Bonus trasporti, al via le richieste dal 17 aprile. Guida

Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha reso noto che dalle ore 8 del giorno 17 aprile 2023 è possibile richiedere il Bonus trasporti. Ecco come procedere.

Cos’è il bonus trasporti 2023 e per quali viaggi è richiedibile

Il bonus trasporti è stato istituito con l’articolo 35 del Dl Aiuti n.50/2022 e ha l’obiettivo di aiutare le famiglie a far fronte alle spese dei trasporti in un periodo di particolari difficoltà economiche. Può essere richiesto per l’acquisto di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale ovvero per i servizi di trasporto ferroviario nazionale.

Per quanto riguarda il trasporto ferroviario è bene ricordare che il bonus trasporti 2023 non può essere utilizzato per l’acquisto di titoli di viaggio in business class, prima classe, executive, salotto, premium, working area e-business salottino, insomma si può ottenere solo per il classico viaggio in seconda classe.

Come richiedere il bonus trasporti 2023?

La richiesta del bonus trasporti può essere fatta per se stessi o per un familiare fiscalmente a carico, deve essere fatta sul sito https://www.bonustrasporti.lavoro.gov.it/ accedendo con la propria identità digitale, cioè Spid o Carta di identità elettronica. Deve però essere indicato il codice fiscale del beneficiario, quindi nel caso in cui l’istanza sia presentata per il figlio fiscalmente a carico, deve essere inserito il codice fiscale di costui.

Il bonus può essere richiesto da soggetti che hanno un reddito non superiore a 20.000 euro e non può avere un valore superiore a 60 euro. Il reddito deve essere auto-certificato con una semplice spunta al momento dell’inserimento della domanda, ma naturalmente potranno esservi dei controlli.

Il buono può essere utilizzato per l’acquisto di abbonamenti mensili, per più mesi o annuali, non è cedibile, non costituisce reddito imponibile e il valore non deve essere indicato nel modello Isee. Il buono inoltre è nominativo ed è compatibile con le detrazioni previste per le spese di trasporto, ma solo per la quota di spesa eccedente rispetto al bonus trasporti riconosciuto.

Come precedentemente detto, la piattaforma è accessibile dalle ore 8:00 del 17 aprile 2023 e il bonus trasporto è richiedibile fino al 31 dicembre 2023, ma comunque fino a esaurimento fondi, quindi non è detto che andando in piattaforma a dicembre vi siano ancora risorse disponibili. Il fondo è di 100 milioni di euro.

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Reddito di cittadinanza, arriva la proposta shock con sospensione per 6 mesi

Proposta shock da Matteo Salvini: per trovare i soldi per finanziare Quota 102 propone la sospensione del reddito di cittadinanza per 6 mesi a chi può lavorare.

Proroga di Quota 102 con il sospensione per sei mesi del reddito di cittadinanza

Che la riforma della pensione sia il cruccio di Salvini e il reddito di cittadinanza la misura odiata dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è cosa abbastanza nota, ma ora arriva una proposta che per molti italiani potrebbe cambiare davvero tutto. Si è visto negli approfondimenti passati che per ora si ipotizza di non effettuare alcuna riforma della pensione. Resterebbe quindi in vigore le legge Fornero senza alcuno scivolo. Dovrebbero invece essere prorogate l’Ape Sociale che ha un’applicazione limitata e vi rientrano una quota limitata di persone e Opzione Donna che porta comunque alla perdita di circa il 30% dell’assegno pensionistico.

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Quota 102 attualmente in vigore è invece in scadenza al 31 dicembre e per ora non hanno trovato reperibilità coperture e proprio da questo limite arriva la nuova idea di Matteo Salvini, vice premier.

Sospensione per sei mesi del reddito di cittadinanza: a rischio 900 mila percettori

L’ipotesi allo studio è tagliare per 6 mesi il reddito di cittadinanza a coloro che possono essere utilmente collocati nel mondo del lavoro. Non dovrebbero quindi rientrarvi coloro che hanno delle invalidità e i pensionati con assegno minimo che percepiscono l’integrazione. Questa misura dovrebbe consentire il risparmio di un miliardo di euro e questo dovrebbe bastare a finanziare il meccanismo di uscita dal mondo del lavoro con un’età minima di 61 anni e 41 anni di anzianità contributiva. Si tratterebbe quindi di una proroga di Quota 102.

Questa proposta di Salvini ha trovato spazio all’interno di un’intervista nel prossimo libro, in uscita il 4 novembre, di Bruno Vespa. Sulla sua reale potenzialità vi sono dubbi perché in un momento così difficile togliere il reddito di cittadinanza a 900.000 famiglia potrebbe deprimere ancora di più i consumi emettere in grave difficoltà le famiglie se realmente non si propone loro un inserimento lavorativo.

In realtà il ministro impegnato nella scrittura della riforma delle pensioni è Marina Calderone  al vertice del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La proposta che arriva dalla neo-ministra è di una Quota flessibile con possibilità di andare in pensione con un’anzianità contributiva di 35 anni e un’età compresa tra 61 e 66 anni, ma con una riduzione cospicua anche in questo caso per l’importo mensile. La riduzione sarebbe tanto più ampia quanto più si anticipa l’uscita dal lavoro.

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Quota flessibile: la nuova riforma della pensione della ministra Calderone

La neo-ministra Marina Calderone, a cui è stato affidato il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è già al lavoro e il punto di partenza è al riforma delle pensioni con l’obiettivo di individuare un possibile scivolo che consenta di evitare la legge Fornero. Tra le ipotesi fatte finora, quella che sembra più probabile è la Quota Flessibile.

Riforma della Pensione: cosa vuol dire Quota Flessibile?

Nel giorni scorsi avevamo parlato di Quota 41 voluta dalla Lega e di Opzione Uomo, ora finalmente sembra che le indiscrezioni vadano a concretizzarsi con la possibilità di uscita dal lavoro in un arco di età flessibile dai 61 ai 66 anni di età.

La proposta dovrebbe portare al pensionamento di 470 mila persone. Marina Calderone prima di arrivare al Ministero era a capo della Fondazione studi dei consulenti del lavoro e questo fa in modo che sull’argomento sia molto preparata perché di fatto conosce i numeri e quindi non fa proposte “alla cieca”.

La Ministra ha parlato di una Quota 100 o Quota 102 flessibili con possibilità di uscire dal lavoro avendo maturato almeno 35 anni di contributi e con un’età compresa tra 61 e 66 anni. Rispetto a Quota 102 come ora in vigore, e in scadenza al 31 dicembre 2022, c’è comunque una novità, infatti questa prevede l’uscita dal mondo del lavoro solo dopo aver compiuto 64 anni di età con 38 anni di contributi, mentre con la nuova norma ci sarebbe maggiore flessibilità per quanto riguarda il requisito anagrafico.

Ricordiamo che il 31 dicembre oltre a scadere Quota 102, scadono anche Opzione donna che prevede il pensionamento 58 anni (59 per le lavoratrici autonome) ma con taglio sulla pensione calcolata solo con il sistema contributivo e Ape Sociale che consente il ritiro anticipato a 63 anni per i lavori gravosi.

Secondo quanto dichiarato dalla neo-ministra al quotidiano Repubblica, l’obiettivo non è semplicemente favorire il pensionamento evitando la legge Fornero, ma sostenere le nuove assunzioni e il ricambio generazionale nelle aziende. Rispetto all’applicazione della Quota 102 rigida la nuova soluzione porterebbe al pensionamento del doppio delle persone.

Quale sarà il prezzo da pagare per la Quota Flessibile?

Purtroppo sembra che anche in questo caso potrebbero esservi dei riflessi sull’importo della pensione, due sono le ipotesi allo studio: un ricalcolo andando a preferire il sistema contributivo rispetto a quello retributivo/misto, la seconda ipotesi invece sarebbe una riduzione rapportata agli anni di anticipo del pensionamento rispetto alla legge Fornero.

Leggi anche: Pensione: quando si applicano il calcolo retributivo, contributivo o misto?

Aziende: proroga del termine per presentare il rapporto di genere personale maschile e femminile

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha provveduto a prorogare il termine per l’invio del rapporto tra il personale dipendente di genere biennale. Ecco i nuovi termini.

Chi deve inviare il rapporto di genere tra personale maschile e femminile?

Il rapporto di genere serve a indicare il rapporto tra il personale maschile e femminile presente in azienda nei vari ruoli. Deve essere inoltrato dalle aziende che hanno più di 50 dipendenti attraverso il portale https://servizi.lavoro.gov.it/Public/login?retUrl=https://servizi.lavoro.gov.it/&App=ServiziHome

Molte aziende hanno però segnalato difficoltà nell’invio del rapporto di genere, proprio per questo motivo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha prorogato il termine, precedentemente in scadenza il 30 settembre 2022, al 14 ottobre 2022. Si tratta di due settimane cruciali per adempiere a questo obbligo.

I consulenti del lavoro, vista la mole di materiale da inviare e i rallentamenti del sito, avevano proposto una proroga al 31 ottobre, ma evidentemente si è preferita una soluzione intermedia.

A generare difficoltà sono state soprattutto le modifiche al Codice delle pari opportunità che ha esteso l’obbligo, prima ricadente solo su aziende del settore pubblico e privato con più di 100 dipendenti.

Avevamo parlato delle modifiche intervenute nell’articolo: Rapporto personale maschile e femminile: obbligo esteso per le aziende

Istruzioni per compilare il rapporto di genere

Il rapporto deve essere compilato avendo particolare attenzione. I dati da inserire sono relativi alla situazione esistente al 31 dicembre 2021 (inizialmente il rapporto di genere doveva essere presentato entro il 30 aprile, ma il termine è stato modificato per dare modo alle aziende di prendere confidenza con i nuovi strumenti).

I dati da inserire sono:

  • occupazione totale al 31 dicembre 2020 e al 31 dicembre 2021;
  • gli impiegati devono inoltre essere divisi per: categoria professionale e livello di inquadramento e devono essere indicate le promozioni intervenute;
  • devono essere indicate nuove assunzioni, cessazioni dei rapporti, trasformazioni contrattuali, eventuale ricorso alla CIG. È necessario indicare i corsi di formazione tenuti dall’azienda, le modalità dei processi di reclutamento del personale, le condizioni di accesso, la retribuzione iniziale e tutti i dati inerenti la composizione dell’azienda in merito ai dipendenti, tenendo naturalmente in considerazione il rapporto tra i due sessi.

Smart working: dal 1° settembre entrano in vigore nuove norme strutturali

Con la conversione del decreto Semplificazioni sono state introdotte nuove norme per la stipula dei contratti di smart-working, o lavoro agile. Ecco cosa cambierà per le imprese/datori di lavoro.

Smart working: amore a prima vista

Lo smart workingha avuto una disciplina in modalità “emergenziale” nel periodo della pandemia. Il lavoro agile è però stato molto apprezzato dai lavoratori, per la maggiore facilità di coniugare vita familiare e lavoro, e dalle aziende per il risparmio economico dovuto alla necessità di gestire meno strutture fisiche, quindi risparmio energetico e in alcuni casi anche risparmio dei canoni di locazione. Proprio per questo motivo sono numerosi i lavoratori e le aziende che intendono continuare ad adottare lo smart working.

Nasce così l’esigenza di una disciplina non emergenziale ma strutturale che però sia in grado di assicurare la stessa efficienza avuta nel periodo della pandemia. Le nuove norme sono contenute nel decreto Semplificazioni, convertito in legge 122 del 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 agosto 2022 e che entreranno in vigore il 1° settembre.

Nuovo contratto smart working: cosa cambia dal 1° settembre 2022

Nel periodo pandemico per poter attivare un contratto di smart working, o lavoro agile, non era richiesta la sottoscrizione di un contratto individuale che regolasse le nuove modalità di lavoro. Per poter procedere bastava utilizzare la modulistica e l’applicativo informatico  resi disponibili dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Dal 1° settembre, in applicazione dell’articolo 41 bis della legge 122 del 2022, invece ci saranno nuove regole.

In particolare il lavoratore dovrà sottoscrivere un accordo individuale che preveda le modalità di lavoro agile. Il datore di lavoro sarà invece tenuto a comunicare la data di inizio e di fine del rapporto di lavoro in modalità agile al Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, utilizzando l’apposito applicativo che sarà reso disponibili si spera a breve.

Tale comunicazione sarà inviata anche all’Inail. Il datore di lavoro non sarà tenuto alla trasmissione dell’accordo individuale. Questo per esigenze di semplificazione e perché la finalità della disciplina è semplicemente rendere strutturale un sistema che aveva già funzionato perfettamente durante il periodo della pandemia. Non viene meno però l’obbligo della sottoscrizione dell’accordo individuale. Lo stesso dovrà essere mostrato/trasmesso in caso di richiesta. In caso di mancata comunicazione in seguito alla richiesta sarà applicata una sanzione amministrativa di ammontare compreso tra 100 euro  e 500 euro per ogni lavoratore interessato.

Per le altre novità nel decreto Semplificazioni, leggi gli articoli:

Controlli fiscali: con il decreto Semplificazioni pronto il nuovo sistema di notifiche

Decreto Semplificazioni: cade l’obbligo di vidimazione dei repertori

Nuove scadenze fiscali nel decreto Semplificazioni: ecco le novità

Stato di disoccupazione e reddito di cittadinanza: nuovi limiti

Con la nota 5824 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha indicato i nuovi limiti di reddito per poter conservare lo stato di disoccupazione e percepire il reddito di cittadinanza godendo di alcuni esoneri.

Come si conserva lo stato di disoccupazione anche lavorando?

Il decreto legge 4 del 2019, convertito in legge 26 del 2019, prevede all’articolo 4 comma 3 che alcune categorie di lavoratori, pur svolgendo attività di lavoro dipendente o autonomo, possano conservare lo stato di disoccupazione, continuare a percepire il reddito di cittadinanza e prevede che siano esonerate da alcuni obblighi connessi alla percezione del reddito di cittadinanza. In particolare non sono tenuti a dare la disponibilità immediata al lavoro ( ricordiamo che la stessa deve essere data da tutti i membri maggiorenni del nucleo familiare). Sono inoltre esonerati dall’obbligo di aderire al percorso finalizzato all’inserimento lavorativo.

Il limite per poter conservare lo stato di disoccupazione era pari al reddito corrispondente a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi.

Nuovi limiti di reddito per conservare lo stato di disoccupazione

La legge di bilancio per il 2022 ha provveduto a modificare tale limite previsto dall’articolo 13 del Tuir e ciò ha portato a una modifica anche del limite di reddito previsto per la conservazione dello stato di disoccupazione. I nuovi limiti sono:

  • 8.174 euro per il lavoro dipendente, anche di tipo intermittente ( in precedenza era 8.145 euro);
  • 5.500 euro in caso di lavoro autonomo. Questo limite si occupa anche in caso di prestazioni occasionali senza partita Iva, collaborazione in imprese familiari, partecipazione in qualità di coadiuvanti in imprese familiari ( limite precedente 4800 euro).

Ricordiamo che questi non sono i limiti previsti per avere diritto al reddito di cittadinanza, infatti tale limite corrisponde a un Isee non superiore a 9.360 euro. Naturalmente in presenza di reddito e in base alle singole situazioni familiari, cambiano gli importi.

Nota 5824/2022 del Ministero del lavoro: limiti orari

La nota 5824/2022 del Ministero del Lavoro, oltre ad adeguare a questi nuovi limiti i requisiti per conservare lo stato di disoccupazione e quindi godere dei privilegi previsti dal reddito di cittadinanza, sottolinea che gli esoneri precedentemente visti, cioè dall’obbligo per i percettori e per i membri del nucleo maggiorenni di dare immediata disponibilità al lavoro e dal partecipare a percorsi di formazione, sussistono se il tempo impiegato nell’attività di lavoro sia superiore a 20 ore settimanali e quando, aggiungendo alle ore di effettivo lavoro il tempo impiegato per raggiungere il posto di lavoro, sono superate le 25 ore.

Leggi anche: Le nuove regole per il reddito di cittadinanza: cosa cambia per i percettori

Reddito di cittadinanza: gli sgravi contributivi per le assunzioni. Novità

 

Terzo Settore: come presentare la domanda per il fondo assistenza bambini oncologici

Il Fondo per l’assistenza ai bambini oncologici  nasce con la Legge 27 dicembre 2017 n. 205 all’articolo 1, comma 338 (legge di bilancio per il 2018) e di anno in anno ha ottenuto il rifinanziamento. Anche per il 2022 il Fondo per l’assistenza ai bambini oncologici è stato finanziato con un importo di 5 milioni di euro a cui si potrà accedere previa domanda entro le ore 12:00 del 29 aprile 2022. Le domande dovranno pervenire all’indirizzo di posta elettronica certificata dgterzosettore.div3@pec.lavoro.gov.it . Vediamo chi può accedere.

Il Fondo assistenza bambini oncologici

Con il decreto Direttoriale del 16 marzo 2022 si è proceduto ha rendere nota la disponibilità del Fondo per l’assistenza dei bambini affetti da malattia oncologica. Il fondo è istituito presso il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali. Possono accedervi le associazioni che svolgono attività di assistenza psicologica, psicosociologica e sanitaria in tutte le forme a favore dei bambini affetti da malattia oncologica e delle loro famiglie.

Terzo settore: come presentare la domanda per accedere al Fondo assistenza bambini oncologici

La domanda deve essere prodotta utilizzando i modelli disponibili alla pagina https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/Terzo-settore-e-responsabilita-sociale-imprese/focus-on/Volontariato/Pagine/Fondo-assistenza-bambini-affetti-da-malattia-oncologica.aspx

I documenti necessari

Vediamo ora tutti i documenti necessari per poter presentare la domanda, il primo è il Modello A viene utilizzato per proporre la domanda, nel caso in cui l’associazione lavori in partnerariato deve essere presentato anche il Modello A1 compilato dal rappresentante legale di ciascun partner. Deve essere presentato solo  nel caso in cui siano attivate delle collaborazioni gratuite il Modello A2. Ricordiamo che vi è incompatibilità tra l’attività di volontariato e il lavoro dipendente presso lo stesso ente, tranne alcune eccezioni. Per conoscerle, leggi l’articolo: Contratto di lavoro e volontariato sono incompatibili: ecco le eccezioni.

Il Modello B contiene invece le dichiarazioni sostitutive ex articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, si tratta di autocertificare il possesso dei dei requisiti di partecipazione prescritti dall’articolo 7 del D.M. n.175/2019.

Il Modello B1 ha l’obiettivo di certificare l’esperienza pregressa dell’associazione che richiede di poter accedere al Fondo per l’assistenza ai bambini oncologici. In questo modello devono essere elencate le attività svolte negli anni precedenti nell’attività di assistenza psicologica, psicosociologica e sanitaria in favore di bambini che hanno tali patologie e in favore delle loro famiglie. Si precisa che la mancata compilazione del modello B1 non comporta l’esclusione dai fondi. Mentre la mancata allegazione del modello B porta all’esclusione, questo deve essere compilato anche dagli enti partner.

Gli enti partecipanti dovranno inoltre allegare lo Statuto aggiornato e l’ultimo bilancio consuntivo approvato dagli organi statutari. In alternativa è possibile indicare anche semplicemente l’URL del sito dove tali documenti sono stati pubblicati.

Deve essere allegato il Modello C con la scheda anagrafica dell’associazione del Terzo Settore che vuole accedere al fondo. Il Modello D  invece indica il progetto che si vuole realizzare con l’uso dei fondi. Il modello D è il cuore del bando infatti è necessario che il progetto sia ben strutturato e che da esso rilevi l’effettiva utilità delle somme a cui si vuole accedere al fine di prestare assistenza psicologica e sanitaria ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.

Infine, il Modello E indica il piano finanziario. Anche in questo caso occorre porre particolare attenzione alla redazione per evitare che possano esservi errori che portano all’esclusione dalla divisione dei fondi. La documentazione deve essere trasmessa in un unico file in formato word, excel o pdf.

Come inviare la documentazione

Il corretto invio si prova con la ricevuta di accettazione e la ricevuta di avvenuta consegna fornite dal gestore di posta elettronica. Ricordiamo che l’indirizzo a cui è necessario inviare la documentazione scaricabile dal sito del Ministero del Lavoro è: dgterzosettore.div3@pec.lavoro.gov.it e che il termine di scadenza è il 29 aprile 2022 alle ore 12:00. Ricordiamo che la PEC ha lo stesso valore legale della Raccomandata con ricevuta di ritorno.

Approfondimenti

Il Terzo Settore e il volontariato in genere sono essenziali per rendere il mondo migliore, ecco perché ci sono diverse forme di sostegno. Ricordiamo: Terzo settore: vuoi accedere al 5 per 1000? Propone la domanda entro l’11 aprile

Terzo settore: rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024

 

 

Rapporto personale maschile e femminile: obbligo esteso per le aziende

Dall’11 febbraio 2022 è attivo il servizio online del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per il monitoraggio del rapporto personale maschile e femminile nelle aziende, con un’importante novità: l’obbligo è stato esteso alle aziende con più di 50 dipendenti.

Parità di genere nel PNRR

La parità di genere nel mondo del lavoro è uno degli obiettivi che l’Italia fa molta fatica a raggiungere, soprattutto in alcune zone del Paese, in particolare il meridione, dove la disoccupazione femminile è molto elevata. Non solo, ci sono ancora molte differenze per quanto riguarda gli stipendi e l’inquadramento, infatti le donne, anche a parità di mansioni, guadagnano meno, inoltre hanno maggiori difficoltà a raggiungere posizioni verticistiche. Al fine di inquadrare bene la situazione, è previsto il monitoraggio  del rapporto personale maschile e femminile nelle aziende che ora è accessibile, e costituisce un obbligo, anche alle aziende con più di 50 dipendenti.

Un passo importante per il raggiungimento della parità di genere nel mondo del lavoro è dato dal PNRR, questo ha tra i suoi obiettivi l’aumento dell’occupazione femminile almeno del 4%. Al fine di monitorare la situazione e dare attuazione al PNRR, la Legge n. 275 del 2021 ha modificato il Codice delle Pari Opportunità e ha esteso l’obbligo di aderire al monitoraggio anche alle aziende con più di 50 dipendenti, in passato l’obbligo era previsto solo per le aziende con almeno 100 dipendenti.

Per conoscere le varie misure previste nel PNRR per incrementare la parità di genere, leggi l’articolo: Il PNRR per l’occupazione femminile: misure indirette e dirette

Cosa deve indicare il rapporto personale maschile e femminile?

In particolare la nuova formulazione dell’articolo 46 del Codice delle Pari Opportunità stabilisce che le aziende del settore pubblico o privato devono redigere almeno ogni 2 anni il rapporto della situazione del personale maschile e femminile presente in azienda. Il rapporto deve tenere in considerazione:

  • stato delle assunzioni;
  • formazione;
  • promozione professionale;
  • livelli;
  • passaggi di categoria o di qualifica;
  • mobilità;
  • cassa integrazione;
  • licenziamenti;
  • prepensionamenti;
  • pensionamenti;
  • retribuzione.

I datori di lavoro che occupano fino a 50 dipendenti non sono obbligati a redigere il rapporto possono però volontariamente aderire.

Per poter adempiere a tale obbligo è disponibile il modello sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, inoltre è possibile utilizzare l’applicativo presente sul sito del Ministero del lavoro: clicca QUI

Ricordiamo che per le aziende che non aderiscono vi è impossibilità di accedere ai fondi del PNRR. Come si può notare dai dati che devono essere inseriti, l’obbligo è volto non solo a verificare quanto le aziende siano sensibili al tema della disoccupazione femminile, ma anche a verificare se alle donne viene data possibilità di fare carriera e se vi è un trattamento economico uguale tra uomoini e donne con lo stesso inquadramento.

Pubblicato dai consulenti del lavoro il vademecum per le domande di emersione

L’operazione di emersione, che inizierà il 15 settembre e terminerà il 15 ottobre ha ora il suo “vademecum” reso noto dal Ministero dell’Interno e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e pubblicato dalla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro.

Si tratta di una vera e propria guida operativa con i dettagli delle operazioni, schemi, costi, procedure e particolarità che si potrebbero verificare.

Il vademecum serve per “la valutazione di fattibilità del singolo caso con i passaggi precisi da compiere per portare a termine il nuovo procedimento di regolarizzazione e, per ogni fase della procedura, le particolarità che potrebbero presentarsi fino al rilascio del permesso di soggiorno“, come recita la nota.

Il fatto che ci sia un mese di tempo per presentare le domande permetteranno, inoltre, di incappare in pesanti sanzioni previste per il lavoro sommerso e per l’occupazione irregolare di stranieri.

Sul sito dei Consulenti del lavoro sono disponibili “la valutazione dei costi con le tabelle relative, i requisiti delle parti, il versamento del contributo forfetario, i documenti da presentare alla convocazione, la domanda telematica e gli altri adempimenti previsti”.

Vera MORETTI

Mercato del lavoro e occupazione di qualità

Migliorare il mercato del lavoro per un’occupazione di qualità. E’ l’obiettivo delle proposte avanzate dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, che ha elaborato un documento per illustrare alcune idee nell’ambito del dibattito sulle riforme del mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali. Idee che si basano sull’esperienza di 28.000 professionisti che quotidianamente assistono 1 milioni di aziende e 7 milioni di rapporti di lavoro. Le proposte sono state formulate dai consulenti del lavoro in occasione di un incontro presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di oggi pomeriggio.

Nel documento, per quanto riguarda il primo capitolo, quello dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, si sottolinea che, tra le principali problematiche che le aziende devono affrontare in occasione di un’assunzione, c’è l’individuazione dei profili più adatti alle loro esigenze.

Per questo, si ritiene indispensabile realizzare una banca dati centralizzata e aggiornata in tempo reale che consenta un accesso univoco a tutti gli operatori del mercato del lavoro. “Seppure l’esperienza in corso con lo strumento ‘Click Lavoro’, presso il ministero del Lavoro, costituisce – si osserva – un buona base di lavoro, esso consente una visibilità parziale dell’occupazione”.

In secondo luogo, propongono, “è necessario sviluppare interventi per avvicinare gli studenti, soprattutto universitari, al mondo del lavoro”. “In altri termini, è necessario produrre un intervento normativo – si spiega – che agevoli le università italiane a introdurre percorsi formativi con esperienze significative di tirocini in azienda. Per esperienze significative si intende che la presenza certificata in azienda di studenti universitari consente loro di acquisire crediti formativi utili per il raggiungimento del titolo accademico”.

Un secondo capitolo riguarda l’occupazione di qualità. Al riguardo, si ritiene che le forme contrattuali oggi esistenti, indipendentemente dal numero, non costituiscono il principale problema all’occupazione di qualità. Si propone quindi di semplificare l’apprendistato, che diventa lo strumento unico per avviare i giovani inoccupati al primo rapporto di lavoro.

“Per tale finalità – si afferma – occorre potenziare semplificando l’apprendistato professionalizzante, anticipando la formazione trasversale obbligatoriamente prima dell’inserimento lavorativo. Per realizzare ciò, la Conferenza unificata Stato-Regioni fissa i contenuti di tale formazione a valere per tutte le Regioni. Tale formazione potrà essere erogata in azienda mediante piattaforma e-learning, enti bilaterali, centri di formazione professionale, soggetti autorizzati e iscritti nell’albo agenzie per il lavoro”.

Si punta poi al “contratto di reinserimento”: “Si tratta – si spiega- di un contratto a tempo indeterminato per agevolare l’inserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori che a vario titolo hanno perso un’occupazione. E’ necessario distinguere un periodo iniziale di ‘riqualificazione’ di 12 mesi e il successivo periodo di occupazione permanente. Nel primo periodo, il recesso è libero, salvo il pagamento di un’indennità pari a tre mensilità di retribuzione, e solo in caso di conferma in occupazione permanente si applicano le tutele previste dall’articolo 18 della legge n. 300/1970. Per i primi 24 mesi il datore di lavoro non paga la quota destinata al Fpld e al lavoratore non viene riconosciuta alcuna contribuzione figurativa. Si riconosce altresì un’indennità compensativa al lavoratore pari a un minimo del 10% della paga base”.

C’è anche una norma ‘salva precari’: “I committenti e i collaboratori che abbiano stipulato contratti di collaborazione a progetto entro il 31 dicembre 2011, nonché i datori di lavoro e i lavoratori che abbiano contratti a termine in essere alla data di entrata in vigore della legge, entro 90 giorni da tale data – si legge nel testo – potranno trasformare i predetti contratti in contratto a tempo indeterminato. Ai contratti trasformati a tempo indeterminato per 24 mesi non si applica la quota destinata al Fpld e al lavoratore non viene riconosciuta alcuna contribuzione figurativa. Si riconosce altresì un’indennità compensativa al lavoratore pari a un minimo del 10% della paga base. Tale indennità continuerà ad essere erogata anche dopo i 24 mesi e verrà assoggettata solo al contributo di solidarietà del 10%”.

Terzo punto del documento è quello sull’assistenza responsabile ai lavoratori privi di un posto di lavoro. E’ previsto in questo caso, un ‘trattamento unico’: “Non esiste più – si propone – una prestazione per la disoccupazione, cigs, cigo, mobilità, ecc.. Vengono sostituite da un’unica prestazione di durata, nell’arco complessivo di vita del lavoratore, di 5/6 anni (oltre ai bonus di sei mesi per le donne in gravidanza che non hanno usufruito dell’indennità di maternità), in tutte le ipotesi di sospensione/interruzione del rapporto di lavoro. Attenzione: la prestazione -si avverte – è usufruibile anche per coprire i periodi di attesa di prima occupazione”.

“Il fenomeno della crescita esponenziale degli ammortizzatori in deroga, – si sottolinea – conferma che il sistema è sperequato. Ciò che oggi è deroga domani deve diventare regola”.

Altro punto di forza è il ‘conto individuale’: “Tale conto – spiegano i consulenti del lavoro – si alimenta durante tutta la vita lavorativa ed è a disposizione del lavoratore che ‘può’ chiedere di accedervi, ma potrebbe anche rinunciarvi. Si scardina così il principio dell’automatismo tra evento, la sospensione/interruzione del rapporto di lavoro, e la possibilità di accedere alla prestazione. E’ il lavoratore che una volta sospeso o licenziato, dimesso, ma anche in attesa di prima occupazione, decide se attingere al suo conto individuale”.

Altro passaggio fondamentale è il percorso di ricollocazione a cui deve sottoporsi il lavoratore per mantenere il beneficio, con il ‘patto di servizio’. “L”idea forte qui è incarnata dalla proposta – si legge ancora – di inserire gratuitamente il beneficiario del trattamento presso l’azienda richiedente per sei mesi. Ciò può compensare alle croniche mancanze dei nostri sistemi di riqualificazione e ricollocazione pubblici. Il lavoratore perde il diritto alla prestazione in caso di rifiuto sia della collocazione lavorativa offerta, sia per la mancata partecipazione ai programmi formativi volti a un’eventuale riqualificazione”.

Fonte: adnkronos.com