Dipendente in malattia: quali diritti e quali doveri?

Come funziona quando un dipendente si mette in malattia? Scopriamo in questa rapida guida quali sono i diritti e quali i doveri nel periodo di malattia, per un dipendente.

Malattia del dipendente, come funziona

Partiamo dalle basi della questione, affrontando la modalità del periodo di malattia di un dipendente.

Stando a quanto stabilisce l’articolo 2110 del codice civile “in caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge (o le norme corporative) non stabilisce forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, (dalle norme corporative) dagli usi o secondo equità.”

Quindi, il principale diritto per il dipendente o comunque per il lavoratore, spetta il diritto di percepire lo stipendio nel tempo di malattia, in misura ai tempi stabiliti dalla legge o dal contratto con l’azienda.

Va aggiunto che è inoltre garantita ai termini di legge, al dipendente assente per malattia la conservazione del posto di lavoro per un periodo di tempo ben determinato, nel corso del quale non potrà quindi essere licenziato dal proprio datore di lavoro.

La durata del cosiddetto periodo di comporto viene definita dalla contrattazione collettiva applicata ed è generalmente quantificata in 180 giorni per anno civile.

Diritti inalienabili per il dipendente in malattia

Andiamo, dunque a vedere quali diritti spettano, in ulterior misura ad un lavoratore in periodo di malattia.

L’INPS, in merito al verificarsi di un evento morboso che determini l’incapacità temporanea al lavoro, eroga un’indennità di malattia alle seguenti tipologie di lavoratori subordinati:

  • operai del settore industria;
  • operai e impiegati del settore terziario e servizi;
  • lavoratori dell’agricoltura;
  • apprendisti;
  • disoccupati;
  • lavoratori sospesi dal lavoro;
  • lavoratori dello spettacolo;
  • lavoratori marittimi.

Questa tipologia di indennizzo non spetta a:

  • collaboratori familiari (colf e badanti);
  • impiegati dell’industria;
  • quadri (industria e artigianato);
  • dirigenti;
  • portieri e lavoratori autonomi.

Ovviamente, per poterne usufruire, il lavoratore ha l’obbligo di farsi rilasciare il certificato di malattia dal proprio medico curante, che provvede a trasmetterlo telematicamente all’INPS.

Obblighi e doveri del lavoratore in malattia

Ma quali sono, invece, gli oneri che spettano ad un dipendente in malattia?

E’ importante sapere che per il dipendente, nel periodo di comporto, sussiste un obbligo di reperibilità presso il proprio domicilio per sottoporsi all’eventuale visita del medico fiscale, una visita che può essere disposta sia su richiesta del datore di lavoro, tenendo conto che la cui violazione è sanzionata disciplinarmente, sia d’ufficio.

Per i lavoratori dipendenti le fasce di reperibilità sono, per tutti i giorni riportati nella certificazione di malattia (compresi i sabati, domenica e festivi), dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.

Nel corso del periodo di prognosi del certificato medico, in casi necessari, il lavoratore può cambiare l’indirizzo di reperibilità, sempre però comunicandolo in maniera tempestiva e con congruo anticipo al proprio datore di lavoro, con le modalità previste dal contratto, ed all’INPS utilizzando il servizio “Sportello al cittadino per le visite mediche di controllo”.

Quanto spetta di indennità al lavoratore?

Per ottenere il diritto all’indennità, da parte dell’INPS, si parte dal quarto giorno (i primi 3 giorni sono considerati di “carenza” e, se previsto dal contratto collettivo, devono essere indennizzati dal datore di lavoro) e termina con la scadenza della prognosi.

Solitamente, l’indennità a carico dell’Istituto viene corrisposta ai lavoratori dipendenti nella misura del 50% rispetto alla retribuzione media giornaliera (che comprende l’incidenza dei ratei delle mensilità aggiuntive) partendo dal quarto al ventesimo giorno e del 66,66% dal ventunesimo al centottantesimo giorno.

Ad ogni modo, la maggior parte dei contratti collettivi stabilisce che il datore di lavoro debba integrare l’indennità erogata dall’INPS, durante il periodo di conservazione del posto, fino a un determinato ammontare che può anche arrivare al 100% della retribuzione.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito ai basici diritti e doveri di un dipendente in corso di periodo di malattia dal lavoro.

 

Visita fiscale 2022: orari di reperibilità settore pubblico e privato

Il dipendente in malattia, sia nel settore pubblico sia nel settore privato, può essere sottoposto a visita fiscale inviata dall’INPS, ma questa può avvenire solo nelle fasce di reperibilità previste per legge. Ecco quali sono.

Visita fiscale: come si attiva la procedura

Le fasce di reperibilità per la visita fiscale 2022 sono determinate con la legge Madia (decreto 17 ottobre 2017, n. 206). La procedura per godere del periodo di malattia viene attivata dal medico curante che inoltra il certificato di malattia sul sito dell’INPS, attraverso la piattaforma a cui lui ha accesso. Il certificato contemporaneamente viene inviato al datore di lavoro. Nella maggior parte dei casi l’input per la visita fiscale viene fornito dal datore di lavoro, ad esempio quando ritiene che in realtà la richiesta di godere del periodo di malattia sia da verificare. L’input può però arrivare anche dall’INPS, ad esempio nel caso in cui i permessi per malattia riguardino i dipendenti di una grande azienda e nota delle anomalie, ad esempio numerose assenze per lavoro, permessi richiesti sempre a ridosso del week end.

Quali sono le fasce orarie di reperibilità?

Le fasce orarie di reperibilità sono in parte diverse a seconda del settore in cui si lavora. Vedremo ora gli orari in cui è necessario farsi trovare presso l’indirizzo indicato per la reperibilità.

Fasce di reperibilità settore pubblico:

  • dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle ore 18:00

Fasce di reperibilità per visite fiscali per il settore privato

  • dalle ore 10:00 alle ore 12:00 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00.

Come si può notare le fasce di reperibilità per i dipendenti pubblici sono più ampie rispetto a quelle previste per il settore privato, questo anche perché si è verificato soprattutto in questo settore un vero e proprio abuso.

False credenze sulle fasce di reperibilità per la visita fiscale

Molti lavoratori sono convinti che durante il primo giorno di permesso per malattia non si effettuino visite fiscali. Non corrisponde al vero, anche se è difficile che il primo giorno sia attivata l’INPS, può comunque succedere. Un’altra falsa credenza è che nei giorni festivi non ci siano visite fiscali: chi è in malattia deve essere reperibile all’indirizzo indicato e negli orari visti anche nel giorni festivi e pre-festivi.

Cosa può fare il lavoratore se non ritiene giusta la valutazione del medico che esegue la visita fiscale?

Il lavoratore deve immediatamente formulare il suo dissenso (ad esempio nel caso in cui il medico ritiene che il lavoratore possa riprendere il lavoro) il medico provvederà a redigere il verbale di tale dissenso e il lavoratore sarà invitato nel primo giorno utile a sottoporsi a visita fiscale ambulatoriale presso l’ufficio competente per territorio.

Cause di esenzione dalla visita fiscale

Il diritto del lavoro prevede dei casi in cui non si effettuano visite fiscali al lavoratore in malattia e di conseguenza non deve rispettare gli orari di reperibilità. Sia nel settore pubblico che privato l’esenzione si ha in caso di gravi patologie.

Inoltre nel settore del lavoro pubblico si ha l’esenzione dalla visita fiscale nel caso in cui di malattia per causa di servizio riconosciuta e che abbia portato a una menomazione, unica o plurima, prevista negli allegati A (prime tre categorie) ed E del DPR 834 del 1981. Si tratta di importanti menomazioni come la perdita degli arti, patologie tumorali, perdita della vista, dell’udito, lesioni al sistema nervoso centrale. Sempre nel settore pubblico si esclude la possibilità di essere sottoposti a visita fiscale a domicilio in caso di malattia richiesta in relazione a patologie per le quali sia stata riconosciuta una invalidità con percentuale dal 67% .

Nel settore privato invece, oltre alle gravi patologie, portano all’esenzione dalla visita fiscale gli stati patologici connessi a un’invalidità riconosciuta con percentuale almeno del 67%.

Infine, un altro caso in cui non è prevista la visita fiscale si ha quando l’assenza è dovuta a Covid.

Cosa succede se il medico non trova il lavoratore all’indirizzo indicato durante l’orario delle fasce di reperibilità?

In questo caso il medico che effettua la visita all’indirizzo indicato deve darne immediata comunicazione al datore di lavoro. Il medico inoltre invita il lavoratore a presentarsi nel primo giorno utile alla visita presso l’Ufficio medico legale dell’INPS competente per territorio. Il lavoratore è tenuto a indicare il motivo per cui non era presente all’indirizzo indicato durante l’orario di reperibilità.

In caso di assenza ingiustificata del lavoratore le sanzioni possono essere molto pesanti. La prima sanzione è di tipo amministrativo e consiste nella decurtazione del 100% dell’indennità prevista per un periodo massimo di 10 giorni;

La seconda sanzione è sempre di tipo amministrativo, si applica nel caso in cui sia rilevata un seconda assenza durante il periodo di malattia. In tale caso si ha una decurtazione del 50% del trattamento economico previsto per tutto il periodo della malattia.

In caso di terza assenza, l’indennità viene del tutto sospesa.

Le ulteriori sanzioni hanno luogo nei casi più gravi e consistono nel licenziamento senza preavviso nel caso in cui il periodo di malattia sia stato sfruttato attraverso l’uso di certificati medici attestanti il falso.

Infine si applica il licenziamento con preavviso in caso di:

  • assenza ingiustificata per un numero di giorni superiori a 3 anche non continuativi nell’arco di un biennio;
  • assenza ingiustificata per più di 7 giorni in un arco temporale di 10 anni;
  • in caso di mancata ripresa del servizio entro il termine fissato dall’amministrazione.

Ho indicato un determinato domicilio, ma avendo bisogno di assistenza ho deciso di farmi ospitare durate il periodo di malattia da un parente, cosa faccio?

In questo caso il nuovo indirizzo deve essere comunicato in modo immediato. Ora questa operazione può essere compiuta in modo autonomo attraverso il sito dell’INPS. A rendere note le modalità operative è la circolare 106 del 2020 dell’INPS. Occorre accedere ai servizi online presenti sul portale dell’INPS e andare alla voce Sportello al cittadino per le VMC e scegliendo la voce “Indirizzo reperibilità ai fini delle visite mediche di controllo” .

Assenza per malattia: quando non è obbligatorio per l’ammalato inviare il certificato e conseguenze

Quando un lavoratore si ammala e di conseguenza, si assenta dal lavoro, l’istituto normativo che va utilizzato è quello della malattia. Ma il certificato medico di malattia deve sempre essere inviato al datore di lavoro da parte del dipendente ammalato ed assente? Vediamo cosa prevede la normativa vigente alla luce delle recenti novità ed alla luce del  certificato telematico che ormai ha preso piede per l’istituto della malattia.

Malattia e adempimenti, il datore di lavoro deve essere informato

Il datore di lavoro deve necessariamente essere informato della motivazione relativa ad una assenza di un suo dipendente. Questo è sia un comportamento ineccepibile dal punto di vista morale, che un obbligo stabilito dalla legge.

E deve essere il lavoratore a comunicare l’assenza per malattia ad un datore di lavoro, perché non basta ciò che fa il medico di base. Infatti per la malattia, deve essere il medico di base a certificarla inviando tramite certificato telematico, la comunicazione direttamente all’Inps. Ma nonostante questo, per permettere al datore di lavoro una adeguata sostituzione del lavoratore o una adeguata organizzazione delle attività senza il lavoratore ammalato, informarlo è necessario.

Ciò non vuol dire che occorre spedire il certificato medico per posta, tramite Pec o via email. Per assolvere a questo obbligo di informare il datore di lavoro può essere utilizzato pure un metodo informale. Infatti anche una semplice telefonata on un messaggio può andare bene.  Questo è l’orientamento che tutti i Contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono.

E non potrebbe essere altrimenti se si pensa ai tempi tecnici con cui una raccomandata postale arriva al destinatario. Verrebbe meno il fattore della tempestività con cui un datore di lavoro dovrebbe essere avvisato per tutto ciò che abbiamo detto prima in relazione al proseguo dell’attività produttiva.

La malattia: cosa va fatto in sintesi

La comunicazione di malattia è obbligatoria sia per il datore di lavoro che per l’Inps.  Il lavoratore deve innanzi tutto recarsi dal suo medico di base che deve emettere il cosiddetto certificato di malattia. Sarà il medico di base a trasmetterlo all’Inps in formato digitale. A questo punto sarà l’Inps a trasmetterlo al datore di lavoro. Una operazione che non può certo essere in tempo reale quest’ultima. Per questo l’obbligo morale da parte del lavoratore di rendere edotto il datore di lavoro è sacrosanto. E diventa pure legale dal momento che pur non essendone obbligato immediatamente, la sua mancanza può esporre a rischi.

In assenza del certificato telematico, qualora il medico di base fosse impossibilitato, si adotta la vecchia maniera, quella del certificato cartaceo con il lavoratore che deve inviarlo al datore di lavoro e all’Inps, di norma entro due giorni dal suo rilascio. Infatti per ogni giorno di ritardo nell’invio, si perde un giorno di indennità.

Come si orientano i giudici chiamati a sancire su ricorsi e reclami

Non avvisare il datore di lavoro può essere pericoloso. In effetti l’orientamento dei Tribunali, a cui molto spesso i lavoratori o i datori di lavoro si appoggiano per dirimere questioni legate ai rapporti di lavoro, è verso l’assenza ingiustificata. In pratica la mancata comunicazione tempestiva della malattia, a prescindere dal certificato telematico del proprio medico, può far scattare le sanzioni per assenza ingiustificata.

E come si sa, se l’assenza ingiustificata si protrae per più tempo o se viene effettuata più volte, non è raro arrivare a eventi come il licenziamento o la risoluzione del contratto di lavoro.

Certo, può capitare che il lavoratore si trovi nell’impossibilità di fornire questa informazione al datore di lavoro. In questo caso, sempre in base all’orientamento degli ermellini, deve essere il lavoratore a fornire prova della sopraggiunta impossibilità ad adempiere.

In definitiva, siamo di fronte a casi di violazioni disciplinari.

A rischio l’indennità?

Se il non avvisare l’azienda può essere pericoloso e può esporre a sanzioni disciplinari, il certificato medico inviato all’Inps correttamente dal medico non mette a rischio l’indennità. Infatti il lavoratore in malattia ha diritto a percepire una indennità, che spesso è variabile da CCNL a CCNL.

Per grandi linee però, l’indennità di malattia segue determinati parametri. I primi 3 giorni di malattia sono a carico completo del datore di lavoro. I successivi 20 (dal quarto al ventitreesimo) invece prevedono una indennità pari al 50% delle retribuzione media giornaliera del lavoratore. Per quelli ancora successivi e fino ai 180 giorni complessivi, si passa al 66,6% della retribuzione media giornaliera. Ma si tratta di grandi linee, basti pensare al lavoro statale che durante la malattia da diritto ad una fruizione di una indennità fissa e per tutto il periodo, pari all’80% della retribuzione media.

Quarantena COVID lavoratori: quando è pagata e quando no?

Dal primo gennaio 2022 ci sono nuove regole per la quarantena Covid dei lavoratori, se fino al 31 dicembre 2021 la stessa consentiva di avere la retribuzione prevista per la malattia, ora non è più così. Scopriamo quando la quarantena Covid lavoratori è pagata e quando invece no.

Quarantena Covid lavoratori: cambiano le regole

Dal primo gennaio 2022 sono cambiate le regole per la quarantena precauzionale dei lavoratori: coloro che hanno avuto un contatto stretto con un positivo non possono più percepire l’indennità di malattia. Cosa devono fare quindi per non perdere la retribuzione?

La prima cosa da sottolineare è che sono cambiate le regole per la quarantena, infatti dal primo gennaio se:

  • si è positivi sintomatici è necessario restare in quarantena per 10 giorni dall’inizio dei sintomi, eseguire quindi un tampone antigenico o molecolare almeno 3 giorni dopo il termine dei sintomi. In caso di esito negativo si può tornare a lavoro, in caso contrario si resta a casa e si ripete il tampone;
  • se si è positivi asintomatici, dal momento in cui c’è il risultato positivo è necessario attendere 10 giorni e svolgere un nuovo tampone antigenico o molecolare. Se questo è negativo si può riprendere la vita sociale. Nel caso in cui il soggetto sia vaccinato con la terza dose, oppure abbia ricevuto la seconda dose da meno di 120 giorni, è possibile ripetere il tampone di controllo dopo 7 giorni;

Quarantena per contratto stretto

Regole diverse sono previste per chi ha avuto contatti stretti con un positivo, in questi casi le differenze sono dovute anche all’essersi sottoposti a vaccino. In questo caso:

  • Se non si hanno sintomi e si è vaccinati con terza dose, oppure con seconda dose da meno di 120 giorni, non è necessario stare in isolamento, ma occorre indossare la mascherina ffp2;
  • Se si hanno sintomi, sebbene vaccinati, è necessario eseguire un tampone molecolare o antigenico dopo 5 giorni dal contatto;
  • nel caso in cui la seconda dose sia stata effettuata da oltre 120 giorni occorre restare in quarantena (isolamento) per 5 giorni dal momento del contatto e quindi eseguire un tampone;
  • per i non vaccinati in seguito a contatto con un positivo è necessario trascorrere 10 giorni in quarantena e di seguito procedere al tampone molecolare o antigenico.

Quarantena Covid Lavoratori: quando viene pagata?

Fatta questa premessa occorre vedere come comportarsi con il lavoro. Nel caso in cui si sia costretti alla quarantena precauzionale, se il datore di lavoro può “trasformare” il rapporto in smart working, si può procedere in tal modo. In caso contrario non si potrà avere la malattia. Questo vuol dire che, per evitare di perdere la retribuzione, si possono sfruttare le ferie o in caso contrario il datore di lavoro può concedere permessi retribuiti aggiuntivi.

Diverso è il caso del genitore che è costretto a restare in casa perché il figlio, minore di 14 anni, è in DAD (didattica a Distanza) in questo caso è possibile usufruire fino al 31 marzo 2022 del congedo speciale per Covid-19 retribuito al 50%. Se lo studente ha più di 14 anni per i genitori non è possibile usufruire di tale congedo speciali e si viene trattati alla stregua di tutti gli altri lavoratori.

Restano senza particolari tutele anche i lavoratori fragili che, se tenuti alla quarantena precauzionale, non hanno diritto alla malattia ma devono sfruttare le proprie ferie.

Quarantena dei positivi è retribuita?

Naturalmente nel caso in cui la quarantena non sia precauzionale, cioè si tratti di una quarantena per aver contratto il Covid 19, il periodo ha il trattamento economico dell’astensione dal lavoro per malattia. In questo caso è necessario che il medico curante invii il relativo certificato all’INPS come una comune malattia.

La scelta di non considerare più la quarantena precauzionale, cioè quella dovuta a contratto stretto con un positivo periodo di malattia, può sembrare un’ingiustizia.  In realtà tutela tutti coloro che per vari motivi hanno dovuto usufruire per più volte di periodi di malattia per quarantena precauzionale nel 2020 e nel 2021.  Numerosi contratti di lavoro prevedono che non si possa superare il periodo di comporto di 180 giorni e quindi rischierebbero il licenziamento.

Superamento periodo di comporto, quando si può impugnare il licenziamento?

Quando si può impugnare il licenziamento, a causa del periodo di comporto? A questa e ad altre curiosità, relative al periodo di comporto del lavoratore, risponderemo in questa rapida ed esaustiva guida.

Periodo di comporto, quando si supera il limite

Innanzitutto, chiariamo cosa si intende per periodo di comporto.

Sostanzialmente, non si intende altro che quel limite di periodo che il lavoratore può usufruire per la propria malattia dal lavoro.

Potremmo ben dire che la base annuale cui va rapportato il periodo di comporto si identifica nell’anno solare, ovvero dei 365 giorni decorrenti dal primo episodio morboso, dall’inizio della malattia, se continuativa, ovvero, a ritroso, dalla data del licenziamento.

Leggi anche: Superamento periodo di comporto, la malattia può essere sostituita con le ferie?

Quando si può impugnare il licenziamento

Quindi, andiamo, nello specifico a vedere quando è possibile impugnare il licenziamento, a causa del superamento del periodo di comporto.

Per poter procedere alla impugnazione del licenziamento a causa del superamento del periodo di comporto, va a gravare sul datore di lavoro l’onere di allegare e provare i fatti costitutivi del potere di recesso. Spetta, dunque, al lavoratore la loro contestazione; pertanto, in difetto di specifica contestazione ed in assenza di una chiara e precisa presa di posizione del lavoratore sull’esistenza delle assenze per malattia incluse nel computo del comporto, le stesse risulteranno non controverse e, come tali, non hanno necessità di prova.

Possiamo, quindi aggiungere che per conseguire il licenziamento per superamento del periodo di comporto, sia nel caso di una sola affezione continuata, sia in quello del succedersi di diversi episodi morbosi, la risoluzione del rapporto va a costituire la conseguenza di un caso di impossibilità parziale sopravvenuta dell’adempimento, nel quale il dato dell’assenza dal lavoro per infermità corre ad avere una valenza puramente oggettiva.

Pertanto, non va rilevata la mancata conoscenza da parte del lavoratore del limite esterno del comporto e della durata complessiva delle malattie. Ed in mancanza di un obbligo contrattuale in tal senso, non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto la mancata comunicazione al lavoratore dell’approssimarsi del superamento del periodo di comporto.

Tutto ciò in quanto la comunicazione servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie o di aspettativa, sostanzialmente elusive dell’accertamento della sua inidoneità ad adempiere l’obbligazione.

Riconoscimento indennità sostitutiva

Cosa vuol dire indennità sostitutiva? E quando essa viene a mancare?

Se la parte che intende interrompere il rapporto di lavoro non rispetta il periodo di preavviso, è tenuta a corrispondere alla controparte un’indennità sostitutiva dello stesso, pari alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato durante il preavviso. Ecco cosa si intende per indennità sostitutiva. Ma quando questa viene a mancare, per superamento del periodo di comporto?

La risposta a tale quesito è presto data:

nel novero di obbligatorietà del preavviso, il difetto del carattere “improvviso” del recesso datoriale ed, in generale, delle finalità sottese alla disposizione di cui all’art. 2118 c.c. andranno a determinare il mancato riconoscimento del diritto alla corresponsione della relativa indennità sostitutiva.

Questo è, dunque, quanto vi fosse di più necessario, esaustivo ed imbrigliato da sapere in merito al periodo di comporto e al suo procedere per impugnare il licenziamento da parte del datore di lavoro.

 

Superamento periodo di comporto: cosa accade?

Oggi andremo a vedere, nella nostra rapida, essenziale ed esaustiva guida, cosa accade quando si supera il periodo di comporto sul posto di lavoro. Ma anche e soprattutto cosa si intende, quando si parla di periodo di comporto. Scopriamolo assieme, nei prossimi paragrafi.

Periodo di comporto: cosa accade se si supera

E’ passato un bel po’ di tempo di assenza dal lavoro per malattia e non prevedete di rientrare in tempi brevi? Avete timore di perdere il posto di lavoro e vi domandate se e quando potreste correre il serio rischio di essere licenziati? Quali conseguenze ha la scadenza del periodo di comporto?

Innanzitutto, chiariamo esattamente quando si parla di periodo di comporto a cosa si fa riferimento?

Il periodo di comporto corrisponde al numero massimo di assenze per malattia che possono essere effettuate dal lavoratore. Se questo periodo viene superato, il datore di lavoro può procedere al licenziamento, a meno che il contratto collettivo non abbia in previsione l’aspettativa non retribuita.

Ora, vediamo cosa accade nello specifico del superamento del periodo, attraverso il prossimo paragrafo.

Periodo di comporto, superato: è licenziamento?

Come detto, il rischio di incorrere nel licenziamento, una volta superato il periodo di comporto è piuttosto evidente.

Il licenziamento, però, non è un fattore esclusivamente automatico. Anzi, lo si può evitare grazie ad alcuni accorgimenti, che convertono l’assenza per malattia in altri motivi legittimi.

Come fare, dunque ad evitare che il superamento del limite del periodo di comporto vada a sfociare in un licenziamento?

La domanda più annosa legata alla questione è, quindi, come fare in tal caso ad evitare il licenziamento?

Per poter evitare, quindi, che il periodo di comporto si compia interamente, qualora il contratto lo consente, il lavoratore può far interrompere il suo decorso chiedendo le ferie già maturate o mettendosi in aspettativa non retribuita. Questa istanza deve essere scritta e deve essere presentata prima della scadenza del periodo di comporto. Il datore di lavoro non è obbligato ad aderire a tali richieste, anche se deve valutarle attentamente per bilanciare le esigenze aziendali con l’interesse del lavoratore.

E’ dunque il ricorso all’aspettativa che può scongiurare il licenziamento dal posto di lavoro, quando si supera il periodo di comporto. Come detto sopra, inoltre, il dipendente può richiedere la fruizione delle ferie: usufruendo delle ferie residue, difatti, il termine del periodo tutelato viene in automatico spostato in avanti.

Va aggiunto, tra l’altro che molti contratti collettivi prevedono, a via di tutela dei lavoratori in tali situazioni, la conservazione del posto di lavoro se il dipendente si pone in aspettativa prima del decorso del termine di comporto. In tali casi, il datore di lavoro non ha la discrezionalità e non può negare l’accoglimento della richiesta.

Dunque, in definitiva, questo è quanto vi fosse di più utile, essenziale e necessario da sapere in merito alla questione di superamento del periodo di comporto sul proprio posto di lavoro. Ora, non vi resta che tornare al lavoro e tenere il più integro possibile, anche per la vostra salute, il fatidico periodo di comporto.

Quando il superamento del periodo di comporto non giustifica il licenziamento?

Oggi andremo nel cuore dell’annosa questione del periodo di comporto che avvolge il mondo del lavoro. Quando il superamento di tale periodo può portare al licenziamento e quando esso non ne giustifica la possibilità. Scopriamolo assieme, in questa rapida guida.

Periodo di comporto, di cosa si tratta

E’ bene, prima di tutto, specificare di cosa si tratta, quando si parla di periodo di comporto.

Possiamo, molto brevemente dire che il periodo di comporto corrisponde al numero massimo di assenze per malattia che possono essere effettuate dal lavoratore. Se tale periodo viene superato, il datore di lavoro ha facoltà a procedere al licenziamento, a meno che il contratto collettivo non preveda l’aspettativa non retribuita.

Andiamo, di seguito, a vedere quando il periodo di comporto può sfociare nella massima pena (il licenziamento) e quando, invece tale superamento non giustifica il licenziamento.

Periodo di comporto: il licenziamento

Possiamo ben dire che per quanto riguarda l’ impugnazione del licenziamento in merito al superamento del periodo di comporto, grava sul datore di lavoro l’onere di allegare e di dover provare i fatti costitutivi del potere di recesso, mentre spetta al lavoratore la loro contestazione.

Quindi, ragion per cui, in difetto di specifica contestazione ovvero in assenza di una chiara e precisa presa di posizione del lavoratore sull’esistenza delle assenze per malattia incluse nel computo del comporto, queste risulteranno non controverse e, in quanto tali, non avranno necessariamente bisogno di prova.

A tal proposito, va dunque aggiunto che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o per infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, si rivela nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, c.c.

Va aggiunto, a titolo informativo, che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è assimilabile ad un licenziamento disciplinare, bensì ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, causale di licenziamento cui si fa riferimento anche per le ipotesi di impossibilità della prestazione, riferibile alla persona del lavoratore, diverse dalla malattia.

In ultimo, ma non ultimo, va detto che solo e soltanto impropriamente, riguardo a tale licenziamento, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, quale l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta.

Periodo di comporto e licenziamento non giustificato

Restando nel merito della questione, possiamo dire che c’è un fattore che potrebbe non giustificare il licenziamento, in caso di periodo di comporto. Lo vediamo di seguito.

In caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o di eliminare, finendo per andare a violare l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile, indispensabile e necessario, da sapere in merito alla questione legata alle panoramiche di licenziamento dal lavoro, dovuto al superamento del periodo di comporto e quando esso possa essere, invece non giustificato al recesso.

Malattia da vaccino, come funziona e chi paga

E’ sempre più al centro dell’attenzione mediatica, politica e popolare, il tema del vaccino, della possibile obbligatorietà e dei possibili rischi di effetti collaterali, nel timore di una grossa fetta di persone non vaccinate. Ma in caso di malattia da vaccino, come funzione e chi paga? Scopriamolo in questa nostra guida al caso.

Malattia da vaccino, come funziona

Possiamo dire che i postumi da vaccino ci sono sempre stati. Dalla possibilità di febbre al dolore al braccio che ha subito puntura, fino a sintomi di stanchezza e spossatezza.

Tuttavia, nell’ anno in cui il vaccino, causa pandemia, è diventato argomento del giorno (di ogni giorno da un anno ad oggi), molti si chiedono quali siano gli indennizzi e le possibilità di mettersi in malattia da vaccino, dal proprio lavoro.

Va detto che sugli indennizzi versati a chi subisce problemi da vaccino, c’è un oscuro silenzio dalla parte istituzionale, implementato da un consenso informato (quando si ricorre al vaccino anti Covid-19 si solleva da oneri e responsabilità statale e farmaceutica) che sembrerebbe necessariamente dire: la vaccinazione, pur efficace contro il virus, è a vostro rischio e pericolo, contro effetti indesiderati.

Ma come funziona, invece per la malattia da vaccino?

Diciamo subito che le eventuali assenze dovute ai postumi del vaccino sono considerate giornate di malattia ordinaria.

La classificazione delle assenze per malattia da vaccino è comunque rilevante sia per quanto riguarda le categorie non obbligate alla vaccinazione, sia per i vaccini relativi a malattie diverse dal coronavirus.

Postumo da vaccino: malattia e assenza

Va detto che sempre più frequenti, meno dibattute sui notiziari nazionali e nei talk show di prima punta, sono gli effetti collaterali da vaccino: dalle trombosi alle pericarditi, dalle paralisi temporali di parti del corpo, alla comune febbre.

Tuttavia, molto spesso i casi non sono segnalati all’AIFA o talvolta vengono liquidati con un frettoloso “nessuna correlazione”, in una modalità del tutto da appurare.

Ad ogni modo, per tornare al nodo della questione, legato a malattia ed assenze dal lavoro possiamo dire quanto segue che a prescindere dalla tipologia di vaccinazione effettuata, se il lavoratore ha difficoltà a svolgere la sua attività per via della febbre, della cefalea o di altri postumi da vaccino, la prima cosa da fare è recarsi dal proprio medico curante.

Questi, dopo una visita, dovrebbe essere in grado di stabilire se la gravità dei sintomi è tale da essere incompatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa e ad assegnare i dovuti giorni di riposo. A tal proposito, deve trasmettere telematicamente all’Inps il certificato di malattia e fornire il numero di protocollo al lavoratore, che quest’ultimo deve inviare al datore di lavoro.

Vaccino anti Covid: malattia o infortunio

Considerato che siamo in una fase di “obbligo” surrettizio per i lavoratori, sottoposti ad una vaccinazione anche forzata, occorre stabilire se si tratta di malattia o “infortunio” sul lavoro, un eventuale problema post vaccinazione.

In merito ai postumi del vaccino Covid, l’Anvu (Associazione professionale polizia locale d’Italia) sostiene che in base alla legge ed ai chiarimenti dell Istituto Inail, la reazione al vaccino Covid obbligatorio che provochi un’inabilità temporanea con astensione dal lavoro deve essere trattata come un infortunio sul lavoro, quindi di competenza Inail, non come una malattia ordinaria, di competenza dell’Inps (o, in base alla categoria di appartenenza del lavoratore, di competenza di un altro ente assistenziale/previdenziale o del datore di lavoro/ dell’amministrazione).

Secondo l’Associazione, l’evento è da classificare come infortunio sul lavoro in quanto:

  • si verifica un problema di salute (febbre, cefalea, dolori muscolari, altre tipologie di malessere);
  • sussiste l’occasione di lavoro, in tutte le ipotesi in cui la vaccinazione sia obbligatoria o comunque necessaria per lo svolgimento dell’attività lavorativa, nonché nell’ipotesi in cui la vaccinazione sia effettuata sul lavoro;
  • sussiste una causa violenta (un ago fora la pelle del lavoratore con un’azione rapida, intensa e concentrata);
  • la causa violenta è anche esterna (l’ago introduce dall’esterno una sostanza ”estranea” nel corpo del lavoratore).

Assenze e malattia del personale scolastico

Andiamo in ultimo, ma non ultimo, a vedere la condizione del personale scolastico, una categoria sottoposta ad obbligo vaccinale.

Il decreto Sostegni, con specifico riferimento al personale delle istituzioni scolastiche, prevede, in primo luogo, che l’assenza per la somministrazione del vaccino Covid sia giustificata come assenza per servizio e non vada a determinare alcuna decurtazione del trattamento economico, né fondamentale né accessorio.

Mentre il Dipartimento per la Funzione Pubblica ha successivamente precisato che le eventuali assenze per postumi da vaccino anti-Covid devono essere gestite come malattia ordinaria e sono soggette alla decurtazione stipendiale.

La parola chiarezza, in questo caso, come è consono di questi tempi, non è stata posta.

Questo è quanto dunque vi sia di più esaustivo ed utile da sapere in merito ad una situazione che vive costantemente di aggiornamenti e contraddizioni, di polemiche e declamazioni scientifiche, spesso in contrapposizione tra di esse.

Polizza malattia: che cos’è, come funziona e a chi serve?

Con la polizza malattia si ha a disposizione una copertura assicurativa nel caso in cui si verifichi la malattia. L’obiettivo della polizza è quello di fornire un sostegno economico in particolari situazioni di necessità. La malattia si intende come l’alterazione dello stato di salute che non dipende da un infortunio. Rispetto proprio alla polizza infortuni, la malattia si manifesta come un evento non attribuibile a una causa esterna, violenta e fortuita.

Come può essere una polizza malattia?

La polizza malattia può essere sottoscritta:

  • in maniera individuale. In questo caso il contratto, sottoscritto dal solo beneficiario, risulta a vantaggio del sottoscrittore stesso e dei componenti il suo nucleo familiare;
  • collettivamente. In questo caso il contratto, sottoscritto dal datore di lavoro o da un’associazione, va a garantire i dipendenti e gli associati.

In quali casi risulta utile la polizza malattia?

La polizza malattia diventa utile nel momento in cui occorre coprire un ipotetico futuro periodo di malattia. In questo caso si ottiene il rimborso delle spese sostenute. I casi più frequenti possono essere quelli di un intervento chirurgico. Ma anche in caso di ricovero presso un ospedale o una casa di cura è utile avere una polizza malattia. In questo caso si riceve un indennizzo giornaliero per tutto il periodo di degenza. Infine, diversamente dalla polizza infortuni, con l’assicurazione sulla malattia si può ottenere la liquidazione in caso di invalidità permanente attribuibile alla malattia stessa.

Come avviene la copertura della polizza malattia?

La copertura della polizza malattia può prevedere un’assistenza diretta presso i medici e le strutture convenzionati. L’assistenza, in questo caso, deriva dal fatto che a pagare le prestazioni pensa direttamente l’assicurazione. Diversamente, la copertura può avvenire anche a rimborso. In questo caso, il beneficiario deve presentare la fattura della prestazione ottenuta e l’assicurazione provvede al rimborso delle spese già pagate dall’assicurato.

Polizza malattia, come funziona e quali sono le formule?

Con la polizza malattia si possono scegliere diverse formule. La prima consiste nel rimborso delle spese mediche sostenute per una malattia o per un intervento chirurgico conseguente alla malattia. Con la formula indennitaria, invece, l’assicurazione paga una certa somma per ogni giorno trascorso in un ospedale o in una casa di cura. Per i lavoratori autonomi la copertura viene integrata dal mancato guadagno conseguente al fatto che, a causa della malattia, il professionista non ha potuto svolgere la propria attività. Infine, nel caso di invalidità permanente, la somma viene pagata dall’assicurazione nel momento in cui non si è più nelle condizioni di poter lavorare a causa della malattia. L’invalidità può essere totale o parziale.

Qual è la durata della polizza malattia?

Si può sottoscrivere una polizza malattia annuale o di più anni. In quest’ultimo caso, per i contratti sottoscritti dopo il 15 agosto 2009, l’assicurato può recedere dal contratto a partire dal quinto anno di sottoscrizione dando un preavviso di 60 giorni. Ma devono risultare in regola i pagamenti dei premi precedenti. Dopo la durata della polizza, è necessario comunicare all’assicurazione se si intende porre fine al contratto oppure procedere con la proroga. Se nel contratto c’è la clausola “proroga tacita”, la polizza si rinnova in automatico. Ma la proroga stessa non può essere superiore ai due anni.

Quando si attiva la polizza malattia?

Dopo la firma del contratto, per l’attivazione della polizza malattia deve trascorrere un determinato lasso di tempo. Se durante questo periodo dovesse verificarsi un sinistro, l’assicurato non avrà diritto ad alcuna somma, anche se ha pagato già il premio. Il periodo di mancata copertura dipende dal tipo di formula che l’assicurato ha sottoscritto.

Quanto costa la polizza malattia?

Il costo della polizza malattia (premio) varia a seconda di determinati fattori. Innanzitutto l’età: solitamente le assicurazioni permettono di sottoscrivere polizze fino a 70 anni. Ma è necessario anche verificare l’esito del “questionario sanitario“. Si tratta di un elenco di domande sullo stato di salute dell’assicurato. In base alle risposte fornite dall’assicurato al questionario, l’assicurazione calcola il rischio e da questo dipende anche il premio. L’assicurato deve rispondere correttamente: infatti, nel caso in cui le informazioni non risultino veritiere o complete, l’assicurazione può non pagare l’indennizzo in caso di malattia o determinarne una riduzione.

Cosa è importante fare prima di sottoscrivere una polizza malattia?

Dal lato dell’assicurato, prima di firmare il contratto di polizza malattia, è indispensabile prendere tutte le informazioni sulle spese che l’assicurazione rimborsa in caso di malattia, dei massimali indennizzabili e della presenza di strutture o di medici convenzionati ai quali rivolgersi in caso di malattia. Se l’assicurato si rivolge a medici non convenzionati potrebbe subire la riduzione o l’esclusione del rimborso.

Franchigie e scoperti nelle polizze malattia

La presenza di una franchigia nella polizza malattia va verificata prima di firmare il contratto. Ad esempio, può essere stabilita una franchigia assoluta il cui importo viene detratto dalla somma da indennizzare, o relativa nel caso in cui l’assicurazione non indennizza sotto un certo importo. Possono essere previste cause di esclusione dall’indennizzo. Ad esempio, se l’assicurazione dimostra che l’assicurato non ha fornito le informazioni nel questionario prima di sottoscrivere il contratto di una malattia della quale l’assicurato stesso ne era a conoscenza. Sono normalmente escluse le malattie conseguenti a comportamenti dell’assicurato contrari alla legge o volontari.

A chi è consigliata la polizza malattia?

La polizza malattia è consigliata sicuramente ai lavoratori autonomi e alle partite Iva. Infatti, i professionisti risultano scoperti in caso di malattia e non avrebbero un sostegno economico senza una polizza per l’impossibilità di svolgere la propria attività. In caso di malattia è comunque necessario verificare le spese rimborsabili. Ad esempio, quelle di degenza sono sempre rimborsabili. Altre rimangono a carico dell’assicurato.

Polizza malattia, come scegliere la migliore?

Prima di sottoscrivere il contratto è necessario fare un’attenta valutazione del rischio che si ha di malattia e di quanto la malattia stessa potrebbe compromettere le entrate economiche nel caso in cui non si disponesse di una polizza. La scelta di una compagnia anziché di un’altra deve essere consapevole e alla luce di tutte le informazioni e i confronti tra costi e benefici delle varie offerte presenti sul mercato.

 

Visite fiscali per lavoratore part time: quali regole?

In caso di malattia di un lavoratore, la visita fiscale può essere inviata tutti i giorni e negli orari delle fasce di reperibilità stabiliti per legge. Le regole delle visite fiscali non cambiano a seconda della tipologia di contratto full time o part time, orizzontale o verticale. E rimangono le stesse anche rispetto all’organizzazione dei turni o degli orari di lavoro delle aziende.

Visite fiscali per malattia a lavoratori part time: le regole

Pertanto l’orario della visita fiscale, all’interno delle fasce di reperibilità, è uguale per tutti i dipendenti, sia con contratto di lavoro full time che part time. E la visita può capitare anche nelle giornate in cui il lavoratore non è di servizio. Ad esempio, può essere fissata la visita medica di domenica a un lavoratore con distribuzione del lavoro dal lunedì al venerdì. Analogamente, il lavoratore part time può ricevere una visita fiscale in un giorno in cui non è di servizio.

Orari di reperibilità per le visite fiscali

Dal 1° settembre 2017, con l’istituzione del Polo unico, le visite fiscali sono organizzate dall’Inps sia per i lavoratori dipendenti pubblici che privati. Restano diversificati, invece, gli orari di reperibilità tra i due settori: i lavoratori privati possono ricevere la visita fiscale tra le 10 e le 12 e tra le 17 e le 19. I lavoratori del pubblico impiego, invece, mantengono orari di reperibilità più ampi. Infatti, le fasce previste sono dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.

Come sono regolati gli orari di reperibilità per i lavoratori part time?

Come devono regolarsi i dipendenti che svolgano lavoro part time in merito agli orari di reperibilità delle visite fiscali? La regola generale è che gli orari valgono per tutti, indipendentemente dal contratto di lavoro a tempo pieno o part time. Pertanto, un lavoratore part time in fascia diurna per un totale di 4 ore di lavoro giornaliere, in caso di malattia è assoggettato alla visita fiscale che potrebbe capitare tra le 10 e le 12 e tra le 17 e le 19. Quindi anche al di fuori della fascia di orario lavorativo prevista.

Reperibilità dei lavoratori part time in caso di malattia

Dunque anche un lavoratore part time ha l’obbligo di essere reperibile all’indirizzo indicato, per tutta la durata della malattia, ogni giorno della settimana comprese le domeniche e i giorni festivi. La reperibilità del lavoratore è finalizzata esclusivamente a consentire il controllo da parte dei medici competenti e incaricati. E il controllo viene effettuate con regole uguali per tutti a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.

Assenza da lavoro per malattia, come funziona?

In caso di malattia, il lavoratore contatta il proprio medico curante e prende nota del numero di protocollo. Da questo momento è obbligato a rispettare le fasce di reperibilità previste per il lavoro privato o per il pubblico. Il medico redige e trasmette il certificato o l’attestato di malattia in via telematica all’Inps. L’attestato indica solo la prognosi, ovvero il giorno di inizio e di presunta fine della malattia. Il certificato, invece, indica anche la diagnosi, ovvero la causa della malattia. Con la ricezione della comunicazione della malattia, sia l’Inps che il datore di lavoro possono richiedere la visita fiscale.

Cosa avviene se il lavoratore è assente durante la visita fiscale?

Nel caso in cui il lavoratore sia assente negli orari di reperibilità della visita fiscale, lo stesso viene invitato a recarsi agli ambulatori delle strutture territoriali dell’Inps. L’invito reca una data specifica. Per evitare azioni disciplinari da parte del datore di lavoro, il lavoratore assente alla visita fiscale deve presentare una giustificazione valida per l’assenza stessa.

I datori di lavoro possono verificare l’assenza alla visita fiscale del lavoratore?

In caso di assenza alla visita fiscale del lavoratore, i datori di lavoro possono esaminare gli esiti delle valutazioni di medici legali incaricati dall’Inps. le valutazioni riguardano i documenti che il lavoratore ha prodotto per giustificare l’assenza alla visita di controllo. I datori di lavoro possono dunque accedere alle valutazioni dei medici tramite il servizio “Richiesta di visite mediche di controllo” del sito istituzionale dell’Inps.