Precoci in pensione nel 2022, in scadenza il primo marzo la certificazione

Una misura ormai strutturale del sistema previdenziale italiano è la quota 41, una pensione anticipata alternativa a quella ordinaria. Non parliamo della quota 41 per tutti, misura che rischia seriamente di restare un chimera visto che il governo pare intenzionato a non esaudire le richieste dei sindacati.

La quota 41 strutturale è quella precoci, una versione di pensione anticipata senza limiti di età, ma destinata ad alcune particolari categorie di soggetti, tutti precoci e con problematiche di natura fisica, familiare, reddituale o lavorativa.

La quota 41 precoci infatti è una misura che pur avendo una caratteristica contributiva, visto che somiglia alle pensioni anticipate ordinarie, ma con meno anni di carriera necessari, ha uno spiccato lato assistenziale. Resta il fatto che parliamo di una misura che può essere sfruttata anche nel 2022, ma occorre fare presto. La misura ogni anno viene rimpinguata con dei fondi ad hoc, che non sono certo illimitati.

Per questo sta per arrivare una scadenza importante per chi si trova a completare i requisiti di accesso entro il 2022, una scadenza che non fa perdere il diritto alla misura, ma che rischia, per chi non adempie, di far slittare il via alla pensione, di rischiare di uscire fuori dalle dotazioni disponibili.

La quota 41 nel 2021, tutti i requisiti necessari

In attesa che arrivino buone nuove sulle pensioni, con una riforma che si sta avviando a compimento, anche se con misure che rischiano di lasciare l’amaro in bocca a chi si aspettava miglioramenti, ci sono misure ancora attive che possono consentire uscite anticipate dal mondo del lavoro.  Una di queste è la famosa quota 41, nome che richiama anche ad una proposta dei sindacati e in passato della Lega, che non verrà però attuata.

La quota 41 in vigore è quella per i precoci. Per il 2022 la misura ha i seguenti requisiti:

  • 41 anni di contributi versati;
  • 35 anni di contributi effettivi ed al netto di contributi figurativi da disoccupazione e malattia;
  • 12 mesi di contributi versati antecedentemente  il compimento dei 19 anni di età, anche se discontinui.

La misura è destinata a:

  • Disoccupati;
  • Invalidi;
  • Caregivers;
  • Lavori gravosi.

La quota 41 per i disoccupati

Per i disoccupati e la loro quota 41, non dovrebbe essere passata una modifica intervenuta per un’altra misura loro destinata nel 2022, cioè l’Ape sociale. Infatti per l’Anticipo pensionistico sociale si è deciso di eliminare il requisito Naspi, ovvero la distanza tra il termine di fruizione dell’indennità per disoccupati e la data di presentazione della domanda. Per la quota 41 resta il vincolo dei 3 mesi. In pratica, devono essere decorsi 3 mesi dall’ultima rata di Naspi percepita per poter accedere alla pensione con quota 41.

Invalidi e caregivers, come funziona la loro quota 41

Due categorie a cui si applica la quota 41 precoci, alla pari dell’Ape sociale sono quelle delle invalidi e dei cosiddetti caregivers. Per gli invalidi serve una percentuale di disabilità certificata pari ad almeno il 74%. Per invalidità certificata il riferimento è a quella ratificata dalle competenti commissioni mediche delle Asl, quelle chiamate Commissioni Mediche Invalidi Civili.

Per i caregivers, che sono soggetti con parenti disabili a carico, serve che l’assistenza sia partita da almeno 6 mesi prima dell’uscita con la quota 41. I familiari disabili devono avere una percentuale di disabilità pari a quella degli invalidi, cioè al 74% e possono essere coniuge e figli ma anche altri parenti o affini che hanno particolari situazioni familiari. Il soggetto assistito dal richiedente la quota 41 precoci deve essere a carico di quest’ultimo e in coabitazione.

La quota 41 e i lavori gravosi, la pensione in anticipo

Chi svolge particolari attività lavorative, piuttosto logoranti e pesanti, ha diritto ad un trattamento agevolato in materia previdenziale. Parliamo dei lavori gravosi. Per loro ci sarebbero le vie dell’Ape sociale e della quota 41. Per la prima la legge di Bilancio ha esteso la possibilità a tante categorie. Una cosa che non è intervenuta per la quota 41.

Infatti per i precoci restano 15 le categorie a cui la quota 41 è destinata. Si tratta di:

  • Edili;
  • camionisti;
  • infermieri delle sale operatorie e ostetriche delle sale parto che lavorano in turni;
  • Personale  addetto all’assistenza di persone non autosufficienti;
  • Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia;
  • Maestre, maestri ed educatori di asili nido e scuole dell’infanzia;
  • Conciatori di pelli e pellicce;
  • Pescatori;
  • Siderurgici;
  • Marittimi;
  • Agricoli;
  • Addetti ai servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti;
  • Facchini;
  • Gruisti;
  • Macchinisti dei treni e personale ferroviario viaggiante.

 

Tutte queste attività, per dar luogo all’uscita con la quota 41, fermo restando il possesso dei requisiti generali prima descritti, devono essere stati svolti per 6 degli ultimi 7 anni di carriera, o in alternativa, per 7 degli ultimi 10 anni.

Pensione precoci: come si accede e cosa occorre fare

Per accedere al beneficio della quota 41 per i lavoratori precoci è necessario presentare una domanda di riconoscimento del beneficio prima di presentare la vera domanda di pensione. La scadenza del primo marzo è quella da segnare in rosso sul calendario. Infatti entro il primo marzo di ciascun anno, e quindi anche entro il prossimo primo marzo, va tassativamente presentata la domanda di certificazione del diritto alla pensione con la quota 41. La domanda di pensione può essere fatta in un periodo successivo ma solo ad esito positivo della domanda di riconoscimento del beneficio.

La scadenza del primo marzo è determinante dal momento che così facendo si evita il rischio di essere tagliati fuori dalla prestazione per esaurimento risorse. Per le domande di riconoscimento del beneficio presentate successivamente al primo marzo ed entro il 30 novembre dello stesso anno, le domande verranno  prese in considerazione solo se le risorse saranno sufficienti.

Va sottolineato che per la pensione in regime di quota 41 peri precoci, vige il sistema della finestra mobile, nel senso che la pensione è posticipata di 3 mesi rispetto alla data di completamento dei requisiti prescritti.

Pensioni contributive: il ricalcolo penalizzante, ecco cosa si perde, tutti gli esempi

A dirla tutta, parlare di riforma delle pensioni come di una cosa ormai certa è sempre un esercizio azzardato visto quello a cui si è assistito negli anni. Riforma delle pensioni che più volte sembrava ad un passo ma che alla fine non è mai stata fatta. Sono stati molteplici gli interventi normativi negli ultimi anni sul capitolo delle pensioni. Ma il più delle volte sono stati interventi tampone, piccole misure ben delimitate come platea e piene zeppe di vincoli, paletti e requisiti a volte difficilmente centrabili e forse comprensibili.

Adesso però sembra che tutte le caselle del puzzle stiano andando al loro posto, con l’esecutivo Draghi che pare seriamente intenzionato a varare una riforma delle pensioni che arrivi per davvero a superare la riforma Fornero, ultima vera riforma del sistema a memoria d’uomo.

Ma sarà una riforma che secondo molti, rischia di far rimpiangere la riforma del governo Monti/Fornero. Sarà vero che dopo tanti anni di discussioni, incontri, summit e proposte, alla fine si arriva a ritoccare un sistema basato su una legge troppo severa come quella della Fornero, introducendone un’altra ancora più severa? Probabilmente si arriverà ad una riforma che produrrà misure di pensionamento anticipato come molti lavoratori auspicano, ma a caro prezzo. Un prezzo che sarà pagato come al solito dai lavoratori e futuri pensionati.

Riforma delle pensioni ad un passo? Sembrerebbe di si

Nulla ancora di ufficiale e di certo, ma pare che la riforma delle pensioni tra poche settimane potrebbe vedere finalmente i natali. E dal 2023 tutto cambierà in materia previdenziale. Sono molteplici le proposte e le ipotesi sul tavolo. Nessuna però capace di far dire a chi le osserva, che dal 2023 si andrà in pensione più facilmente. Anzi, quello che balza agli occhi è un peggioramento della situazione, non tanto per età di uscita dal lavoro o di pensionamento, quanto di importo degli assegni.

Probabilmente sarà ad aprile con il nuovo documento di economia e finanze che la riforma delle pensioni verrà predisposta, o per lo meno inizierà a fare capolino visto che il DEF è l’atto di governo con cui vengono delineate le misure di carattere economico e finanziario dello Stato, con i capitoli di spesa compresa quella previdenziale. Ciò che appare evidente è che si va verso un contributivo integrale, nel senso che probabilmente di dovrà dire addio alle pensioni calcolate nel misto.

Oggi sono sempre meno i contribuenti che hanno contributi versati nel sistema retributivo. Ma ce ne sono tanti che hanno anche più di 18 anni di versamenti prima del primo gennaio 1996. E più anni di carriera rientrano nel favorevole sistema retributivo, più si perde a ricevere una pensione calcolata tutta con il sistema contributivo.

Perché contributivo e basta

Secondo tutti i tecnici il sistema contributivo è meno favorevole ai pensionati rispetto a quello retributivo. Un dato di fatto questo incontrovertibile. Ma è altrettanto vero che per tutti questi tecnici, il sistema contributivo è il più equo. Chi va in pensione prende ciò che si merita, ovvero un assegno corrispettivo di ciò che ha versato nella carriera lavorativa.

I punti fermi che oggi sono sul tavolo riguardano due cose, cioè la mancata conferma della legge Fornero come parametro del sistema previdenziale, e lo stop alla quota 102. Si, anche quest’ultima misura, nata solo da qualche mese, in sostituzione di quota 100, cesserà il 31 dicembre prossimo.

Probabilmente però, si cercherà di arrivare ad un misura pensionistica che parte da una età pensionabile di 64 anni proprio come quota 102. Magari rendendola allineata alla pensione di vecchiaia ordinaria, cioè con uscite una volta raggiunti i 20 anni di contributi minimi (la quota 102 ne prevede 38 come la vecchia quota 100). Ma solo accettando un pieno ricalcolo contributivo.

Una pensione contributiva per tutti

Si estenderebbe a tutti la pensione anticipata contributiva che già oggi fa uscire dal lavoro chi ha compiuto 64 anni ed ha almeno 20 anni di contributi versati, per lo meno. Ma con pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Ma è una misura che oggi riguarda solo chi è privo di contributi a qualsiasi titolo versati antecedenti il 1996. Si tratta dei cosiddetti contributivi puri, che di fatto non subirebbero alcuna penalità accettando questa misura visto che non hanno diritto a calcoli di pensione alternativi a quello per chi hanno versato, cioè il contributivo.

Diverso il caso di chi uscirebbe con una misura del genere, estesa a tutti, ma con opzione per il contributivo obbligatoria. Il rischio è che chi compie 64 anni di età nel 2023, pur completando 38 anni di contributi versati, e magari avendone già 18 o più versati al 31 dicembre 1995, possa prendere una pensione nettamente più bassa rispetto a chi essendo nato un anno prima ha sfruttato la quota 102.

Alcune proposte sul tavolo, ma tutte contributive, salasso sulle pensioni

Estendere quindi la pensione anticipata per i contributivi puri, pure ai misti è solo una proposta tra quelle sul tavolo. Ed è una proposta che prevede un grosso taglio di assegno per molti possibili pensionati che potrebbero così soprassedere e decidere di non sfruttare questo canale di uscita, aspettando la pensione di vecchiaia senza tagli di assegno. Anche perché si tratta di 3 anni di anticipo, non certo un anticipo netto di età pensionabile che può rendere particolarmente appetibile la misura. Ed anche portando la soglia da 2,8 ad 1,5 volte l’assegno sociale, l’appeal della misura non sarebbe incrementato in maniera esponenziale.
Ma ci sarebbe anche la proposta di Pasquale Tridico, Presidente dell’Inps. In questo caso la pensione potrebbe essere penalizzata solo per una parte, cioè per qualche anno fino al compimento dell’età per la pensione di vecchiaia.

Secondo il numero uno dell’Istituto Previdenziale, si potrebbe concedere una pensione anticipata a partire dai 63 anni. Ma accettando di percepire solo la parte contributiva dell’assegno. In pratica si deve accettare di percepire quella pensione tagliata e liquidata con il solo metodo contributivo. Ma il taglio durerebbe solo il necessario, cioè solo per quegli anni di anticipo fino ai 67 anni, quando si andrebbe a ricalcolare il tutto anche con la parte retributiva.  E sempre di pensione a 64 anni parla un’altra proposta, ma con taglio lineare del 3% per ogni anno di anticipo, cioè fino al 9% in meno di pensione. Evidente che il ragionamento dei legislatori è quello di dotare il sistema delle opportune misure di flessibilità in uscita, ma barattando l’anticipo con una pensione più bassa.

Pensioni per tutti con uscita flessibile a 64 anni, la quiescenza del futuro

Apertura piena da parte del governo a mettere finalmente mano alle pensioni. Il superamento della riforma Fornero vede il governo, forse per la prima volta aprire ad una revisione completa del sistema. Ma non sono certo buone notizie, o meglio, non sono le notizie che tanti attendevano. Infatti si parte con un secco no alla quota 41 per tutti, misura caldeggiata dai sindacati da molto tempo, ed una volta caldeggiata anche dalla Lega di Matteo Salvini salvo poi fare dietrofront o quasi come su quasi tutta la linea politica del Carroccio di questi tempi.
E poi, pensione flessibile dai 62 anni e senza penalità, altro cavallo di battaglia dei sindacati, cestinata e non ammissibile per il governo. Ma allora di cosa si tratta e su cosa avrebbe aperto il governo? La riforma delle pensioni secondo l’esecutivo prevede una pensione flessibile dai 64 anni di età. La stessa medesima età con cui si concede oggi l’uscita con la nuova quota 102, tanto per intenderci.

Cosa si sta preparando per le pensioni, l’uscita a 64 anni per tutti, ma con penalità

Nessuna intesa e non poteva essere altrimenti tra sindacati e governo alla luce dell’ultimo summit di ieri 15 marzo. Posizioni sempre distanti e governo che apre alla riforma, ma partendo da una età che ai sindacati non piace. Uscita come per la quota 102 di oggi, cioè pensione per tutti a 64 anni. Una nuova misura flessibile.
Pochi fanno rilevare cosa significa flessibile quando si parla di pensioni. Flessibilità significa opzione, cioè lasciare la scelta al lavoratore se continuare a lavorare o andare in pensione. La parola flessibilità collegata alle pensioni significa penalità. Così come non può esistere sistema pensionistico contributivo senza flessibilità, così non può esistere sistema flessibile senza penalizzazioni di assegno.
In un sistema basato sul calcolo contributivo della pensione, cioè su un calcolo che prevede una pensione in base al montante contributivo, è naturale che una pensione sarà più ricca per chi più versa. Prima si esce dal lavoro, meno contributi si versano, meno si prende di pensione. E questo è alla base della flessibilità, che lascia la scelta al lavoratore se uscire prima prendendo una pensione più bassa di quella che gli spetterebbe l’anno successivo per esempio, restando in servizio.
Ma flessibilità significa porre delle nette differenze tra l’importo dell’assegno in base all’età prescelta per uscire. E qui che entra in gioco la penalizzazione di assegno che resta alla base della proposta del governo di una pensione flessibile dai 64 anni di età.

Si litiga anche sul taglio dell’assegno

Per il governo ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria a 67 anni dovrebbe prevedere il 3% di taglio dell’assegno. Conti semplicistici parlano quindi di un taglio del 9% massimo considerando in 3 anni il numero massimo di anni di anticipo tra i 64 anni della pensione flessibile ed i 67 della quiescenza ordinaria. Se così fosse, un lavoratore che a 67 anni percepirebbe un assegno da 1.500 euro al mese uscendo a 67 anni, uscendo a 64 anni percepirebbe 1.365 euro al mese.
Per i sindacati invece questo taglio non è quello che effettivamente subirebbero i pensionati. Secondo le parti sociali infatti il taglio sarebbe ben maggiore. Soprattutto per chi rientra nel sistema misto si rischia di perdere il 30% di pensione.
Più elevati sono gli anni di contributi prima del 1996, più è forte la perdita di assegno. Infatti il governo avrebbe in mente di applicare il ricalcolo contributivo a questa pensione a 64 anni per tutti. Infatti verrebbe estesa la pensione anticipata contributiva a tutti. La misura oggi vigente è destinata ai lavoratori privi di contribuzione al 31 dicembre 1995.

La pensione anticipata contributiva per tutti, e sempre a 64 anni

Si esce dal lavoro infatti a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, a condizione che il primo contributi a qualsiasi titolo versato è a partire dal primo gennaio 1996 e che la pensione liquidata sia pari ad poco più di 1.300 euro al mese, cioè pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale.
Il contributivo puro però non ha alternative al ricalcolo contributivo della prestazione, quello del misto invece si. E per chi ha maturato già 18 anni di contribuzione prima del 1996, il diritto al favorevole calcolo retributivo arriva fino al 2012.
Il sacrifico che il governo imporrebbe ai pensionandi che opteranno per l’uscita a 64 anni è importante. Oltre al taglio lineare di assegno, anche il ricalcolo contributivo della pensione. Ed inoltre, va considerato il meno favorevole coefficiente di trasformazione dei contributi in pensione, che è tanto più penalizzante quanto prima si lascia il lavoro. E non va sottovalutata la perdita in termini di assegno, per via dei 3 anni teorici di contributi in meno versati se il lavoratore esce a 64 anni e non a 67.

La solita misura con poco appeal per le pensioni future

Siamo di fronte quindi ad una misura di pensione anticipata che nasce come le ultime varate negli ultimi anni. Misure che nascono con vincoli e paletti adatti a renderle quanto meno appetibili possibile, in modo tale da dotare il sistema di una misura di pensionamento anticipato che pochi vorranno sfruttare. L’esempio di opzione donna è lapalissiano, visto il netto anticipo che consente (Già a 58/59 anni di età) e visto il netto taglio di assegno che impone.

Pensioni con i fondi di solidarietà bilaterali, cosa sono e quali sono i requisiti di uscita

Per alcuni settori produttivi si può andare in pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali, usufruendo di requisiti agevolati e di un’uscita anticipata di cinque anni. Lo strumento previdenziale riguarda, nella maggior parte dei casi, i settori del credito, delle assicurazioni, delle Ferrovie dello stato e del credito cooperativo. Ma anche altri settori possono accedere ai fondi bilaterali consentendo ai datori di lavoro di accompagnare i lavoratori all’uscita anticipata. I meccanismi previdenziali compresi in questa misura contemplano l’erogazione di un assegno straordinario di integrazione al reddito basato sulla contrattazione collettiva.

In pensione con i fondi bilaterali, i riferimenti normativi e le estensioni del 2022

A prevedere la possibilità di pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali è stato il decreto legislativo numero 148 del 2015. All’articolo 26 il decreto definisce gli strumenti a sostegno dei redditi dei lavoratori per situazioni di riduzione dell’attività lavorativa o di accompagnamento alla pensione. Novità sono arrivate dalla legge di Bilancio 2022. Infatti, la finanziaria ha esteso la possibilità di ricorrere ai fondi bilaterali anche le imprese con un solo dipendente. Nel contempo, la legge spinge le parti sociali a ricorrere maggiormente alla contrattazione.

Pensioni con i fondi bilaterali, come matura il diritto all’uscita anticipata?

Andare in pensione con i fondi bilaterali comporta l’accordo collettivo delle maggiori sigle sindacali nazionali. Tali accordi sono volti a utilizzare i fondi di solidarietà bilaterali per sostenere il reddito in periodi di difficoltà delle imprese o per procedere all’accompagnamento alla pensione con alcuni anni di anticipo dei lavoratori.

Pensioni con l’assegno straordinario dei fondi di solidarietà bilaterali: di cosa si tratta?

Proprio in questo ambito, uno degli strumenti più diffusi messi a disposizione dai fondi di solidarietà bilaterali è rappresentato dall’assegno straordinario di sostegno al reddito. Si tratta di una indennità finanziata dai datori di lavoro per coinvolgere i lavoratori nell’esodo aziendale. L’indennità accompagna, dunque, i lavoratori negli anni di prepensionamento fino ad arrivare ai requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia, attualmente fissata a 67 anni di età.

Quali sono i requisiti richiesti per la maturazione delle pensioni con i fondi di solidarietà bilaterali?

Per poter accedere alla formula di pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali i requisiti richiesti al lavoratori sono:

  • maturazione di requisiti per la pensione di vecchiaia entro 5 anni;
  • accompagnamento all’uscita per i lavoratori che si trovino a non più di 5 anni dalla maturazione dei requisiti necessari per la pensione anticipata.

Similmente a quanto avviene per l’isopensione, l’accordo sindacale è necessario per l’accesso alla pensione con i fondi bilaterali. Diventa indispensabile, pertanto, che i lavoratori aderiscano allo scivolo previdenziale. Il passaggio necessario è quello della cessazione del rapporto di lavoro.

Pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali o isopensione: quale conviene di più?

Per il lavoratore, la pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali è più conveniente, in termini di trattamento economico mensile, rispetto all’isopensione. Lo è perché l’importo dell’assegno straordinario dei fondi bilaterali calcola già i contributi complessivi fino a tutto l’espletamento dello scivolo pensionistico. Ovvero fino alla maturazione della pensione di vecchiaia. Mentre nel caso dell’isopensione, i contributi si fermano a quanto maturato al momento dell’uscita con l’esodo. In entrambi i casi, tuttavia, il datore di lavoro versa la contribuzione fino a quando il lavoratore non maturi il diritto alla pensione di vecchiaia.

In pensione con i fondi di solidarietà bilaterali: si può continuare a lavorare?

Particolari regole vigono per quanto attiene al cumulo dei redditi da lavoro e da pensione. E, dunque, alla possibilità di lavorare durante gli anni di esodo del contribuente accompagnato alla pensione. I singoli fondi bilaterali possono prevedere l’incompatibilità e la non cumulabilità dei redditi, sia parziale che totale. Cosa che non avviene nel caso dei contratti di espansione e nell’isopensione. Pertanto, in alcuni settori come quelli del credito e delle assicurazioni, il contribuente che percepisce l’assegno straordinario non può continuare a lavorare.

Divieto di cumulo redditi da lavoro e da pensione nel caso di fondi di solidarietà bilaterali

E dunque non può cumulare l’assegno stesso con redditi derivanti da lavoro alle dipendenze o autonomo. Il divieto vige specificamente perché il lavoro svolto dal contribuente andrebbe in concorrenza con il datore di lavoro dal quale il soggetto ha ricevuto l’esodo. In base alla normativa, sono vietati anche i susseguenti contratti di consulenza e di collaborazione con lo stesso datore di lavoro che ha utilizzato l’esodo. Se si violano le disposizioni, si decade dal trattamento economico e dalla relativa contribuzione.

Pensione con l’esodo dei fondi di solidarietà, si può lavorare con altri datori di lavoro?

Nel caso in cui si svolga un’altra attività con un datore di lavoro non in concorrenza con l’azienda che ha accompagnato alla pensione con i fondi di solidarietà il lavoratore, l’assegno straordinario si può cumulare con i redditi da lavoro dipendente nel limite dell’ultima retribuzione mensile. Se si supera questa soglia, l’assegno straordinario viene decurtato della parte eccedente. Il lavoratore, pertanto, ha l’obbligo di effettuare la comunicazione per far presente lo svolgimento della nuova attività. Tale comunicazione va fatta sia al fondo tramite al sede Inps competente per territorio, sia allo stesso datore di lavoro.

Pensioni con i fondi di solidarietà, si può usufruire della quota 102 del 2022?

Si può beneficiare delle pensioni a quota 102 con i fondi di solidarietà bilaterali? In altre parole, l’anticipo dei fondi può essere fatto sui requisiti della quota 102? Per rispondere alla domanda è necessario rifarsi alla precedente quota 100. Il decreto legge numero 4 del 2019 stabilì l’impossibilità di accesso alla quota 100 con l’assegno straordinario assicurato dallo scivolo dei fondi bilaterali. Successivamente è stato previsto un assegno ad hoc parallelo alla quota 100, peraltro esteso nel 2022 alla quota 102. Si ritiene, pertanto, che le aziende possano accompagnare i lavoratori alla pensione con riferimento al nuovo strumento previdenziale sperimentale fino al 31 dicembre 2022.

Fondi bilaterali per la pensione, agevolazioni sul riscatto della laurea

Peraltro, alcuni fondi bilaterali hanno previsto alcune agevolazioni a favore dei lavoratori accompagnati allo scivolo previdenziale con l’assegno straordinario. In alcuni settori, infatti, il datore di lavoro ha la possibilità di pagare direttamente al lavoratore l’onere del riscatto della laurea. Oppure l’onere di ricongiunzione. Questa possibilità accorcia i requisiti per accedere allo scivolo previdenziale, permettendo, nei casi di consistenza di requisiti richiesti, di accedere alla pensione senza nemmeno permanere un mese nel fondo di solidarietà.

Pensioni lavoratori precoci con quota 41, chi può avere lo sconto nel 2022?

Per i lavoratori che abbiano iniziato a lavorare all’età dell’adolescenza, anche per il 2022 si potrà usufruire delle pensioni anticipate a quota 41. La misura dei precoci, infatti, consente ai contribuenti di uscire da lavoro al raggiungimento dei 41 anni di contributi con una finestra mobile di 3 mesi. Tuttavia, non si tratta di una quota 41 per tutti, anche se non esiste un’età minima per andare in pensione. Infatti, i precoci devono soddisfare determinati requisiti per lasciare il lavoro da “precoci”.

Pensioni precoci, quali sono i requisiti richiesti di contributi e condizioni lavorative?

Il primo requisito delle pensioni precoci per agganciare l’uscita con 41 anni di contributi è quello secondo il quale è necessario aver versato un anno di contributi prima del raggiungimento dei 19 anni di età. Si tratta di un requisito di carattere generale che deve essere soddisfatto da chiunque voglia uscire con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età di pensionamento. Tuttavia, a questo requisito è necessario abbinare, alternativamente, uno dei restanti quattro requisiti. Si tratta dello stato di disoccupazione, dell’assistenza di un familiare con handicap o della non capacità lavorativa e dell’appartenenza a una delle categorie di lavoratori impiegati in mansioni usuranti.

Andare in pensione con la misura per i precoci per chi è senza lavoro

Il primo dei tre requisiti richiesti delle pensioni per i precoci è quello di trovarsi nello stato di disoccupazione. Ovvero il richiedente la pensione deve trovarsi in questo stato in seguito alla cessazione del proprio rapporto di lavoro per licenziamento, risoluzione consensuale o per dimissioni per giusta causa. Il licenziamento può essere avvenuto anche in maniera collettiva. In tutti i casi, per ottenere la pensione è necessario aver già espletato da almeno tre mesi la prestazione prevista per la disoccupazione.

Pensioni con quota 41 per chi assiste convivente con handicap o ha riduzione capacità lavorativa

Ammessi alla pensione dei precoci anche i soggetti che assistano il coniuge o un parente di primo grado convivente in situazione di handicap grave. L’assistenza deve avvenire da almeno 6 mesi e può estendersi anche ai parenti e affini di secondo grado conviventi quando i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano almeno 70 anni, o con patologie invalidanti, o siano mancanti o deceduti. Sono ammessi alle pensioni con quota 41 anche i contribuenti che abbiano subito la riduzione della capacità lavorativa almeno al 74%.

Ammessi alle pensioni precoci anche i lavoratori impiegati in mansioni gravose o usuranti

Sono ammessi alla pensione dei precoci anche i lavoratori impiegati in mansioni gravose o usuranti. L’attività deve essere svolta da non meno di 7 anni rispetto agli ultimi 10. In alternativa il lavoro deve essere stato svolto, al momento del pensionamento, da almeno 6 rispetto agli ultimi 7 anni. Inoltre, a partire dal 1° gennaio 2022 le categorie dei lavoratori ammesse per svolgimento di attività usuranti sono state estese. Le categorie, come i requisiti inerenti i disoccupati, i caregiver e gli invalidi civili, sono le medesime richieste per le pensioni con uscita Ape sociale.

Categorie lavorative ammesse alle pensioni precoci con quota 41 come usuranti nel 2022

Sono ammessi alle pensioni dei lavoratori precoci in quanto facenti parte di attività definite “usuranti” o “gravose” le seguenti categorie lavorative:

  • gli operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici;
  • i conduttori delle gru e di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni;
  • i conciatori di pelli e di pellicce;
  • i conduttori di convogli ferroviari e il personale viaggiante;
  • il personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere, con organizzazione del lavoro su turni;
  • i conduttori di mezzi pesanti e di camion;
  • gli addetti all’assistenza personale di soggetti in condizioni di non autosufficienza;
  • i docenti della scuola dell’infanzia, gli educatori degli asili nido e le professioni assimilate;
  • i facchini, gli addetti allo spostamento delle merci e gli assimilati;
  • il personale non qualificato per i servizi di pulizia;
  • gli operatori ecologici e gli altri raccoglitori e separatori di rifiuti;
  • gli operatori agricoli, della zootecnia e della pesca;
  • i pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare sia dipendenti che soci di cooperative;
  • i lavoratori del settore siderurgico di prima e di seconda fusione; i lavoratori del vetro addetti a mansioni ad alte temperature non già rientranti nella normativa del decreto legislativo numero 67 del 2011 degli usuranti;
  • i marittimi imbarcati a bordo e il personale viaggiante dei trasporti marini e delle acque interne.

Pensionati con quota 41 dei lavoratori precoci, possono svolgere altri lavori?

Chi sia andato in pensione come precoce con la quota 41 non può cumulare i redditi relativi allo svolgimento di un lavoro (sia da dipendente che da autonomo) con la pensione. Il divieto vige per tutto il periodo di decorrenza della pensione, fino a raggiungere il diritto al pensionamento se non avessero beneficiato della deroga ai requisiti ordinari di uscita da lavoro. La domanda di pensione con quota 41 deve essere presentata entro il 1° marzo di ciascun anno. La seconda scadenza annuale è fissata al 15 luglio. L’ultima scadenza è relativa al 30 novembre, ma in questo caso è necessario verificare che siano residuate le risorse finanziare per beneficiare della misura.

Trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs) nel caso di pensione dei lavoratori precoci

Nel caso di pensione ottenuta con la quota 41 dei lavoratori precoci, il Trattamento di fine servizio (Tfs) dei subordinati del pubblico impiego e il Trattamento di fine rapporto (Tfr) dei lavoratori del settore privato decorreranno dal momento in cui il neopensionato abbia raggiunto i requisiti per andare in pensione con i requisiti ordinari. Alla decorrenza andranno sommati anche gli ordinari termini di differimento, consistenti in un anno per la vecchiaia e in 24 mesi per la pensione anticipata.

Pensioni anticipate 61 anni e 7 mesi per nuove categorie

Pensioni agevolate per chi svolge lavori particolarmente pesanti. L’orientamento dei legislatori è questo. Che sia un duro lavoro probabilmente solo chi lo svolge lo sa. Parliamo di professioni quali gli infermieri, gli operatori socio sanitari e le badanti. Molti di questi lavoratori svolgono turni di notte, oltre che appesantire il tutto con mansioni che definire leggere è esercizio di puro eufemismo.

Per questo si continua a spingere per facilitare l’accesso alla pensione pure a loro.

Perché le professioni infermieristiche o equiparate andrebbero tutelate sulle pensioni

Iniziamo con il presentare le motivazioni secondo le quali, il lavoro di infermieri, ostetriche, assistenti invalidi e anziani, operatori socio sanitari e simili, vanno considerate usuranti.

In servizio spesso di notte, e molte volte senza collegamento a disposizioni provenienti dai CCNL di categoria. Può una badante lasciare l’anziano che assiste solo perché ha finito l’orario di servizio? Sicuramente no. E lo stesso vale per infermieri e attività correlate.

Già questo dovrebbe essere un fattore determinante in materia di gravosità o logorio di queste attività lavorative.

E poi ci sono le oggettive mansioni da svolgere. Spostare un invalido, oppure un anziano, allettato e incapace di svolgere le consuete mansioni, non è facile se a farlo è da sola la badante. Spesso già in avanti con gli anni, magari con un fisico più esile del soggetto bisognoso di cure, che già di per se, non essendo collaborativo diventa più pesante de suo oggettivo peso.

Eppure, la badante recentemente è stata estromessa, forse colpevolmente, dalla attività gravose che per esempio consentono una uscita agevolata a partire dai 63 anni con i cosiddetti lavori gravosi dell’Ape sociale. Cosa invece ammessa per infermieri delle sale operatorie ed ostetriche delle sale parto per esempio. Infatti si tratta di alcune categorie che rientrano di diritto tra le 15 che fin dall’inizio rientravano nei cosiddetti lavori gravosi dell’Ape sociale. Questo a prescindere dall’estensione ad altre categorie appena decisa dal governo nel pacchetto pensioni della legge di Bilancio.

Lavoro gravoso diverso dal lavoro usurante

Nel panorama normativo previdenziale esistono due definizioni che collegate a determinate attività lavorative svolte, da diritto ad un migliore e più favorevole trattamento previdenziale. SI tratta dei lavori gravosi e dei lavori usuranti. I primi, che permettono l’uscita con la quota 41 senza limiti di età o con l’Ape sociale a 63 anni con 35 anni di contributi versati. I secondi con il loro scivolo con 61 anni e 7 mesi di età, 35 anni di contributi versati e con contestuale completamento della quota 97,6. Gli infermieri rientrano nell’Ape sociale e nella Quota 41, così come le ostetriche. Ma solo a condizione che svolgano lavoro organizzato su turni e che siano in servizio presso le sale operatorie e le sale parto.

I lavori gravosi invece sono riferiti ad attività davvero particolari se si considera che parliamo per esempio di palombari, vetro refrattaristi e così via. Forse solo gli autisti di mezzi di trasporto pubblico e gli operai addetti alle linee a catena sono quelli più comuni che rientrano comunque nello scivolo per i lavori usuranti.

Ma le stesse condizioni di pensionamento anticipato, quindi pensione a partire dai 61,7 anni di età, con 35 anni di contributi versati e con quota 97,6 si applica ai cosiddetti lavoratori notturni. Parliamo di chi svolge la gran parte della sua attività lavorativa tra le 24:00 e le 05:00 del mattino seguente.

Cosa chiedono i sindacati per queste professioni

CI sono almeno due considerazioni che si possono fare sulle attività lavorative di infermieri, Oss e badanti che possono avvalorare richieste di trattamento agevolato in materia previdenziale. La prima considerazione inevitabilmente è l’attività pesante svolta. Se il principio cardine che usa il legislatore per considerare una professione come meritevole di un trattamento più leggero in materia pensionistica è la pesantezza dell’attività, allora inevitabile non considerale pesanti queste attività.

E poi la questione del lavoro notturno, che si sposa perfettamente per questo genere di attività. Per questo i rappresentanti di categoria, nello specifico quelli di infermieri e operatori socio sanitari richiedono l’inserimento di questi addetti tra i lavori usuranti.

Una richiesta avvalorata da documentazione attestante il surplus di usura che queste attività hanno evidenziato in questi mesi di emergenza sanitaria.

Presentati i dati dello stress e della carenza di personale presenti sin da prima della pandemia. Durante i lavori parlamentari della Commissione permanente su lavoro pubblico e privato e sulla previdenza sociale, i sindacati hanno chiesto questa estensione in audizione in Senato.

Pensione 2022: 5 o 7 anni prima, anche senza limiti di età, tre vie possibili

Andare in pensione subito, nel 2022, con ben 5 anni di anticipo rispetto a pensioni di vecchiaia e pensioni anticipate è un autentico sogno per milioni di lavoratori. Ma per molti di essi potrebbe tramutarsi in realtà. Anzi, per alcuni potrebbe scattare anche una ipotesi ancora maggiormente favorevole. Infatti la pensione potrebbe arrivare addirittura con 7 anni di anticipo.

Parliamo degli scivoli, cioè di quegli strumenti che permettono ai lavoratori in accordo con l’azienda, di anticipare la pensione con assegno in gran parte a carico delle aziende stesse. Anche in materia previdenziale quindi, diventa importantissimo il ruolo del datore di lavoro. E si tratta di misure che mai come adesso sembrano riscuotere interessa per via della fase in cui è arrivato il sistema previdenziale, ormai alle porte di una riforma che rischia di essere ancora peggiore dell’attuale legge Fornero.

Come lasciare il lavoro e andare in pensione prima con l’aiuto del datore di lavoro

Le opzioni di pensionamento anticipato non mancano nemmeno nel 2022, nemmeno dopo la chiusura di quota 100. E non si parla solo di quelle misure che la legge di Bilancio ha introdotto come la quota 102. E nemmeno di misure che la stessa manovra finanziaria ha prorogato ed in alcuni casi potenziato come l’Ape sociale o opzione donna. Parliamo degli scivoli aziendali, opzioni che tirano dentro sempre di più il datore di lavoro.

Esistono tre scivoli che permettono di andare in pensione prima per il tramite di una intesa  fra azienda e sindacati. Mandare in pensione 5 anni prima il personale, sempre che ci sia adesione da parte dei lavoratori interessati è quello che consentono questi scivoli. Nello specifico la misura si chiama contratto di espansione.

Il contratto di espansione, guida allo strumento di pensione anticipata

Con il contratto di espansione  l’interessato può ottenere una indennità di importo pari alla pensione che ha maturato al momento dell’uscita. SI tratta di una indennità mensile pagata dall’azienda fino al raggiungimento della vera e propria pensione, quindi per 5 anni se il lavoratore esce a 62 anni di età e deve attendere i 67 anni della pensione di vecchiaia.

Ma può uscire anche prima dei 62 anni, o meglio, senza limiti di età se si trova a 5 anni dal completamento dei 42 anni e 10 mesi di contributi utili alla pensione anticipata (per le donne 41 anni e 10 mesi). In questo caso l’azienda o il datore di lavoro in genere, oltre a versare l’indennità, versa pure la quota mancante di contributi da versare per raggiungere quelle soglie prima citate relative alle pensioni anticipate.

Per l’azienda in materia di contratti di espansione vige l’obbligo di assumere un nuovo addetto ogni tre rientranti nello scivolo. Inoltre ad addolcire l’esborso la possibilità di sfruttare i due anni di Naspi teoricamente spettanti ai lavoratori interessati dallo scivolo.

Isopensione, in pensione anche sette anni prima

L’isopensione, che viene definito pure contratto di esodo consente ai lavoratori di anticipare la pensione anche di 7 anni. Anche in questo caso i 7 anni sono quelli che mancano ai lavoratori o per la pensione di vecchiaia (almeno 67 anni di età e 20 di contributi) o per quella anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini o 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne).

In ogni caso l’azienda deve versare oltre all’assegno di accompagnamento alla pensione, pure i contributi previdenziali dovuti per tutta la durata dello scivolo. Utilizzabile da imprese con più di quindici addetti.

Assegno straordinario per il tramite dei fondi bilaterali

Un’altra misura che rientra di diritto in quelli che comunemente sono definiti scivoli aziendali è l’asegno straordinario. Anche in questo caso si tratta di uno scivolo di accompagnamento alla pensione,  sia per le quiescenze di vecchiaia che per le quiescenze anticipate.

L’assegno straordinario ha una durata massima di 5 anni ed è pagato tramite l’utilizzo dei cosiddetti fondi di solidarietà bilaterale. Non è una possibilità generica ma vale solo per i settori lavorativi dove sono attivi questi fondi bilaterali. Anche per l’assegno straordinario l’azienda oltre a versare l’indennità mensile di accompagnamento alla pensione versano pure i relativi contributi previdenziali fino alla data di effettivo pensionamento.

Pensione anticipata da 58 a 61 anni, quando è possibile

Pensione anticipata tra i 58 e i 61 anni di età? Si, è possibile, anche se non certo facile. Infatti esistono misure particolari che permettono uscite incentivate dal punto di vista dell’età, ma con requisiti particolarissimi. Non per questo però sono misure impossibili da centrare. Ecco come si può fare e cosa occorre sapere al riguardo.

Uscire a 58 anni dal lavoro? Tre vie possibili

Per uscire dal lavoro a 58 anni esistono fondamentale tre vie. Una riguarda la generalità dei lavoratori, due solo uno spaccato della società. Hai iniziato a lavorare davvero in tenera età? Allora puoi uscire con la pensione anticipata ordinaria o con la quota 41. In entrambi i casi non esistono limiti di età. Per la pensione anticipata ordinaria, disco verde al raggiungimento di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne.

Chi ha iniziato a lavorare poco dopo i 15 anni con carriera continua, può accedere a questa pensione se da limiti anagrafici. Ancora meglio quota 41, che da diritto alla pensione anticipata al raggiungimento di 41 anni di contribuzione versata. Occorre aver versati un anno, anche discontinuo, prima dei 19 anni di età ed essere alternativamente, invalidi al 74% almeno, caregivers che da sei mesi assistono un parente stretto disabile, disoccupati o lavoratori alle prese con i lavori gravosi. Solo le 15 categorie già previste al netto degli aggiornamenti validi solo per l’Ape sociale.

Sia per la pensione anticipata ordinaria che per quella con quota 41, finestra di 3 mesi. La decorrenza della prestazione pensionistica raggiunta non viene erogata dal primo giorno del mese successivo a quello in cui si completano i requisiti, ma viene posticipata di 3 mesi.

Opzione donna

Ancora più ridotta la platea a cui è destinata opzione donna, terza via che consente uscire dai 58 anni di età. Parliamo di una misura destinata esclusivamente alle donne. Possono uscire a 58 anni le lavoratrici che al 31 dicembre del 2021, hanno già completato i 58 anni di età. Parliamo però di lavoratrici dipendenti, tanto del settore privato che di quello pubblico. Per le lavoratrici autonome invece, l’età da aver già raggiunto al 31 dicembre scorso è pari a 598 anni.

In ogni caso con Opzione donna la quiescenza si centra se alla stessa data in cui andava raggiunta l’età anagrafica prevista, si completavano pure i 35 anni di contributi versati.

Va ricordato che parliamo di una misura diversa da quelle del paragrafo precedente anche come importo. Infatti opzione donna è una misura facoltativa e flessibile, ma non per il calcolo della prestazione. Infatti occorre accettare  che l’assegno previdenziale versato sia liquidato con il metodo contributivo. Significa per le donne che riusciranno a completare il doppio requisito, arrivare a perdere anche il 30% (se non di più), di pensione per via di questo ricalcolo.

Penalizzate in maniera evidente le lavoratrici che hanno accumulato una carriera lunga nel sistema retributivo, cioè prima del primo gennaio 1996. La misura prevede anche il sistema a finestra, nel senso che la decorrenza della prestazione non coincide con il primo giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti. Infatti per le dipendenti il primo rateo di pensione slitta di 12 mesi, mentre per le lavoratrici autonome slitta di 18 mesi.

Le pensioni a 59, 60 e 61 anni

Misure che prevedono uscite a 58 anni quindi, esistono e sono sostanzialmente quelle 3 prima citate. Va detto che con la pensione anticipata ordinaria o con la quota 41 di cui accennavamo nel primo paragrafo, possono uscire naturalmente e con più facilità, anche i soggetti con 59, 60 o 61 anni.

Dal momento che non centra l’età, evidentemente i requisiti contributivi bastano per accedere alla quiescenza ad una età inferiore rispetto alla quota 100 coi suoi 62 anni, alla quota 102 coi suoi 64 anni e all’Ape sociale con i suoi 63 anni.

Bisogna ricordare pure che con invalidità pensionabile certificata dall’Inps, a 61 anni possono uscire pure gli uomini che contestualmente centrano 20 anni di contributi versati. Per le donne questo vantaggio è ancora antecedente, visto che si può uscire lo stesso con 20 anni di contributi, ma a 56 anni. Per questa misura, che si chiama pensione di vecchiaia anticipata con invalidità pensionabile, finestra mobile di 12 mesi.

Pensioni quota 100: completare i contributi nel 2022 da diritto alla pensione, ecco quando

Se c’è una categoria di lavoratori che può essere considerata sfortunata in materia pensioni è senza dubbio quella dei nati nel 1959 che non sono riusciti ad entrare in quota 100.

Una specie di nuovi esodati come vedremo, perché sono quelli che oggi pagheranno dazio al fatto che si è deciso di interrompere la sperimentazione triennale di quota 100 e di introdurre la quota 102. Oggi però spiegheremo che è possibile ancora recuperare la quota 100 per chi non è riuscito a rientrare per via della carenza dei contributi maturati alla data di scadenza della quota 100.

Naturalmente si tratta di una possibilità non aperta a tutti perché altrimenti la quota 100 non sarebbe cessata come invece lo è. Ma qualcuno forse non è a conoscenza del fatto che anche se a ritroso, è possibile recuperare contributi validi per avere accesso alla quota 100 così come alle altre misure che magari oggi sono terminate.

Cosa succede alle pensioni per i nati nel 1959

Parliamo del nato nel 1959 perché è l’ultimo beneficiario della quota 102. L’ultimo che è riuscito a centrare i 62 anni durante la durata della quota 100. La quota 100 è terminata ufficialmente il 31 dicembre 2021. Come è noto, per completare il doppio requisito entro la fine dello scorso anno occorrevano almeno 62 anni di età ed almeno 38 anni di contributi.

E sono proprio i nati nel 1959 che non sono riusciti a completare il secondo requisito, quello dei 38 anni di contributi ad essere penalizzati sia dalla fine di quota 100 che dalla nascita di quota 102.

Il governo con la legge di Bilancio e con il pacchetto pensioni della stessa, ha deciso di sostituire la quota 100 con la quota 102. L’età anagrafica minima prevista è passata dai 62 ai 64 anni. La dote dei contributi necessari invece è rimasta quella dei 38 anni. Ma la quota 102 vale solo per un anno, in una specie di fase transitoria che il governo ha deciso di varare in attesa di riformare profondamente il sistema. Ciò significa che per i nati nel 1959, si è doppiamente penalizzati.

Come sono penalizzati i lavoratori nati nel 1959

A chi mancava solo un anno ai 38 necessari per quota 100, anche completandoli nel 2022, si è tagliati fuori dalla quota 102 perché nel 2022 questi lavoratori completeranno 63 anni di età e non i 64 anni come misura prevede.

E nel 2023 la quota 102 non ci sarà più, cioè questi lavoratori non potranno centrare la quota 102 al compimento del 64imo anno di età nel 2023 perché sparirà la quota 102.

In altri termini, ai nati nel 1959 con piccole carenze contributive, prima è stata tolta da sotto il naso la quota 100, e poi verrà tolta, altrettanto improvvisamente la quota 102. Al momento non resta che aspettare i 67 anni della riforma Fornero, cioè 5 anni di attesa rispetto a chi ha avuto la fortuna di rientrare nella quota 100.

La cristallizzazione del diritto alla quota 100

Chiunque è riuscito a centrare entrambi i requisiti per la quota 100 entro il 31 dicembre 2021 e chiunque riuscirà a fare altrettanto con la quota 102 entro il 31 dicembre 2022, potranno acquisire definitivamente il diritto alla pensione con entrambe le misure. Anche se non lasciano subito il lavoro alla maturazione del diritto alla pensione.

Potranno sfruttare la misura anche l’anno o gli anni successivi. Il meccanismo si chiama cristallizzazione del diritto. Una salvaguardia che serve affinché chi ha maturato un diritto ad una prestazione pensionistica non sia penalizzato dalla chiusura della misura per il solo fatto che ha deciso di restare al lavoro senza cogliere immediatamente l’occasione di andare in pensione.

Ma come detto per i nostri nati nel 1959, non avendo centrato entrambi i requisiti entro la fine dello scorso anno, la quota 100 non è diritto maturato per loro. DI penalità in penalità quindi, e tutto per via dei 38 anni di contributi mancanti.

Come riempire la carriera anche oggi ma con effetto retroattivo

Il sistema previdenziale italiano prevede numerosi strumenti utili a rendere validi ai fini pensionistici periodi pregressi e futuri per accedere a numerose misure. Ci sono i contribuiti volontari, che operano nel futuro però e non retroattivamente. In pratica si possono versare, a determinate condizioni, periodi di contribuzione per arrivare ad una determinata soglia in modo tale da centrare una pensione.

Non è il caso dei nostri nati nel 1959, perché ormai è passata la data ultima entro cui completare i 38 anni utili a quota 100. Ma ci sono anche i riscatti, la Pace contributiva, i corsi di studio universitari.

In pratica la normativa consente, sempre in base ad alcune specifiche situazioni, di riempire una carriera lavorativa, di periodi utili a completare la carriera, anche se trattasi di periodi passati.

Il riscatto dei contributi

La prima misura tra queste di cui parliamo oggi è senza dubbio il riscatto. Una misura già approfondita da noi con una guida dettagliata. Ed è una misura che può tornare utile a chi adesso è duramente penalizzato dalla cancellazione si quota 100.

Si tratta di uno strumento che permette al lavoratore, dietro pagamento di un onere, di recuperare periodi ai fini della pensione e di altre prestazioni previdenziali. Grazie al riscatto non sono pochi i lavoratori che possono anticipare la pensione.

Basti pensare a chi vorrebbe raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contributi utili alla pensioni anticipate. La misura è distaccata da qualsiasi limite di età e pertanto, se mancano due anni al raggiungimento di quella soglia e ci sono due anni di studio universitario che è possibile riscattare, ecco che la misura torna utile per anticipare la quiescenza di 2 anni.

Pensioni quota 100, buoni anche i contributi da riscatto

La pensione anticipata con quota 100 rispetto alle anticipate ordinarie, prevede un limite di età. Essa può essere ottenuta con un minimo di 62 anni di età e 38 anni di contributi versati di cui almeno 35 devono risultare effettivi, cioè  al netto di eventuali periodi di disoccupazione e malattia.

Per il tramite del riscatto, la pensione quota 100 si può centrare, ma solo se non sono stati ancora completati i 38 anni di contributi.

Quindi, per chi si trovava al 31 dicembre scorso privo dei 38 anni di contributi, se nella carriera ha periodi riscattabili la soluzione può essere ancora centrata, evitando di dover attendere i 67 anni di età per la pensione di vecchiaia ordinaria.

Come opera il riscatto dei contributi per le pensioni

Va ricordato che si possono riscattare solo i periodi non coperti da altra contribuzione. Questa via è fattibile dal momento che conta la collocazione di questi periodi. Il riscatto infatti opera in maniera particolare, andando a collocare temporalmente i contributi versati negli anni o nei periodi in cui questi dovevano essere versati. A dispetto dei contributi volontari che sono successivi, cioè che valgono per i periodi successivi a quelli in cui sono stati pagati, nel riscatto la data di pagamento non fa testo.

In altri termini, riscattare 12 mesi da gennaio a dicembre del 1997, riempie il 1997. A chi mancava magari solo un anno per completare i 38 anni utili alla quota 100, facendo questa operazione e pagando qualcosa, i benefici di quota 100 possono ancora essere sfruttati. E lo stesso vale per chi vorrebbe uscire subito con la pensioni anticipate, per la quale magari manca solo un anno al completamento dei 42 anni e 10 mesi necessari.

Pensioni: il piano del governo, cosa accade per quota 41 e uscita a 62 anni

 

Presto si tornerà a parlare di pensioni e soprattutto di riforma delle pensioni. Scampato il pericolo di dover rivedere il tutto alla luce di un nuovo Presidente della Repubblica e magari di un nuovo governo, adesso si dovrà affrontare l’argomento.

La riconferma al Quirinale di Sergio Mattarella e la conferma in pieno del governo Draghi, vuoi anche per l’evidente attaccamento alle poltrone dei parlamentari, lascia presupporre che si arriverà a fine legislatura. Ciò significa che se davvero la riforma delle pensioni deve vedere i natali quest’anno, sia con un provvedimento ad hoc o solo con la prossima manovra di fine anno, sarà questo esecutivo ad occuparsene.

Ci eravamo lasciati all’ultimo incontro governo sindacati con le solite richieste delle parti sociali e le solite aperture del governo, pur con tutte le limitazioni del caso dovute alla necessità di assecondare le direttive UE per poter godere dei soldi del Recovery Plan.

Il punto della situazione al momento resta questo. Ma cosa c’è da aspettarsi sulle pensioni e sulla loro riforma?

La posizione dei sindacati

Le richieste dei sindacati sembrano sempre le stesse, e così ormai da anni ed anni. I sindacati chiedono la pensione flessibile per tutti e senza penalizzazioni di assegno. Una misura monstre che consentirebbe, a scelta dei diretti interessati, di lasciare il lavoro una volta arrivati a 62 anni di età ed una volta arrivati a 20 anni di contributi versati.

Sarebbe il lavoratore a scegliere in base alle sue esigenze e ai suoi fabbisogni, se accontentarsi o meno di andare in pensione prima.

Infatti se è vero che più si lavora più si prende di pensione, il lavoratore che opta per una uscita anticipata è già di per se penalizzato. Inutile quindi prevedere tagli lineari di assegno, per anno di anticipo o per ricalcolo contributivo della prestazione.

Altro punto cardine delle richieste dei rappresentanti dei lavoratori è la quota 41 per tutti.

Si tratterebbe di una autentica, nuova, pensione anticipata. Infatti senza alcun limite di età, ed anche in questo caso senza penalizzazioni, con 41 anni di contributi secondo i sindacati si dovrebbe uscire dal lavoro.

Il metodo contributivo come principio base delle nuove pensioni

Ciò che il governo potrà fare è il respingere al mittente le richieste dei sindacati. Non è immaginabile che si arrivi a dire di si a queste misure, con la UE che chiede di ridurre la spesa pubblica e di tornare alla piena attuazione della riforma Fornero.

Il governo deve mettere a terra i soldi del Pnnr del governo. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che l’esecutivo ha prodotto per sfruttare le risorse assegnate all’Italia dalla UE e dal Recovery Plan.

Occorre fare i compiti a casa, e farli bene per ottenere quello che all’Italia è stato assegnato, soprattutto con lo sguardo attento dei Paesi Frugali che già in passato hanno contestato i troppi aiuti all’Italia.

In aiuto a questa necessità, senza dubbio il metodo contributivo. Non c’è metodo di calcolo delle pensioni che non sia più virtuoso del sistema contributivo in fatto di contenimento della spesa pubblica. Ed è lì che il governo, come scrivono anche sul quotidiano “Il Giornale”, il governo andrà a parare.

Cosa intende fare il governo sulle pensioni

L’esecutivo si prepara quindi ad una nuova serie di incontri coi sindacati. Incontri dove c’è da giurarci, le posizioni resteranno quelle prima descritte. L’anno corrente segna il primo anno del post quota 100 e l’unico anno di funzionamento della quota 102.

E si parla di una nuova riforma a partire dal 2023. L’idea del governo, che poi è quella che da anni ha già intrapreso il sistema pensioni nostrano, è quello del contributivo. Non ci sono proposte, idee o misure che proposte da fonti vicine al governo, non  prevedono penalizzazioni di assegno. E se i tagli lineari sono poco popolari, allora meglio riversarsi sull’altra grande soluzione per rendere sostenibile la riforma e le eventuali misure. Il metodo contributivo per calcolare gli assegni.

Come già detto infatti, la UE da tempo chiede all’Italia questa soluzione, o meglio una soluzione low cost che per i vertici europei è la riproposizione fedele della riforma Fornero, senza necessariamente trovare scorciatoie. SI arriva per esempio, alla soluzione della pensione flessibile con taglio lineare di assegno, che poi a conti fatti è esattamente una applicazione, celata del metodo contributivo. In questo modo i futuri pensionati, a fronte di una uscita anticipata, subiranno almeno 3 livelli di penalizzazione.

I tre punti cardine di un autentico salasso per i futuri pensionati

Il primo è la penalizzazione del 3% per anno di anticipo. Ipotizzando una misura che permette di uscire a 62 anni, significa il 15% in meno di pensione.

E se la pensione teoricamente spettante è pari a 1000 euro, significa subito un taglio di 150 euro, con assegno che passa ad 850 euro. Ma c’è da fare i conti con il taglio derivante dai peggiori coefficienti di trasformazione applicati alla pensione per le uscite anticipate. Come è noto infatti, prima si esce dal lavoro più penalizzanti sono i coefficienti di trasformazione.

Questi parametri sono quelli per cui si passa il montante dei contributi e tra 62 e 67 anni c’è quasi un punto. Significa perdere un’altra fetta di pensione, stavolta variabile in base agli importi dei contributi. Infine, c’è da fare i conti con i 5 anni in meno di contributi versati, cioè quelli che il lavoratore avrebbe versato se fosse rimasto in servizio fino ai 67 anni.