Il punto della situazione sulla riforma delle pensioni, cosa accade adesso?

Anche se ancora devono ripartite i summit tra sindacati e Governo in materia previdenziale, l’argomento pensioni è sempre al centro del dibattito anche politico. Sono diverse le misure che potrebbero fare capolino l’anno prossimo con la nuova legge di Bilancio. Misure che possono piacere o meno, ma che rispondono senza dubbio alle esigenze di qualcuno che vede nella riforma l’unica via per poter lasciare finalmente e in maniera anticipata il lavoro.

la Quota 41 per tutti prima ipotesi di nuove pensioni

Quello che era il cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini, oppure dei sindacati, era e resta la quota 41 per tutti. Si tratta della misura principale su cui già all’epoca dell’introduzione di quota 100 nel sistema, la Lega considerava come il passo successivo alla Riforma e alla cancellazione della legge Fornero. Una misura questa con cui, in pratica, si entra nello scenario di una vera e propria nuova pensione anticipata ordinaria. Infatti sarebbe l’alternativa ai 42,10 anni che servono ai maschi oppure ai 40,10 anni che servono alle donne per le attuali pensioni anticipate. Con questa misura aperta a tutti, chiunque senza limiti di età raggiunge i 41 anni di contributi potrebbe lasciare il lavoro. La misura è altamente costosa per le casse dello Stato e sarebbe un autentico colpo di spugna all’attuale pensione anticipata ordinaria. Per questo si cerca di donare alla misura alcune penalizzazioni che la rendano meno appetibile.

Le penalizzazioni di quota 41 per tutti

Una di queste è senza dubbio il ricalcolo contributivo dell’assegno. Per uscire con 41 anni di contributi senza dover attendere i 42 anni 10 mesi nel caso degli uomini, bisognerebbe accettare un ricalcolo della prestazione con il metodo più penalizzante. Dalle ultime buste paga e retribuzioni, si passerebbe ai contributi versati. Questo significa un netto taglio della prestazione, con penalizzazioni che potrebbero superare di gran lunga il 30%. Questo a fronte di un anno e dieci mesi di anticipo per gli uomini o soltanto 10 mesi per le donne. Che sia una penalizzazione utile a scremare la platea dei potenziali beneficiari è evidente.

La flessibilità per le pensioni, si partirebbe dai 62 anni, ma a che costo?

Un altro cavallo di battaglia, questa volta più dei sindacati che della politica è la pensione flessibile dai 62 anni. In questo caso si cercherebbe una soluzione per permettere a quanti raggiungono questa età, di poter lasciare il lavoro a partire dai 20 anni di contributi versati. La misura sarebbe un toccasana soprattutto per quanti si trovano a svolgere un lavoro talmente pesante da rendere problematica la permanenza dello stesso fine 67 anni di età. Anche perché di penalizzazioni in questo senso ne verrebbero introdotte diverse. Non per volere dei sindacati, che vogliono una misura flessibile neutra da penalizzazioni, ma per volere del governo che deve barare anche ai contributi.

La pensione flessibile dai 62 anni

La pensione flessibile a 62 anni infatti, potrebbe essere introdotta con un taglio lineare di assegno per ogni anno di anticipo. In buona sostanza il pensionato dovrebbe accettare un taglio fra il 2% e il 3% dell’assegno per ogni anno dai 62 ai 67. L’alternativa sarebbe anche in questo caso il ricalcolo contributivo della prestazione, che inciderebbe di meno rispetto alla quota 41 per tutti naturalmente, perché si tratta di carriere più corte partendo dai 20 anni.

La conferma delle pensioni dai 64 anni

Altre ipotesi sono quelle di confermare le uscite a 64 anni come la quota 102 di quest’anno- In questo caso potrebbe entrare nel sistema una pensione per tutti e flessibile proprio dai 64 anni. Ed anche in questo caso con taglio lineare di assegno per tutti gli anni di anticipo. L’alternativa sarebbe quella che richiama alla vecchia proposta di Pasquale Tridico, cioè del presidente dell’INPS. In questo caso a 64 anni si otterrebbe soltanto la parte contributiva della pensione, per poi andare a percepire anche la parte retributiva solo a 67 anni. Un taglio che durerebbe quindi solo lo stretto giro dei tre anni che passano dai 64 e 67.

Ape sociale e opzione donna strutturali

Un’altra via sarebbe la conferma, se non in maniera strutturale quantomeno per un altro anno, di opzione donna è dell’Ape sociale. La prima misura potrebbe essere estesa anche a chi i 58 o 59 anni di età e i 35 anni di contributi li ha completati nel 2022. Infatti la vecchia misura è scaduta il 31 dicembre 2021. In pratica nel 2022 potranno lasciare il lavoro con opzione donna solo le lavoratrici che hanno completato entrambi i requisiti entro la fine dell’anno scorso. L’idea sarebbe quindi di estendere questa possibilità anche a chi questi requisiti di completa nel corso del 2022.

Le pensioni con l’APE anche nel 2023

Per l’Ape sociale invece si tratta di confermare una misura che già oggi è la principale misura su cui la politica è sicura di aver fatto una specie di capolavoro. Si tratta di una misura che permette una pensione anticipata soltanto a determinate categorie di soggetti, tutti con alcune problematiche di varia natura. L’idea sarebbe di rendere strutturare la misura, magari estendendo la possibilità a più lavori gravosi possibile, aumentando i codici Ateco che già a gennaio 2022 hanno subito un grosso incremento. In altri termini si potrebbe allargare la platea dei potenziali beneficiari di una misura, che resterebbe temporanea e limitata.

Come funziona la pensione con l’Ape

L’Ape sociale non può andare oltre i 67 anni di età. Ed è un assegno di accompagnamento alla vera e propria pensione di vecchiaia ordinaria. I beneficiari infatti la prenderebbero a partire dai 63 anni e fino ai 67. E resterebbero tutte le penalità oggi presenti, a partire dal fatto che la misura è erogata su 12 e non su 13 mensilità. Resterebbe il divieto di reversibilità della prestazione in caso di morte dei beneficiario. E resterebbe anche il blocco relativo alle maggiorazioni sociali, all’integrazione al minimo e agli assegni familiari.

Quanti contributi son o necessari per la pensione, la guida misura per misura

Nel sistema previdenziale italiano molto importanti per la pensione sono i contributi versati da un lavoratore. Infatti per andare in pensione non si può prescindere dal versamento dei contributi e pertanto chi non ha mai versato contributi o ne ha versati in misura insufficiente per le regole vigenti, non potrà mai andare in pensione. Naturalmente esistono scappatoie a questa evidente penalizzazione con cui possono avere a che fare le persone che non hanno avuto la fortuna di trovare un lavoro duraturo.

L’Inps e le sue misure assistenziali e non

Ci sono le misure assistenziali da parte dell’Inps, come l’assegno sociale. Oppure la pensione di vecchiaia a 71 anni, quando basteranno 5 anni di contributi versati. Detto ciò, è evidente che più si lavora più è facile andare in pensione. Questa è una regola generale del sistema, ma va sottolineato il fatto che ci sono diverse misure che prevedono diverse carriere, tutte differenti tra loro anche come durata.

La contribuzione è fondamentale per la pensione

Ad ogni misura previdenziale corrisponde una determinata dote di contribuzione. Tutto parte sempre dalla soglia minima di 20 anni di contributi versati. Infatti se è vero che l’età pensionabile canonica che l’intero sistema previdenziale prevede è a 67 anni, è altrettanto vero che i 20 anni di contributi sono la soglia minima di carriera che un lavoratore dovrebbe avere per poter accedere alla pensione di vecchiaia. La soglia dei 20 anni di contributi torna spesso nel sistema, perché è la stessa necessaria per esempio per accedere alla pensione anticipata contributiva, per quanti hanno iniziato a versare dopo l’ingresso della riforma Dini (1996).  Ma 20 anni di contribuzione previdenziale versata possono essere anche troppi per delle deroghe presenti nel sistema anche se ormai praticamente in disuso. Infatti bastano 15 anni di contributi per tutte e tre le deroghe Amato, o per l’opzione Dini. Misure queste che si centrano sempre a 67 anni ma rispettando determinati requisiti previsti dall’Inps.

Carriera lunga? Pensione anticipata

Nettamente più lunghe le carriere che servono per poter accedere alla pensione anticipata. Infatti gli uomini necessitano di 42 anni 10 mesi di versamenti, mentre le donne si fermano a 41 anni 10 mesi. Questa è la pensione anticipata ordinaria che non prevede limiti d’età. Con 41 anni invece si può completare la carriera utile alla quota 41 per i precoci, misura però limitata come platea dei potenziali beneficiari. Infatti lo strumento è destinato soltanto a particolari tipologie di persone, disagiate come lavoro, salute, famiglia o reddito.

Opzione donna e usuranti, quali contributi servono e quanti ne servono per la pensione?

Altre due misure particolari siccome come requisiti che prevedono carriere piuttosto lunghe sono senza dubbio la pensione anticipata contributiva per le donne e l’Anticipo pensionistico a carico dello Stato. La prima è meglio conosciuta come opzione donna, misura che consente il pensionamento alle lavoratrici già a partire dai 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti e da 59 anni di età per le lavoratrici autonome. E 35 anni è la dote necessaria anche per chi rientra nello scivolo per i lavoratori usuranti. In questo caso si può lasciare il lavoro già 61 anni 7 mesi di età. Fermo restando che oltre l’età e i contributi, occorre completare la quota 97,6.

Ape sociale e lavori gravosi, da 30 a 36 anni di versamenti

I lavori gravosi, ad esclusione degli edili e dei ceramisti, possono accedere all’Ape sociale. In questo caso servono 36 anni di contributi. Per i già citati edili e ceramisti la contribuzione versata deve essere pari ad almeno 32 anni. Invece, per invalidi, disoccupati o con invalidi a carico invece l’Ape sociale prevede la soglia dei 30 anni di contributi. Per l’Ape sociale l’età minima di uscita è a 63 anni.

A quali agevolazioni ha diritto il pensionato italiano

In genere quando si va in pensione si percepisce un assegno nove volte su dieci inferiore allo stipendio. In pratica la pensione è sempre inferiore allo stipendio, il che porta il neo pensionato a ridurre i sorrisi vita perché si riduce il reddito prodotto. Per questo la normativa vigente in Italia prevede diverse agevolazioni per i pensionati, agevolazioni che durante la carriera lavorativa magari, non erano fruibili. Tra le svariate agevolazioni che i pensionati hanno a disposizione ce ne sono 7 su quale occorre aprire un Focus.

Agevolazioni per chi è in pensione in Italia

Con un articolo abbastanza esaustivo pubblicato sul sito “Studio Cataldi.it”, vengono elencate le 7 agevolazioni disponibili per i pensionati che forse sono poco conosciute. La prima riguarda uno sconto sulle bollette di luce acqua e gas, cioè sulle bollette delle utenze domestiche. Il pensionato che ha una certificazione ISEE inferiore a 8.266 euro, può godere di questo importante sconto direttamente in bolletta e in automatico presentando la richiesta dell’ ISEE. Lo strumento quindi è il presentare la dichiarazione sostitutiva unica, cioè la DSU all’INPS in modo tale da avere un ISEE in corso di validità. Infatti lo sconto si ha soltanto se ogni gennaio si rinnova l’ISEE.

Le tasse possono essere scontate per i pensionati

Non è una riduzione statale ma comunale, ma è pur sempre un abbattimento della tassazione da versare. Parliamo della TARI, la tassa sui rifiuti solidi urbani, che ogni famiglia deve versare al proprio Comune di residenza. Per i pensionati esistono le riduzioni, ma essendo la tassa, di competenza comunale, occorre verificare le delibere del proprio Comune, per comprendere se esistono queste riduzioni e soprattutto quali sono i requisiti per ottenerle.

I prestiti per il pensionato, a garanzia Inps e in piccole rate mensili

La maggior parte dei pensionati oggi sono liquidati dall’INPS. L’Istituto nazionale di previdenza sociale Italiano Infatti è l’ente pagatore di tutte le prestazioni pensionistiche, comprese quelle degli altri enti che adesso sono confluiti nel INPS. E grazie alle convenzioni che l’Inps ha aperto con degli istituti di credito, i pensionati possono ricorrere ai prestiti a tasso agevolato con trattenute mensili sulla propria pensione. In pratica i pensionati hanno diritto a prestiti in convenzione con l’INPS, da restituire con piccole rate mensili direttamente sul cedolino della pensione. Il vantaggio di questi prestiti è che la rata da versare non potrà mai essere superiore al 20% della pensione incassata. Altro vantaggio di questi prestiti e l’assicurazione, cioè la copertura che mette al riparo da sorprese future in caso di decesso prematuro del pensionato indebitato. Gli eredi di quest’ultimo infatti non verranno in alcun modo influenzati da eventuali debiti lasciati ai superstiti dal

Anche i trasporti o i bollettini postali sono scontate

Viaggiare sui mezzi pubblici per un pensionato può essere più economico rispetto alla generalità degli avventuri di autobus, tram, bus o metropolitana. In base alle fasce reddituali prestabilite, i mezzi di trasporto pubblici offrono sconti per gli avventori se pensionati. Anche in questo caso è il Comune di residenza quello a cui fare riferimento per verificare se è come si può godere di questo trattamento agevolato in materia di trasporto pubblico. Va detto che lo sconto vale sia  su biglietto singolo che sull’abbonamento. Inoltre pagare il bollettino postale agli sportelli di Poste Italiane consente ai pensionati di avere uno sconto sulla tariffa. Lo sconto è pari a €0,60 a bollettino e vale sempre indicando allo sportellista che si tratta di soggetto pensionato. . E di sconto si parla anche per cinema e teatro, perché i pensionati italiani godono di una riduzione del biglietto di ingresso a questi spettacoli se hanno superato i 65 anni di età e sono pensionati. Infine  l’ultima agevolazione prevista è quella del conto corrente, con molti istituti di credito che ormai adottano strumenti di deposito o di gestione del denaro privi di spese o con spese ridotte per chi ha una certa età.

In attesa delle riforma delle pensioni cosa passa l’INPS per accelerare le uscite

Le pensioni sono un argomento caldissimo. Andare in pensione fino a fine 2022 è possibile con una svariata serie di misure. Ma molte di queste rischiano di scomparire a fine anno. Altri invece sono ormai strutturali nel sistema e potranno essere percepite anche nei prossimi anni. Il governo è al lavoro per il varo di quella che dovrebbe essere una riforma delle pensioni, ma che probabilmente non lo sarà. Per questo sono molti i dubbi che attanagliano i lavoratori soprattutto per quelle misure di cui in questi giorni si parla per una ipotetica proroga anche per il 2023. Nel frattempo ciò che va sottolineato è che chi può, potrebbe scegliere di andare in pensione subito in modo tale da non essere colpito da eventuali variazioni normative che potrebbero metterlo in difficoltà come è successo a chi non è riuscito a prendere la quota 100 lo scorso anno.

Le pensioni anticipate restano una possibilità, oggi come ieri e come domani

Quando si parla di pensione anticipata si parla di misure che dovrebbero consentire di anticipare il pensionamento per quanti si trovano con alcuni requisiti utili a superare l’obbligo di uscita dai 67 anni. La prima misura che è strutturale e non scadrà l’anno prossimo è la pensione anticipata ordinaria. Parliamo di quella misura destinata a lavoratori che, a prescindere dall’età, hanno raggiunto i requisiti prestabiliti per la pensione. Sembra pressoché certo che la pensione anticipata resterà con i medesimi requisiti di oggi anche nel 2023 e forse anche degli anni successivi visto il blocco degli adeguamenti dell’aspettativa di vita. Per accedere alla pensione anticipata senza limiti di età, gli uomini devono maturare un anno di contributi in più delle donne. Infatti per i primi servono 42 anni e 10 mesi di contributi versati mentre per le seconde 41 anni 10 mesi. In entrambi i casi 35 anni devono essere neutri da contribuzione figurativa relativa a periodi di disoccupazione indennizzata o di malattia. L’anno scorso la decorrenza della pensione anticipata ordinaria rispetto alla data in cui si maturano i requisiti è stata posticipata di 3 mesi. Questo in virtù  dell’applicazione del sistema della finestra mobile. In altri termini una volta maturati i 42 anni 10 mesi di contributi per gli uomini 41 anni 10 mesi contributi per le donne per ottenere il primo rateo di pensione spettante, devono trascorrere tre mesi.

Per i precoci uscita con meno anni di contribuzione

Alternativa, anche se solo per una piccola platea di lavoratori, alla pensione anticipata ordinaria è la quota 41 per i precoci. La definizione stessa della misura metti in evidenza un primo nodo che quello della dell’essere precoci. Il precoce per quota 41 è colui che ha iniziato a versare contributi prima di aver compiuto i 19 anni di età. Per entrare nella misura servono 41 anni di contributi per uomini e donne ed anche in questo caso 35 di questi devono essere, come per le anticipate ordinarie, neutri da figurativi di malattia e disoccupazione. Detto questo, serve un anno di contributi versato prima del compimento dei 19 anni di età. In questo caso non c’entra niente la continuità, perché l’anno di contributi antecedenti i 19 anni di età può essere versato anche in forma discontinua. La misura però non si rivolge all’intero universo dei lavoratori dipendenti o autonomi, perché riguarda sono i caregivers, gli invalidi, i disoccupati e chi è alle prese con i lavori gravosi. Va ricordato che rispetto a una misura gemella che è l’Ape sociale che vedremo dopo, i lavori gravosi per la quota 41 sono nettamente inferiori di quelli per l’Ape sociale, che sono stati recentemente aggiornati ed ampliati. La qualità di disoccupati, invalidi o caregivers, va centrata rispettando alcuni requisiti particolari che la misura prevede.Per esempio i 3 mesi di assenza di Naspi per disoccupati, oppure il 74% di disabilità accertata sia per gli invalidi che per gli invalidi a cui presta servizio il caregiver.

Pensione di vecchiaia a 67 anni ma non solo

La pensione di vecchiaia invece è quella che prevede una predeterminata soglia di contributi versati ma  anche una determinata età. Pertanto potranno accedere alla pensione di vecchiaia nel 2022 come 2023, coloro i quali completano 67 anni di età e 20 anni di contributi versati. Una variante a questa pensione di vecchiaia è concessa ai cosiddetti contributivi puri che sarebbero i lavoratori che hanno il primo contributo versato dopo il 31 dicembre del 1995. In questo caso si anticipa la quiescenza di 3 anni rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria. La misura si chiama pensione anticipata contributiva, e per centrarla passano vent’anni di contributi. Sia per la pensione anticipata contributiva che per la vecchiaia ordinaria, non esistono finestre mobili di uscita e la decorrenza scatta dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione del diritto alla pensione.

Le misure in bilico per le pensioni

I grandi dubbi provenienti dal sistema previdenziale italiano e che riguardano una nutrita fetta di lavoratori riguardano quelle misure che non è sicuro verranno confermate per l’anno prossimo. Si tratta delle misure tampone che in questi anni hanno fatto capolino nel sistema e che rischiano seriamente di scomparire senza interventi del governo nella legge di Bilancio di fine anno. La prima misura di cui parliamo è senza dubbio l’Ape sociale, misura che ha permesso in questi anni di andare in pensione a molti lavoratori a partire dai 63 anni d’età. La misura come la quota 41, e destinata a determinati soggetti quali sono gli invalidi, i disoccupati, i caregiver e i lavoratori alle prese con mansioni gravose. Come detto per la quota 41 i lavori gravosi destinati all’Ape sociale sono nettamente di più. Infatti il governo nell’ultima manovra ha deciso di estendere la platea dei beneficiari dell’Ape sociale proprio per quanto riguarda lo spaccato del Lavoro gravoso.

Da 36 a 32 anni di contributi per i lavori gravosi e le loro pensioni

Per i lavori gravosi l’Ape sociale si c’entra al completamento dei 63 anni di età con 36 anni di contributi versati. A meno che non si rientri tra gli edili o tra i ceramisti per i quali bastano 32 anni.  Per tutti gli altri, quindi per gli invalidi, i disoccupati e i caregivers, bastano 30 anni di contributi. L’Ape sociale è una misura che non è reversibile in caso di decesso anticipato del pensionato. Inoltre non prevede corresponsione di assegni familiari, maggiorazioni sociali è tredicesima mensilità. L’Ape sociale scade il 31 dicembre 2022. Non è detto quindi che la misura possa essere sfruttata anche l’anno venturo da chi non riesce a completare i requisiti quest’anno.

Opzione donna al bivio tra scadenza, proroga e conferma definitiva

Stesso discorso e stessa scadenza, ma anche stessi rischi di venire depennata alla sistema, riguardano la misura destinata alle lavoratrici, cioè opzione donna. La misura infatti scade il 31 dicembre prossimo, e consente di accedere alla pensione alle lavoratrici che entro lo scorso anno quindi entro il 31 dicembre 2021 hanno completato sia i 58 anni di età che i 35 anni di contributi versati. Per le lavoratrici autonome invece tale limite passa a 59 anni. Opzione donna e anche conosciuta come regime sperimentale donna ed è una misura completamente contributiva. Infatti le lavoratrici che hanno sfruttato la misura hanno dovuto accettare un ricalcolo contributivo del proprio assegno che ha significato una pesantissima penalizzazione sulla pensione. Infatti più anni sono stati versati prima del 1996, più penalizzata è la prestazione offerta da opzione donna.
Proprio il suo nome che è “regime contributivo sperimentale donna” dimostra come si tratta di una misura che è non è strutturale nel sistema ma va confermata ogni anno. Non sono poche le associazioni che chiedono di rendere strutturare la misura in modo tale da farla entrare in pianta stabile nel sistema. Su questo sta lavorando sicuramente il governo proprio in previsione della nuova legge di bilancio di fine anno, dove già si parla però solo di estensione di un altro anno per opzione donna.

La quota 102 al canto del cigno

Anche la quota 102 dovrebbe scomparire nel 2023. Infatti si tratta di una prestazione che è nata in via sperimentale per un solo anno. La misura è stata messa in atto per sostituire di fatto la quota 100 e per evitare che tutti i lavoratori a cui la quota 100 non è stata concessa per via della mancanza dei requisiti al 31 dicembre 2021, di imbattessero nello scalone di 5 anni. Mettendo da parte eventuali diatribe e critiche alla misura, che tutto ha fatto tranne che sostituire quota 100 e che tutto ha fatto tranne che limitare lo scalone per molti lavoratori, resta il fatto che fino a dicembre 2022 con quota 102 i lavoratori possono ancora lasciare il lavoro. In questo caso servono almeno 64 anni di età ed almeno 38 anni di contributi versati. Anche in questo caso dei 38 anni di contributi versati 35 devono essere effettivi.

Gli altri scivoli da qui a fine 2022

Restano ancora attivi diversi altri scivoli però destinati a platee molto molto più ristrette. Per esempio c’è la pensione con invalidità pensionabile. Si tratta di una pensione di vecchiaia che consente però di uscire già dai 56 anni di età per le donne dei 61 anni d’età per gli uomini. In questo caso la misura prevede una invalidità pensionabile pari ad almeno l’80%. E non deve essere soltanto la ASL a certificare tale grado di disabilità con la propria commissione medica. Infatti l’invalidità pensionabile è quella determinata dalla commissione medica INPS. Per questi lavoratori servono almeno 20 anni di contributi. Alcune deroghe come per esempio quella dei lavoratori cosiddetti quindicenni vanno via via scomparendo, anche se resta qualcuno che può continuare a percepire questo genere di prestazioni.

Le deroghe ai requisiti ordinari

Per esempio ci sono i lavoratori che rientrano ancora nella deroga Amato o meglio nelle deroghe Amato perché sono tre. In questo caso servono 67 anni di età e 15 anni di contributi versati. Con la primaderoga possono uscire dal lavoro coloro che hanno già maturato i 15 anni di contributi prima del 1992. Con la seconda deroga invece, si passa ad altro. Possono lasciare il lavoro sempre a 67 anni sempre con 15 anni di contributi coloro i quali sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria. Autorizzati prima del 1992 al versamento dei contributi volontari quindi. Va ricordato che l’autorizzazione INPS alla contribuzione volontaria basta per avere l’accesso alla prestazione. Infatti non serve che i contributi volontari siano stati versati e non serve nemmeno che si sia partiti solo con i primi versamenti. Quindi basta solo l’autorizzazione da parte dell’INPS alla prosecuzione volontaria della contribuzione. La terza deroga invece riguarda quanti sono stati alle prese con carriere lavorative costellate da lavoro discontinuo e intermittente. Per esempio bastano 10 anni di contributi versati per meno di 52 settimane lavorative all’anno. L’anzianità contributiva però in questo caso di 25 anni c’è il primo contributo versato deve essere di 5 anni

La riforma delle pensioni, le ultime novità e gli aggiornamenti

Ed alla fine potrebbe essere una riforma delle pensioni solo teorica. Infatti come spesso accade ogni legge di Bilancio, anche quest’anno le misure che il governo varerà potrebbero essere soltanto misure tampone. La crisi economica di questi anni continua ad essere la priorità dell’esecutivo guidato dal Premier Mario Draghi. Le pensioni sono passate inevitabilmente in secondo piano, a tal punto che già sembra prendere piede il quadro che vuole l’esecutivo impegnato a verificare come confermare alcune misure che invece dovrebbero andare in scadenza a fine anno. Sarebbe il preludio al solito nulla di fatto. Uno scenario al momento plausibile ma niente affatto positivo questo.

Le pensioni del 2023, cosa succede adesso?

Il 2023 potrebbe riproporre le medesime misure di quest’anno, naturalmente come alternative alle misure strutturali del sistema pensionistico italiano. Infatti non è azzardato ipotizzare che sia la quota 102, che l’Ape sociale o addirittura opzione donna, possano essere, per l’ennesima volta,  rinnovate. Le altre misure di cui tanto si parla e che hanno diversi sponsor sia all’interno del governo che tra i sindacati e le associazioni sono misure difficilmente realizzabili. E così che si arriverà gioco forza alla chiusura dell’anno con una riforma rinviata all’anno successivo.

Paradossalmente accade sempre così, con la legge di Bilancio che viene fatta senza grossi interventi, ma con la promessa che l’anno successivo, si interverrà. E si tornerà a parlare del DEF di aprile 2023, della nota di aggiornamento del Documento di economia e finanze e infine del pacchetto previdenziale della nuova legge di Bilancio. Una “tiritera” che si ripete da anni ormai.

Il 2023 un anno buio per le pensioni?

Sembra ormai certo che nessuna nuova misura sulle pensioni potrà vedere i natali nel 2023. Anche se il ministro Orlando ha asserito più volte che le pensioni sono una priorità per l’esecutivo, difficile che si possa arrivare da una fumata bianca per la legge di Bilancio di fine anno. E già si parla di dare un altro anno di vita alla quota 102. La misura che doveva scadere a fine anno, come originariamente deciso, potrebbe allungarsi al 2023. E quindi anche nel 2023 per qualche lavoratore 64 anni potrebbe essere ancora l’età giusta per centrare una uscita anticipare rispetto alla pensione di vecchiaia. Resterebbe il vincolo dei 38 anni di contributi, anche perché cambiare questo significherebbe accettare le proposte di flessibilità totale che ogni tanto emergono e che considerano 20 anni di contributi come il tetto contributivo necessario.

Le ipotesi tirano dentro anche le conferme per OD e Ape sociale

Siamo ancora nel campo delle ipotesi, perché nulla ha deciso, ma appare chiaro che le difficoltà del governo sono ancora tante. Ed anche le priorità sono cambiate. SI è passati dalle pensioni all’emergenza relativa al Covid, poi alla crisi economica e ultimamente anche al conflitto in Ucraina e alla nuova situazione precaria dell’economia globale. Ed ecco che riaffiorano le vecchie misure da prorogare, come un toccasana che permetta di dire che qualcosa si è fatto.

Perché i lavori sono diversi tra loro

Un tipico esempio e anche il fatto che perfino Giuseppe Conte, a nome del Movimento 5 Stelle, ha continuato a ribadire il concetto che la pensione dovrebbe essere anticipata in base alla tipologia di lavoro svolto dai richiedenti. In buona sostanza, una dichiarazione che nasconde dietro una specie di ferma volontà di ritornare ad ampliare la platea dei beneficiari dell’Ape sociale. Ciò non vuol dire che l’Ape sociale verrà rinnovata ancora per un altro anno, ma è sempre un indizio. Differenziare i lavoratori e quindi i pensionati per tipologia di attività svolta è uno dei capisaldi dell’operato dei governi degli ultimi anni. Infatti più che pensioni anticipate per tutti si pensa a misure che consentano alcuni scivoli a poche categorie e poche persone. E così che è accaduto con l’Anticipo pensionistico a carico dello Stato.

Le proroghe delle misure

Fermi gli invalidi, i disoccupati e chi ha invalidi a carico, i lavori gravosi sono in costante aggiornamento. Si era partiti con 11 categorie, salvo poi passare a 15 e adesso ad un numero ancora più alto con una marea di codici Ateco da considerare. E pure Opzione donna ha le sue possibilità di essere ripescata dal governo ed estesa anche a quelle lavoratrici che completano i requisiti nel 2022. Tanto, per quanto costa allo Stato, Opzione donna è sempre un buon affare. Il fatto che il costo della misura si faccia ricadere quasi completamente sulle lavoratrici, mette la misura in una condizione di assoluta fattibilità. Con il taglio fino al 30% che la misura offre alle lavoratrici che devono accettare il calcolo del loro assegno con il metodo contributivo, è evidente che le possibilità che la misura continui ad essere fruibile è assai elevata.

E le nuove misure sulle pensioni ancora al palo

La quota 41 per tutti è poco meno di un autentico sogno. Infatti consentire a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi e senza alcun limite di età, significherebbe cancellare la pensione anticipata e ribattezzarla come fece la Fornero a suo tempo, quando cancellò le pensioni di anzianità e coniò quelle anticipate. La pensione flessibile senza tagli di assegno con 62 anni di età e 20 anni di contributi che vorrebbero i sindacati è sullo stesso piano. Significherebbe cancellare per sempre le pensioni di vecchiaia, o al più, ridurre i potenziali richiedenti di questa misura a poche migliaia di pensionati.

Perché la flessibilità per le pensioni resta complicata a 62 anni

Solo chi ha un lavoro “comodo” e cerca di prendere qualche decina di euro in più al mese accetterebbe di restare al lavoro fino a 67 anni, rimandando una possibile uscita a 62 anni con 20 anni di contributi. Tutte le altre proposte, che prevedono tagli e penalizzazioni, sarebbero duramente represse dai sindacati, che viaggiano in maniera diametralmente opposta al governo in materia di tagli alla pensioni.

Deducibilità dei contributi previdenziali anche per i familiari a carico e fondo pensione: come procedere?

Come procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore di familiari a carico nel modello 730 della dichiarazione dei redditi? Ci si riferisce sia ai contributi obbligatori che a quelli volontari. Tra questi ultimi sono inclusi anche i contributi di adesione ai fondi pensione che si possono dedurre dal reddito totale ai fini dell’Irpef. Leggiamo dunque quali sono le regole da seguire in sede di dichiarazione dei redditi, quali sono i limiti della deducibilità dei contributi e le condizioni affinché possano essere dedotti da quanto versato a favore dei familiari a carico.

Contributi previdenziali per i familiari a carico: come riportarli nel modello 730 per la dichiarazione dei redditi?

Per la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore dei familiari a carico si utilizza la Sezione II del quota E del modello 730, ai fini della dichiarazione dei redditi. In questa sezione, infatti, si possono iscrivere le spese e gli oneri ai quali si è fatto fronte durante l’anno di imposta. La condizione essenziale per la detraibilità è quella che prevede che i contributi non siano già stati inseriti dal datore di lavoro per determinare il reddito da lavoro dipendente o il reddito assimilato.

Quando è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali?

In quest’ultimo caso, è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito imponibile. Le informazioni sulla deducibilità si possono leggere sulla Certificazione unica. Spetta, dunque, al contribuente procedere con una verifica della correttezza degli importi portati a deduzione rispetto agli ammontari riportati nel modello 730.

Contributi della previdenza obbligatoria e deducibilità nella dichiarazione dei redditi

Se si tratta di contributi della previdenza obbligatoria, si procede con la sottrazione dal reddito complessivo dell’importo dei contributi previdenziali obbligatori oppure volontari, versati alle varie gestioni previdenziali. La sottrazione può essere fatta fino alla concorrenza del reddito totale e anche a favore dei familiari a carico.

Familiari a carico, qual è il limite del reddito per procedere con la deduzione dei contributi?

Peraltro, sono considerati a carico (e dunque si può procedere alla deduzione dei contributi previdenziali versati a loro favore) i familiari che abbiano:

  • un reddito che non eccede i 2.840,51 euro;
  • i figli entro l’età di 24 anni che non abbiano un reddito eccedente i 4 mila euro.

Come si procede con la deduzione nel modello 730 di dichiarazione dei redditi dei contributi obbligatori versati per i familiari a carico?

Per procedere con la deduzione dei contributi obbligatori versati a favore dei familiari a carico si deve far riferimento alla Sezione II del modello 730, nel quadro E e al rigo 21. Anche in questo caso, è necessario che i contributi, volontari od obbligatori, non siano stati già dedotti dal datore di lavoro. In tale situazione, la verifica deve essere fatta confrontando quanto riportato nel modello 730 con il punto 431 della Certificazione unica. La verifica, pertanto, deve mirare a confrontare gli importi relativi a questa tipologia di oneri e ai corrispondenti importi.

Contributi volontari versati alla gestione previdenziale: quali sono e come procedere con la deducibilità?

Accanto ai contributi obbligatori versati alla gestione previdenziale, si possono dedurre anche quelli volontari. Si tratta, in particolare, dei contributi versati in via facoltativa alla gestione alla quale si appartiene e in ottica di ricongiunzione di periodi contributivi. Ma si applicano le stesse regole anche per i versamenti occorrenti per il riscatto della laurea, sia ai fini delle future pensioni che per la buonuscita. E, inoltre, nel caso di contributi versati per scelta volontaria. Rientrano tra i versamenti facoltativi anche i contributi versati dal coniuge superstite e intestati al coniuge defunto. In questo caso, si provvede a proseguire nella contribuzione a favore di eredi che possano beneficiare di trattamenti di pensione.

Quali sono i contributi previdenziali che non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi?

Non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi i seguenti contributi previdenziali:

  • importi versati all’Inps per richiedere l’abolizione del divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensioni di anzianità (ad esempio, quota 100 o quota 102);
  • somme versate all’Inps per regolarizzare periodi contributivi pregressi;
  • importi versati all’Inps per le sanzioni e i relativi interessi moratori dovuti per aver violato il versamento dei contributi.

Come dedurre i contributi versati al fondo pensione nella dichiarazione dei redditi?

Analogamente ai contributi obbligatori e facoltativi ai fini previdenziali, dalla dichiarazione dei redditi si possono dedurre anche i contributi versati al fondo pensione in vista della previdenza complementare. Relativamente a questa tipologia di contributi, e a differenza dei contributi obbligatori e facoltativi, il contribuente può non compilare il quadro E del modello 730 nel caso in cui non abbia contribuzione da far valere ai fini della dichiarazione dei redditi. Questa situazione si può verificare nel caso in cui mancano ulteriori contributi o premi non dedotti inerenti la previdenza complementare. In questo caso, nella Certificazione unica, al punto 413, non è riportato alcun importo.

Previdenza complementare, qual è il limite di deduzione dei contributi?

Invece, nel caso in cui il contribuente abbia pagato dei contributi alla previdenza complementare senza l’intermediazione del sostituto di imposta, risulta necessario compilare i campi del modello 730 relativi al quadro E. Il limite della deducibilità dei contributi versati al fondo pensione è di 5.174,57 euro. Nel caso in cui i contributi sono versati al fondo pensione per il tramite del sostituto di imposta, i relativi importi si ritrovano nel quadro E al rigo E 27. Il confronto si può fare con gli importi inseriti nella Certificazione unica, ai punti 412 e 413. In questo caso, i due campi si popolano se è stato riportato il codice “1” al punto 411. Infine, nel caso in cui i contributi sono stati pagati al fondo pensione senza ricorrere al sostituto di imposta, è il contribuente stesso a dover indicare l’importo dei versamenti e la relativa deducibilità.

Pensioni, come uscire prima con cumulo e ricongiunzione dei contributi?

Come si può andare in pensione prima procedendo con il cumulo o la ricongiunzione dei contributi? Alcuni casi aiutano a valutare i due istituti previdenziali per arrivare alla scelta migliore. Ad esempio, un lavoratore che abbia superato di qualche anno i 60 anni e che abbia maturato contributi presso più gestioni (25 anni da lavoratore dipendente, contributi presso la gestione ex Enpals e anche qualche mese alla Gestione separata dell’Inps), può valutare di unire i versamenti per arrivare prima alla pensione.

Ricongiunzione dei contributi ai fini della pensione, di cosa si tratta?

Ai fini della pensione, con la ricongiunzione dei contributi versati presso differenti gestioni previdenziali si permette di:

  • accentrare i versamenti tutti in una delle gestioni presso la quale siano stati versati contributi;
  • ottenere la pensione dalla gestione previdenziale prescelta;
  • rateizzare e dedurre fiscalmente il costo dell’operazione che ammonta al 50% della differenza tra l’onere teorico di ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi.

Pensioni anticipate, come procedere con il cumulo gratuito dei contributi?

Con il cumulo dei contributi versati, disciplinato dalla legge di Bilancio 2017, il lavoratore può unire i versamenti effettuati nella vita lavorativa presso più gestioni previdenziali, sia private che pubbliche. Il cumulo dei contributi si può richiedere per ottenere i seguenti trattamenti previdenziali:

  • la pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • le pensioni di vecchiaia;
  • l’inabilità;
  • le pensione dei superstiti.

Pensioni, quale è più conveniente tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Quale scelta è più conveniente per i lavoratori prossimi alla pensione, il cumulo dei contributi o la ricongiunzione? In entrambi i casi, l’assegno delle pensioni saranno determinate dall’unione di almeno due gestioni previdenziali. In linea di massima, si può affermare che, pur non comportando degli oneri, il cumulo pensionistico produce minori vantaggi in termini di pensione rispetto alla ricongiunzione.

Come andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni unendo i contributi?

Nel caso del lavoratore sopra descritto, se il contribuente proviene dal sistema previdenziale misto (quindi con una parte dei contributi versati entro il 31 dicembre 1995) si può pensare di andare in pensione anticipata a 64 anni di età. Tale possibilità vige nel caso in cui il lavoratore abbia almeno un contributo versato entro il 1996. Facendo il computo nella gestione separata e riunendo le varie gestioni previdenziali, il lavoratore può andare in pensione a 64 anni:

  • se accetta il ricalcolo della pensione con il solo meccanismo previdenziale misto;
  • rispettando uno dei requisiti legati all’assegno di pensione. Ovvero, l’importo del futuro trattamento previdenziale deve essere pari ad almeno 2,8 volte quello della pensione sociale. Per il 2022, dunque, tale importo è fissato in 1.310,68 euro.

Pensione anticipata contributiva, chi può andare uscire prima?

In ogni modo, se il lavoratore ha iniziato a versare i contributi in data successiva al 31 dicembre 1995, la possibilità di andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni è sempre riconosciuta. Tuttavia, i contributi versati alla Gestione separata dell’Inps daranno diritto a una parte della pensione a decorrere dalla vecchiaia. Dunque, a decorrere dai 67 anni di età. Procedendo, invece, con il cumulo di tutte e tre le gestioni previdenziali presso le quali il lavoratore abbia versato i contributi, il richiedente potrebbe godere contemporaneamente di tutte e tre le quote di pensione.

Lavoratore con contributi in due gestioni previdenziali differenti: la possibilità di procedere con il cumulo o la ricongiunzione

Nel caso in cui un lavoratore, appartenente al sistema previdenziale misto, abbia contributi versati in due gestioni, si può pensare a quale convenga di più tra ricongiunzione e cumulo. Ad esempio, se un lavoratore ha iniziato a contribuire dal 1990 e per 20 anni ha versato contributi al fondo telefonici e successivamente come dipendente di un’impresa privata, le alternative sono due. La prima consisterebbe nel  trasferire i contributi presso una sola delle due gestioni (ricongiunzione). Con tale istituto, la scelta del lavoratore non andrebbe a incidere con l’uscita anticipata, ma direttamente sull’assegno di pensione. La scelta sarebbe valida anche per accedere a specifiche formule di pensione che non sono consentite con il cumulo dei contributi.

Pensioni anticipate con il cumulo gratuito dei contributi: possibilità anche per i liberi professionisti

Con il cumulo dei contributi, invece, il lavoratore può ricongiungere gratuitamente i versamenti effettuati presso più gestioni. Il contribuente raggiungerebbe la pensione sulla base delle quote di assegno spettanti da ciascuna delle gestioni previdenziali. Peraltro il cumulo gratuito dei contributi è previsto anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali. Nel caso in cui il professionista abbia contributi versati anche da lavoratore dipendente, si possono unire i periodi di lavoro e di versamenti non coincidenti per arrivare prima:

  • alla pensione di vecchiaia;
  • a quella anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41 anni e 10 mesi).

Uscita da lavoro per i liberi professionisti con il cumulo dei contributi

Peraltro, per i contributi versati alla Cassa previdenziale è necessario che il libero professionista presti attenzione ai requisiti richiesti dalla gestione previdenziale stessa. Ad esempio, per la pensione di vecchiaia degli ingegneri iscritti a Inarcassa, il requisito da maturare è pari a 34 anni e sei mesi di contributi. Si tratta di un requisito ben più gravoso rispetto a quello previsto dall’Inps che per la pensione di vecchiaia richiede venti anni di contributi versati.

La ricongiunzione può essere richiesta per i lavoratori autonomi iscritti alle Casse previdenziali?

I liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali non possono richiedere la ricongiunzione dei contributi. Pertanto, chi volesse arrivare alla pensione mediante ricongiunzione onerosa dei contributi versati alle Casse previdenziali e alla gestione dell’Inps come lavoratore alle dipendenze, può semplicemente attendere l’età della vecchiaia per ottenere un supplemento di pensione.

Pensioni, conviene di più la ricongiunzione o il cumulo dei contributi?

Ai fini della pensione, quale conviene di più, la ricongiunzione o il cumulo dei contributi? Per rispondere alla domanda è necessario sapere che la ricongiunzione può comportare delle spese, ma un maggiore vantaggio in termini di assegno di pensione. Il cumulo, invece, è sempre gratuito ma assicura minori vantaggi per la futura pensione. L’esigenza di procedere con la ricongiunzione dei contributi o con il cumulo può presentarsi al superamento dei 60 anni per valorizzare gli anni di contributi versati in rapporto alla propria carriera lavorativa. E, inoltre, si possono unire le contribuzioni versate in differenti gestioni previdenziali.

Ricongiunzione dei contributi, che cos’è e come incide sulle pensioni?

Con la ricongiunzione dei contributi ai fini delle pensioni si procede ad accentrare in una sola gestione pensionistica i contributi versati presso diverse previdenze. Esercitando questa opzione, i contributi maturati vengono trasferiti nel fondo che accentra tutte le previdenze. L’operazione consente, dunque, di presentare domanda di pensione al fondo accentratore. La legge numero 29 del 1979 prevede la possibilità di concentrare i contributi tra le varie gestioni Inps in 2 modalità.

Come può avvenire la ricongiunzione dei contributi?

La prima direzione del ricongiungimento dei contributi ai fini delle pensioni è quella prevista dall’articolo 1 della legge numero 29 del 1979. Ovvero, il trasferimento dei contributi versati può avvenire per accentrarli dai fondi di gestione sostitutiva e alternativa all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago) al fondo lavoratori del settore privato. Nei fondi alternativi rientrano, a titolo di esempio, anche i lavoratori ex Inpdap. La seconda modalità di trasferimento consente di spostare i contributi verso i fondi differenti dal fondo pensioni dei contribuenti del settore privato.

Ricongiunzione dei contributi, quanto costa?

Le due operazioni di ricongiunzione dei contributi hanno un costo. L’onere che il contribuente deve sostenere corrisponde al 50% della differenza tra l’onere teorico della ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi inerenti trasferiti nel fondo accentrante. Tale meccanismo è disciplinato dalla circolare dell’Inps numero 142 del 2010.

Deducibilità dei costi sostenuti per la ricongiunzione dei contributi: come avviene?

L’operazione, in ogni modo, può avere un quale vantaggio per l’aspetto della deducibilità dei costi sostenuti per il trasferimento dei contributi. La deducibilità degli oneri dal reddito è disciplinata dalla lettera e), del comma 1, dell’articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi. Si può procedere con la rateizzazione senza l’applicazione di interessi. Il numero delle rate è calcolato in tante mensilità quanto è il periodo di tempo della ricongiunzione. Pertanto, la ricongiunzione può essere richiesta anche quando il lavoratore è attivo sul lavoro.

Cumulo dei contributi ai fini delle pensioni, quando si può fare?

Il cumulo dei contributi era stato introdotto dalla legge numero 228 del 2012 e poi modificato integralmente dalla legge numero 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017). La possibilità di procedere con il cumulo dei contributi è prevista per le seguenti tipologie di pensione:

  • pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • pensioni di vecchiaia;
  • inabilità;
  • pensione dei superstiti.

Il cumulo può essere esercitato per i contributi versati in tutte le gestioni previdenziali. Dunque, sia quelle private che quelle pubbliche e non vi è un prerequisito dei contributi stessi.

Cumulo dei contributi, si può utilizzare anche per le Casse previdenziali?

Il cumulo dei contributi può essere utilizzato anche per i versamenti effettuati presso le Casse professionali. In tal caso, il cumulo opera per i periodi lavorativi e contributi che non coincidono con altre gestioni previdenziali. L’obiettivo dello strumento è quello di permettere il raggiungimento dei requisiti richiesti per le pensioni anticipate, di vecchiaia, per la quota 102 (come previsto dalla legge di Bilancio 2022), per le pensioni ai superstiti e di inabilità. Devono essere, dunque, rispettati i requisiti fissati dalla legge Fornero (legge numero 214 del 2011) per le pensioni anticipate ordinarie e di vecchiaia. In merito alla pensione di inabilità, i requisiti sono fissati dalla legge numero 222 del 1984.

Quale differenza c’è tra ricongiungimento dei contributi e cumulo?

Rispetto a quanto abbiamo visto per il ricongiungimento dei contributi, con il cumulo non si ha il trasferimento dei contributi da una gestione previdenziale a un’altra. La pensione spettante viene calcolata per quote secondo i meccanismi previdenziali di ciascuna gestione previdenziale. La distinzione è stabilita dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017. Se un contribuente ha maturato anni di contributi entro il 31 dicembre 1995, l’assegno di pensione viene calcolato con il metodo retributivo ma secondo le regole fissate da ciascuna gestione previdenziale (ad esempio, Inps ed  ex Inpdap).

Pensione, quale conviene di più tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Il trattamento pensionistico, dunque, sarà il risultato delle pensioni calcolate dalle due gestioni previdenziali. Inoltre, pur essendo gratuito, il cumulo pensionistico comporta minori vantaggi rispetto alla ricongiunzione in termini di assegno pensionistico.

Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?

Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.

Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata

Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.

Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?

Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.

Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni  dall’inflazione

Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.

Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104

La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.

Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’

Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.

Pensioni, per Antonio Tajani ‘quota 104 è meglio di quota 41’

Quella di Antonio Tajani sarebbe una proposta di riforma delle pensioni che andrebbe ad assicurare l’uscita a chi ha parecchi anni di contributi e, probabilmente, accontenterebbe Bruxelles sui requisiti minimi dal momento che nei giorni scorsi è arrivata dall’Europa la bocciatura sia per la quota 102 che per la quota 100. Per il coordinatore di Forza Italia è occorrente “dare vita ad una nuova riforma che tuteli i contribuenti di oltre 60 anni di età, ma anche i giovani lavoratori”.

Riforma pensioni 2023, probabili tavoli delle trattative con i sindacati in autunno

La bocciatura di Bruxelles, peraltro, ha reso ancora più difficoltosa una riforma delle pensioni che riesca a mettere d’accordo partiti politici, sindacati, lavoratori e imprese. Dopo aver lavorato sui dossier ritenuti più urgenti e dettati dall’emergenza in Ucraina, Mario Draghi potrebbe sedersi al tavolo delle trattative per le nuove pensioni in autunno, quando la riforma dovrà trovare collocazione legislativa nella Manovra di Bilancio 2022.

Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché

Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:

  • dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
  • dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.

Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale

A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:

  • la situazione di disoccupazione;
  • lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
  • lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
  • l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.

Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?

Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:

  • quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
  • valori elevati per tutta la durata;
  • 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.

Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno

Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.

Ape sociale e reddito di cittadinanza, si possono percepire insieme?

Si possono percepire insieme sia la pensione con Ape sociale che il reddito di cittadinanza? Il rapporto tra le due indennità non prevede limitazioni. Infatti, il decreto legge numero 4 del 2019, che ha istituito il reddito di cittadinanza, non ha previsto alcuna forma di incompatibilità e, pertanto, di incumulabilità sia parziale che totale, con l’anticipo pensionistico. Ma è necessario fare alcune precisazioni importanti sull’importo del reddito di cittadinanza che risulta influenzato dalla percezione della pensione con Ape sociale.

Compatibilità e cumulabilità dell’Ape sociale con Naspi, Dis coll, Iscro e reddito di emergenza

Inoltre, altri per altri trattamenti corrisposti dall’Inps, come il reddito di emergenza, la Naspi, la Dis coll e l’Iscro, è necessario prestare attenzione sulla compatibilità e cumulabilità con l’Ape sociale. L’eventuale percezione di uno di questi trattamenti non avendone diritto perché già beneficiari dell’Ape sociale, comporta la situazione di percezione indebita e di recupero da parte dell’Inps.

Compatibilità di reddito di cittadinanza, Naspi, Dis coll, Ape sociale: i riferimenti normativi

Sulla compatibilità del reddito di cittadinanza e dell’Ape sociale, la disciplina di riferimento è contenuta nel comma 8, dell’articolo 2 del decreto legge numero 4 del 2019. La norma stabilisce che “il reddito di cittadinanza è compatibile con il godimento della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi) e dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata (Dis coll), di cui rispettivamente all’articolo 1 e all’articolo 15 del decreto legislativo 4 marzo 2015, numero 22, e di altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni di cui al presente articolo. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee)”.

Prendere la pensione con Ape sociale è rilevante per la concessione del reddito di cittadinanza?

Il contribuente che percepisce, dunque, la pensione con l’anticipo pensionistico sociale può aver diritto a ricevere anche il reddito di cittadinanza. Di conseguenza, non essendoci una norma che vieti espressamente la contemporanea fruizione dei due istituti, i due trattamenti si possono considerare compatibili. Infine, nell’erogazione dell’Ape sociale, l’Inps valuta preventivamente la presenza di specifici requisiti da parte del richiedente. Tuttavia, l’importo dell’anticipo pensionistico va a concorrere a formare il reddito della famiglia. E, pertanto, incide sull’importo dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). La fruizione dell’anticipo pensionistico sociale va a incidere direttamente sia sul diritto a ricevere il reddito di cittadinanza, sia sul suo importo mensile.

Pensioni con anticipo pensionistico sociale e reddito di emergenza: i rapporti

Peraltro, anche altri istituti si possono mettere in relazione con la fruizione del trattamento pensionistico Ape sociale. Ad esempio, il reddito di emergenza (Rem). Questa prestazione è stata introdotta a favore di specifici nuclei familiari in condizioni di necessità derivante dall’emergenza sanitaria ed economica conseguente alla pandemia di Covid-19. Il trattamento emergenziale è stato introdotto dall’articolo 36 del decreto legge numero 73 del 25 maggio 2021, poi convertito nella legge numero 106 de 23 luglio 2021. Ad oggi non è stato più reintrodotto questo istituto. Ma sono ancora in corso di pagamento alcune rate.

Chi prende già l’anticipo pensionistico sociale può ricevere anche il reddito di emergenza (Rem)?

Differentemente dal reddito di cittadinanza, chi percepisce già la pensione con Ape sociale non ha diritto a ricevere anche il reddito di emergenza. Infatti, la fruizione dell’indennità previdenziale comporta il venir meno del presupposto alla base del reddito di emergenza. Ovvero la situazione di difficoltà economica nella quale può venirsi a trovare una famiglia in conseguenza dell’emergenza sanitaria. In tal senso, emerge la funzione dell’Ape sociale quale indennità di accompagnamento del contribuente alla pensione di vecchiaia.

Perché il percettore dell’Ape sociale non può prendere il reddito di emergenza (Rem)?

Il sostegno del reddito di emergenza è riconosciuto in presenza di specifici requisiti e comporta la percezione di un importo mensile da parametrarsi in base alla situazione del percettore. L’importo massimo che l’Inps eroga come Ape sociale può arrivare a 1.500 euro lordi. Nel caso in cui dei contribuenti avessero percepito il reddito di emergenza in presenza dell’Ape sociale, i due trattamenti si sovrapporrebbero. Pertanto, ciò costituirebbe una prestazione indebita che comporterebbe il recupero da parte dell’Inps di quanto non dovuto.

Ape sociale, si può prendere insieme anche l’Iscro?

Particolare attenzione deve essere prestata da chi percepisce l’Iscro, l’indennità prevista dai commi da 386 a 400 della legge numero 178 del 2020. La circolare dell’Inps numero 94 del 30 giugno 2021 ha chiarito che la percezione dell’anticipo pensionistico sociale e l’Iscro sono incompatibili. Anche in questo caso, la percezione indebita comporta il recupero da parte dell’Inps.