Partita Iva e lavoro dipendente possono essere combinati?

Il mondo delle partita Iva è variegato e soprattutto non è più fonte di guadagno come un tempo. I dati di pochi giorni fa dell’Agenzia delle Entrate fanno emergere che circa 1 milione di partite Iva non riescono ad avere un reddito superiore a 15.000 euro annui. Ciò che molti non sanno è che è possibile combinare il lavoro dipendente con la partita Iva. Ecco come funziona.

Partita Iva e lavoro dipendente nel settore privato

Nei contratti di lavoro dipendente nel settore privato vi è ampia autonomia, quindi è possibile combinare la partita Iva con il lavoro dipendente. Vi possono però essere clausole contrattuali che limitano l’autonomia al fine di tutelare l’azienda nel caso in cui le tipologie di lavoro possono essere in conflitto.

Ad esempio un pasticcere dipendente della pasticceria X che apre una pasticceria in proprio può danneggiare l’azienda. Nel contratto possono quindi essere previsti dei limiti inerenti l’obbligo di non concorrenza e l’obbligo di fedeltà.

Se si verificano situazioni di conflitto, il datore di lavoro può procedere al licenziamento per giusta causa.

Partita Iva e lavoro nel settore pubblico

Diversa la situazione nel settore pubblico. In questo caso trovano applicazione le norme del Decreto Legge n. 165/2001:“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni“, in cui sono indicati i limiti di compatibilità.

In questo caso occorre in primo luogo distinguere tra contratto di lavoro part time o full time. Nel contratto part time vi è la possibilità di integrare il lavoro svolto presso le pubbliche amministrazioni con altre attività, questo anche perché il part time difficilmente consente di ottenere un reddito sufficiente a una vita autonoma o comunque soddisfacente.

Per il contratto di lavoro full time la situazione è diversa, in questi casi possono esservi numerose incompatibilità:

  • l’incarico non deve essere in conflitto con l’attività della pubblica amministrazione ( ad esempio un tecnico comunale che svolge lavoro privato come geometra nello stesso comune, è in conflitto);
  • non deve essere svolto nelle ore di lavoro in cui si è impegnati presso la pubblica amministrazione, ad esempio se il contratto prevede che il lunedì il dipendente sia a lavoro nel settore pubblico, durante questo orario non potrà svolgere altro impiego.
  • sono esclusi dalle limitazioni del doppio lavoro gli insegnanti, solo se svolgono attività che riflettono quelle dell’insegnamento.

In ogni caso il dipendente pubblico che intende aprire una partita iva deve richiedere l’autorizzazione.

Il dipendente pubblico svolge un’attività di lavoro autonomo deve presentare la dichiarazione dei redditi cumulando quelli percepiti nel settore di lavoro dipendente e i redditi maturati come lavoratore autonomo.

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Concordato preventivo biennale esteso, cosa cambia

Tra le principali novità previste per i titolari di partita Iva, vi è la possibilità di accedere già a partire dal 2024 al concordato preventivo biennale, un vero e proprio accordo con il Fisco per la tassazione di due anni successivi.

Il concordato preventivo biennale in prima stesura

Il concordato preventivo biennale nasce con l’obiettivo di semplificare i rapporti con il Fisco attraverso una tassazione frutto di accordo e valida per due anni, in questo modo non è necessario presentare dichiarazioni e seguire adempimenti, inoltre si sa fin da subito quante tasse si pagheranno. Si tratta per il contribuente di una sorta di scommessa perché, se effettivamente c’è un maggiore guadagno rispetto all’anno preso come punto di riferimento, vi è un risparmio di imposta, ma se si guadagna di meno, vi è una perdita.

Nella prima formulazione disponibile, il concordato preventivo biennale prevede dei limiti, ovvero non possono accedervi i titolari di partita Iva che abbiano un punteggio ISA (Indici sintetici di affidabilità fiscale) inferiore a 8. Perché tale esclusione? Perché il Fisco parte dal presupposto che un contribuente che abbia un punteggio Isa inferiore a 8 non sia affidabile dal unto di vista fiscale e di conseguenza è bene applicare una tassazione analitica anno per anno anche con maggiori controlli.

Di fatto chi accede al concordato preventivo facendo un accordo che implica l’esclusione dalla tassazione sui redditi effettivi prodotti per i due anni, non è sottoposto a controllo sui redditi dichiarati.

Come cambia il concordato preventivo biennale

Partendo da tale riflessione è stata proposta l’estensione del concordato preventivo biennale anche ai contribuenti con un punteggio Isa inferiore a 8. Nonostante l’eliminazione del punteggio Isa come causa ostativa all’accesso, resta la valutazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di tale parametro (ne deriva che nella proposta di tassazione l’AdE può prendere in considerazione l’affidabilità fiscale).

Queste non sono le uniche proposte formulate che potrebbero portare a modifiche al concordato preventivo biennale infatti è previsto anche il limite di aumento del reddito concordato fissato al 10% rispetto al reddito dell’anno di riferimento. Infine, sono previsti corsi di formazione professionale per professionisti a elevata specializzazione impegnati nel rilascio della certificazione del rischio fiscale le cui spese saranno a carico degli ordini professionali e della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

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Partita Iva, le novità per gli autonomi che hanno figli

Partita Iva e figli al seguito, arrivano novità a partire da quest’anno. Ecco tutto quello che può essere utile conoscere, anche in sede di maggiori entrate.

Partita Iva e figli, il regime forfettario

Quando si lavora fuori casa, riuscire a gestire anche i figli a volte sembra davvero un terno a lotto. Ma importanti novità sono in arrivo per i lavoratori autonomi che sono anche genitori e appartenenti al regime forfettario. Prima di iniziare ricordiamo che sono lavoratori autonomi che aderiscono al regime forfettario coloro che:

  • conseguiti ricavi o percepito compensi non superiori a 85 mila anni. Si ricorda che prima della Legge di Bilancio 2023 l’importo massimo previsto era 65 mila euro;
  • sostenuto spese per un importo complessivo, non superiore a 20 mila euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati con apporto costitutivo da solo lavoro e quelle corrisposte per le prestazioni di lavoro rese dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Il regime forfettario prevede l’attuazione di una tassazione agevolata del 15% oppure del 5% per le giovani partite Iva. In particolare si può usufruire del 5% per i primi cinque anni dell’attività individuale. Tuttavia sono state introdotte delle nuove regole. Infatti è stato introdotto un tetto di 100 mila euro quando viene superata l’uscita immediata già per l’anno in corso.

Partita Iva e figli, le novità

Con il nuovo anno 2023 però giungono delle buone notizie per le partite iva in regime forfettario. Infatti potranno beneficiare dell’assegno unico universale per figli a carico. Una bella novità per questa categoria di lavoratori. L’assegno unico universale è la misura economica a sostegno delle famiglie con figli a carico istituito con la legge delega 46/2021. L’assegno unico anche per quest’anno dipende dal valore dell’Isee del nucleo familiare. Si tratta di un sostegno economico alle famiglie attribuito per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni (al ricorrere di determinate condizioni) e senza limiti di età per i figli disabili.

Infine secondo quanto riportato sul sito dell’Inps, ente che lo eroga, spetta a tutte le categorie di lavoratori dipendenti (sia pubblici che privati), lavoratori autonomi, pensionati, disoccupati, inoccupati ecc. Quindi rientrano anche i lavoratori autonomi che aderiscono al regime forfettario, che potranno quindi presentare regolare richiesta.

Quando presentare la domanda?

Dal 1° marzo 2023, per coloro che, nel corso del periodo gennaio 2022 – febbraio 2023, hanno presentato una domanda di Assegno unico e universale per i figli a carico, e la stessa non sia stata respinta, revocata o decaduta o oggetto di rinuncia da parte del richiedente, l’INPS ha continuato a erogare d’ufficio l’assegno, senza la necessità di presentare una nuova domanda.

Per le domande presentate dal 1° marzo al 30 giugno 2023, l’Assegno unico e universale spetta con tutti gli arretrati a partire dal mese di marzo 2023. Per le domande presentate dopo il 30 giugno, l’Assegno decorre dal mese successivo a quello di presentazione ed è determinato sulla base dell’ISEE al momento della domanda.

 

Partita Iva, è possibile averne una e fare più attività?

La partita Iva è un elemento essenziale per esercitare una professione o un’impresa. Ma quante attività possono farsi con la stessa partita Iva?

Partita Iva e la sua importanza

La vita è sempre più difficile da portare avanti per i troppi costi da sostenere. E questo spinge gli italiani a svolgere più lavori per cercare di fare quadrare i conti. Lo stesso vale anche per i professionisti o i possessori di partita Iva che diversificano il loro portafoglio di clienti proprio per incrementare i guadagni. Ma questo è possibile farlo?

Partiamo dal concetto di partita Iva che è una sequenza di 11 cifre che identifica un soggetto che esercita un’attività o un’impresa rilevante ai fini dell’imposizione fiscale diretta. Tuttavia può incidere con il codice fiscale, ma solo se l’attività è rappresentata da una persona fisica. Infine l’apertura della partita iva comporta anche l’iscrizione alla Camera di Commercio (CCIAA) o Registro delle imprese. Questo adempimento non è sempre obbligatorio.

Partita Iva, quante se ne possono avere?

La legge italiana prevede che un contribuente possa avere solo una partita Iva. Mentre si può avere anche solo una e svolgere più attività. In questo caso però occorre prestare attenzione ai codici Ateco. I codici ateco sono una tipologia di classificazione delle attività economiche adottate dall’Istituto Nazionale di Statistica Italiano (Istat) per le rilevazioni nazionali di carattere economico. Quindi chi svolge un’attività sa bene a quale categoria (codice Ateco) corrisponde.

Se invece si ha già una partita iva aperta e si vuole svolgere un secondo lavoro, è obbligatorio comunicare i nuovi codici Ateco al Fisco e all’ente previdenziale di riferimento. Inoltre la comunicazione deve essere fatta anche alla Camera di Commercio territoriale di competenza. Altro aspetto da considerare riguarda i profili previdenziali. Il lavoratore che svolge più attività deve iscriversi solo alla cassa di riferimento per l’attività prevalente. Ma se si ha l’obbligo di iscrizione ad un Albo, è bene valutare se le regole lo permettono.

Come si calcola il reddito imponibile?

Un’altra questione è quella che riguarda il calcolo del reddito imponibile, cioè la somma del guadagno su cui si applica la percentuale di tasse da pagare. Anche perché occorre stare attenti anche al regime di tassazione, sono molti che ad esempio hanno un regime di tassazione del 15% per il forfettario. Anche in questo caso rientrano in campo il codice ateco.

Per ogni codice c’è un coefficiente di redditività che va moltiplicato per il ricavo conseguito, così da calcolare a quanto ammonta il proprio reddito imponibile. Proprio come somma tra tutte queste moltiplicazioni. Se il limite è minore di 85 mila euro si può applicare la tassazione del 15%, altrimenti no.

 

 

 

 

Bonus lavoratori autonomi e professionisti anche a chi non ha partita Iva

Il decreto Aiuti Ter prevede la corresponsione di un bonus di 200 euro, incrementato di ulteriori 150 euro per i redditi inferiori a 20.000 euro, in favore di lavoratori autonomi e professionisti. Con una nota del Ministero del Lavoro è stato reso noto che potranno usufruire del bonus anche lavoratori autonomi e professionisti non titolari di partita Iva.

Bonus lavoratori autonomi e professionisti esteso a chi non ha partita Iva

La nota del giorno 10 gennaio 2023 del ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, guidato dalla ministra Marina Calderone sottolinea che il bonus lavoratori autonomi e professionisti previsto all’interno del decreto Aiuti Ter (D.L. n. 144/2022, convertito nella Legge n. 175/2022) del valore di 200 euro, incrementato di ulteriori 150 euro per i lavoratori con reddito inferiore a 20.000 euro, con il decreto interministeriale del ministero del Lavoro e del ministero dell’Economia del 7 dicembre 2022 è stato esteso anche a lavoratori autonomi e professionisti non titolari di partita Iva. La ratio della disciplina è determinata dal fatto che per essere riconosciuti come lavoratori autonomi o professionisti non è necessario essere titolari di partita Iva. Con la modifica in oggetto all’interno del D.M. 19 agosto 2022, pubblicato sulla G.U. n. 224 del 24 settembre viene inserito l’articolo 2 bis che recita: 2 bis: “L’indennità di cui all’articolo 2 è riconosciuta, alle medesime condizioni, anche ai soggetti beneficiari non titolari di Partita Iva”.

Il decreto è stato quindi approvato dalla Corte dei Conti ed è quindi finalmente operativo.

La nota precisa che la misura è volta a aiutare i professionisti a far fronte ai rincari energetici. L’ampliamento, come sottolineato nella nota, interessa una potenziale platea di ulteriori 30 mila lavoratori autonomi e 50.000 professionisti. Di questi 30.000 sono specializzandi in medicina e chirurgia che non avevano in passato ottenuto tutele.

Come ottenere il Bonus lavoratori autonomi?

Per quanto riguarda le misure operative, coloro che avevano presentato già la domanda per accedere al bonus lavoratori autonomi e professionisti e gli era stato negato a causa delle mancate coperture o per il fatto di non avere partita Iva, non dovranno fare nulla in quanto le domande saranno recuperate automaticamente. Per quanto invece riguarda coloro che non hanno presentato la domanda in quanto non ricadenti nella precedente casistica, dovrà essere l’Inps a dettare le norme operative in modo che la domanda possa essere presentata e sarà sempre l’inps a curare l’erogazione. Seguiranno quindi aggiornamenti speriamo al più presto.

Modello 730/2022 non inviato: cosa succede? Posso rimediare?

I termini per la presentazione del modello 730/2022 con i redditi del 2021 è scaduto il 30 settembre 2022, ma per chi avesse dimenticato questa scadenza è possibile recuperare? Naturalmente sì, ma utilizzando un modello diverso rispetto al 730, in questo caso si può utilizzare il modello Redditi PF, persone fisiche.

Differenza tra omessa presentazione della dichiarazione con modello 730/2022 ed errori nella compilazione

Si è visto in precedenza che coloro che hanno commesso degli errori nella presentazione del modello 730/2022, oppure hanno dimenticato di dichiarare alcuni redditi possono rimediare con l’uso del modello 730 integrativo, il presupposto per poter seguire questo percorso è che il modello 730 sia però stato presentato. Nel caso di omessa dichiarazione è invece possibile rimediare con un’altra strada e cioè con il modello redditi PF che deve essere però presentato entro il 30 novembre 2022. Si tratta del modello generalmente utilizzato da professionisti, lavoratori autonomi e partite Iva, ma nulla vieta che possa essere utilizzato anche dai lavoratori dipendenti e dai pensionati che invece generalmente inviano il modello 730/2022.

Chi usa il modello redditi PF?

Il modello Redditi PF inoltre viene generalmente utilizzato da color che nel corso dell’anno:

  • hanno cambiato datore di lavoro e quindi hanno due o più CU;
  • lavoratori dipendenti che hanno ricevuto direttamente dall’Inps o da altri enti di previdenza prestazioni a titolo di integrazione salariale o altre indennità nel caso in cui erroneamente non siano state effettuate le ritenute;
  • dipendenti a cui il sostituto di imposta ha effettuato detrazioni o deduzioni non spettanti in tutto o in parte;
  • lavoratori dipendenti che hanno percepito redditi da datori di lavoro non tenuti ad effettuare le ritenuta d’acconto ( ad esempio società residenti all’estero);
  • contribuenti che hanno maturato redditi sui quali l’imposta viene applicata separatamente;
  • contribuenti a cui sono state erroneamente calcolate o non calcolate le addizionali comunali e regionali (l’obbligo sussiste nel caso in cui l’imposta dovuta superi l’importo di 10,33 euro);
  • coloro che hanno maturato plusvalenze e redditi da capitale da indicare nei quadri RT ed RM;
  • docenti che hanno conseguito redditi anche da lezioni private.

Oltre questi casi, come sottolineato, la presentazione del modello redditi PF 2022 può essere effettuata da chi ha dimenticato di presentare nei termini il modello 730/2022.

Quali sono gli svantaggi del modello Reddidi PF?

Occorre sottolineare che purtroppo nel caso in cui il contribuente abbia maturato dei crediti nei confronti del Fisco, rispetto al modello 730, ci vuole più tempo per recuperare le somme nel caso in cui si usi il modello redditi PF. Può purtroppo volerci anche più di un anno. I crediti maturati si possono però utilizzare in compensazione con altri debiti fiscali.

La compilazione del modello è più complessa rispetto al 730/2022, il consiglio è di rivolgersi a professionisti.

Nel caso in cui risultino somme a debito devono essere versate con il modello F24.

Flat tax: come funziona per le partite Iva e le novità che saranno introdotte per i privati

Il nuovo Governo è alle porte e tra i punti del programma che dovrebbero essere toccati fin dalle prime settimane di lavoro vi è la flat tax, cioè la tassa piatta da estendere a tutti. Ecco come funziona per i forfettari e quali potrebbero essere i punti critici.

Cos’è la flat tax e a chi si applica oggi?

La flat tax è la tassa piatta, questa prevede l’applicazione di un’aliquota fissa ai redditi prodotti. Attualmente viene applicata alle partita Iva che hanno appunto scelto questo regime. Affinché possano però utilizzare questo metodo di tassazione semplificato ( e proporzionale) è necessario che il reddito prodotto non sia superiore a 65.000 euro di ricavi e compensi. Le attuali normative prevedono che nel caso di superamento del limite, l’anno fiscale successivo si applicano le regole ordinarie, ma nel caso in cui dovessero ripresentarsi le condizioni per l’applicazione della flat tax, si potrà ritornare al regime forfettario.

Perché la flat tax è correlata al regime forfettario?

Sistematicamente ad oggi quando si parla di flat tax si parla anche di regime forfettario e questo per un motivo molto semplice, infatti l’obiettivo di tale regime “agevolato” è quello appunto di agevolare i piccoli imprenditori /professionisti, cercando di alleviare anche il carico documentale da produrre, quindi semplificando le procedure. Con il regime forfettario che vede l’applicazione della flat tax si applica una determinazione forfettaria delle spese in base al settore in cui si opera. Si parla in questo caso di coefficiente di redditività determinato in base al Codice Ateco della singola attività.

Leggi anche: Coefficienti di redditività nel regime forfetario: quali sono?

Proprio questo elemento rende più difficile applicare in modo immediato e automatico la flat tax anche al di fuori del settore delle Partite Iva.

Estensione graduale della flat tax: come funzionerà?

Attualmente non è dato sapere quali saranno le tappe per arrivare alla flat tax, nelle dichiarazioni fatte dal centro- destra si parla prima di un’estensione della flat tax a partite Iva con redditi fino a 100.000 euro, quindi un’estensione parziale e successivamente di un’estensione anche ai cittadini. Molto probabile una prima introduzione sui redditi incrementali, cioè sui redditi guadagnati in più rispetto all’anno precedente che avrebbero una tassa piatta al 15%.

La flat tax dovrebbe prendere il posto dell’Irpef a scaglioni progressivi. Saranno necessari attenti studi per trovare il giusto equilibrio tra le entrate fiscali necessarie per sostenere i servizi e l’aliquota fissata e soprattutto trovare il modo di mantenere il sistema fiscale nel complesso progressivo, come chiede la Costituzione, oppure passare attraverso una preventiva modifica della Costituzione. Ricordiamo che spetta al Capo dello Stato promulgare le leggi ed emanare i decreti leggi e che questi è tenuto a una controllo definito “prima facie” della costituzionalità degli atti promulgati.

Quale regime fiscale per una partita IVA, dal forfettario all’ordinario

Quando in Italia un soggetto apre una partita IVA, dietro può esserci un libero professionista, un artigiano, un piccolo imprenditore o un lavoratore autonomo. Così come la partita IVA può essere associata anche ad una media impresa e ad una grande impresa.

In base alla caratteristica dell’attività imprenditoriale, ed anche in ragione delle sue dimensioni, in Italia a fronte dell’apertura della partita IVA scatta pure il regime fiscale applicabile. Al riguardo c’è da dire che attualmente una partita IVA è associabile a tre possibili regimi fiscali. Vediamo allora quali sono i regimi fiscali per una partita IVA, e pure quali sono anche le condizioni per rientrarci.

Ecco quali sono in Italia i 3 regimi fiscali per una partita IVA

Nel dettaglio, attualmente in Italia i tre regimi fiscali possibili, per i titolari di partita IVA, sono tre. Ovverosia il regime fiscale forfettario, il regime fiscale semplificato ed il regime fiscale ordinario. Con il regime fiscale forfettario che, di fatto, è attualmente in Italia l’unico regime agevolato che permette, nel rispetto dei requisiti di accesso previsti, il pagamento di una tassa piatta al 15% sul reddito imponibile.

Con un limite di ricavi annui al di sotto della soglia dei 400.000 euro, invece, è possibile accedere al regime fiscale semplificato che, tra l’altro, non prevede l’obbligo di redigere il bilancio aziendale. Il regime fiscale ordinario è invece quello naturale, nel senso che, per le partite IVA, è quello che impone il rispetto, per un’azienda, di tutti gli obblighi che sono previsti e imposti dal codice civile.

Da cosa dipende la scelta del regime fiscale per un’impresa

Per la scelta del regime fiscale, quindi, ci sono tanti fattori da valutare. Dal tipo di impresa al volume dei compensi e dei ricavi annui. Passando anche per i costi da sostenere. Per esempio, il regime forfettario è favorevole perché sui ricavi o sui compensi, fino alla soglia dei 65.000 euro annui, si paga una tassa piatta.

Pur tuttavia, questo regime potrebbe anche non essere conveniente nel caso in cui l’attività imprenditoriale preveda rilevanti costi detraibili e/o deducibili per i quali il regime forfettario prevede invece delle forti limitazioni. Inoltre, il regime fiscale forfettario, per rientrarci, fissa pure dei paletti anche quel che che riguarda il costo del lavoro.

Fattura elettronica per tutti, cosa cambia dal 1° luglio: la guida

Cosa cambia nel regime di fattura elettronica a partire dal 1° luglio 2022? In primo luogo l’estensione della fattura elettronica è a quasi tutti i soggetti economici che finora ne erano esonerati dall’utilizzo. Infatti, da luglio saranno obbligati all’adempimento attraverso il Sistema di interscambio (Sdi) dell’Agenzia delle entrate i soggetti passivi dell’Iva fino a questo momento esonerati. Ovvero le partite Iva a regime forfettario, quelle a regime di vantaggio e gli enti rientranti nella legge 398 del 1991. L’obbligo scatta a chi ha conseguito un volume di compensi o di ricavi nel 2021 eccedente ai 25 mila euro. Al di sotto di questa soglia, l’obbligo scatterà solo a partire dal 1° gennaio del 2024.

Fattura elettronica: le partite Iva che fuoriescano dal regime forfettario sono obbligate dal 1° gennaio 2023

Sarà, dunque, a decorrere dal 1° gennaio 2024 che l’obbligo di adottare la fattura elettronica scatterà nei confronti di proprio tutti, indipendentemente dal volume di ricavi o di compensi conseguiti nel 2022. A meno che non vengano a decadere i presupposti favorevoli all’esonero. Ad esempio, una partita Iva che fuoriesca dal regime forfettario e che adotti il regime ordinario è obbligata a utilizzare la fattura elettronica dal 1° gennaio 2023.

Chi è obbligato ad adottare la fattura elettronica da subito?

Pertanto, rientrano tra gli obbligati ad adottare la fattura elettronica dal prossimo 1° luglio i soggetti in regime di:

  • vantaggio, secondo l’articolo 227 del decreto legge numero 98 del 2011;
  • forfettari, secondo l’articolo 1 della legge numero 190 del 2014;
  • speciale come previsto dalla legge numero 398 del 1991. Si tratta delle associazioni senza fini di lucro, ad esempio. Per questi soggetti l’obbligo scatta purché nel periodo di imposta precedente abbiano conseguito dei proventi dall’attività commerciale per un tetto non eccedente i 65 mila euro.

A disciplinare l’obbligo di adozione della fattura elettronica è il comma 2, dell’articolo 18, del decreto legge numero 36 del 2022 (il cosiddetto decreto “Pnrr 2”). Il provvedimento modifica il comma 3, dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015.

Quali altri requisiti bisogna possedere per l’adozione della fattura elettronica?

Pertanto, sono obbligati a passare al regime di fattura elettronica tutti i soggetti:

  • passivi Iva;
  • con residenza in Italia o stabili in Italia;
  • per la cessione dei beni o per la prestazione di servizi effettuati riguardo a un soggetto anch’esso residente o stabile in Italia.

I soggetti del reparto sanitario e i produttori agricoli devono emettere fattura elettronica?

In merito ai soggetti appartenenti al comparto sanitario, al momento non vi è ancora l’obbligo di adozione della fattura elettronica. Al contrario, i produttori agricoli – sia nelle vesti di cessionari che di committenti – che si trovino in regime di esonero dagli adempimenti dell’Iva il decreto dell’Agenzia delle entrate datato 30 aprile 2018 estende la possibilità di utilizzare il Sistema di interscambio, accessibile dalla propria area riservato del portale on line dell’Agenzia stessa.

Da quando decorre l’obbligo di fattura elettronica?

L’obbligo dell’adozione della fattura elettronica decorre dal 1° luglio 2022 per le partite Iva e i soggetti finora esonerati che nel precedente anno abbiano conseguito un volume di compensi o di ricavi di almeno 25 mila euro. La decorrenza per tutti gli altri soggetti è dal 1° gennaio 2024. A prevederlo è il comma 3 dell’articolo 18 del decreto legge numero 36 del 2022 (“Pnrr 2”). Pertanto, ai fini dell’obbligo di fatturazione elettronica bisogna far riferimento ai compensi e ai ricavi realizzati durante l’anno di imposta 2021. Nel caso in cui l’attività non sia stata svolta durante tutto l’anno scorso (ad esempio, gli operatori che abbiano aperto partita Iva a metà 2021), l’ammontare dei ricavi deve essere ragguagliato all’intero anno.

Chi ha aperto la partita Iva forfettaria nel 2022, deve adottare la fattura elettronica?

Cosa avviene per gli operatori economici che hanno aperto la partita Iva a regime forfettario nell’anno 2022 ai fini dell’obbligo di fattura elettronica? In questo caso, si ritiene che risulti irrilevante l’ammontare dei compensi e dei ricavi conseguiti nel corso di quest’anno. Dunque, chi ha aperto la partita Iva durante il 2022, adottando il regime forfettario o gli altri regimi speciali, è tenuto all’obbligo di fattura elettronica solo a decorrere dal 1° gennaio 2024. Tale decorrenza permane se sussistono i presupposti per l’adozione dei regimi di vantaggio fiscale anche nell’anno 2023. Ovvero, quelli previsti dal comma 3, dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015 per l’esonero della fatturazione dei regimi speciali; e quelli del decreto 398 del 1991 per quanto riguarda i proventi delle attività commerciali svolte nel 2022 dagli enti (il tetto dei 65 mila euro).

Estensione della fattura elettronica dal 1° luglio 2022: cosa avviene nel primo periodo di applicazione?

Nel primo periodo di adozione a decorrere dal prossimo 1° luglio, la normativa non prevede l’applicazione nell’immediato delle sanzioni in caso di mancato utilizzo della fattura elettronica. Si tratta delle sanzioni previste dal comma 2, dell’articolo 6, del decreto legislativo numero 471 del 1997. Infatti, il comma 3, dell’articolo 18 del decreto legge numero 36 del 2022 prevede che per tutto il terzo trimestre del 2022 (luglio, agosto e settembre), le sanzioni non sono applicate nel caso in cui la fattura elettronica dovesse essere emessa entro il mese successivo rispetto a quello nel quale si sia effettuata l’operazione. Pertanto, nel terzo trimestre dell’anno, chi entra a far parte dei nuovi obbligati all’adozione della fattura elettronica, non riceverà la sanzione nel caso in cui emetta il documento entro il mese successivo, diversamente dai termini previsti dal decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972.

Adozione della fattura elettronica, cosa avviene per l’esterometro?

Infine, l’obbligo di fattura elettronica per i nuovi soggetti comporta anche l’obbligo di comunicare, in via telematica all’Agenzia delle entrate, le operazioni effettuate nei riguardi di soggetti residenti all’estero. La relativa normativa prevista dal comma 3 bis dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015, esclude le sole operazioni per le quali sia stata emessa la fattura elettronica. Oppure per la quale sia stata emessa la bolletta doganale. Pertanto, la comunicazione prevista dall’esterometro potrà essere effettuata, già a partire dal terzo trimestre del 2022, mediante l’espletamento della fattura elettronica. I tempi sono quelli indicati dalle lettere a) e b), del comma 3 bis, dell’articolo 1, del decreto legislativo 127 del 2015.

Irap, è l’ultima volta per ditte individuali e professionisti

Ultimo anno, il 2020, per l’Irap dei liberi professionisti, delle ditte individuali, dei lavoratori autonomi e degli imprenditori singoli. Tuttavia, l’esonero previsto per quest’anno obbliga le categorie a versare il saldo entro la fine di giugno. Gli interessati, infatti, dovranno trasmettere il modello dell’Irap 2022 alla scadenza del 30 novembre 2022. E sarà l’ultima volta che trasmetteranno il modello.

Chi sono i lavoratori autonomi e le partite Iva escluse dall’Irap nel 2022?

Gli interessati all’esonero dell’Irap sono dunque tutti i lavoratori autonomi che hanno partita Iva e gli imprenditori individuali. Per questi ultimi si tratta dell’ultima Irap anche se esercitano la propria attività come impresa familiare. L’esonero dell’Irap è disciplinato dal comma 8 dell’articolo 1, della legge numero 234 del 2021 (legge di Bilancio 2022). Per le partite Iva forfettarie, invece, l’esclusione dall’Irap era già stata esclusa dal legislatore.

Quali sono gli obblighi di saldo dei professionisti e delle imprese individuali al 30 giugno 2022?

L’ultimo giro di Irap per il 2022 comporta, per le partite Iva dei liberi professioni e per le imprese individuali comporta il versamento:

  • entro il 30 giugno 2022 del saldo dell’Irap. Il termine può farsi slittare al 22 agosto prossimo pagando gli interessi dello 0,4%;
  • non si devono più corrispondere gli acconti;
  • l’eventuale credito non si può compensare verticalmente. Si potrà compensare per altri contributi o per altre imposte. La compensazione può avvenire liberamente se l’importo a credito non eccede i 4 mila euro, altrimenti alla trasmissione della dichiarazione e mediante visto di conformità.

A chi va il gettito Irap?

L’imposta si versa alla regione nella quale il professionista o la partita Iva realizza la propria produzione. Se l’imprenditore esercita la propria attività in più regioni, la determinazione dell’Irap a ciascuna dipende dal totale delle retribuzioni del personale per ogni regione. Se non vi è personale, l’Irap si versa a favore della regione dove l’imprenditore ha la sede societaria.

Come si calcola l’Irap?

L’Irap si determina in maniera differente a seconda del contribuente. Se si tratta di società di capitali, il calcolo da fare per la determinazione della base imponibile è la differenza tra il valore della produzione e i costi di produzione. Le imprese individuali e le società di persone, invece, calcolano la base imponibile dalla differenza tra i ricavi e i costi.