Programma pensioni 2023, le ultime notizie sulla riforma!

Il piano del governo sulla riforma delle pensioni è ormai noto. Come è noto il progetto dei sindacati che mirano alla solita, famosa, quota 41 per tutti. Ma ecco le ultime novità su una riforma che dovrebbe prendere quota dal prossimo primo gennaio.

Pensioni, cosa potrebbe accadere nel 2023

Ormai le posizioni dei sindacati e dell’esecutivo sono un parametro fisso se si parla di pensioni. I sindacati vorrebbero la quota 41 per tutti, ornai cavallo di battaglia delle parti sociali. Una pensione anticipata vera e propria, che andrebbe a sostituire in toto l’attuale pensione anticipata ordinaria. Si scenderebbe di circa due anni. Oggi infatti si esce con 42 anni e 10 mesi di contribuzione versata. Si risparmierebbero 22 mesi (per le donne 10 mesi in meno visto che le anticipate ordinarie per le lavoratrici è a 41 anni e 10 mesi di contribuzione versata). Il governo invece è più propenso ad una misura che consente di accedere all’anticipata una volta raggiunti i 64 anni di età.

La flessibilità in uscita per le pensioni anticipate dal 2023

In pratica, due cose diametralmente diverse. Uno spiraglio per i sindacati è quello delle penalizzazioni di assegno per una eventuale quota 41 per tutti. Penalizzazioni minime per le parti sociali, un po’ più cospicue per il governo.

Posizioni diverse come quelle sulla flessibilità in uscita, che come detto, per il governo dovrebbe partire dai 64 anni mentre per le parti sociali dai 62 anni. In sostanza, le vie che hanno qualche possibilità di diventare realtà per una riforma delle pensioni che resta difficoltosa, sono la pensione a 64 anni o Quota 41 ma con mini penalizzazione.

Continua a tenere banco il capitolo previdenziale

SI può chiamare dibattito, oppure discussione, o ancora, tavolo delle trattative, ma una cosa certa tra esecutivo e parti sociali la riforma delle pensioni è ancora in una fase embrionale. Eppure c’è chi dice che il governo abbia un piano. Nonostante il nulla di fatto nel DEF (Documento di Economia e Finanza) , il governo avrebbe in mente di impostare qualche nuova misura con una riduzione d’assegno per ogni anno di anticipo. Ma sarebbe una riduzione di pensione che inciderebbe soltanto sulla parte retributiva della pensione e non su quella contributiva.

Si ipotizza di consentire di lasciare il lavoro in anticipo come tutti chiedono, e dal primo gennaio 2033. Ma chi lascerà il lavoro potrebbe subire qualche penalità. L’esecutivo lavora per arrivare ad azzerare le differenze tra chi ha iniziato a versare prima del 1996 e chi dopo. In pratica, si vuole arrivare a parificare le regole tra retributivi e contributivi, in modo tale da azzerare le differenze.

Oggi i contributivi, cioè coloro i quali hanno il primo contributo a qualsiasi titolo versato dopo il 31 dicembre 1995, possono uscire con la pensione anticipata contributiva a 64 anni. E il governo medita di estendere la possibilità a tutti, anche a chi ha iniziato a versare prima del 1996. Ma riducendo il loro assegno con penalizzazioni sulla parte retributiva.

L’uscita a 64 anni oggi e domani, come funzionerebbe?

Il vantaggio dell’uscita a 64 anni è stato introdotto per compensare la penalizzazione in termini di importo che una pensione calcolata con il sistema contributivo ha rispetto ad una calcolata con il misto, cioè con il retributivo fino ad una determinata data e con il contributivo dopo. Tre anni di anticipo che adesso potrebbero toccare anche ai misti, purché accettano di perdere parte del vantaggio loro spettante dal metodo retributivo. Va detto comunque che per i cosiddetti contributivi puri, la pensione anticipata contributiva si centra solo se l’assegno liquidato alla data di decorrenza del primo rateo di pensione, è pari a 1300 euro circa, ovvero a 2,8 volte l’assegno sociale. Inoltre, a 67 anni i contributivi puri possono prendere la pensione di vecchiaia anche senza i 20 anni di contributi (ne bastano 5), ma solo con assegno pari ad almeno 1,5 volte quello sociale. Limitazioni che devono essere parte integrante delle discussioni in seno ai tavoli tra governo e sindacati. Perché non basta pensare di estendere i 64 anni di età a tutti con 20 anni di contributi.

Anche la UE sarebbe favorevole alle soluzioni che il governo avrebbe in mente

Il governo pensa ad una riforma che consenta  a tutti,  di andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero. Ma di fatto, imponendo un ricalcolo completamente contributivo per tutti, anche per chi ha maturato il diritto ad avere un calcolo più favorevole della pensione. Una soluzione a basso costo ad a spesa pubblica contenuta. A tal punto che l’esecutivo pensa a questa idea come l’unica che potrebbe trovare pure il benestare della UE. Infatti c’è da rispettare i diktat dell’Europa, che in materia previdenziale sono molto rigidi. Anche i tecnici che il governo, utilizza di solito per studiare politiche di natura economica, sostengono che la UE non si opporrebbe in alcun modo a misure di questo genere. E all’Europa per via dei fondi del Recovery Plan e del nostro Pnnr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), bisogna anche dare retta.

Pensione, come versare i contributi volontari per chi ha perso il lavoro?

Come avvicinare la pensione con il versamento dei contributi volontari? E quali sono i requisiti richiesti per quanti hanno perduto il lavoro e non trovano un’altra occupazione? Si tratta di una situazione ricorrente nella quale continuare a versare i contributi volontari, in molti casi, rappresenta l’unica possibilità per arrivare al trattamento pensionistico. Tuttavia, è necessario distinguere i lavoratori autonomi da quelli dipendenti in merito all’autorizzazione (e quindi ai requisiti) per procedere con il versamento dei contributi volontari.

Lavoratori autonomi, chi può versare i contributi volontari per accorciare la via della pensione?

Per ottenere l’autorizzazione a versare i contributi volontari dei lavoratori autonomi iscritti all’Inps è occorrente che:

  • i commercianti e gli artigiani abbiano già versato almeno 5 anni di contributi effettivi riferiti a qualunque periodo della propria vita. In alternativa, possono essere stati versati anche 3 anni di contributi nei 5 anni precedenti la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari;
  • per i coloni, i mezzadri e i coltivatori diretti è necessario aver versato almeno 5 anni di contributi in tutta la vita assicurativa. In alternativa, i contributi giornalieri sono pari a 279 per gli uomini e a 186 per le donne e i giovani nei 5 anni che precedono la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari.

Lavoratori dipendenti e parasubordinati, quando possono richiedere il versamento dei contributi volontari?

Per i lavoratori parasubordinati, la possibilità di richiedere i contributi volontari è vincolata ad avere un anno di contributi versato nei 5 anni precedenti al momento in cui si presenta domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari stessi. Per i lavoratori dipendenti, invece, l’autorizzazione a versare i contributi volontari è subordinata all’aver versato 5 anni di contributi effettivi, in qualunque epoca lavorativa. Oppure, in alternativa, aver provveduto ai versamenti contributivi per tre anni degli ultimi 5 che precedono la richiesta stessa.

Casi particolare di domanda di contributi volontari per arrivare prima alla pensione

I lavoratori domestici, nel caso di lavoro alle dipendenze, possono in alternativa al meccanismo dei 5 anni di versamenti o dei 3 degli ultimi 5 anni, aver versato 156 contributi settimanali. Chi svolge un lavoro part time, purché dal 1997 in poi, può richiedere il versamento dei contributi volontari se ha versato almeno un anno di contributi nei 5 che precedono la domanda di autorizzazione. In questo caso specifico, l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari può essere ottenuta anche se il rapporto di lavoro risulti ancora in corso. Non è necessaria dunque la cessazione del rapporto di lavoro.

Richiesta di versare i contributi volontari per i lavoratori stagionali

Per i lavoratori stagionali, la domanda di autorizzazione all’Inps per il versamento dei contributi volontari può avvenire a condizione che siano stati versati contributi per almeno un anno nei 5 che precedono la presentazione dell’istanza stessa. Il lavoro può essere svolto in maniera stagionale, temporanea e discontinua, ma relativamente solo ai periodi non coperti da contributi obbligatori o figurativi successivi al 31 dicembre 1996. Per i lavoratori stagionali l’Inps rilascia l’autorizzazione con decorrenza successiva al termine oppure alla sospensione del lavoro.

Quando avviene l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari per la pensione?

L’autorizzazione al versamento dei contributi volontari ai fini della pensione può essere rilasciata dall’Inps solo nel caso ci sia stata cessazione o interruzione del rapporto di lavoro. Per i lavoratori alle dipendenze, tale autorizzazione perviene a partire dal primo sabato susseguente ala presentazione dell’istanza. Per i lavoratori autonomi, invece, l’autorizzazione parte dal primo giorno del mese di presentazione della domanda.

Cosa avviene se la domanda di versare i contributi volontari viene presentata prima della cessazione del lavoro?

Diverso è il caso in cui il contribuente presenti la domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari prima che cessi il rapporto di lavoro. In questo caso, se si tratta di lavoratore alle dipendenza, la decorrenza coincide con il primo sabato successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Per i commercianti e gli artigiani, la decorrenza parte dal primo giorno del mese susseguente alla cancellazione degli elenchi professionali.

Caso di un artigiano che richieda di poter versare i contributi volontari per arrivare alla pensione

Spesso mancano davvero pochi anni per arrivare alla pensione. Ad esempio, un artigiano iscritto all’Inps che abbia l’età intorno ai 60 anni e oltre 40 di contributi versati, alla chiusura della propria attività può richiedere di versare i contributi volontari. Lo può fare, alle condizioni descritte, per arrivare ad esempio alla pensione anticipata. Per l’uscita prima rispetto alla pensione di vecchiaia occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi. Al raggiungimento dei requisiti contributivo, l’artigiano potrà andare in pensione, a prescindere dall’età anagrafica.

Pensioni, quali possibilità di uscita con quota 102?

Quali possibilità vi sono per andare in pensione con quota 102 nel 2022? Fino alla fine di quest’anno si potrà andare in pensione anticipata con requisiti meno gravosi rispetto alla pensione di vecchiaia purché si maturino i 64 anni di età unitamente ad almeno 38 anni di contributi. Sulle chance di uscita con quota 102 l’Inps, lo scorso 8 marzo, è intervenuta con la circolare numero 38 per segnalare i passaggi utili per arrivare alla maturazione della quota 102.

Quota 102, quali differenze con le pensioni a quota 100?

Rispetto alla quota 100, in vigore fino al 31 dicembre 2021, con la quota 102 vi sono due novità. La prima è l’elevazione dell’età minima richiesta da 62 a 64 anni di età. La seconda novità riguarda la durata della sperimentazione. A differenza di quota 100, la quota 102 durerà solo per un anno. Tuttavia, ad oggi non si può essere certi che il governo consenta l’estensione anche al 2023 della quota 102. Molto dipenderà da come andrà il processo di riforma delle pensioni nel corso dell’anno.

Pensioni, quali lavoratori usciranno prima con la quota 102?

Con la circolare, inoltre, l’Inps ha già fissato le decorrenze del trattamento di pensione con quota 102 per l’anno 2022 in base alle differenti categorie lavorative. I prima a poter andare in pensione con quota 102 a decorrere dal 2 aprile 2022 saranno i lavoratori il cui trattamento previdenziale sia liquidato dalla gestione esclusiva dell’Assicurazione generale obbligatoria (Ago). Rientrano in questa categoria i lavoratori del Fondo Quiescenza delle Poste, ad esempio, o i lavoratori iscritti al Fondo Speciale delle Ferrovie dello Stato.

Quando andranno in pensione i lavoratori autonomi, del settore privato e quelli del pubblico impiego con quota 102?

A seguire, i lavoratori prossimi all’uscita per la pensione con quota 102 saranno quelli appartenenti al settore privato e gli autonomi. La decorrenza della pensione è prevista a partire dal 1° maggio 2022. A tale data corrisponde la regola del primo giorno del mese susseguente allo scadere dei tra mesi susseguenti alla maturazione dei requisiti. Infine, per i lavoratori del pubblico impiego, la prima data utile è quella del 2 luglio 2022.

Requisiti utili per la pensione a quota 102 maturati nel 2022, il diritto si cristallizza anche per gli anni successivi

Come specifica l’Inps nella circolare, inoltre, i requisiti utili per la maturazione della quota 102 devono essere raggiunti nell’anno 2022. Al raggiungimento dei requisiti, il lavoratore può decidere di andare in pensione anche nei prossimi anni con la misura in vigore nel 2022. Come per la quota 100, dunque, il diritto alla pensione con quota 102 si cristallizza e si può decidere di differire ai prossimi anni l’uscita da lavoro. Risulta decisivo, pertanto, raggiungere l’età di 64 anni e 38 anni di contributi nel corso dell’anno.

Quante settimane di lavoro sono necessarie per raggiungere i contributi per la quota 102?

I 38 anni di contributi necessari per maturare la quota 102 sono pari a 1976 settimane di lavoro. I contributi necessari possono ottenersi anche sommando i contributi non coincidenti accreditati nelle gestioni pensionistiche obbligatorie differenti, a eccezione che si tratti di contributi versati alle Casse previdenziali professionali.

Come avviene il calcolo della pensione per la quota 102?

Inoltre, il pensionamento con quota 102 è calcolato normalmente con il sistema pensionistico misto. Ovvero, una quota parte della pensione è calcolata con il metodo retributivo (normalmente fino a tutto il 1995); la restante quota con il sistema previdenziale contributivo, per i versamenti effettuati dal 1° gennaio 1996. Tuttavia, la quota 102 si può esercitare anche dopo aver esercitato l’opzione per il sistema contributivo. Si possono riscattare anche periodi antecedenti l’anno 1996 con il sistema agevolato, proprio per maturare i 38 anni di contributi richiesti.

Arrivare a 38 anni di contributi per la quota 102: il riscatto

Per arrivare ai 38 anni di contributi necessari per le pensioni a quota 102 si può procedere con il riscatto di periodi di studio. Ad esempio, se un lavoratore nel 2022 compie 64 anni ed ha 36 anni di contributi, può procedere con il riscatto di due anni del corso di laurea per perfezionare il requisiti contributivo. Dovrà procedere con il versamento di tutto l’onere e inoltrare la domanda della quota 102. Tale operazione può essere fatta anche successivamente al 2022.

Pensioni con quota 102, si può procedere con il cumulo lavoro-pensione?

Come per la quota 100, anche per la pensione a quota 102 non si può procedere con il cumulo dei redditi da lavoro con quelli da pensione. La data di decorrenza del divieto di cumulo è quella coincidente con il primo giorno di decorrenza della pensione stessa. Il cumulo persiste fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia. Attualmente, e probabilmente fino a tutto il 2026, l’età fissata per la pensione di vecchiaia è pari a 67 anni, unitamente a 20 anni di contributi. Come per la quota 100 si può procedere a un’attività lavorativa purché:

  • si tratti di un lavoro autonomo occasionale;
  • gli incassi siano limitati ai 5 mila euro lordi all’anno.

Pensioni 2022, tutte le possibilità oggi in vigore

Sembra che nel 2023 nulla sarà come prima per le pensioni. Stiamo andando verso una riforma che probabilmente vedrà la conferma strutturale di Opzione Donna, ed un allargamento strutturale delle uscite a 64 anni con penalizzazioni di assegno. La guerra in Ucraina ha rallentato di parecchio la macchina della politica che andava in direzione della riforma delle pensioni.

Nel DEF (Documento di Economia e Finanza), che in genere esce ad aprile, il governo avrebbe dovuto mettere i primi mattoni della riforma, magari prevedendo spesate e dotazioni da utilizzare in corso d’anno, verso la previdenza. Nulla di tutto ciò è successo, almeno al momento. E forse nulla succederà visto che di emergenza in emergenza, adesso il conflitto in Ucraina ha assunto i connotati della priorità delle priorità. Ed ecco che è meglio andare a verificare quali sono le possibili misure previdenziali che qualcuno potrebbe trovare interessante prendere adesso, prima che tutto cambi.

Le due vie principali restano vecchiaia e anticipate

La pensione di vecchiaia 2022 si centra con:

  • 67 anni di età compiuti;
  • Almeno 20 anni di contributi versati.

La pensione anticipata si centra con:

  • Almeno 42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini;
  • Almeno 41 anni e 10 mesi di contributi previdenziali versati per le donne;
  • Almeno 35 anni di contributi effettivi.

Le due misure resteranno in vigore anche l’anno prossimo ed è già stato deciso che i requisiti resteranno gli stessi di quelli prima indicati.

La nuova Quota 102 e la pensione anticipata per contributivi, tutti a 64 anni

La nuova pensione con Quota 102, che ha sostituito la Quota 100, si centra con:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 38 anni di contributi versati;
  • Almeno 35 anni di contributi effettivi.

La pensione con Quota 102 è esattamente identica alla precedente Quota 100 se non fosse che l’età minima di uscita è passata dai 62 anni ai 64 anni. E 64 anni è per l’esattezza, anche l’età che consente a chi non ha contributi versati prima del 1996, di accedete alla pensione anticipata contributiva. Essa si centra con:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 20 anni di contributi;
  • Pensione liquidata alla decorrenza pari a 2,8 volte l’assegno sociale;
  • Primo contributo versato dopo il 1995.

La pensione a 64 anni in forza di Quota 102 o della pensione anticipata contributiva, nel futuro potrebbe essere la pensione flessibile per tutti. Ma con penalità che oggi entrambe le misure non prevedono. Per questo chi può forse farebbe meglio ad uscire oggi rispetto a domani. Chi ha già 64 anni e 38 di contributi, potrebbe trovare conveniente uscire subito dal lavoro nel 2022 e non nel 2023. Perché nonostante 65 anni di età e più di 38 di contributi, se passasse l’idea di una pensione flessibile a 64 anni con taglio del 3% per anno di anticipo, questo lavoratore perderebbe il 6% di assegno.

Opzione Donna e Ape sociale

Di Opzione Donna abbiamo già detto che la misura ha seriamente tutte le possibilità di diventare strutturale dal 2023. Per adesso, nel 2022 possono uscire le donne che hanno i seguenti requisiti:

  • Almeno 58 anni di età compiuti entro il 31 dicembre 2021 se lavoratrici dipendenti;
  • Almeno 59 anni di età compiuti entro il 31 dicembre 2021  se lavoratrici autonome;
  • Almeno 35 anni di contributi effettivi.

L’Ape sociale invece è una misura che si rivolge a 4 macro categorie di soggetti:

  • Invalidi;
  • Soggetti con invalidi a carico (cd caregiver)
  • Disoccupati;
  • Lavori gravosi.

La misura ha un requisito minimo come età ed un altro come contribuzione. Nello specifico:

  • Almeno 63 anni di età;
  • Almeno 30 anni di contributi versati per invalidi, caregivers e disoccupati;
  • Non meno di 36 anni di contributi versati per i lavori gravosi in genere;
  • Almeno 32 anni di contributi versati per gli edili ed i ceramisti.

Le pensioni con quota 41, ma solo ai precoci e nemmeno a tutti

Una soluzione alla pensione prima del previsto è la quota 41 per i precoci. Una misura che i sindacati vorrebbero estendere a tutti dal 2023, ma che probabilmente resterà così anche in futuro visto che è strutturale e non va in scadenza. La prestazione riguarda:

  • Caregivers come per l’Ape sociale;
  • Disoccupati come per l’Ape sociale;
  • Invalidi come per l’Ape sociale;
  • Lavori gravosi, ma solo le 15 categorie previste fino allo scorso anno anche per l’Ape sociale.

I requisiti utili alla pensione con quota 41 sono:

  • Almeno 41 anni di contributi versati;
  • Almeno 35 anni di contributi effettivi;
  • Un anno almeno di contributi versato prima dei 19 anni di età.

Le pensioni con invalidità pensionabile e gli usuranti

Altre due vie di uscita davvero interessanti sono lo scivolo usuranti e la pensione di vecchiaia anticipata con invalidità. Lo scivolo per le pensioni usuranti consiste in una pensione anticipata destinata a soggetti che svolgono attività particolarmente faticose e pesanti. I requisiti utili sono:

  • Almeno 61 anni e 7 mesi di età;
  • Almeno 35 anni di contributi versati;
  • Completamento della quota 97,6.

La misura si rivolge ai lavoratori alle prese con le attività prescritte da apposito decreto e presente sul sito dell’Inps. Per esempio i lavoratori impiegati su turni e con le linee a catena o gli autisti dei mezzi di trasporto pubblico. Inoltre lo scivolo è destinato anche ai lavoratori notturni.

Per la pensione con invalidità, occorre invece:

  • Almeno 56 anni di età per le donne;
  • Almeno 61 anni di età per gli uomini;
  • Un grado di invalidità pensionabile pari o superiore all’80%;
  • Almeno 20 anni di contributi previdenziali versati.

L’invalidità pensionabile altro non è che la riduzione della capacità lavorativa basata sulle mansioni e le attitudini di ogni direttamente interessato,  certificata dall’Inps.

Pensioni anticipate usuranti, nuove disposizioni Inps su domanda e requisiti

Al via le domande di uscita per le pensioni anticipate dei lavoratori usuranti. I soggetti che sono impiegati in attività faticose potranno presentare domanda di prepensionamento entro il 1° maggio 2022 per il riconoscimento dei requisiti. La maturazione dei requisiti deve avvenire tra il 1° gennaio 2023 e il 31 dicembre 2023. Sulle pensioni degli usuranti è intervenuta l’Inps con il messaggio numero 1201 del 16 marzo 2022.

Pensioni usuranti, i riferimenti Inps e normativi del prepensionamento

Il messaggio dell’Inps ricorda ai lavoratori usuranti i termini per la presentazione delle domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente pesanti e faticosi entro il 1° maggio prossimo per i soggetti che maturino i requisiti di uscita per l’accesso al trattamento pensionistico dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023. Il decreto legislativo di riferimento è il numero 67 del 21 aprile 2011, modificato dalla legge numero 232 dell’11 dicembre 2016.

Pensioni anticipate dei lavoratori usuranti, requisiti agevolati di uscita fino al 2026

I termini di scadenza delle pensioni usuranti riguardano pertanto i lavoratori che abbiano svolto o che stiano ancora svolgendo attività particolarmente faticose e pesanti. I requisiti di prepensionamento sono riferiti alle condizioni agevolate degli anni dal 2016 al 2026. Infatti, tali requisiti rimarranno immutati per tutto il decennio, senza subire adeguamenti in aumento dettati dall’aspettativa di vita.

Pensioni usuranti, quale procedura seguire per l’uscita anticipata?

La procedura che i lavoratori devono seguire per arrivare alla pensione anticipata come usuranti prevede il necessario riconoscimento da parte dell’Inps dei requisiti richiesti. A questo proposito, è necessario che il lavoratore presenti domanda alla sede Inps competente entro il 1° maggio 2022 per le uscite previste per tutto il prossimo anno, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023. L’Inps dispone il controllo dei requisiti richiesti per quanto riguarda l’età, i contributi e la quota raggiunta dal lavoratore.

Cosa avviene se non si presenta domanda di uscita per le pensioni degli usuranti nei termini di scadenza?

Nel caso in cui il lavoratore non presenti la domanda di uscita con la pensione degli usuranti entro il 1° maggio 2022, si ha il differimento della decorrenza del trattamento pensionistici. Tale differimento è per:

  • un mese se il ritardo è limitato a un mese;
  • di due mesi se il ritardo risulta superiore a un mese e inferiore a 3 mesi;
  • di tre mesi se il ritardo è di 3 mesi oppure oltre.

Cosa avviene se la domanda di pensione usuranti viene accolta?

Se l’Inps accoglie la domanda della pensione dei lavoratori usuranti, ovvero se riconosce i requisiti utili per andare in prepensionamento con questa formula, al lavoratore viene comunicata la prima decorrenza utile per il trattamento pensionistico. In caso di non accoglimento dei requisiti utili, l’Inps procede con il rigetto della richiesta. Per entrambi gli esiti, inoltre, la comunicazione dell’Inps avviene anche in rapporto ai fondi pubblici disponibili.

Pensioni usuranti, c’è bisogno di una seconda domanda dopo l’accoglimento dei requisiti di uscita

È opportuno precisare che, dopo la prima domanda da presentare entro il 1° maggio 2022 di verifica dei requisiti di uscita, il lavoratore dovrà presentare una seconda domanda. Si tratta della domanda di pensione vera e propria. La seconda domanda è necessaria perché verranno richiesti ulteriori condizioni. Ad esempio, la cessazione del rapporto di lavoro presso il datore al quale il lavoratore risulti dipendente.

Requisiti di uscita delle pensioni usuranti: lavoratori impiegati in mansioni della linea catena o conducenti di veicoli per il trasporto collettivo

Nella sua circolare, l’Inps fornisce informazioni sui requisiti di uscita per le pensioni usuranti da dimostrare nella domanda da presentare entro il 1° maggio 2022. In particolare, per i lavoratori impiegati nelle mansioni particolarmente usuranti che maturino i requisiti tra il 1° gennaio 2023 e il 31 dicembre 2023, per gli addetti alla linea catena e per i conducenti di veicoli per il servizio pubblico di trasporto collettivo è necessario aver maturato:

  • l’anzianità contributiva di almeno 35 anni;
  • l’età minima di 61 anni e sette mesi se lavoratori dipendenti;
  • la quota considerata come somma tra età e anzianità contributiva pari ad almeno 97,6 per i lavoratori dipendenti;
  • l’età minima di 61 anni e sette mesi se lavoratori autonomi;
  • la quota minima di 98,6 per i lavoratori autonomi.

Pensioni usuranti per i lavoratori notturni a turni

La pensione come lavoratori usuranti può essere richiesta anche da chi svolge lavoro notturno a turni. In particolare bisogna considerare il numero dei giorni di lavoro se sono pari o superiori a 78 durante l’anno. I lavoratori che rientrano in questa situazione e che maturino i requisiti tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2023, possono andare in pensione con i requisiti degli usuranti. In tal caso è necessario far riferimento agli stessi requisiti di uscita e delle quote dei lavori particolarmente usuranti o della linea catena o dei conducenti dei veicoli per il trasporto collettivo.

Pensioni usuranti per i lavoratori che svolgano lavori notturni e a turni tra i 64 e i 71 giorni all’anno

Per i lavoratori che svolgono lavori a turni e notturni per un numero di giornate tra i 64 e i 71 all’anno, i requisiti di uscita per le pensioni usuranti sono i seguenti:

  • la maturazione del trattamento di pensione dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023;
  • l’anzianità minima dei contributi richiesti è di 35 anni;
  • per i lavoratori dipendenti il minimo del requisito anagrafico è di 63 anni e sette mesi;
  • la quota minima da raggiungere (come somma tra età e anzianità contributiva) per i lavoratori dipendenti è pari a 99,6;
  • l’età minima dei lavoratori autonomi è di 64 anni e sette mesi;
  • la quota da raggiungere per i lavoratori autonomi è pari a 100,6.

Pensioni usuranti per i lavoratori notturni e a turni da 72 a 77 giorni all’anno: i requisiti richiesti

Per i lavoratori che maturino i requisiti delle pensioni usuranti dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023 che abbiano un numero di giorni lavorativi notturni da 72 a 77 all’anno, i parametri da dimostrare sono:

  • l’anzianità minima dei contributi richiesti è di 35 anni;
  • per i lavoratori dipendenti il minimo del requisito anagrafico è di 62 anni e sette mesi;
  • la quota minima da raggiungere (come somma tra età e anzianità contributiva) per i lavoratori dipendenti è pari a 98,6;
  • l’età minima dei lavoratori autonomi è di 63 anni e sette mesi;
  • la quota da raggiungere per i lavoratori autonomi è pari a 99,6.

 

Pensioni anticipate e pensioni di anzianità, come è cambiata la previdenza

Oggi il sistema previdenziale italiano si regge sostanzialmente su due pilastri. C’è la pensione anticipata e c’è la pensione di vecchiaia. La prima è una misura senza limiti anagrafici, la seconda invece ha l’età pensionabile. Sia la pensione anticipata che quella di vecchiaia si trovano oggi con struttura è requisiti pesantemente influenzati dalla riforma delle pensioni di Elsa Fornero. Anzi, le pensioni anticipate nascono proprio con la legge Fornero. La pensione anticipata fu la misura che ha Fornero ha varato in sostituzione delle vecchie pensioni di anzianità. Proprio la differenza tra queste due misure può rappresentare lo spartiacque tra ciò che accadeva prima per andare in pensione, e ciò che accade adesso.

Pensioni anticipate vs pensioni di anzianità, ecco cosa è cambiato

Sia le pensioni anticipate che quelle di anzianità sono strumenti adatti a consentire ai lavoratori di anticipare la quiescenza rispetto alla pensione di vecchiaia. Ma era nettamente più favorevole la pensione di anzianità rispetto alla nuova anticipata. Anche perché erano diverse le pensioni di anzianità e non una sola come le pensioni anticipate. Diverse tipologie di pensione di anzianità quindi. Una era del tutto simile alla pensione anticipata di oggi. Ma c’era anche la pensione di anzianità con quota, una specie di strumento precursore delle pensioni per quotisti di oggi. Misure che ad un requisito anagrafico (naturalmente ridotto rispetto alla pensione di vecchiaia) aggiungevano un requisito contributivo la cui somma, comprensiva delle frazioni di anno, rappresentavano un ulteriore requisito.

Oggi invece, la pensione anticipata è esclusivamente una e permette le uscite con il solo completamento del requisito contributivo.

Una pensione di anzianità ancora oggi resiste, è la totalizzazione

Dal 2012, dopo la famigerata riforma lacrime e sangue della Fornero e del governo Monti, le pensioni di anzianità scomparirono tutte. Oggi rimangono solo le pensioni di anzianità destinate allo scivolo usuranti e notturni. O a chi può sfruttare la pensione con la totalizzazione.

La totalizzazione è quello strumento che permette a chi ha versato contributi in diverse casse, gestioni o fondi previdenziali, di optare per una pensione unica accorpando la contribuzione sparsa nei medesimi fondi e simili. Lo strumento, può essere sfruttata tanto per una unica pensione di vecchiaia, che per una pensione di anzianità, io anche di inabilità e ai superstiti. La totalizzazione è gratuita e in questo si differenzia da altri strumenti che consentono lo stesso risultato, ma a titolo oneroso (la ricongiunzione per esempio).

Il diritto alla pensione di anzianità in regime di totalizzazione è destinato a chi completa una anzianità  di 2.080 settimane, cioè 40  anni di contributi al netto dei contributi figurativi per disoccupazione o malattia. Per la pensione di vecchiaia in totalizzazione invece, servono 65 anni di età e  almeno 20 anni di contributi.

Meglio le pensioni di anzianità o le pensioni anticipate?

È evidente che con le pensioni anticipate rispetto alle pensioni di anzianità , la situazione è drasticamente peggiorata.  Si usciva prima dal lavoro con le pensioni di anzianità. A poco è servito inserire nel sistema una misura come quota 41, che abbassa il requisito contributivo da 42 anni e 10 mesi per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne, a 41 anni, ma con  limiti evidenti. Innanzi tutto è una prestazione destinata a chi ha almeno un anno di contributi versati prima dei 10 anni di età. Inoltre, 35 ani devono essere effettivi da lavoro. E poi, si tratta di una misura destinata a invalidi, a soggetti con invalidi a carico, a disoccupati di lunga data o a lavoratori alle prese coi lavori gravosi.

Uscita per le pensioni nel 2022 e nel 2023, cosa cambia in base all’anno di nascita, misura dopo misura tutte le occasioni.

Andare in pensione è un obbiettivo comune a tutti i lavoratori. La stanchezza accumulata durante gli anni di lavoro merita il giusto riposo e le pensioni sono lo strumento. E non sono poche le strade che portano alla quiescenza oggi vigenti e in via di inserimento nel sistema con il governo che lavora ad una profonda riforma.

Ogni anno di nascita coincide con diverse possibilità di uscita dal lavoro, naturalmente partendo da quella canonica della pensione di vecchiaia. L’anno di nascita è tremendamente importante se solo si pensa a cosa è accaduto tra dicembre 2021 e gennaio 2022, a cavallo della chiusura di quota 100 e dell’apertura di quota 102. Tra l’altro sembra proprio che con quota 102 rischiamo di dover fare i conti anche nel 2023, visto che l’emergenza in Ucraina collegata alla continua emergenza pandemica sta cambiando le priorità del governo.

La pensione nel 2022, in uscita i nati nel 1955, ma non solo

Se c’è una generazione di persone che possono accedere alla pensione nel 2022 sono i nati nel 1955. A questi lavoratori la pensione viene assegnata al compimento di 67 anni di età, a partire dal primo giorno del mese successivo a quello del compleanno. Servono però almeno 20 anni di contributi. Ma solo se sono i primi versamenti sono stati accreditati prima del 1996. Infatti per chi ha iniziato la carriera dopo, ad età e contributi occorre aggiungere una pensione pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale, più o meno vicina a 701 euro al mese.

E proprio l’assegno sociale è ciò che possono prendere i nati nel 1955 privi dei 20 anni di contributi versati o che non riescono ad ottenere una pensione come quella prima citata.

A 66 anni, cioè per i nati nel 1956, le vie di uscita sono tante, e come è evidente, significa uscire un anno prima rispetto alla pensione di vecchiaia che per loro scatterebbe nel 2023. Ci sarebbe l’Ape sociale, Opzione donna, la pensione anticipata contributiva, quella ordinaria, la pensione di vecchiaia con invalidità pensionabile, la quota 41 e appunto la nuova quota 102.

Ogni misura si applica a diversi lavoratori, vuoi per via dei diversi requisiti che ognuna di esse prevede e vuoi per una differente data di nascita.

La pensione per chi è nato dopo il 1955

Per accedere alla pensione in anticipo rispetto a quella di vecchiaia il sistema offre diverse strade. Si va da un anticipo minimo di un anno, come abbiamo detto per i nati nel 1956, ad anticipi a due cifre, perché nel 2022 e 2023, già con le misure di oggi, potrebbero trovare il pensionamento alcuni nati nel 1966.

Con l’Ape sociale per esempio, nel 2022 usciranno i nati tra il 1956 e il 1959, cioè dai 63 anni che è l’età minima di uscita, ai 66 anni di chi non vuole aspettare il 2023 per la pensione di vecchiaia ordinaria. Servono 30 anni di contributi per disoccupati, invalidi e caregivers, 32 anni per edili e ceramisti, e 36 anni per tutte le altre attività di lavoro gravoso previste. Servono numerosi altri requisiti specifici in base alla categoria, come per esempio l’attività gravosa che deve essere stata svolta per 6 degli ultimi 7 anni o per 7 degli ultimi 10 anni.

La misura scade nel 2022, il 31 dicembre prossimo e non è detto che nel 2023 questa sarò confermata. Per le donne a partire dalle nate nel 1964 e quindi fino alle nate nel 1966, si può sfruttare opzione donna. Infatti l’età minima di uscita per questa misura è pari a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 per le autonome. Insieme all’età minima occorre aver maturato 35 anni di contributi versati. Tutti e due i requisiti erano da completare entro la fine del 2021.

Alcune misure non prevedono limiti di età per le pensioni

A partire dai nati nel 1966, o meglio, dalle nate in tale anno, esiste una misura che permette, con invalidità pensionabile all’80%, di accedere alla pensione con solo 20 anni di contribuzione versata. Si chiama pensione di vecchiaia anticipata con invalidità, che per le donne nel 2022 riguarda le nate tra il 1956 ed le nate nel 1966, mentre per gli uomini dal 1956 al 1961.

C’è poi la pensione anticipata contributiva, destinata a lavoratori con una carriera intera in epoca contributiva. Infatti il primo dei 20 anni di contributi necessari deve essere stato versato dopo il 31 dicembre 1995. La misura parte dai 64 anni, prevede un assegno minimo di almeno 2,8 volte l’assegno sociale e riguarda i nati tra il 1956 ed il 1958. Stessa platea per la quota 102, solo che ai 64 anni di età minima richiesta, occorre aggiungere una carriera di almeno 38 anni di versamenti. Le pensioni con quota 102 sono la soluzione del governo alla fine di quota 100.

Dalle pensioni anticipate ordinarie alla quota 41 per tutti

Esistono poi due misure completamente distaccate da limiti anagrafici. Nello specifico sono quota 41 precoci e pensione anticipata ordinaria. La prima ha una platea identica all’Ape sociale, se non fosse per i lavori gravosi che sono solo 15 categorie per la quota 41 mentre per l’Ape sociale sono molte di più. Inoltre serve che almeno uno dei 41 anni di versamenti siano sopraggiunti prima dei 19 anni di età, anche se non continui.

Per la pensione anticipata ordinaria invece, sempre senza limiti di età la pensione si centra con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Ipotizzare che grazie ad una qualsiasi di queste misure si possano aprire le porte alla quiescenza nel 2022 a chi è nato dopo il 1966 è davvero esercizio azzardato. Significherebbe, anche solo per la quota 41, aver iniziato a lavorare prima dei 15 anni di età ed avere avuto una continuità lavorativa straordinaria. Una continuità tale da averlo portato a 56 anni a poter già accedere alla pensione. Davvero complicato, in un sistema dove per le pensioni i problemi sono davvero tanti e partono dal mondo del lavoro.

La riforma delle pensioni perfetta: ecco come sarebbe

In pensione dal 2023 con nuove misure? Si, ma quali. Domanda lecita questa, soprattutto perché pare che non ci siano tante speranze nemmeno per il 2023, di vedere una profonda riforma del sistema previdenziale. Troppe problematiche più urgenti pare abbia da affrontare il governo italiano. Rimanere ancorati anche nel 2023 alla quota 102 come unica o più o mento tale, alternativa ai vincoli Fornero, pare insufficiente.

Il sistema avrebbe bisogno di altro. Lo si evince non solo dalle proposte dei sindacati o dalle discussioni ai tavoli della politica. Lo si evince anche dalle chat social, dai forum e dai commenti dei diretti interessati, cioè i lavoratori. Ma quale sarebbe una ipotetica riforma delle pensioni che potrebbe essere considerata giusta da tutti?

Alcuni evidenti problemi del sistema pensionistico italiano

Ciò che attualmente manca al nostro sistema pensionistico è la flessibilità in uscita. Quando si parla di flessibilità si parla della possibilità da dare ai lavoratori, di scegliere quando uscire dal lavoro. Dal momento che il sistema previdenziale è contributivo e che più si lavora più si versano contributi, la scelta di andare prima in pensione prendendo meno di assegno, dovrebbe toccare al lavoratore.

Una cosa che oggi non è possibile, o almeno non lo è per tutti. Le alternative alla pensione di vecchiaia a 67 anni sono diverse, questo è vero. Ma parlare di flessibilità non è giusto. Quota 41 precoci e Ape sociale per esempio, sono misure che si rivolgono solo a determinate categorie. I disoccupati, gli invalidi e i caregivers, e nemmeno tutti dal momento che esistono per ogni categoria altri sotto requisiti. E poi i lavori gravosi, con 15 categorie per la quota 41 (dove bisogna essere anche precoci), e molte di più per l’Ape sociale (ma non tutti i lavoratori).

Quota 41 permette di uscire dal lavoro senza limiti di età, l’Ape sociale dai 63 anni. Ma se fai il barista o il falegname, entrambe le misure non sono fruibili.

La flessibilità di quota 100 e quota 102 non è certo una grande cosa

Per rispondere all’esigenza di flessibilità del sistema, i governi che si sono succeduti i questa particolare legislatura, hanno scelto la pensione per quotisti. Ma anche in questo caso, una vera flessibilità non è stata introdotta. Con la quota 100 era consentita l’uscita dai 62 anni di età. Con la quota 102 invece, dai 64 anni di età. In entrambi i casi il limite contributivo era a 38 anni. Troppi per molti lavoratori. Una flessibilità che calza a pennello solo per chi ha avuto la fortuna di avere carriere lavorative lunghe e durature, prive di interruzione e iniziate molto presto.

Per esempio, con la quota 100 un lavoratore per uscire a 62 anni esatti, avrebbe dovuto iniziare a lavorare a 24 anni di età senza più fermarsi dal momento che dei 38 anni di versamenti 35 devono essere effettivi dal lavoro come per le pensioni anticipate ordinarie con 42,10 e 41,10 anni di versamenti. Le altre vie di uscita esistenti sono ancora più limitate come perimetro e con più vincoli, tra importi minimi della pensione da raggiungere (le anticipate contributive o in genere le pensioni per contributivi puri), penalizzazioni da accettare (ricalcolo contributivo di opzione donna) e così via.

Quale sarebbe la giusta riforma delle pensioni?

Se flessibilità deve essere, questa non può che collegarsi alla pensione di vecchiaia. Infatti la normale quiescenza di vecchiaia si centra al raggiungimento dei 67 anni di età ed al contestuale completamento di una carriera contributiva minima di 20 anni. la flessibilità dovrebbe consentire di lasciare il lavoro a qualsiasi età o quasi (magari impostando il limite a 62 o 63 anni), sempre con 20 anni di versamenti.

Questo perché, se il lavoratore decide di accettare la pensione liquidata su 20 anni di carriera, dovrebbe essere libero di farlo. Conscio del fatto che se dai 62 ai 67 anni di età continuasse a lavorare, potrebbe arrivare a 25 anni di carriera e prendere di più di pensione. Sono le regole del sistema contributivo per cui più si versa più si percepisce di assegno. Ma sarebbe anche la soluzione per la pensione di quanti si trovano con perdita di lavoro e con difficoltà oggettive a trovarne un altro (a 62 anni chi perde il lavoro difficilmente per età, ne trova un altro).

E la flessibilità non dovrebbe prevedere penalizzazioni di assegno dal momento che sarebbe già tanto lo scotto da pagare interrompendo la carriera con 20 anni di contributi perdendone 5.

La pensione deve arrivare sempre una volta raggiunta una determinata carriera

E se si parla di carriera, bisogna impostare il limite oltre il quale dovrebbe essere giusto mettersi a riposo. Per esempio 40 anni potrebbero bastare. Le pensioni anticipate di oggi, prevedono soglie vicine ai 43 anni per gli uomini (42,10 per l’esattezza). Per uscire a 60 anni di età una persona dovrebbe aver iniziato a lavorare a 17 anni e poi senza interruzione per completare circa 43 anni di contributi versati. Una enormità evidente questa, che rende le pensioni anticipate non così anticipate come sembra. Infatti chi sfrutta tale misura ormai, arriva sempre più vicino ai 67 anni della pensione di vecchiaia ordinaria.

Infine, bisognerebbe consentire uscite vantaggiose per determinate attività lavorative. Lo stesso principio dell’Ape sociale o della quota 41 oggi in vigore. Ma fissando il limite contributivo a soglie più basse. Un lavoratore edile che ha iniziato tardi a lavorare o che oggi è alle prese con continue interruzioni di lavoro, dovrebbe poter uscire a prescindere dalla carriera. Anche perché ci sono lavori che non hanno nella continuità un loro fattore. Senza considerare ciò che sta accadendo oggi, tra crisi economiche varie da epidemie o guerre. Concedere le pensioni anticipate sarebbe un modo per limitare anche l’uso dell’assistenzialismo, perché al posto di chiedere sussidi che gravano in ugual misura sulle casse dello Stato, meglio andare sulle misure previdenziali.

E poi occorrerebbe alzare i minimi di pensione. Fissare la pensione ad una soglia minima sotto la quale non si deve scendere. Basi pensare che un pensionato con 20 anni di contributi a 67 anni spesso prende meno di un beneficiario del reddito di cittadinanza, magari più giovane e senza alcun contributo versato.

Pensione di vecchiaia, come cambia l’età di uscita dal 2022 al 2030

Arrivano novità sull’età di uscita della pensione di vecchiaia. Nei giorni scorsi, infatti, sono state rese note le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato in merito alla speranza di vita e alla possibilità che il requisito anagrafico della pensione di vecchiaia rimanga congelato fino al 2026. Il che significa che, per andare in pensione, serviranno 67 anni di età, unitamente a 20 anni di contributi, fino al 31 dicembre 2026. Poi l’età della pensione continuerà a salire ogni due anni.

Pensione di vecchiaia, età bloccata sicuramente a 67 anni fino al 31 dicembre 2024

La novità sulle pensioni di vecchiaia arriva dal Documento sulle tendenza del medio e del lungo periodo del sistema pensionistico, sociale e sanitario della Ragioneria Generale dello Stato. Il rapporto sintetizza l’andamento della speranza di vita e dei requisiti necessari per andare in pensione. Tali requisiti dovrebbero rimanere costanti anche nel biennio del 2025 e del 2026. Infatti, proprio nelle scorse settimane l’età della pensione di vecchiaia era stata confermata a 67 anni anche negli anni 2023 e 2024. Tale conferma è arrivata dal decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 ottobre 2021, poi reso operativo dall’Inps con la circolare numero 28 del 18 febbraio 2022. In base a quanto stabilito dal ministero, l’età della pensione di vecchiaia rimarrà congelata a 67 anni fino al 31 dicembre 2024.

Pensioni di vecchiaia nel biennio 2025 e 2026: ecco le tendenze della speranza di vita che fanno pensare al blocco età

Il congelamento dell’età della pensione di vecchiaia anche oltre il 2024 dovrà risultare dalle tendenze demografiche e della speranza di vita che verranno rilevate e confermate nei prossimi anni. Ad oggi, il Documento della Ragioneria Generale dello Stato costituisce una base solida per le proiezioni della speranza di vita. Il congelamento anche al 2025 e 2026 dell’età di uscita per la pensione deriverebbe dall’entrata nel calcolo della speranza di vita degli anni 2020 e 2021, segnati dal cambio di tendenza della mortalità a causa della pandemia da Covid-19.

Pensione di vecchiaia, a che età si potrà uscire da lavoro dal 2027 al 2030?

Per effetto del Rapporto della Ragioneria Generale dello Stato, dunque, l’età della pensione di vecchiaia dovrebbe tornare a salire solo a partire dal 1° gennaio 2027. E dovrebbe tornare ad aumentare ogni due anni a seconda delle stime sulla speranza di vita osservate nei prossimi anni. Per effetto delle stime pubblicate nel rapporto nei giorni scorsi, l’età della pensione di vecchiaia rimarrà costante fino al 31 dicembre 2026 a 67 anni. Poi, nei due anni del 2027 e 2028 dovrebbe salire di 2 mesi, decretando l’età di uscita a 67 anni e due mesi. Più consistente sarebbe l’aumento nel 2029 e 2030, quando si accederà alla pensione di vecchiaia all’età di 67 anni e 5 mesi, con un aumento di tre mesi.

Pensioni di vecchiaia, le proiezioni della Ragioneria Generale dello Stato negli anni dal 2030 al 2065

Peraltro, la Ragioneria Generale dello Stato ha stimato anche l’aumento dell’età per la pensione di vecchiaia nei decenni successivi al 2030. Per effetto delle stime pubblicate nel rapporto, per andare in pensione occorrerà l’età di:

  • 68 anni e due mesi a partire nel 2035;
  • 68 anni e sei mesi nel 2040;
  • 69 anni nel 2045;
  • 69 anni e 4 mesi nel 2050;
  • 69 anni e 9 mesi nel 2055;
  • 70 anni nel 2060;
  • 70 anni e 4 mesi nel 2065.

Pensioni anticipate, quanti anni di contributi serviranno per uscire da lavoro fino al 2026?

Se l’età della pensione di vecchiaia è ancora in bilico nel biennio 2025-2026, per la pensione anticipata fino al 31 dicembre 2026 serviranno:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne.

Il blocco dei requisiti contributivi, a prescindere dell’età di uscita da lavoro, è stato decretato dal provvedimento numero 4  del 2019. Si tratta del decreto che ha istituito la quota 100. Per effetto del provvedimento, dunque, i contributi per le pensioni anticipate rimarranno congelati ancora per oltre quattro anni.

Pensione anticipata, come cambieranno i contributi per uscire da lavoro dal 2027?

Solo a partire dal 1° gennaio 2027 potranno cambiare gli anni di contributi richiesti per le pensioni anticipate. In particolare, il Documento della Ragioneria Generale dello Stato stima gli aumenti dei bienni:

  • 2027 e 2028: 43 anni di contributi per gli uomini, 42 per le donne;
  • 2029 e 2030: 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini, 42 anni e 3 mesi per le donne;
  • 2035: 44 anni di contributi per gli uomini, 43 anni per le donne;
  • 2040: 44 anni e 4 mesi di contributi per gli uomini, 43 anni e 4 mesi per le donne;
  • 2045: 44 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 43 anni e 10 mesi per le donne;
  • 2050: 45 anni e 2 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 2 mesi per le donne;
  • 2055: 45 anni e 7 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 7 mesi per le donne;
  • 2060: 45 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 44 anni e 10 mesi per le donne;
  • 2065: 46 anni e 2 mesi di contributi per gli uomini, 45 anni e 2 mesi per le donne.

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Pensioni: uscita per i nati fino al 1959: il 2022 l’anno buono, ecco le informazioni

Niente di particolarmente rilevante è stato introdotto per le pensioni dalla legge di Bilancio 2022. Le attese sono state vane per chi credeva di trovare nel pacchetto previdenziale della manovra, qualcosa che agevolasse l’uscita dal mondo del lavoro.  Escludendo la nuovissima quota 102, che poi è una rivisitazione di quota 100 con una età pensionabile più alta, poco è cambiato. In effetti le misure che consentono l’uscita dal mondo del lavoro nel 2022 sono più o meno le medesime del 2021.

Confermate Ape sociale e opzione donna, così come le pensioni di vecchiaia ordinarie e le anticipate, oppure quota 41 e diversi scivoli. Fino al 1959 come anno di nascita, non sono poche le misure potenzialmente fruibili da chi intende uscire dal mondo del lavoro nel 2022.

Ecco una sintetica ma approfondita guida a ciò che l’attuale normativa vigente prevede.

Pensioni nati nel 1959 o prima, le varie possibilità

Escludendo lo stop a quota 100 con la sua uscita a 62 anni di età, per il resto tutto è rimasto inalterato nel sistema previdenziale italiano. La nuova quota 102 ha sostituito di nome e di fatto la quota 100. Servono anche nel 2022 gli stessi anni di contributi versati, cioè 38 anni. E come quota 100 anche quota 102 ha il vincolo del divieto di cumulo (fino al compimento dei 67 anni di età),  con redditi da lavoro diversi da quelli da lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro annui.

Anche la quota 102 ha le finestre di e mesi nel settore privato e di 6 mesi nel Pubblico impiego che spostano la decorrenza della prestazione. L’unica novità è che l’età pensionabile minima sale da 62 a 64 anni. Due anni più in là quindi, con le uscite 2022 che diventano appannaggio per chi è nato nel 1958. Possono uscire quelli che completano la combinazione 64+38 entro la fine del 2022, dal momento che la misura nasce sperimentale per soli 12 mesi (dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022).

La pensione per i contributivi con 20 anni di versamenti

A 64 anni e quindi anche per i nati fino al 1958, si può centrare anche una uscita a 64 anni con solo 20 anni di contributi. In questo caso parliamo della pensione anticipata contributiva, che permette le uscite se la pensione liquidata alla data di decorrenza è pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale 2022, quindi circa 1.300 euro al mese (pensione lorda).

Ma occorre pure che il primo contributo versato sia non antecedente il primo gennaio 1996, poiché si tratta di una misura destinata ai cosiddetti contributivi puri.

Per i nati fino al 1959, l’Ape sociale resta un fattore per le pensioni

Il nato nel 1960 rappresenta l’identikit perfetto di chi è stato penalizzato dalla chiusura al 31 dicembre scorso di quota 100. Infatti, se fosse rimasta attiva la misura, questi lavoratori avrebbero potuto sfruttare il canale di uscita agevolato come hanno fatto i nati nel 1959 fino al 31 dicembre scorso.

Proprio i nati nel 1959 che non sono riusciti a rientrare nella quota 100, magari perché si trovavano con meno dei 38 anni di contributi accumulati entro la fine del 2021, nel 2022 potranno sfruttare l’Ape sociale per uscire dal lavoro nonostante la fine di quota 100.

Come funziona l’Ape sociale 2022

È stata infatti confermata l’uscita a partire dai 63 anni con l’Anticipo pensionistico sociale, cioè con l’Ape social. I nati nel 1959 che nel 2022 compiranno, come logica vuole, 63 anni di età, potranno sfruttare l’Ape sociale. Oltre ai già citati  63 anni di età servono almeno 30 anni di contributi. Questo per chi è disoccupato. Stessa cosa per chi è invalido. E ancora, identica possibilità  per chi è soggetto con invalido a carico. Il disoccupato non deve più, essere, da tre mesi privo di Naspi, dopo averla percepita per tutte le mensilità spettanti. Infatti la legge di Bilancio ha cancellato questo paletto.

L’invalidità per l’Ape sociale invece, deve essere pari ad almeno il 75%. Per i cosiddetti caregivers, cioè per chi assiste un familiare invalido grave, residente con lui e a suo carico, tale assistenza deve essere iniziata da almeno 6 mesi prima della domanda di Ape sociale.

Servono 36 anni per uscire con l’Ape sociale come lavoro gravoso. Chi svolge una delle tante attività gravose oggi previste (erano 15 fino all’ultima legge di Bilancio che ne ha allargato il campo a moltissime altre attività), può uscire con 63 anni di età e 36 di contributi, purché tale attività lavorativa sia stata svolta per 6 degli ultimi 7 anni di carriera o per 7 degli ultimi 10.

Solo per alcune categorie, come edili o ceramisti, la soglia scende a 32 anni. Va ricordato che la pensione con l’Ape sociale presenta alcune particolarità molto importanti. Infatti si tratta di una prestazione erogata su 12 mensilità, non reversibile, erogata solo fino ai 67 anni di età e neutra dal punto di vista delle maggiorazioni e degli assegni familiari.