi dodici mesi precedenti la domanda stessa. Non è stato ancora chiarito, invece, quale sia il reddito sul quale debbano far riferimento gli artigiani e i commercianti per il riscatto dei periodi non coperti.

Quanto si paga di contributi INPS nel regime forfettario?

Molti si interrogano sulla contribuzione, in vista della futura pensione. Ancor più persone si interrogano su quanto si paga di contributi INPS nel regime forfettario. Oggi, andremo ad occuparci di questa annosa questione che attanaglia le partita IVA in tale regime.

Regime forfettario e contributi INPS

Il regime forfettario, come ben saprete, è un regime fiscale agevolato, destinato alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni. Ovviamente, il versamento dei contributi rappresenta una tappa fondamentale per il futuro pensionamento. Ma in tanti si chiedono quale sia la quota in contributi da versare, per tale regime forfettario.

Partiamo col dire che per il calcolo e, quindi, per il pagamento dei contributi Inps, i titolari di partita Iva in regime forfettario dovranno per prima cosa stabilire se iscriversi o se si è iscritti alla Gestione separata Inps artigiani e commercianti o alla Gestione separata Inps lavoratori autonomi.

Sarà, di fatto, la tipologia di attività a determinare il calcolo di tale pagamento dei contributi INPS.

Va aggiunto che i contribuenti possessori di partita Iva in regime forfettario che svolgono attività di servizi e che sono soggetti all’iscrizione a specifici albi professionali possono inoltre iscriversi alla cassa previdenziale di categoria.

Come calcolare i contributi INPS in regime forfettario

Vediamo, nello specifico come effettuare il calcolo dei contributi e scoprire, dunque, quanto si paga in regime forfettario. Dunque, per quanto riguarda i titolari di partita Iva in regime forfettario il calcolo dei contributi Inps andrà a variare sulla base di diversi fattori, tra cui l’iscrizione alla Gestione separata professionisti senza cassa o alla Gestione Inps artigiani e commercianti.

Dovranno iscriversi alla Gestione Separata Inps professionisti senza cassa quei contribuenti titolari di partita Iva in regime forfettario che svolgono attività di lavoro autonomo e che non hanno l’obbligo di iscrizione ad uno specifico albo professionale.

Calcolo contributi Gestione separata INPS artigiani e commercianti

Questo tipo di iscrizione, alla gestione separata, è obbligata per il regime forfettario. Per coloro che sono titolari di partita Iva in regime forfettario il calcolo dei contributi Inps potrà essere effettuato sulla base del minimale contributivo ridotto del 35%, entro le scadenze ordinarie del:

  • 16 maggio;
  • 16 agosto;
  • 16 novembre;
  • 16 febbraio.

Questa riduzione del 35% non compete invece i professionisti senza cassa, che andranno ad operare in un altro calcolo contributivo. Scopriamo quale.

Calcolo contributi professionisti senza cassa

Per quei titolari di partita Iva in regime forfettario che risultano iscritti alla Gestione separata Inps per professionisti senza obbligo di iscrizione ad un albo calcolano i contributi con aliquota del 25,72% sul reddito dichiarato. Si tratta di coloro che non risultano titolari di trattamenti pensionistici e che non sono iscritti ad altre gestioni previdenziali.

Come calcolare, dunque, il versamento dei contributi per i possessori di regime forfettario iscritti alla gestione separata senza cassa? Andiamo a vedere la formula di calcolo specifico.

Per il calcolo dei contributi Inps i titolari di partita Iva in regime forfettario dovranno utilizzare la seguente formula:

  • Reddito fiscale=Fatturato*coefficiente di redditività

In ultimo, ma non ultimo, va specificato che su questi contributi sussiste la regola generale della deducibilità per cassa, di conseguenza, i contributi stessi potranno essere interamente dedotti dal reddito relativo al periodo d’imposta in cui saranno pagati.

Dunque, questo è quanto di strettamente necessario vi era da sapere in merito alla situazione del pagamento dei contributi INPS per coloro che operano con partita IVA in regime forfettario. Ora, non vi resta che apprestarvi a versare il dovuto e tornare al lavoro, più carichi di prima.

Chi sono i lavoratori autonomi occasionali e quali obblighi hanno?

I lavoratori autonomi occasionali sono la soluzione giusta quando c’è bisogno di un lavoratore per poche ore o in modo saltuario , ma chi sono e come viene trattata questa attività?

Lavoratori autonomi occasionali: inquadramento

In Italia le tipologie contrattuali presenti nel mondo del lavoro sono davvero numerose e tra queste spesso vi sono lievi differenze che possono portare anche a un errato inquadramento giuridico. Tra i contratti più discussi, e che spesso viene confuso con tipologie contrattuali simili, vi è il contratto di lavoro autonomo occasionale.

La definizione di questo contratto viene fornita dalla Legge n. 30/2003 che parla diqualsiasi attività di lavoro caratterizzata dall’assenza di abitualità, professionalità, continuità e coordinazione”. La prima cosa da sottolineare è che è essenziale ai fini di un corretto inquadramento riflettere proprio sul nome, il fatto che trattasi di lavoro autonomo implica che non vi è alcun tipo di subordinazione rispetto a quello che è il committente (sarebbe del tutto errato denominarlo datore di lavoro), la seconda caratteristica che deve emergere è che trattandosi di lavoro autonomo occasionale non vi è alcun inserimento del prestatore all’interno dell’organizzazione funzionale dell’azienda. Infine, non vi è alcun potere di coordinamento delle prestazioni da parte del committente (questo profilo aiuta a distinguere il contratto di lavoro autonomo occasionale dal contratto Co.Co. Co).

Particolare attenzione deve essere posta anche all’aggettivo occasionale, infatti ne denota una caratteristica intrinseca non trascurabile, cioè deve trattarsi di una prestazione che normalmente non viene svolta da quel soggetto, ma come fare per determinare se l’attività è occasionale o meno? Si ritiene che se viene svolta in modo continuativo, oppure vi sono dei dipendenti, vi è un sito internet in cui viene pubblicizzata quell’attività o uno studio dedicato a essa, non possa parlarsi di lavoro autonomo occasionale. Chi effettua prestazioni di lavoro autonomo occasionale può anche avere altri lavori, ad esempio può essere il dipendente di una fabbrica.

Obblighi del lavoratore autonomo occasionale: emettere la ricevuta

Chi ha un contratto di lavoro autonomo occasionale non ha obbligo di partita IVA, questo però non vuol dire che non debba dichiarare tali compensi, naturalmente non potrà emettere fattura, ma dovrà emettere una ricevuta. Il committente versa quanto dovuto ed effettua anche la ritenuta d’acconto, inoltre deve emettere la certificazione Unica CU dove indica i compensi versati e le trattenute effettuate.

Cosa scrivere nella ricevuta

Naturalmente tutti si chiedono cosa deve essere inserito nella ricevuta. Ecco i dati

  • Dati anagrafici del lavoratore: nome, cognome, data di nascita, codice fiscale, indirizzo di residenza;
  • Dati del committente, può trattarsi di persona fisica o persona giuridica, quindi se trattasi di persona fisica nome, cognome, codice fiscale, data di nascita del committente; se titolare di partita iva, si indica ragione sociale, numero di partita IVA e sede;
  • tipologia di prestazione effettuata;
  • importo lordo del compenso (cioè al lordo della ritenuta d’acconto);
  • eventuale ritenuta d’acconto (pari al 20% del compenso;
  • importo netto percepito (compenso lordo meno ritenuta);
  • assoggettamento o meno del compenso alla contribuzione Inps;
  • data, luogo e firma del lavoratore e del ricevente.

Trattandosi di una prestazione eseguita da un soggetto che non ha l’obbligo di partita IVA nella ricevuta è necessario inserire anche tale dicitura: “Prestazione fuori campo IVA ai sensi dell’art. 5 del DPR 633/72

Ritenuta d’acconto

Nell’indicare il contenuto della ricevuta ci sono delle voci che ancora non sono state trattate, si è parlato della ritenuta d’acconto sottolineando che la stessa non sempre è dovuta, occorre ora specificare cosa vuol dire. Non tutti i soggetti sono sostituti d’imposta, ad esempio un privato non è sostituto d’imposta, cioè non può versare all’agenzia delle entrate imposte che sono dovute da un altro soggetto trattenendo la somma dal compenso. Si faccia il caso di Tizio a cui Caio commissione per una volta di tagliare l’erba del prato, è evidente che in questo caso siamo di fronte a un lavoro autonomo occasionale in cui il committente non è sostituto d’imposta, in tal caso non vi è la ritenuta d’acconto, tutto il compenso viene versato al lavoratore.

Un altro caso è quello in cui il committente abbia la sede sociale all’estero. Questo però non implica che il lavoratore non debba dichiarare tali compensi e non debba pagare le tasse, le pagherà successivamente, cioè nel momento in cui andrà a fare la dichiarazione dei redditi e li verserà nella misura prevista dalle normative in vigore.

Contribuzione INPS per i lavoratori autonomi occasionali

Nell’elenco delle cose da inserire nella ricevuta si parla anche di contribuzione INPS, anche in questo caso è necessario fare una precisazione. Se i compensi derivanti da lavoro autonomo occasionale nell’arco dell’anno non superano i 5.000 euro non sono assoggettati a contribuzione INPS. In caso contrario il lavoratore deve iscriversi alla Gestione Separata INPS e devono essere versati i contributi previdenziali e assistenziali. A questo punto occorre un’altra precisazione: quando si supera il limite dei 5.000 euro è necessario comunicare ciò ai committenti, o al committente, costui dovrà versare lui in qualità di sostituto d’imposta quanto dovuto all’INPS in misura di 1/3 trattenuto dal compenso pattuito e 2/3 dovrà invece versarli di “tasca sua”.

 

Chi sono i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata INPS?

Alcune categorie di lavoratori autonomi versano i contributi presso la Gestione Separata INPS. Questo fondo pensione è finanziato con la contribuzione previdenziale obbligatoria dei lavoratori assicurati e nasce con la Legge Dini del 1995 che riforma il sistema pensionistico.

Ricordiamo che per lavoratore autonomo, s’intende chi compie un’opera o un servizio con lavoro in prevalenza proprio e privo di vincoli di subordinazione nei confronti del cliente/committente, dietro compenso.

Alla Gestione Separata INPS sono iscritti anche i lavoratori atipici e quelli parasubordinati come i collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co.), gli assegnisti di ricerca e di borse di studio, i medici con contratto di formazione specialistica e i volontari del servizio civile nazionale che ricevono dei compensi.

Gestione Separata INPS: chi sono i lavoratori autonomi iscritti

I lavoratori autonomi iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale sono quelli non iscritti all’Ordine od a un Albo professionale. Per la tipologia di iscritti, questo fondo non raccoglie elevati importi di contribuzione, di conseguenza i trattamenti pensionistici erogati non sono alti.

I lavoratori che svolgono un lavoro autonomo e non dispongono di una Cassa previdenziale nella quale versare i contributi, sono obbligati ad iscriversi alla Gestione Separata INPS. Tuttavia, lo sono anche i liberi professionisti con Cassa previdenziale ma che svolgono contemporaneamente un’attività lavorativa dipendente.

Devono iscriversi alla Gestione Separata INPS anche i venditori a domicilio con un contratto di lavoro autonomo. In qualche caso, sono tenuti a farlo anche i lavoratori autonomi occasionali che hanno percepito compensi superiori a 5.000 euro annui riferiti a tutti i committenti. Sono quest’ultimi, previo comunicazione del lavoratore a dover iscriverlo alla Gestione Separata INPS.

Lavoratori autonomi: come iscriversi alla Gestione Separata INPS

Tutti i lavoratori autonomi (così come le altre categorie di lavoratori) sopra indicati sono obbligati ad iscriversi alla Gestione Separata INPS. Possono farlo all’inizio dell’attività oppure in seguito, come i lavoratori occasionali nel caso di superamento della soglia limite di compensi lordi annui (5.000 euro). La sede INPS di competenza dei professionisti è quella competente il territorio di residenza.

Ogni lavoratore deve inoltrare la domanda di iscrizione per via telematica al portale dell’INPS attraverso questo indirizzo, accedendo con le credenziali INPS. Una volta giunta nella propria area personale, si deve compilare un modulo di iscrizione alla Gestione Separata INPS. In alternativa, è possibile telefonare al numero verde (803164) del Contact Center.

Nel modulo di iscrizione alla Gestione Separata INPS, il lavoratore autonomo deve indicare i dati anagrafici, la data di avvio e il tipo di attività, il numero di partita IVA e il codice ATECO. Terminato l’iter, immediatamente verrà rilasciata la ricevuta relativa all’iscrizione avvenuta. Nel caso di cessazione dell’attività e di successiva ripresa della stessa, non serve una nuova iscrizione, in quanto si rimane sempre iscritti a questa gestione, anche senza obbligo di versamento nel caso in cui si è cambiato lavoro.

Contributi dovuti all’INPS: professionisti senza Cassa

Per tutti gli iscritti alla Gestione Separata INPS ricorre l’obbligo di versamento dei contributi. A seconda del lavoro svolto, cambia la modalità e il calcolo. Per i liberi professionisti non iscritti a un Elenco o Albo professionale, la contribuzione è calcolata sul reddito professionale annuale. Ovvero, dalla differenza tra i ricavi tassabili e gli oneri deducibili dal reddito.

Il contributo deve essere versato con il meccanismo di acconto e saldo. A fine giugno si deve versare il saldo del contributo dell’anno precedente e l’acconto per l’anno in corso. Il 30 novembre deve essere versato il secondo acconto per il periodo di imposta in corso. I versamenti devono avvenire tramite modello F24.

I professionisti iscritti alla Gestione Separata Inps possono (non devono) addebitare ai propri committenti il contributo del 4% a titolo di rivalsa. E’ bene sottolineare che tale contributo rappresenta reddito sottoposto a tassazione per il professionista.

Lavoratori autonomi occasionali: contributi INPS

Come già anticipato, il lavoratore autonomo occasionale è chiamato a comunicare in anticipo al proprio committente il superamento della soglia. Ricevuta tale comunicazione il committente effettua l’iscrizione del lavoratore alla Gestione Separata INPS.

Successivamente, nella ricevuta del lavoratore deve essere applicata la ritenuta previdenziale sul compenso spettante al lavoratore. I due terzi del contributo dovuto sono a carico del committente, mentre il restante terzo deve essere trattenuto dal compenso del lavoratore occasionale.

Aliquote 2021-2023 della Gestione Separata INPS

Come stabilito dalla Legge n. 178/2020, c’è un aumento delle aliquote della Gestione Separata INPS per i lavoratori autonomi con partita Iva. Nel 2021 l’aliquota è del 25,98% (+0.26); nel 2022 sarà pari al 26,23%; nel 2023 sarà del 26,74%.

L’innalzamento delle aliquote è dato dalla copertura degli oneri per il finanziamento dalla stessa ISCRO, ovvero la cassa integrazione per i lavoratori autonomi. Ovvero un assegno mensile erogato dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, per un importo compreso tra 250 euro e fino a 800 euro.

Le aliquote 2021 si applicano con riferimento ai redditi percepiti dagli iscritti alla Gestione separata fino al raggiungimento del massimale stabilito. Ricordiamo che il minimale di reddito è di 15.878 euro.

Gli iscritti per i quali si applica l’aliquota del 24% avranno l’accredito dell’intero anno per un importo di 3.810,72 euro. Diversamente, gli iscritti per i quali il calcolo dei contributi avviene applicando l’aliquota maggiore avranno l’accredito con un contributo annuale pari agli importi di seguito indicati:

Reddito minimo annualeAliquotaContributo minimo annuo

  • 15.878 euro – 24% – 3.810,72 euro
  • 15.878 euro – 25,72% – 4.083,82 euro (IVS € 3.969,5)
  • 15.878 euro – 33,72% – 5.354,06 euro (IVS € 5.239,74)
  • 15.878 euro – 34,23% – 5.435,04 euro (IVS € 5.239,74)

 

Il contratto Co.Co.Co. è lavoro autonomo? Caratteristiche

I contratti Co.Co.Co,  hanno sempre destato interesse di aziende e lavoratori, ciò che molti si chiedono è: il Co.Co.Co. è lavoro autonomo o subordinato? In realtà nessuna delle due risposte è esaustiva: si tratta di un lavoro parasubordinato.

Co.Co.Co. è lavoro autonomo? Ecco i requisiti

La prima cosa da sottolineare è che non basta definire un rapporto di lavoro come Co.Co.Co. perché il legislatore ha stabilito delle caratteristiche necessarie affinché si possa parlare di collaborazione coordinata e continuativa. In caso contrario il contratto diventa automaticamente di lavoro subordinato.

Autonomia: è il primo elemento imprescindibile: il lavoratore non deve avere vincoli di orario, decide autonomamente quando lavorare. L’unico limite alla sua autonomia è il coordinamento che spetta al committente, tale potere di coordinamento però non deve  ledere l’autonomia operativa del lavoratore. Ad esempio, si può dire al lavoratore di consegnare il lavoro entro il giorno X, ma sarà il lavoratore a decidere in quali orari lavorare e come organizzare le sessioni di lavoro. Su questo punto il Jobs Act è molto preciso, infatti stabilisce che nel caso in cui nel contratto siano indicati degli orari di lavoro, ad esempio dover essere collegati alla piattaforma aziendale dalle ore 10:00 alle ore 14:00, il contratto viene automaticamente inquadrato come di lavoro subordinato e quindi si applicano tutte le norme previste per questo. La stessa disciplina si applica anche nel caso in cui sia indicato un luogo di lavoro. Di conseguenza se al lavoratore si chiede di presentarsi nella sede aziendale per alcune ore della giornata, o in alcuni giorni della settimana, il lavoro viene considerato di tipo subordinato. In tal caso il datore di lavoro è tenuto a riconoscere, ferie, permessi, diritti sindacali, paga calcolata attraverso l’applicazione del CCNL previsto per la categoria, pagamento di contributi previdenziali e assistenziali.

Tipologie di prestazioni e retribuzione

La prestazione del rapporto Co.Co.Co. è di tipo personale, quindi non può delegarsi ad altro soggetto. Tra gli elementi che assurgono molta importanza c’è la continuità del vincolo, che si esplica nella permanenza del vincolo tra le parti. In caso contrario si verifica un’altra tipologia contrattuale, cioè la prestazione occasionale. La retribuzione deve invece essere corrisposta in forma periodica e prestabilita.

Quelle elencate sono le caratteristiche attuali del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, infatti in passato vi erano ulteriori limiti che con il tempo sono caduti. In primo luogo, fino al 31 dicembre del 2000 la normativa prevedeva che tale tipo di contratto potesse avere ad oggetto solo prestazioni di tipo artistico/intellettuale, mentre dal 1° gennaio 2001 il limite  non si applica e questo rapporto di lavoro può essere stipulato anche per mansioni di tipo manuale e operativo.

Perché c’è difficoltà ad inquadrare il lavoro Co.Co.Co come lavoro autonomo?

La disamina fin qui fatta sembra voler tutelare l’autonomia del lavoratore che può svolgere le mansioni senza andare nella sede operativa del committente (non si può parlare di datore di lavoro), ci sono però degli aspetti che lo stesso legislatore stabilisce debbano essere trattati come se fossero dei lavoratori dipendenti. In primo luogo dal 1° gennaio 2001 i redditi da lavoro Co.Co.Co sono assimilati a quelli di lavoro subordinato e quindi per l’imposizione fiscale si applicano le stesse detrazioni e deduzioni che spettano ai lavoratori inquadrati come dipendenti. Fino al 31 dicembre 2000 venivano invece considerati redditi da lavoro autonomo.

Un discorso a parte deve essere fatto per le prestazioni contributive, infatti  nel lavoro dipendente queste sono a carico del datore di lavoro, mentre nelle prestazioni di lavoro autonomo sono a carico del lavoratore che deve iscriversi a una cassa previdenziale, ad esempio quella delle professioni legali, oppure alla Gestione Separata INPS nel caso in cui non abbia una cassa. Per le Co.Co.Co nessuno dei due principi è del tutto valido, infatti i contributi previdenziali sono per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del lavoratore. La seconda quota però deve essere trattenuta dal committente dai compensi e da questi versata, di conseguenza tutti i versamenti previdenziali devono essere eseguiti dal datore di lavoro.

Norme processuali

Il contratto Co.Co.Co non può essere inquadrato con certezza tra il lavoro autonomo perché, come visto, le norma che lo disciplinano sono miste. A complicare il difficile inquadramento vi sono anche le norme processuali, infatti anche per quanto riguarda le questioni processuali, si applicano le norme inerenti il contratto di lavoro subordinato.

Riconoscimento Dis-Coll

Ai Collaboratori Coordinati e Continuativi, Co.Co. Co, la legge riconosce anche il diritto a percepire la Dis.Coll cioè l’indennità di disoccupazione, questa è corrisposta a coloro che hanno perso il lavoro non per loro decisione. Per richiederla occorre essere iscritti al Gestione Separata INPS, risultare disoccupati e devono esservi tre mesi di contribuzione versati  nell’anno civile antecedente rispetto a quello in cui si è perso il lavoro. Ad esempio, se il Co.Co. Co perde il lavoro il 20 marzo 2021, per avere il riconoscimento della Dis-Coll deve aver versato tre mesi di contributi nel 2020.  L’indennità mensile massima è di 1328,76 euro e si può percepire per un periodo massimo di 6 mesi. L’importo è calcolato in base al reddito e ai mesi di contribuzione maturati.

Computo Gestione Separata: quali requisiti per esercitarlo e quali benefici?

Il computo nella Gestione Separata è una possibilità concessa dalla legge (Art.3 del Dm 282/1996) ai lavoratori ad essa iscritti, di cui ci si può avvalere a domanda al momento della presentazione della richiesta di pensione. L’utilizzo di tale strumento consente di mettere insieme (in modo gratuito) tutti i contributi distribuiti nelle altre gestioni di previdenza pubblica obbligatoria, con l’obiettivo di ottenere una prestazione pensionistica unica.

Rientrano tra i suddetti contributi alla gestione separata che si possono computare, quelli presso l’assicurazione generale dei lavoratori dipendenti, presenti nel fondo pensione lavoratori dipendenti, nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, nelle gestioni ex inpdap, ex enpals e negli altri fondi sostitutivi dell’AGO. Sono esclusi dal computo, i periodi contribuitivi degli iscritti alle casse dei liberi professionisti e i contributi versati nel Fondo Clero.

I requisti per il computo Gestione Separata

Innanzitutto, per avvalersi della facoltà di esercitare il computo nella Gestione Separata consentito dalla legge, il lavoratore richiedente dovrà avere versato almeno un contributo mensile presso di essa. Altro requisito riguarda il possesso per un minimo di 15 anni di contributi, di cui 5 nel sistema contributivo, ovvero a partire dalla sua entrata in vigore (1° gennaio 1996). Al contempo, avere meno di 18 anni di contributi versati/accreditati al 31 dicembre 1995.

Computo Gestione Separata: i benefici

Il computo nella Gestione Separata può costituire un vantaggio per i lavoratori che vogliono conseguire una delle pensioni agevolate a cui possono accedere solo quelli soggetti al calcolo interamente contributivo della pensione. E’ un beneficio anche per coloro che auspicano il riscatto agevolato della laurea, relativo solo ai periodi soggetti al calcolo con il sistema contributivo.

Con il computo presso la Gestione Separata è possibile accedere a diversi trattamenti pensionistici, non solo a quelli agevolati come la pensione di vecchiaia con 5 anni di contributi e la pensione anticipata a 64 anni. Fermo restando il possesso dei requisiti necessari maturati per avvalersi dell’esercizio del computo dopo il 31 dicembre 2011, si possono ottenere con certezza la pensione anticipata ordinaria e contributiva; la pensione di vecchiaia ordinaria e contributiva, la pensione d’inabilità, la pensione indiretta ai superstiti, la pensione supplementare, l’assegno ordinario di invalidità.

Gestione Separata, ecco quando non serve l’iscrizione

La Gestione separata istituita presso l’INPS ha lo scopo di garantire una serie di prestazioni previdenziali a soggetti diversi dai lavoratori dipendenti. Essa opera con regole diverse rispetto alla gestione che si occupa dei dipendenti: dall’iscrizione sino al versamento dei contributi.

Cerchiamo quindi di capire nel dettaglio le caratteristiche ed il funzionamento della Gestione separata. Innanzitutto, è utile chiarire chi deve iscriversi, ecco i lavoratori interessati:

  • Liberi professionisti privi delle rispettive casse di previdenza;
  • Liberi professionisti con cassa di previdenza che svolgono attività per le quali non è previsto l’obbligo di iscrizione alla stessa ;
  • Lavoratori autonomi occasionali;
  • Collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co);
  • Associati in partecipazione.
  • Venditori a domicilio;
  • Spedizionieri doganali non dipendenti;
  • Assegnisti di ricerca;
  • Destinatari di borse di studio per la frequenza ai dottorati di ricerca;
  • Amministratori locali.

I soggetti interessati sono tenuti ad iscriversi alla Gestione separata al momento dell’instaurazione del primo rapporto ( l’iscrizione avviene mediante il portale telematico dell’INPS).

Gestione separata Inps: quali prestazioni sono garantite

Come anticipato, le prestazioni garantite dalla Gestione separata sono:

  • Assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti;
  • Assegni familiari;
  • Indennità di malattia per degenza ospedaliera;
  • Indennità di malattia, maternità, per congedo parentale e di disoccupazione.

Come si legge nella legge 335/1995 l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS sorge nei confronti di quei soggetti che esercitano una delle suddette professioni in via abituale.

Tuttavia la mancanza del requisito dell’abitualità – o della prevalenza – dell’attività lavorativa non esonera a prescindere dall’iscrizione. Questo perché la legge 326/2003 ha esteso l’obbligo assicurativo anche a coloro che, pur svolgendo l’attività professionale in maniera occasionale, hanno un reddito (derivante da questa) superiore ai 5mila euro. Pertanto, si deduce che le su elencate categorie professionali possono non iscriversi alla Gestione separata INPS se non sussiste le seguenti due condizioni:

  • svolgimento dell’ attività in maniera abituale;
  • produzione di un reddito derivante dall’ attività inferiore ai 5mila euro.

Nel caso contrario, i lavoratori hanno il dovere d’iscrizione e di pagare i contributi previsti, i quali si calcolano in base alle aliquote comunicate dall’INPS.

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Pensione Gestione Separata INPS: misure, requisiti e particolarità | La Guida

Per i lavoratori autonomi per i quali non vi è obbligo all’iscrizione alla propria Cassa Professionale è obbligatoria l’iscrizione alla Gestione Separata INPS. L’Iscrizione è obbligatoria per tutti coloro che esercitano il lavoro autonomo come professione abituale. Per chi esercita lavoro occasionale, invece, l’iscrizione è obbligatoria solo qualora si superi la soglia reddituale dei 5mila euro annui.

Pensione Gestione Separata

Anche per gli iscritti alla Gestione Separata è prevista l’erogazione delle prestazioni che sono riconosciute generalmente agli iscritti ad altre forme previdenziali e nello specifico si ha diritto a:

  • pensione di vecchiaia
  • pensione anticipata
  • assegno ordinario di invalidità
  • pensione di inabilità
  • pensione di reversibilità
  • pensione indiretta
  • pensione supplementare
  • supplemento di pensione.

La circolare INPS numero 35 del 2012 sancisce che i requisiti di accesso ai trattamenti previdenziali per gli iscritti alla Gestione Separata sono i medesimi previsti per la generalità dei lavoratori autonomi. Ma per questa Gestione vi è una particolarità: essendo nata solo dopo il 1995 i trattamenti previdenziali sono quelli previsti per i contributivi puri e, quindi, con l’esclusione della possibilità di accedere all’integrazione al trattamento minimo.

Vediamo, quindi, i requisiti per accedere alle diverse misure previdenziali per gli iscritti alla Gestione Separata:

  • per la pensione di vecchiaia sono necessari 67 anni di età unitamente a 20 anni di contributi e che l’importo della pensione spettante sia pari a 1,5 volte l’assegno sociale INPS.
  • Per la pensione anticipata sono necessari 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini.
  • Fino al 31 dicembre 2021, gli iscritti alla Gestione Separata possono accedere alla pensione con la quota 100 al raggiungimento dei 62 anni con almeno 38 anni di contributi versati.

Gli iscritti alla gestione, inoltre, possono accedere anche alle cosiddette pensioni contributive pure:

  • per quella di vecchiaia sono necessari almeno 71 anni di età con almento 5 anni di contributi effettivi (esclusi, quindi, i contributi figurativi)
  • per quella anticipata sono necessari almeno 64 anni unitamente ad almeno 20 anni di contirbuti e che l’importo dell’assegno previdenziale sia pari o superiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.

Ma cosa succede se l’iscritto alla Gestione Separata ha contribuzione versata prima del 1 gennaio 1996?

Essendo una Gestione nata solo a partire dal 1996 è possibile che gli iscritti siano in possesso di contribuzione versata ad altri fondi previdenziali al 31 dicembre 1995. In questo caso può essere utilizzato il cumulo gratuito dei contributi o la totalizzazione nazionale per utilizzare i contributi presenti in Gestione Separata e presso altri fondi e ottenere, quindi, il diritto ad un’unica pensione.

Computo nella Gestione Separata

Per poter beneficiare della pensione alle condizioni previste dalla Gestione Separata, in ogni caso, chi ha contributi versati presso casse previdenziali diverse può avvalersi del computo nella Gestione Separata per il quale, però, è necessario essere in possesso di precisi requisiti quali:

  • possedere contributi prima del 1 gennaio 1996 ma aver versato, al 31 dicembre 1995, meno di 18 anni di contributi
  • possedere almeno 15 anni di contributi totali
  • aver versato almeno 5 anni di contributi a partire dal 1996

Il computo è una opzione gratuita che consente di utilizzare nella Gestione Separata anche periodi di contributi derivanti da lavoro dipendente sia pubblico che privato.

Minimi e gestione separata, vincono i professionisti

E alla fine vinsero i professionisti. La protesta 2.0 contro il regime dei minimi, l’aumento dell’aliquota previdenziale della gestione separata e altri pasticci combinati dal governo a danno dei professionisti, ha avuto i risultati sperati con l’approvazione in Commissione degli emendamenti al Decreto Milleproroghe in tema di regime dei minimi e con il blocco dell’aumento dell’aliquota previdenziale della gestione separata.

Soddisfatto il Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (Int) e Vice Presidente vicario di Confassociazioni, Riccardo Alemanno: “Ha vinto una protesta civile 2.0 – ha commentato -; sì, perché la rete ha evidenziato e dato il giusto risalto anche in termini numerici di quanti cittadini erano colpiti dall’aumento dell’aliquota della gestione separata e dal penalizzante nuovo regime dei minimi forfetizzati“.

Evidentemente – ha poi aggiunto – la grande unione di intenti dei vari soggetti rappresentativi dei professionisti di area associativa ha dato i suoi frutti, ma credo che i parlamentari e i rappresentanti del Governo abbiamo compreso che i problemi legati a norme sbagliate andavano a incidere negativamente su un segmento molto ampio di forza lavoro ed economica del nostro Paese, che null’altro chiede se non di poter lavorare e dare lavoro. Quindi, come si suol dire, l’unione ha fatto la forza, ma mi piace pensare che la svolta positiva su queste problematiche derivi soprattutto dalla giustezza delle proteste, proteste per cambiamenti positivi e mai a sfavore di qualcuno”. La battaglia in favore di chi sceglie il regime dei minimi è emblematica.

Ora però – ha proseguito Alemannonon si deve più aspettare e bisogna mettere mano a una profonda riforma del fondo di gestione separata dell’Inps. Inoltre, come tributaristi dovremo essere molto attenti all’evoluzione della delega fiscale e ai tanti provvedimenti in cantiere“.

La grande concitazione dei giorni scorsi lascia quindi spazio alla soddisfazione, ma, come affermato dal Presidente dell’Int, non si deve mai abbassare la guardia, perché è un periodo di grandi cambiamenti che devono migliorare la vita dei cittadini e non travolgerla. Perciò bisogna essere sempre pronti ad evidenziare le negatività come è giusto evidenziarne gli aspetti positivi, fanno sapere dall’Int.

Gestione separata Inps, Alemanno scrive a Poletti

Il Presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT), Riccardo Alemanno, anche nella sua veste di Vice Presidente Vicario di Confassociazioni, torna a chiedere interventi normativi sul fondo di gestione separata dell’Inps, che gestisce la previdenza dei professionisti che non hanno cassa autonoma e che devono oggi pagare una percentuale pari al 30% del reddito, l’aliquota previdenziale più elevata in assoluto di tutto il lavoro autonomo.

Alemanno ha inviato una breve ma sentita lettera al ministro del Lavoro Giuliano Poletti e ai presidenti delle Commissioni lavoro di Senato e Camera, Maurizio Sacconi e Cesare Damiano, entrambi ex ministri del lavoro che ben conoscono la problematica.

Nella sua missiva Alemanno scrive senza mezzi termini: “[…omissis…] Era stato chiesto il congelamento dell’aumento dell’aliquota Inps al 27%, che già rappresentava la percentuale più elevata nell’ambito del lavoro autonomo, ma ciò non è stato accolto, in attesa di, parrebbe, una più profonda revisione dell’intero impianto del fondo di gestione separata, non vorrei però che nell’attesa i professionisti, che mi pregio rappresentare, dovessero continuare a versare “sine die” contributi elevatissimi per compensare errori del passato o colpe altrui. E’ pertanto necessario ed urgente un intervento emendativo di blocco dell’aumento sul c.d. Decreto Milleproroghe in corso di conversione (Per i lavoratori autonomi titolari di partita Iva, iscritti nel Fondo di gestione separata dell’INPS, la percentuale di contribuzione dovuta rimane al 27%.).

Alemanno che per sua stessa ammissione ha descritto la lettera non come intervento tecnico ma come appello, per dare voce a centinaia di migliaia di professionisti del settore associativo, conclude il suo scritto con tre domande: “[omissis] Ma è mai possibile che oggi i tributaristi e gli altri professionisti della Legge 4/2013, debbano applicare un’aliquota del 30%, quando la più elevata applicata al lavoro autonomo non arriva al 23%? Vi sembra giusto? Ma questa è previdenza o discriminazione?“.

Ora il Presidente dell’INT e Vice Presidente Vicario di Confassociazioni attende le risposte così come tutto il mondo professionale associativo che è stato riconosciuto dalla Legge 4 del 2013.