Aumento pensioni a marzo, ecco per chi

Buone notizie per i pensionati, a marzo riceveranno un nuovo aumento, con tanto di arretrati, ecco a cosa sono dovuti gli aumenti di pensione di marzo 2024.

Perché dal 1° marzo c’è l’aumento delle pensioni?

Dal 1° gennaio 2024 sono entrate in vigore le aliquote Irpef che consentono un risparmio di imposta fino a 260 euro, anzi una minore imposizione fiscale ridotta. I vantaggi sono previsti per chi ha redditi compresi tra 15.000 e 28.00 euro lordi.

Le nuove aliquote Irpef 2024, prevedono l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef sotto un’unica aliquota al 23%. Il primo scaglione quindi comprende redditi da 0 euro a 28.000. In passato il primo scaglione comprendeva i redditi da 0 a 15.000 euro, mentre il successivo scaglione aveva un aliquota al 25%.

Gli scaglioni successivi sono:

  • 35%, sui redditi tra 28.001 euro e 50 mila euro annui;
    43%, sui redditi oltre i 50 mila annui.

A quanto ammonta l’aumento delle pensioni a marzo?

L’aumento mensile massimo riservato a chi ha un reddito lordo di 28.000 euro è di 20 euro, per gli altri si tratta solo di qualche euro in più sulla pensione. Nel mese di marzo però sono versati anche gli arretrati, cioè gli importi maturati nei mesi di gennaio e febbraio e non ancora versati. Un esempio banale può aiutare, per un pensionato con un lordo mensile di 1.300 euro, l’aumento sarà di circa 2,60 euro al mese, moltiplicando per 3 sono circa 7,80 euro.

Chi ha un reddito compreso tra 28.000 euro e 50.000 euro, il risparmio si avrà solo sulla frazione di reddito compresa tra 15.000 e 28.000 euro. O meglio avrà un assegno pensionistico più elevato avendo in considerazione la riduzione dell’imposta.

Occorre però ricordare che molti Comuni stanno aumentando le addizionali Irpef, ne deriva che l’aumento delle pensioni dovuto alla riduzione delle aliquote Irpef per i redditi tra 15.000 e 28.000 euro potrebbe essere annullato quasi del tutto.

I pagamenti delle pensioni Inps come al solito avvengono a partire dal 1° marzo, ma già ora è possibile entrare nel proprio cassetto previdenziale, sul sito Inps e visionare il cedolino del mese di marzo con i nuovo importi.

Per accedere al cassetto previdenziale occorre avere un’identità digitale con codice Spid, Cie o Cns.

Leggi anche: Addizionali comunali e regionali cosa sono e come si calcolano

 

Rivalutazione pensioni 2024, tutti gli importi per fasce

A fine anno tutti i pensionati si chiedono come sarà la rivalutazione pensioni applicata sui dati relativi all’aumento del costo della vita e naturalmente anche il 2024 porta gli stessi dubbi.

Ogni anno le pensioni sono sottoposte a rivalutazione in base all’ inflazione registrata dall’Istat. Si tratta di un adeguamento degli importi che dovrebbe preservare il potere di acquisto dei pensionati. Negli anni però, a causa delle difficoltà economiche che affronta il Paese, le pensioni non sono state rivalutate tutte allo stesso modo, infatti le pensioni che hanno importi più elevati sono rivalutate solo in parte. Questo meccanismo dovrebbe portare anche a una sistema maggiormente paritario.

Vediamo però come saranno rivalutate le pensioni 2024.

Pensioni, a dicembre arriva il conguaglio con arretrati

La prima novità importante è che nel mese di dicembre 2023 i pensionati italiani riceveranno l’anticipo del conguaglio della rivalutazione del 2023, si tratta di un aumento dello 0,8% su base mensile, quindi su 13 mensilità. Per molti pensionati è un bel gruzzoletto che andrà ad aggiungersi alla tredicesima. Nelle settimane trascorse si era vociferato anche di un anticipo del conguaglio già nel mese di novembre 2023 ma poi non è andata così visti i tempi stretti.

Rivalutazione pensioni 2024, gli importi

Nel frattempo si discute sulla rivalutazione pensioni 2024. La stessa dovrà essere calcolata sull’inflazione registrata dall’Istat, i dati dovrebbero arrivare intorno al 20 novembre e si vocifera di un valore tra il 5,5% e il 6%. In poche parole chi percepisce un assegno di 1.000 euro dovrebbe ricevere 55-60 euro di aumento su base mensile.

Non tutti i pensionati però riceveranno lo stesso aumento, infatti le rivalutazioni saranno diversificate.

Potranno ricevere l’aumento sul totale dell’assegno pensionistico i lavoratori che percepiscono fino a 4 volte l’importo della pensione minima. L’importo della pensione minima dovrebbe essere 525,5 euro. Questo implica che la rivalutazione al 100% sarà riservata a coloro che percepiscono fino a 2.102 euro mensili.

  • Per importi compresi tra 4 e 5 volte il minimo, cioè tra i 2.102 e i 2.627 euro la rivalutazione sarà sul 90% dell’assegno pensionistico;
  • Per gli importi compresi tra 5 e 6 volte la pensione minima, cioè 2.627 e 3152 euro la rivalutazione sarà applicata sul 53% dell’importo;
  • nel caso di assegno pensionistico tra 6 e 8 volte la pensione minima (tra i 3.152 e i 4.203 euro), rivalutazione del 47%;
  • tra 8 e 10 volte la pensione minima (tra i 4.203 e i 5.254 euro), rivalutazione del 37%;
  • sopra le 10 volte la pensione minima (sopra i 5.254 euro), rivalutazione del 22%.

Naturalmente non manca il malcontento.

Leggi anche: Pensioni a quota 104, sempre più difficile accedervi

Pensioni, sempre più vicina la conferma di quota 103

Pensioni, occorre una riforma concreta, ma nel frattempo sembra che quota 103 sia l’ipotesi più accreditata. Per questo motivo ancora incontri tra le parti sociali

Quota 103, come funziona e i requisiti

La legge di bilancio ha introdotto il meccanismo per le pensioni che prevede la quota 103. Da gennaio è in vigore, pertanto i lavoratori possono andare in pensione con:

  • 62 anni di età;
  • 41 anni di contributi.

Ma insieme a quota 103 scatta anche un tetto per l’importo dell’assegno mensile. Questo non potrà superare le 5 volte il minimo INPS. Cioè circa 36 mila euro l’anno fino alla maturazione dei requisiti per accedere alle pensione. Inoltre il trattamento non può fare cumulo con altri redditi da lavoro, esclusi quelli da lavoro autonomo occasionale fino ad un massimo di 5 mila euro.

Pensioni, Quota 103, risulta essere l’ipotesi più concreta

Il dialogo tra le parti sociali per discutere su quota 103, sembra tutto tranne che disteso. Ci sono distanze evidenti. Quindi si va verso un 2024 di proroga. per la quota 103, misura che era prima stata introdotta dal Governo Draghi e poi confermata dalla premier Meloni. Il nodo sembra essere sempre lo stesso, la mancanza di risorse. Ma se non fosse così quali sarebbero le misure da poter mettere in campo?

Il rischio è il ritorno alla Legge Fornero, cioè in pensione a 67 anni e almeno 20 di contributi. Oppure avere 42 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica. In ogni caso non è ancora stata esclusa quota 41, anche se in questo momento è stata giudicata troppo onerosa per il Governo. Costerebbe 4 miliari e 75 miliardi in un decennio, quindi non è proprio fattibile, andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età raggiunta.

Le proposte di Bombardieri

Ci aspettiamo delle risposte per le tante persone che vorrebbero sapere quali sono le regole per andare in pensione. Regole che non si possono cambiare a ogni tornata elettorale“. Così il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, arrivando al ministero del Lavoro per lʼincontro sulle pensioni. Il Governo è ora che deve decidere quali sono le priorità, le risorse necessarie per avviare una serie riforma sulle pensioni che non muti ad ogni campagna elettorale.

Il vero problema italiano è legato i bassi stipendi e pensioni che  non sono cresciuti in relazione all’inflazione. A dirlo è anche la Banca Centrale europea, il Fondo monetario secondo quanto affermato dal segretario Uil. Ma la priorità rimane il salario o stipendi e pensioni che devono essere rivalutati, anche se già dal mese di luglio è prevista una prima misura.

Stipendi e pensioni, ecco come cambiano con la nuova riforma fiscale

Stipendi e pensioni si preparano a cambiare a partire dal mese di marzo per effetto di quello che sono le nuove direttiva della riforma fiscale.

Stipendi e pensioni cosa c’è di nuovo?

Pensioni e stipendi dal mese di marzo dovrebbe aumentare grazie alla riforma fiscale. In particolare si attende il ricalcolo delle pensioni che dovrebbe avere una rivalutazione al 7,3% e del nuovo taglio sul cuneo fiscale pari al 3% per i redditi entro il 25 mila euro e del 2% per i redditi compresi tra i 25 e i 35 mila euro.

Il Governo Meloni punta alla riduzione delle aliquote da quattro come previste dal Governo Draghi a tre. Attualmente in vigore le percentuali sono:

  • del 23% per redditi fino a 15.000 euro;
  • del 25% per redditi tra 15.000 e 28.000 euro;
  • del 35% per redditi tra 28.000 e 50.000 euro;
  • del 43% per redditi oltre i 50.000 euro

Mentre con i cambiamenti voluti dal nuovo Governo gli scaglioni verrebbero ad assottigliarsi e diventare solo tre, con le seguenti aliquote:

  • aliquota del 23% per chi ha redditi fino a 15mila euro;
  • aliquota del 27% per chi ha redditi tra 15mila-50mla euro;
  • aliquota del 43% per chi ha redditi superiori ai 50mila euro.

Pensioni, quanto aumenteranno?

Le rivalutazioni sulle pensioni la perequazione automatica per adeguamento all’inflazione nel 2023 e 2024 segue il seguente schema a fasce di rivalutazione, prendendo a riferimento l’importo della pensione rispetto al trattamento minimo (TM) attuale (525 euro al mese):

  • fino a 4 volte il TM (circa 2.100 euro lordi): 100% (aumento 7,3%);
  • fino a 5 volte il TM (circa 2.625 euro lordi): 85% (aumento 6,2%);
  • tra 5 e 6 volte il TM (tra 2.625 e 3.150 euro lordi): 53% (aumento 3,8%);
  • e tra 6 e 8 volte il TM (tra 3.150 e 4.200 euro lordi): 47% (aumento 3,4%);
  • tra 8 e 10 volte il TM (tra 4.200 e 5.250 lordi): 37% (aumento 2,7%);
  • oltre 10 volte il TM (oltre 5.250 euro lordi): 32% (aumento 2,3%).

In media le rivalutazioni dovrebbero portare a questi aumenti.

  • pensione di 800 euro: circa 42 euro in più
  • pensione di 1.000 euro: 53 euro in più;
  • pensione di 1.500 euro: 79,50 euro in più;
  • pensione di 2.000 euro: circa 106 euro in più
  • pensione di 3.000 euro: circa 116 euro in più:
  • pensione di 4.000 euro: circa 137 euro in più.

Infine si ricorda che per i pensionati over 75 la pensione salirà a 600 euro. Ma è desiderio di questa legislatura, portare le pensione minime a mille euro nell”arco dei 5 anni di Governo.

Pensioni: opzione donna 2023 potrebbe ritornare alla versione originale

Sul fronte pensioni è ancora calda la questione di opzione donna 2023, infatti sembra essere stata trovata la quadra su quota 103, Ape Sociale resta immutata, ma sulla nuova versione di opzione donna prevista nella legge di bilancio 2023 proprio non c’è accordo. Ecco le ultime ipotesi allo studio.

Opzione donna 2023: l’ultima versione non convince. Si ipotizza un ritorno alla versione originale

Opzione donna secondo la formulazione originale consentiva di andare in pensione a 58 anni se lavoratrici dipendenti e a 59 anni se lavoratrici autonome. Per accedere era necessario aver maturato almeno 35 anni di contributi e si scontava un taglio sostanzioso sull’assegno. Nonostante tale taglio, sono numerose le donne che ne hanno approfittato per uscire dal mondo del lavoro. L’ultima versione di Opzione Donna prevede invece requisiti molto stringenti e la possibilità di utilizzare questo scivolo pensionistico per andare in pensione solo a care giver, disoccupate e persone con invalidità.

Per tutti i dettagli sull’ultima versione leggi l’articolo: Opzione donna: cosa cambia per le donne che vogliono andare in pensione

Il motivo di questo drastico taglio sono purtroppo le coperture, ma naturalmente sono in molti a criticare questa scelta anche perché di fatto molto simile ad Ape Sociale sebbene con la possibilità di accedere alla pensione con qualche anno di anticipo.

Ritorno alla versione orgiginale, ma solo per qualche mese

Proprio in seguito a tali critiche, si sta cercando un accordo e nell’ultima ipotesi allo studio c’è la previsione di ritornare alla versione originaria del pensionamento con opzione donna, ma solo per pochi mesi. Uno dei delicati nodi da sciogliere è il sospetto di incostituzionalità della parte della norma su Opzione Donna che lega il requisito anagrafico al numero dei figli.

Il costo di Opzione donna per un intero anno sarebbe di 110 milioni di euro, mentre stringendo l’accesso a soli 6-8 mesi si potrebbe rientrare nei costi. Non resta che aspettare la versione definitiva. Ricordiamo che i partiti possono presentare emendamenti fino al giorno 7 dicembre 2022, si sarà quindi l’esame nelle commissioni e, infine, il testo dovrebbe arrivare in aula il 20 dicembre. Vista la mole di emendamenti, di cui molti della stessa maggioranza e di Fratelli d’Italia, non è escluso che molti siano cassati senza esame.

Leggi anche: Quota 103 è il nuovo scivolo pensionistico. Tutte le novità sulle pensioni

I diritti della vedova su pensioni, eredità e casa di abitazione

I diritti della vedova su pensioni, eredità e casa di abitazione, ecco tutto quello che spetta a chi rimane in vita e perde il marito.

I diritti della vedova, il tema della pensione

Una coppia si sposa, sperando di passare la vita insieme. Ma succede che a volte non va così e uno dei due muore. Ma quando il coniuge ha diritto alla pensione di reversibilità? Il coniuge matura il diritto alla pensione di reversibilità dopo un mese dal decesso, anche se separato legalmente o divorziato. Però questo se titolare di un assegno periodico divorzile.

La pensione è un trattamento riconosciuto in caso di decesso del pensionato in favore dei familiari superstiti. Tuttavia la pensione di reversibilità è pari ad una quota percentuale della pensione del dante causa. In particolare se la coppia ha avuto un figlio, alla moglie spetta un terzo dell’eredità del marito. Invece se la coppia ha avuto due o più figli, alla moglie spetta un quarto dell’eredità del marito mentre i due quarti vanno ai figli in parti uguali.

I diritti della vedova, in caso di eredità

Al coniuge spetta l’intera eredità solo in caso di mancanza dei figli. Inoltre entrano nella categoria “eredi” anche gli  ascendenti, le sorelle e i fratelli che se sono presenti, secondo le quote stabilite dalla legge. Invece se i coniugi erano in comunione dei beni, questa si scioglie al momento della morte del coniuge.

Più in generale, se i beni del coniuge defunto erano in comunione legale, confluiscono nell’eredità solo al 50%, perché l’altro 50% è già in possesso del coniuge vivo. Mentre se i beni del coniuge erano in regime di separazione dei beni confluiscono al 100% nell’eredità.

Infine in caso di divorzio, il vincolo matrimoniale si scioglie, insieme a tutti i diritti successori. Quindi l’ex coniuge superstite, non fa più parte dell’asse ereditario del defunto e quindi nulla gli spetta.

La casa di abitazione, come ci si comporta?

Altro argomento importante è quello della casa di abitazione dei coniugi. Infatti il coniuge vivo mantiene il diritto sull’utilizzo dei beni immobili. Ma anche dei beni mobili presenti nell’abitazione, sempre che siano di proprietà del defunto o in comunione tra entrambi. Di solito, il soggetto già all’apertura della successione acquisisce il diritto di abitazione.

Ai sensi dell’art. 540, comma 2, del c.c., infatti, al coniuge superstite, anche quando concorre con altri chiamati all’eredità, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

 

Pensioni: dal 2023 si torna alla legge Fornero senza scivoli

Chi vorrebbe andare in pensione nei prossimi anni dovrà purtroppo fare i conti con difficoltà non da poco, infatti, tra i vari partiti politici c’è chi afferma, senza mezze misure, che si dovrà tornare alla legge Fornero.

Pensione con Quota 102? Non più sostenibile. Si torna alla legge Fornero

Abbiamo già detto in precedenza che la quota 102 è a rischio perché se non si interviene con uno scivolo entro termini brevi, vi è il rischio del ritorno in automatico alla legge Fornero che prevede l’uscita dal mondo del lavoro a 67 anni. Nel frattempo sono numerosi i politici che hanno dichiarato che tra i primi atti del nuovo governo, in caso di vittoria dello schieramento, vi sarà il superamento della Legge Fornero, ma qualcuno è di contrario avviso. Secondo le dichiarazioni di alcuni esponenti politici non è più sostenibile economicamente un provvedimento simile a Quota 100 , in realtà ora è Quota 102, che consente un’uscita anticipata dal mondo del lavoro.

Si sottolinea da più che l’Italia rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea spende troppo per le pensioni e questo si ripercuote sulle giovani generazioni.

Pensione con Opzione donna e Ape Sociale nel 2023: cosa succederà?

Ricordiamo che nel frattempo, sebbene fosse stata auspicata la proroga dell’Ape Sociale, la stessa non è arrivata quindi anche questo scivolo cade il 31 dicembre 2022. Questa particolare misura è riservata ai disoccupati, ai lavoratori addetti ad attività gravose e in poche altre situazioni ben definite. Un’eventuale proroga arriverà con la legge di bilancio 2023, ma ricordiamo che si rischia l’esercizio provvisorio, infatti la legge deve essere approvata entro il 31 dicembre, ma se vi saranno difficoltà nella formazione del governo potrebbero esserci problemi.

Stessa sorte per Opzione Donna che scade il 31 dicembre 2022. Sia per opzione donna sia per l’Ape Sociale in realtà non sembra vi siano molte difficoltà perché appunto possono essere inserite nella legge di bilancio. Diverso il caso della Quota 102 perché non c’è ancora un disegno preciso da parte dei partiti.

Pensioni, anche per i giornalisti arriva l’Ape sociale con uscita a 63 anni

Tra le novità del passaggio della previdenza dei giornalisti dall’Inpgi all’Inps vi è anche quella della possibilità di pensione anticipata con uscita a partire dai 63 anni di età. È quanto prevede lo stesso Istituto previdenziale che ha confermato la possibilità di agganciare, per i giornalisti in uscita dal lavoro a partire dal 1° luglio 2022, l’anticipo pensionistico sociale (Ape sociale). Sono ammessi alla pensione di accompagnamento alla vecchiaia dai 63 anni di età i giornalisti professionisti, i pubblicisti e i praticanti titolari di un rapporto alle dipendenze. Ecco, nel dettaglio, di cosa si tratta.

Pensioni giornalisti, il passaggio dell’Inpgi all’Inps dal 1° luglio 2022

Il passaggio del regime pensionistico dei giornalisti dall’Inpgi all’Inps comporta, a decorrere dal 1° luglio 2022, la possibilità di trasferire all’Istituto Previdenziale tutte le operazioni di pensione che erano state gestite dall’Inpgi fino al 30 giugno scorso. Il passaggio di consegne dalla Cassa previdenziale dei giornalisti all’Inps comporta, innanzitutto, il cambio dei contributi previdenziali e degli obblighi contributivi. I datori di lavoro dei giornalisti professionisti, dei pubblicisti e dei praticanti che abbiano un rapporto di lavoro alle dipendenze dal mese di luglio 2022 seguono le regole dettate dal Fondo pensione dei lavoratori dipendenti (Fpld). Nel dettaglio i datori di lavoro, a decorrere dal mese di luglio 2022, devono presentare la dichiarazione dei contributi dei giornalisti mediante i flussi Uniemens. L’operazione è del tutto simile a quella che svolgono le imprese nel trasferimento dei contributi dei propri lavoratori alle dipendenze.

Inps, istruzioni su come andare in pensione a 63 anni per i giornalisti con l’Ape sociale

La circolare dell’Inps numero 92 del 2022 di qualche giorno fa ha stabilito le regole affinché anche i giornalisti possano andare in pensione con l’Ape sociale a decorrere dai 63 anni di età. Per le uscite dal lavoro da luglio scorso, i giornalisti possono dunque beneficiare dell’Ape sociale purché abbiano compiuto l’età minima e in attesa che l’assegno di accompagnamento diventi pensione a partire dai 67 anni di età con la vecchiaia. Il sussidio mensile per gli anni dai 63 ai 67 anni può arrivare all’importo massimo di 1.500 euro.

Quali sono le condizioni affinché anche i giornalisti possano andare in pensione con l’Ape sociale?

Per la richiesta delle pensioni con Ape sociale sono necessari determinati requisiti. Innanzitutto l’età, di almeno 63 anni, ma anche la situazione economica e sociale del richiedente dell’indennità. In particolare, la richiesta può essere fatta dai giornalisti che:

  • hanno cessato l’attività di lavoro;
  • non sono già titolari altre pensioni dirette;
  • hanno un montante di contributi di almeno 30 anni (36 anni per i lavoratori che abbiano svolto attività gravose);
  • avere una pensione futura di almeno 1,4 volte la pensione minima, il cui importo è stabilito annualmente dall’Inps. Conti alla mano, il minimo di assegno mensile previsto deve essere di almeno 734 euro;
  • essere disoccupati;
  • avere una situazione di inabilità al lavoro di almeno il 74%;
  • prestare cura per un familiare o per un parente convivente da almeno 6 mesi (caregiver).

Quale pensione possono richiedere i giornalisti?

Con il passaggio dall’Inpgi all’Inps della gestione previdenziale dal 1° luglio 2022, le possibilità di pensione dei giornalisti possono riassumersi in due situazioni. La prima riguarda i giornalisti che abbiano maturato i requisiti per la pensione entro il 30 giugno 2022. In questo caso, specifica l’Inps, i giornalisti possono conseguire qualunque pensione prevista dalla Cassa previdenziale Inpgi, andando in quiescenza anche in un momento successivo alla data del 30 giugno 2022. Le regole pensionistiche da seguire sono quelle dell’Inpgi vigenti fino al termine dello scorso giugno. Non si possono ottenere eventuali formule pensionistiche in vigore per i lavoratori a carico del Fondo pensione dei lavoratori dipendenti (Fpld) a decorrere dal 1° luglio 2022. Eventuali contributi versati dal 1° luglio 2022 incrementano il montante in gestione dell’Inpgi.

Giornalisti in pensione dal 1° luglio 2022, quali regole di uscita?

Per i giornalisti che, invece, maturino i requisiti di pensione a decorrere dal 1° luglio 2022 (non avendoli maturati entro il 30 giugno 2022), vige il regime pensionistico dei lavoratori iscritti alla gestione Fpld dell’Inps. Di conseguenza, le regole di pensione da seguire sono quelle dei lavoratori dipendenti iscritti alla gestione previdenziale dell’Inps, con i relativi requisiti richiesti. Fanno eccezione, per i giornalisti, le formule di pensionamento anticipato dell’opzione donna e della quota 100, i cui requisiti andavano maturati entro la fine dell’anno 2021. Per il calcolo del regime di appartenenza (retributivo, misto o contributivo), è necessario far riferimento ai contributi versati entro la data del 31 dicembre 1995.

 

Pensioni bloccate dall’INPS se non si provvede a produrre documentazione RED o INV CIV

È ripartita la macchina dei controlli da parte dell’INPS per quanto riguarda le pensioni. L’INPS passa al setaccio tutte quelle pensioni che hanno una parte dei trattamenti previdenziali percepiti, collegate al reddito o a determinate condizioni di disabilità. In pratica tutti gli interessati alla presentazione del modello RED oppure della dichiarazione INV CIV, se non vi hanno ancora provveduto devono fare presto per evitare che la pensione venga bloccata alla fonte cioè da parte dell’Istituto. Si tratta di una specie di salvaguardia, che adesso i pensionati possono utilizzare per evitare problemi più seri del semplice taglio delle prestazioni aggiuntive.

L’INPS passa al setaccio le pensioni, ecco cosa accade adesso

Come si sa tutti i contribuenti e pensionati che non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi canonica, quindi col modello 730 oppure con il modello Redditi persone fisiche (Redditi PF), devono provvedere ad un adempimento nei confronti dell’INPS. Questo adempimento altro non è che la presentazione ogni anno del modello RED con allegato, in alcuni casi, il modello INV CIV. Con il RED in pratica, il titolare della pensione va a dichiarare all’Istituto previdenziale tutti i redditi che possono incidere sul diritto alle prestazioni aggiuntive. E quando si parla di prestazioni aggiuntive si fa riferimento a prestazioni quali il trattamento integrativo o la maggiorazione sociale per esempio. Con l’altro modello (INV CIV) invece, chi percepisce prestazioni collegate alle invalidità deve dichiarare eventuali ricoveri in strutture ospedaliere statali o collegate al servizio sanitario nazionale. Ricoveri al manifestarsi dei quali si perde il diritto alla prestazione per tutta la durata del ricovero.

Cosa accade adesso alle pensioni interessate dai controlli dell’INPS

In linea di massima il modello RED va presentato ogni anno entro la fine del mese di febbraio. Lo stesso è successo quest’anno, cioè entro tale data i pensionati dovevano intervenire. Dal primo giugno scorso però l’INPS ha dato la possibilità a quanti non vi hanno ancora provveduto, di presentare tutta la documentazione sulle pensioni, con scadenza che slitta al 28 febbraio 2023. Il trattamento previdenziale spettante infatti rischia di essere congelato e bloccato dall’INPS nel caso in cui la richiesta di esibizione di questa documentazione non venga prodotta dal pensionato a cui lo stesso Istituto previdenziale l’ha richiesta.

Come provvedere a produrre la documentazione all’INPS

Esibire il modello RED o il suo allegato è necessario quindi per evitare problemi relativi all’erogazione della pensione da parte dell’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano. L’adempimento come al solito può essere espletato in maniera telematica. Gli strumenti sono sempre gli stessi e cioè quelli utili ad accedere all’area riservata del sito dell’INPS. L’accesso è consentito come sempre per il tramite del Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) o tramite la Carta d’identità elettronica (CIE). Per chi non è munito di tali strumenti, resta utilizzabile una seconda via. C’è la possibilità di farsi assistere da Centri di Assistenza Fiscale (CAF), da patronati o dagli altri operatori autorizzati. Per eventuali informazioni c’è anche il numero verde dell’Inps. Contact Center che può essere utilizzato da telefonia fissa al numero 803 164, oppure da cellulare al numero 06 164 164.

Riforma delle pensioni: le proposte dei partiti per la campagna elettorale, le ultime

Con il governo Draghi ormai caduto l’agenda della politica cambia radicalmente. Tutte le misure, le proposte, le ipotesi e le idee che circolavano in vista della solita legge di Bilancio di fine anno, vengono di fatto congelate. Inizierà quella che pare sarà una dura campagna elettorale. Ed i temi su cui i partiti si andranno a scontrare saranno sempre quelli ormai conosciuti. C’è da scommetterci che lo scontro sarà sempre sui temi di stretta attualità. Parliamo naturalmente di reddito di cittadinanza, emergenza pandemica, vaccini, tasse e pensioni. Proprio su quest’ultimo argomento si parlava tanto di una ipotetica nuova riforma della previdenza da mettere in cantiere da qui a fine anno. Già appariva una cosa assai difficile prima, figuriamoci adesso. Basandosi sulle tante ipotesi e proposte che sembra diventeranno il cavallo di battaglia dei vari partiti politici, ecco il punto della situazione.

Le pensioni ago della bilancia nella nuova campagna elettorale

Il punto nevralgico della situazione è che la riforma delle pensioni dovrebbe garantire il non ritorno alla legge Fornero. Infatti venendo meno quota 102 a fine anno, senza mettere mani al sistema, le uniche uscite che rimarrebbero vigenti sono quelle legate proprio alla riforma del 2011 . Parliamo di quella del governo Monti, della tanto discussa riforma lacrime e sangue della Professoressa Elsa Fornero. È evidente che bisogna fare qualcosa, cioè provvedere a sistemare questa situazione per non penalizzare quanti per età o per contributi non sono riusciti a rientrare nelle nuove misure introdotte da questa legislatura. Va detto che oltre a quota 102, dal primo gennaio 2023 dovrebbero sparire anche Ape sociale ed opzione donna. Usare il condizionale è d’obbligo, perché si tratta di due misure su cui spesso si parla di nuove proroghe. Resta confermato però che in assenza di nuove misure, non resterà che uscire dal lavoro con le pensioni classiche, collegate inevitabilmente al decreto Salva Italia del vecchio governo tecnico condotto da Mario Monti.

Le proposte dei partiti, tra cavalli di battaglia e nuova campagna elettorale anche per le pensioni

Partiamo dal Partito Democratico, perché sembra l’area politica più legata al passato. Infatti sembra pressoché certo che la proposta previdenziale del PD sarà quella di prorogare due misure molto importanti per il sistema previdenziale. Due misure che in questi anni hanno consentito un pensionamento anticipato tanto alle donne quando a determinate categorie di lavoratori e soggetti. Infatti il PD dovrebbe arrivare a proporre l’estensione anche nel 2023 sia dell’Ape sociale che di opzione donna. Forza Italia il partito del redivivo Silvio Berlusconi, va sempre nella direzione classica. Come sempre Forza Italia punta sugli importi delle prestazioni pensionistiche. Infatti Silvio Berlusconi viene ricordato sempre per l’incremento al milione delle prestazioni pensionistiche. E adesso in vista della nuova campagna elettorale probabilmente gli azzurri punteranno tutto sul portare le minime a mille euro. Una soluzione alla pochezza delle pensioni dal punto di vista degli importi. Il quadro della situazione è messo nero su bianco anche dal noto quotidiano economico politico “Il Sole 24 Ore”.

Da quota 41 per tutti alla flessibilità da 62 o 63 anni, con il contributivo o senza penalizzazioni

La posizione dei sindacati da tempo è chiara e verte sempre su due misure fondamentali secondo le parti sociali. La prima è la flessibilità in uscita a partire dai 62 anni con 20 anni di contributi versati. La seconda invece è la quota 41 per tutti. In entrambi i casi si tratta di due prestazioni molto onerose per lo stato soprattutto come le interpretano i sindacati. Infatti pretendono la completa assenza di penalizzazioni e tagli di assegni per chi riesce a sfruttare queste due misure. Tagli di assegni che invece sembrano necessari vista la situazione delle casse pubbliche. Quota 41 per tutti però è anche un cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini. E sarà praticamente inevitabile che con la nuova campagna elettorale e con i nuovi programmi elettorali la Lega punterà forte su questa proposta. Va ricordato infatti che già nella campagna elettorale del 2018 la Lega e il suo leader Matteo Salvini, vedevano nella quota 41 per tutti la misura successiva alla quota 100. Dopo la misura fortemente voluta proprio dalla Lega che la mise come concessione necessaria per dire di si al reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle, la quota 41 per tutti era il fisiologico proseguo.

Anche il riscatto della laurea finirà con l’essere al centro del dibattito

Sulle minime a mille euro sembra ci sia convergenza anche verso Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che ad oggi sembra la più papabile leader di un eventuale nuovo governo. Per quanto riguarda invece il Movimento 5 Stelle la posizione sulle pensioni viaggia sul concedere la possibilità di uscita a partire dai 63 anni ma con il sistema contributivo. Altre ipotesi che viene collegata da indiscrezioni, ai grillini, è quella che va nella direzione di concedere il riscatto della laurea completamente gratuito a tutti i lavoratori. Una misura questa che sarebbe molto importante per riempire le carriere contributive dei lavoratori che si trovano con carenze da questo punto di vista. In altri termini chiunque abbia centrato la laurea, vorrebbe trovarsi fino a 5 anni di contributi in più senza dover sborsare un solo euro di riscatto.