Anche se ancora devono ripartite i summit tra sindacati e Governo in materia previdenziale, l’argomento pensioni è sempre al centro del dibattito anche politico. Sono diverse le misure che potrebbero fare capolino l’anno prossimo con la nuova legge di Bilancio. Misure che possono piacere o meno, ma che rispondono senza dubbio alle esigenze di qualcuno che vede nella riforma l’unica via per poter lasciare finalmente e in maniera anticipata il lavoro.
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Quanti contributi son o necessari per la pensione, la guida misura per misura
Nel sistema previdenziale italiano molto importanti per la pensione sono i contributi versati da un lavoratore. Infatti per andare in pensione non si può prescindere dal versamento dei contributi e pertanto chi non ha mai versato contributi o ne ha versati in misura insufficiente per le regole vigenti, non potrà mai andare in pensione. Naturalmente esistono scappatoie a questa evidente penalizzazione con cui possono avere a che fare le persone che non hanno avuto la fortuna di trovare un lavoro duraturo.
L’Inps e le sue misure assistenziali e non
Ci sono le misure assistenziali da parte dell’Inps, come l’assegno sociale. Oppure la pensione di vecchiaia a 71 anni, quando basteranno 5 anni di contributi versati. Detto ciò, è evidente che più si lavora più è facile andare in pensione. Questa è una regola generale del sistema, ma va sottolineato il fatto che ci sono diverse misure che prevedono diverse carriere, tutte differenti tra loro anche come durata.
La contribuzione è fondamentale per la pensione
Ad ogni misura previdenziale corrisponde una determinata dote di contribuzione. Tutto parte sempre dalla soglia minima di 20 anni di contributi versati. Infatti se è vero che l’età pensionabile canonica che l’intero sistema previdenziale prevede è a 67 anni, è altrettanto vero che i 20 anni di contributi sono la soglia minima di carriera che un lavoratore dovrebbe avere per poter accedere alla pensione di vecchiaia. La soglia dei 20 anni di contributi torna spesso nel sistema, perché è la stessa necessaria per esempio per accedere alla pensione anticipata contributiva, per quanti hanno iniziato a versare dopo l’ingresso della riforma Dini (1996). Ma 20 anni di contribuzione previdenziale versata possono essere anche troppi per delle deroghe presenti nel sistema anche se ormai praticamente in disuso. Infatti bastano 15 anni di contributi per tutte e tre le deroghe Amato, o per l’opzione Dini. Misure queste che si centrano sempre a 67 anni ma rispettando determinati requisiti previsti dall’Inps.
Carriera lunga? Pensione anticipata
Nettamente più lunghe le carriere che servono per poter accedere alla pensione anticipata. Infatti gli uomini necessitano di 42 anni 10 mesi di versamenti, mentre le donne si fermano a 41 anni 10 mesi. Questa è la pensione anticipata ordinaria che non prevede limiti d’età. Con 41 anni invece si può completare la carriera utile alla quota 41 per i precoci, misura però limitata come platea dei potenziali beneficiari. Infatti lo strumento è destinato soltanto a particolari tipologie di persone, disagiate come lavoro, salute, famiglia o reddito.
Opzione donna e usuranti, quali contributi servono e quanti ne servono per la pensione?
Altre due misure particolari siccome come requisiti che prevedono carriere piuttosto lunghe sono senza dubbio la pensione anticipata contributiva per le donne e l’Anticipo pensionistico a carico dello Stato. La prima è meglio conosciuta come opzione donna, misura che consente il pensionamento alle lavoratrici già a partire dai 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti e da 59 anni di età per le lavoratrici autonome. E 35 anni è la dote necessaria anche per chi rientra nello scivolo per i lavoratori usuranti. In questo caso si può lasciare il lavoro già 61 anni 7 mesi di età. Fermo restando che oltre l’età e i contributi, occorre completare la quota 97,6.
Ape sociale e lavori gravosi, da 30 a 36 anni di versamenti
I lavori gravosi, ad esclusione degli edili e dei ceramisti, possono accedere all’Ape sociale. In questo caso servono 36 anni di contributi. Per i già citati edili e ceramisti la contribuzione versata deve essere pari ad almeno 32 anni. Invece, per invalidi, disoccupati o con invalidi a carico invece l’Ape sociale prevede la soglia dei 30 anni di contributi. Per l’Ape sociale l’età minima di uscita è a 63 anni.
A quali agevolazioni ha diritto il pensionato italiano
Agevolazioni per chi è in pensione in Italia
Le tasse possono essere scontate per i pensionati
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In attesa delle riforma delle pensioni cosa passa l’INPS per accelerare le uscite
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Per i precoci uscita con meno anni di contribuzione
Pensione di vecchiaia a 67 anni ma non solo
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Da 36 a 32 anni di contributi per i lavori gravosi e le loro pensioni
Opzione donna al bivio tra scadenza, proroga e conferma definitiva
La quota 102 al canto del cigno
Gli altri scivoli da qui a fine 2022
Le deroghe ai requisiti ordinari
La riforma delle pensioni, le ultime novità e gli aggiornamenti
Ed alla fine potrebbe essere una riforma delle pensioni solo teorica. Infatti come spesso accade ogni legge di Bilancio, anche quest’anno le misure che il governo varerà potrebbero essere soltanto misure tampone. La crisi economica di questi anni continua ad essere la priorità dell’esecutivo guidato dal Premier Mario Draghi. Le pensioni sono passate inevitabilmente in secondo piano, a tal punto che già sembra prendere piede il quadro che vuole l’esecutivo impegnato a verificare come confermare alcune misure che invece dovrebbero andare in scadenza a fine anno. Sarebbe il preludio al solito nulla di fatto. Uno scenario al momento plausibile ma niente affatto positivo questo.
Le pensioni del 2023, cosa succede adesso?
Il 2023 potrebbe riproporre le medesime misure di quest’anno, naturalmente come alternative alle misure strutturali del sistema pensionistico italiano. Infatti non è azzardato ipotizzare che sia la quota 102, che l’Ape sociale o addirittura opzione donna, possano essere, per l’ennesima volta, rinnovate. Le altre misure di cui tanto si parla e che hanno diversi sponsor sia all’interno del governo che tra i sindacati e le associazioni sono misure difficilmente realizzabili. E così che si arriverà gioco forza alla chiusura dell’anno con una riforma rinviata all’anno successivo.
Paradossalmente accade sempre così, con la legge di Bilancio che viene fatta senza grossi interventi, ma con la promessa che l’anno successivo, si interverrà. E si tornerà a parlare del DEF di aprile 2023, della nota di aggiornamento del Documento di economia e finanze e infine del pacchetto previdenziale della nuova legge di Bilancio. Una “tiritera” che si ripete da anni ormai.
Il 2023 un anno buio per le pensioni?
Sembra ormai certo che nessuna nuova misura sulle pensioni potrà vedere i natali nel 2023. Anche se il ministro Orlando ha asserito più volte che le pensioni sono una priorità per l’esecutivo, difficile che si possa arrivare da una fumata bianca per la legge di Bilancio di fine anno. E già si parla di dare un altro anno di vita alla quota 102. La misura che doveva scadere a fine anno, come originariamente deciso, potrebbe allungarsi al 2023. E quindi anche nel 2023 per qualche lavoratore 64 anni potrebbe essere ancora l’età giusta per centrare una uscita anticipare rispetto alla pensione di vecchiaia. Resterebbe il vincolo dei 38 anni di contributi, anche perché cambiare questo significherebbe accettare le proposte di flessibilità totale che ogni tanto emergono e che considerano 20 anni di contributi come il tetto contributivo necessario.
Le ipotesi tirano dentro anche le conferme per OD e Ape sociale
Siamo ancora nel campo delle ipotesi, perché nulla ha deciso, ma appare chiaro che le difficoltà del governo sono ancora tante. Ed anche le priorità sono cambiate. SI è passati dalle pensioni all’emergenza relativa al Covid, poi alla crisi economica e ultimamente anche al conflitto in Ucraina e alla nuova situazione precaria dell’economia globale. Ed ecco che riaffiorano le vecchie misure da prorogare, come un toccasana che permetta di dire che qualcosa si è fatto.
Perché i lavori sono diversi tra loro
Un tipico esempio e anche il fatto che perfino Giuseppe Conte, a nome del Movimento 5 Stelle, ha continuato a ribadire il concetto che la pensione dovrebbe essere anticipata in base alla tipologia di lavoro svolto dai richiedenti. In buona sostanza, una dichiarazione che nasconde dietro una specie di ferma volontà di ritornare ad ampliare la platea dei beneficiari dell’Ape sociale. Ciò non vuol dire che l’Ape sociale verrà rinnovata ancora per un altro anno, ma è sempre un indizio. Differenziare i lavoratori e quindi i pensionati per tipologia di attività svolta è uno dei capisaldi dell’operato dei governi degli ultimi anni. Infatti più che pensioni anticipate per tutti si pensa a misure che consentano alcuni scivoli a poche categorie e poche persone. E così che è accaduto con l’Anticipo pensionistico a carico dello Stato.
Le proroghe delle misure
Fermi gli invalidi, i disoccupati e chi ha invalidi a carico, i lavori gravosi sono in costante aggiornamento. Si era partiti con 11 categorie, salvo poi passare a 15 e adesso ad un numero ancora più alto con una marea di codici Ateco da considerare. E pure Opzione donna ha le sue possibilità di essere ripescata dal governo ed estesa anche a quelle lavoratrici che completano i requisiti nel 2022. Tanto, per quanto costa allo Stato, Opzione donna è sempre un buon affare. Il fatto che il costo della misura si faccia ricadere quasi completamente sulle lavoratrici, mette la misura in una condizione di assoluta fattibilità. Con il taglio fino al 30% che la misura offre alle lavoratrici che devono accettare il calcolo del loro assegno con il metodo contributivo, è evidente che le possibilità che la misura continui ad essere fruibile è assai elevata.
E le nuove misure sulle pensioni ancora al palo
La quota 41 per tutti è poco meno di un autentico sogno. Infatti consentire a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi e senza alcun limite di età, significherebbe cancellare la pensione anticipata e ribattezzarla come fece la Fornero a suo tempo, quando cancellò le pensioni di anzianità e coniò quelle anticipate. La pensione flessibile senza tagli di assegno con 62 anni di età e 20 anni di contributi che vorrebbero i sindacati è sullo stesso piano. Significherebbe cancellare per sempre le pensioni di vecchiaia, o al più, ridurre i potenziali richiedenti di questa misura a poche migliaia di pensionati.
Perché la flessibilità per le pensioni resta complicata a 62 anni
Solo chi ha un lavoro “comodo” e cerca di prendere qualche decina di euro in più al mese accetterebbe di restare al lavoro fino a 67 anni, rimandando una possibile uscita a 62 anni con 20 anni di contributi. Tutte le altre proposte, che prevedono tagli e penalizzazioni, sarebbero duramente represse dai sindacati, che viaggiano in maniera diametralmente opposta al governo in materia di tagli alla pensioni.
Deducibilità dei contributi previdenziali anche per i familiari a carico e fondo pensione: come procedere?
Come procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore di familiari a carico nel modello 730 della dichiarazione dei redditi? Ci si riferisce sia ai contributi obbligatori che a quelli volontari. Tra questi ultimi sono inclusi anche i contributi di adesione ai fondi pensione che si possono dedurre dal reddito totale ai fini dell’Irpef. Leggiamo dunque quali sono le regole da seguire in sede di dichiarazione dei redditi, quali sono i limiti della deducibilità dei contributi e le condizioni affinché possano essere dedotti da quanto versato a favore dei familiari a carico.
Contributi previdenziali per i familiari a carico: come riportarli nel modello 730 per la dichiarazione dei redditi?
Per la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore dei familiari a carico si utilizza la Sezione II del quota E del modello 730, ai fini della dichiarazione dei redditi. In questa sezione, infatti, si possono iscrivere le spese e gli oneri ai quali si è fatto fronte durante l’anno di imposta. La condizione essenziale per la detraibilità è quella che prevede che i contributi non siano già stati inseriti dal datore di lavoro per determinare il reddito da lavoro dipendente o il reddito assimilato.
Quando è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali?
In quest’ultimo caso, è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito imponibile. Le informazioni sulla deducibilità si possono leggere sulla Certificazione unica. Spetta, dunque, al contribuente procedere con una verifica della correttezza degli importi portati a deduzione rispetto agli ammontari riportati nel modello 730.
Contributi della previdenza obbligatoria e deducibilità nella dichiarazione dei redditi
Se si tratta di contributi della previdenza obbligatoria, si procede con la sottrazione dal reddito complessivo dell’importo dei contributi previdenziali obbligatori oppure volontari, versati alle varie gestioni previdenziali. La sottrazione può essere fatta fino alla concorrenza del reddito totale e anche a favore dei familiari a carico.
Familiari a carico, qual è il limite del reddito per procedere con la deduzione dei contributi?
Peraltro, sono considerati a carico (e dunque si può procedere alla deduzione dei contributi previdenziali versati a loro favore) i familiari che abbiano:
- un reddito che non eccede i 2.840,51 euro;
- i figli entro l’età di 24 anni che non abbiano un reddito eccedente i 4 mila euro.
Come si procede con la deduzione nel modello 730 di dichiarazione dei redditi dei contributi obbligatori versati per i familiari a carico?
Per procedere con la deduzione dei contributi obbligatori versati a favore dei familiari a carico si deve far riferimento alla Sezione II del modello 730, nel quadro E e al rigo 21. Anche in questo caso, è necessario che i contributi, volontari od obbligatori, non siano stati già dedotti dal datore di lavoro. In tale situazione, la verifica deve essere fatta confrontando quanto riportato nel modello 730 con il punto 431 della Certificazione unica. La verifica, pertanto, deve mirare a confrontare gli importi relativi a questa tipologia di oneri e ai corrispondenti importi.
Contributi volontari versati alla gestione previdenziale: quali sono e come procedere con la deducibilità?
Accanto ai contributi obbligatori versati alla gestione previdenziale, si possono dedurre anche quelli volontari. Si tratta, in particolare, dei contributi versati in via facoltativa alla gestione alla quale si appartiene e in ottica di ricongiunzione di periodi contributivi. Ma si applicano le stesse regole anche per i versamenti occorrenti per il riscatto della laurea, sia ai fini delle future pensioni che per la buonuscita. E, inoltre, nel caso di contributi versati per scelta volontaria. Rientrano tra i versamenti facoltativi anche i contributi versati dal coniuge superstite e intestati al coniuge defunto. In questo caso, si provvede a proseguire nella contribuzione a favore di eredi che possano beneficiare di trattamenti di pensione.
Quali sono i contributi previdenziali che non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi?
Non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi i seguenti contributi previdenziali:
- importi versati all’Inps per richiedere l’abolizione del divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensioni di anzianità (ad esempio, quota 100 o quota 102);
- somme versate all’Inps per regolarizzare periodi contributivi pregressi;
- importi versati all’Inps per le sanzioni e i relativi interessi moratori dovuti per aver violato il versamento dei contributi.
Come dedurre i contributi versati al fondo pensione nella dichiarazione dei redditi?
Analogamente ai contributi obbligatori e facoltativi ai fini previdenziali, dalla dichiarazione dei redditi si possono dedurre anche i contributi versati al fondo pensione in vista della previdenza complementare. Relativamente a questa tipologia di contributi, e a differenza dei contributi obbligatori e facoltativi, il contribuente può non compilare il quadro E del modello 730 nel caso in cui non abbia contribuzione da far valere ai fini della dichiarazione dei redditi. Questa situazione si può verificare nel caso in cui mancano ulteriori contributi o premi non dedotti inerenti la previdenza complementare. In questo caso, nella Certificazione unica, al punto 413, non è riportato alcun importo.
Previdenza complementare, qual è il limite di deduzione dei contributi?
Invece, nel caso in cui il contribuente abbia pagato dei contributi alla previdenza complementare senza l’intermediazione del sostituto di imposta, risulta necessario compilare i campi del modello 730 relativi al quadro E. Il limite della deducibilità dei contributi versati al fondo pensione è di 5.174,57 euro. Nel caso in cui i contributi sono versati al fondo pensione per il tramite del sostituto di imposta, i relativi importi si ritrovano nel quadro E al rigo E 27. Il confronto si può fare con gli importi inseriti nella Certificazione unica, ai punti 412 e 413. In questo caso, i due campi si popolano se è stato riportato il codice “1” al punto 411. Infine, nel caso in cui i contributi sono stati pagati al fondo pensione senza ricorrere al sostituto di imposta, è il contribuente stesso a dover indicare l’importo dei versamenti e la relativa deducibilità.
Pensioni, come uscire prima con cumulo e ricongiunzione dei contributi?
Come si può andare in pensione prima procedendo con il cumulo o la ricongiunzione dei contributi? Alcuni casi aiutano a valutare i due istituti previdenziali per arrivare alla scelta migliore. Ad esempio, un lavoratore che abbia superato di qualche anno i 60 anni e che abbia maturato contributi presso più gestioni (25 anni da lavoratore dipendente, contributi presso la gestione ex Enpals e anche qualche mese alla Gestione separata dell’Inps), può valutare di unire i versamenti per arrivare prima alla pensione.
Ricongiunzione dei contributi ai fini della pensione, di cosa si tratta?
Ai fini della pensione, con la ricongiunzione dei contributi versati presso differenti gestioni previdenziali si permette di:
- accentrare i versamenti tutti in una delle gestioni presso la quale siano stati versati contributi;
- ottenere la pensione dalla gestione previdenziale prescelta;
- rateizzare e dedurre fiscalmente il costo dell’operazione che ammonta al 50% della differenza tra l’onere teorico di ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi.
Pensioni anticipate, come procedere con il cumulo gratuito dei contributi?
Con il cumulo dei contributi versati, disciplinato dalla legge di Bilancio 2017, il lavoratore può unire i versamenti effettuati nella vita lavorativa presso più gestioni previdenziali, sia private che pubbliche. Il cumulo dei contributi si può richiedere per ottenere i seguenti trattamenti previdenziali:
- la pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
- le pensioni di vecchiaia;
- l’inabilità;
- le pensione dei superstiti.
Pensioni, quale è più conveniente tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?
Quale scelta è più conveniente per i lavoratori prossimi alla pensione, il cumulo dei contributi o la ricongiunzione? In entrambi i casi, l’assegno delle pensioni saranno determinate dall’unione di almeno due gestioni previdenziali. In linea di massima, si può affermare che, pur non comportando degli oneri, il cumulo pensionistico produce minori vantaggi in termini di pensione rispetto alla ricongiunzione.
Come andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni unendo i contributi?
Nel caso del lavoratore sopra descritto, se il contribuente proviene dal sistema previdenziale misto (quindi con una parte dei contributi versati entro il 31 dicembre 1995) si può pensare di andare in pensione anticipata a 64 anni di età. Tale possibilità vige nel caso in cui il lavoratore abbia almeno un contributo versato entro il 1996. Facendo il computo nella gestione separata e riunendo le varie gestioni previdenziali, il lavoratore può andare in pensione a 64 anni:
- se accetta il ricalcolo della pensione con il solo meccanismo previdenziale misto;
- rispettando uno dei requisiti legati all’assegno di pensione. Ovvero, l’importo del futuro trattamento previdenziale deve essere pari ad almeno 2,8 volte quello della pensione sociale. Per il 2022, dunque, tale importo è fissato in 1.310,68 euro.
Pensione anticipata contributiva, chi può andare uscire prima?
In ogni modo, se il lavoratore ha iniziato a versare i contributi in data successiva al 31 dicembre 1995, la possibilità di andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni è sempre riconosciuta. Tuttavia, i contributi versati alla Gestione separata dell’Inps daranno diritto a una parte della pensione a decorrere dalla vecchiaia. Dunque, a decorrere dai 67 anni di età. Procedendo, invece, con il cumulo di tutte e tre le gestioni previdenziali presso le quali il lavoratore abbia versato i contributi, il richiedente potrebbe godere contemporaneamente di tutte e tre le quote di pensione.
Lavoratore con contributi in due gestioni previdenziali differenti: la possibilità di procedere con il cumulo o la ricongiunzione
Nel caso in cui un lavoratore, appartenente al sistema previdenziale misto, abbia contributi versati in due gestioni, si può pensare a quale convenga di più tra ricongiunzione e cumulo. Ad esempio, se un lavoratore ha iniziato a contribuire dal 1990 e per 20 anni ha versato contributi al fondo telefonici e successivamente come dipendente di un’impresa privata, le alternative sono due. La prima consisterebbe nel trasferire i contributi presso una sola delle due gestioni (ricongiunzione). Con tale istituto, la scelta del lavoratore non andrebbe a incidere con l’uscita anticipata, ma direttamente sull’assegno di pensione. La scelta sarebbe valida anche per accedere a specifiche formule di pensione che non sono consentite con il cumulo dei contributi.
Pensioni anticipate con il cumulo gratuito dei contributi: possibilità anche per i liberi professionisti
Con il cumulo dei contributi, invece, il lavoratore può ricongiungere gratuitamente i versamenti effettuati presso più gestioni. Il contribuente raggiungerebbe la pensione sulla base delle quote di assegno spettanti da ciascuna delle gestioni previdenziali. Peraltro il cumulo gratuito dei contributi è previsto anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali. Nel caso in cui il professionista abbia contributi versati anche da lavoratore dipendente, si possono unire i periodi di lavoro e di versamenti non coincidenti per arrivare prima:
- alla pensione di vecchiaia;
- a quella anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41 anni e 10 mesi).
Uscita da lavoro per i liberi professionisti con il cumulo dei contributi
Peraltro, per i contributi versati alla Cassa previdenziale è necessario che il libero professionista presti attenzione ai requisiti richiesti dalla gestione previdenziale stessa. Ad esempio, per la pensione di vecchiaia degli ingegneri iscritti a Inarcassa, il requisito da maturare è pari a 34 anni e sei mesi di contributi. Si tratta di un requisito ben più gravoso rispetto a quello previsto dall’Inps che per la pensione di vecchiaia richiede venti anni di contributi versati.
La ricongiunzione può essere richiesta per i lavoratori autonomi iscritti alle Casse previdenziali?
I liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali non possono richiedere la ricongiunzione dei contributi. Pertanto, chi volesse arrivare alla pensione mediante ricongiunzione onerosa dei contributi versati alle Casse previdenziali e alla gestione dell’Inps come lavoratore alle dipendenze, può semplicemente attendere l’età della vecchiaia per ottenere un supplemento di pensione.
Pensioni, conviene di più la ricongiunzione o il cumulo dei contributi?
Ai fini della pensione, quale conviene di più, la ricongiunzione o il cumulo dei contributi? Per rispondere alla domanda è necessario sapere che la ricongiunzione può comportare delle spese, ma un maggiore vantaggio in termini di assegno di pensione. Il cumulo, invece, è sempre gratuito ma assicura minori vantaggi per la futura pensione. L’esigenza di procedere con la ricongiunzione dei contributi o con il cumulo può presentarsi al superamento dei 60 anni per valorizzare gli anni di contributi versati in rapporto alla propria carriera lavorativa. E, inoltre, si possono unire le contribuzioni versate in differenti gestioni previdenziali.
Ricongiunzione dei contributi, che cos’è e come incide sulle pensioni?
Con la ricongiunzione dei contributi ai fini delle pensioni si procede ad accentrare in una sola gestione pensionistica i contributi versati presso diverse previdenze. Esercitando questa opzione, i contributi maturati vengono trasferiti nel fondo che accentra tutte le previdenze. L’operazione consente, dunque, di presentare domanda di pensione al fondo accentratore. La legge numero 29 del 1979 prevede la possibilità di concentrare i contributi tra le varie gestioni Inps in 2 modalità.
Come può avvenire la ricongiunzione dei contributi?
La prima direzione del ricongiungimento dei contributi ai fini delle pensioni è quella prevista dall’articolo 1 della legge numero 29 del 1979. Ovvero, il trasferimento dei contributi versati può avvenire per accentrarli dai fondi di gestione sostitutiva e alternativa all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago) al fondo lavoratori del settore privato. Nei fondi alternativi rientrano, a titolo di esempio, anche i lavoratori ex Inpdap. La seconda modalità di trasferimento consente di spostare i contributi verso i fondi differenti dal fondo pensioni dei contribuenti del settore privato.
Ricongiunzione dei contributi, quanto costa?
Le due operazioni di ricongiunzione dei contributi hanno un costo. L’onere che il contribuente deve sostenere corrisponde al 50% della differenza tra l’onere teorico della ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi inerenti trasferiti nel fondo accentrante. Tale meccanismo è disciplinato dalla circolare dell’Inps numero 142 del 2010.
Deducibilità dei costi sostenuti per la ricongiunzione dei contributi: come avviene?
L’operazione, in ogni modo, può avere un quale vantaggio per l’aspetto della deducibilità dei costi sostenuti per il trasferimento dei contributi. La deducibilità degli oneri dal reddito è disciplinata dalla lettera e), del comma 1, dell’articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi. Si può procedere con la rateizzazione senza l’applicazione di interessi. Il numero delle rate è calcolato in tante mensilità quanto è il periodo di tempo della ricongiunzione. Pertanto, la ricongiunzione può essere richiesta anche quando il lavoratore è attivo sul lavoro.
Cumulo dei contributi ai fini delle pensioni, quando si può fare?
Il cumulo dei contributi era stato introdotto dalla legge numero 228 del 2012 e poi modificato integralmente dalla legge numero 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017). La possibilità di procedere con il cumulo dei contributi è prevista per le seguenti tipologie di pensione:
- pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
- pensioni di vecchiaia;
- inabilità;
- pensione dei superstiti.
Il cumulo può essere esercitato per i contributi versati in tutte le gestioni previdenziali. Dunque, sia quelle private che quelle pubbliche e non vi è un prerequisito dei contributi stessi.
Cumulo dei contributi, si può utilizzare anche per le Casse previdenziali?
Il cumulo dei contributi può essere utilizzato anche per i versamenti effettuati presso le Casse professionali. In tal caso, il cumulo opera per i periodi lavorativi e contributi che non coincidono con altre gestioni previdenziali. L’obiettivo dello strumento è quello di permettere il raggiungimento dei requisiti richiesti per le pensioni anticipate, di vecchiaia, per la quota 102 (come previsto dalla legge di Bilancio 2022), per le pensioni ai superstiti e di inabilità. Devono essere, dunque, rispettati i requisiti fissati dalla legge Fornero (legge numero 214 del 2011) per le pensioni anticipate ordinarie e di vecchiaia. In merito alla pensione di inabilità, i requisiti sono fissati dalla legge numero 222 del 1984.
Quale differenza c’è tra ricongiungimento dei contributi e cumulo?
Rispetto a quanto abbiamo visto per il ricongiungimento dei contributi, con il cumulo non si ha il trasferimento dei contributi da una gestione previdenziale a un’altra. La pensione spettante viene calcolata per quote secondo i meccanismi previdenziali di ciascuna gestione previdenziale. La distinzione è stabilita dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017. Se un contribuente ha maturato anni di contributi entro il 31 dicembre 1995, l’assegno di pensione viene calcolato con il metodo retributivo ma secondo le regole fissate da ciascuna gestione previdenziale (ad esempio, Inps ed ex Inpdap).
Pensione, quale conviene di più tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?
Il trattamento pensionistico, dunque, sarà il risultato delle pensioni calcolate dalle due gestioni previdenziali. Inoltre, pur essendo gratuito, il cumulo pensionistico comporta minori vantaggi rispetto alla ricongiunzione in termini di assegno pensionistico.
Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?
Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.
Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata
Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.
Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?
Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.
Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni dall’inflazione
Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.
Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104
La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.
Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’
Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.
Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché
Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:
- dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
- dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.
Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale
A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:
- la situazione di disoccupazione;
- lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
- lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
- l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.
Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?
Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:
- quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
- valori elevati per tutta la durata;
- 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.
Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno
Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.
Ape sociale e reddito di cittadinanza, si possono percepire insieme?
Si possono percepire insieme sia la pensione con Ape sociale che il reddito di cittadinanza? Il rapporto tra le due indennità non prevede limitazioni. Infatti, il decreto legge numero 4 del 2019, che ha istituito il reddito di cittadinanza, non ha previsto alcuna forma di incompatibilità e, pertanto, di incumulabilità sia parziale che totale, con l’anticipo pensionistico. Ma è necessario fare alcune precisazioni importanti sull’importo del reddito di cittadinanza che risulta influenzato dalla percezione della pensione con Ape sociale.
Compatibilità e cumulabilità dell’Ape sociale con Naspi, Dis coll, Iscro e reddito di emergenza
Inoltre, altri per altri trattamenti corrisposti dall’Inps, come il reddito di emergenza, la Naspi, la Dis coll e l’Iscro, è necessario prestare attenzione sulla compatibilità e cumulabilità con l’Ape sociale. L’eventuale percezione di uno di questi trattamenti non avendone diritto perché già beneficiari dell’Ape sociale, comporta la situazione di percezione indebita e di recupero da parte dell’Inps.
Compatibilità di reddito di cittadinanza, Naspi, Dis coll, Ape sociale: i riferimenti normativi
Sulla compatibilità del reddito di cittadinanza e dell’Ape sociale, la disciplina di riferimento è contenuta nel comma 8, dell’articolo 2 del decreto legge numero 4 del 2019. La norma stabilisce che “il reddito di cittadinanza è compatibile con il godimento della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi) e dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata (Dis coll), di cui rispettivamente all’articolo 1 e all’articolo 15 del decreto legislativo 4 marzo 2015, numero 22, e di altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni di cui al presente articolo. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee)”.
Prendere la pensione con Ape sociale è rilevante per la concessione del reddito di cittadinanza?
Il contribuente che percepisce, dunque, la pensione con l’anticipo pensionistico sociale può aver diritto a ricevere anche il reddito di cittadinanza. Di conseguenza, non essendoci una norma che vieti espressamente la contemporanea fruizione dei due istituti, i due trattamenti si possono considerare compatibili. Infine, nell’erogazione dell’Ape sociale, l’Inps valuta preventivamente la presenza di specifici requisiti da parte del richiedente. Tuttavia, l’importo dell’anticipo pensionistico va a concorrere a formare il reddito della famiglia. E, pertanto, incide sull’importo dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). La fruizione dell’anticipo pensionistico sociale va a incidere direttamente sia sul diritto a ricevere il reddito di cittadinanza, sia sul suo importo mensile.
Pensioni con anticipo pensionistico sociale e reddito di emergenza: i rapporti
Peraltro, anche altri istituti si possono mettere in relazione con la fruizione del trattamento pensionistico Ape sociale. Ad esempio, il reddito di emergenza (Rem). Questa prestazione è stata introdotta a favore di specifici nuclei familiari in condizioni di necessità derivante dall’emergenza sanitaria ed economica conseguente alla pandemia di Covid-19. Il trattamento emergenziale è stato introdotto dall’articolo 36 del decreto legge numero 73 del 25 maggio 2021, poi convertito nella legge numero 106 de 23 luglio 2021. Ad oggi non è stato più reintrodotto questo istituto. Ma sono ancora in corso di pagamento alcune rate.
Chi prende già l’anticipo pensionistico sociale può ricevere anche il reddito di emergenza (Rem)?
Differentemente dal reddito di cittadinanza, chi percepisce già la pensione con Ape sociale non ha diritto a ricevere anche il reddito di emergenza. Infatti, la fruizione dell’indennità previdenziale comporta il venir meno del presupposto alla base del reddito di emergenza. Ovvero la situazione di difficoltà economica nella quale può venirsi a trovare una famiglia in conseguenza dell’emergenza sanitaria. In tal senso, emerge la funzione dell’Ape sociale quale indennità di accompagnamento del contribuente alla pensione di vecchiaia.
Perché il percettore dell’Ape sociale non può prendere il reddito di emergenza (Rem)?
Il sostegno del reddito di emergenza è riconosciuto in presenza di specifici requisiti e comporta la percezione di un importo mensile da parametrarsi in base alla situazione del percettore. L’importo massimo che l’Inps eroga come Ape sociale può arrivare a 1.500 euro lordi. Nel caso in cui dei contribuenti avessero percepito il reddito di emergenza in presenza dell’Ape sociale, i due trattamenti si sovrapporrebbero. Pertanto, ciò costituirebbe una prestazione indebita che comporterebbe il recupero da parte dell’Inps di quanto non dovuto.
Ape sociale, si può prendere insieme anche l’Iscro?
Particolare attenzione deve essere prestata da chi percepisce l’Iscro, l’indennità prevista dai commi da 386 a 400 della legge numero 178 del 2020. La circolare dell’Inps numero 94 del 30 giugno 2021 ha chiarito che la percezione dell’anticipo pensionistico sociale e l’Iscro sono incompatibili. Anche in questo caso, la percezione indebita comporta il recupero da parte dell’Inps.