Tassa sugli extra-profitti bocciata dall’UE, crea incertezze

All’interno del decreto Omnibus, pubblicato nel mese di agosto 2023, è prevista una particolare imposta: la tassa sugli extraprofitti delle banche. La misura dovrebbe entrare in vigore dal 2024, ma nel frattempo è avvenuta la comunicazione all’Unione Europea per eventuali rilievi. A esprimersi con ampie critiche è la presidente Bce Christine Lagarde. Ecco perché esprime perplessità.

Tassa sugli extra-profitti, perplessità della Bce

Il parere sulla tassa sugli extra-profitti inviato al Tesoro è lungo e articolato, ben sei pagine in cui si invita l’Italia a valutare con particolare attenzione questa misura. Le titubanze della Bce sono articolate e riguardano diversi punti e in particolare gli effetti che questa tassa potrebbe avere sull’intero sistema.

La tassa sugli extra-profitti prevede l’applicazione di un’aliquota al 40% sull’incremento superiore al 10% del margine di interesse delle banche italiane del 2023 rispetto al 2022. Le entrate di questa nuova tassa dovrebbero essere dirette a aiutare le famiglie a far fronte all’aumento dei tassi di interesse dei mutui e a finanziare il passaggio dell’imposizione Irpef da 4 a 3 aliquote. La BCE chiede all’Italia di:

  • effettuare un’analisi approfondita delle potenziali conseguenze negative per il settore bancario;
  • valutare l’impatto dell’imposta straordinaria sulla redditività a lungo termine;
  • analizzare il potenziale impatto sull’accesso ai finanziamenti ( si teme che le banche possano stringere le maglie del credito e/o aumentare i tassi di interesse, andando così a comprimere la crescita del Paese;
  • valutare l’impatto della tassa sugli extra-profitti sulla liquidità;
  • analizzare gli effetti sulle condizioni di concorrenza sul mercato.

Tassa sugli extra-profitti ed effetti sul mercato

Nel documento sottoscritto da Christine Lagarde si sottolinea anche che l’imposta sugli extraprofitti matura su profitti realizzati nel 2023, ma di fatto viene versata in un momento successivo in cui le banche potrebbero già non trovarsi più nella condizione precedente ( già ora si registrano i primi cali dei tassi di interesse su mutui e prestiti e l’ondata inflazionistica sembra essere sotto controllo, evento che porterà a un fermo degli aumenti del costo del denaro deciso dalla Bce). Questo discostamento potrebbe creare difficoltà alle banche nel creare adeguati accantonamenti per coprire svalutazioni e un deterioramento della qualità creditizia andando a limitare anche la capacità di erogare credito.

Occorre sottolineare che non è la prima volta che la Bce boccia misure simili, queste sono state criticate anche quando a volerle adottare erano la Lituania e la Spagna.

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Stop cucine a gas, l’Unione Europea preferisce la cucina a induzione

Dopo lo stop agli incentivi per l’installazione di caldaie a gas, sebbene di ultima generazione, arriva il possibile stop alle cucine a gas, con passaggio obbligatorio a quelle a induzione. La novità anche in questo caso arriva dall’Unione Europea. Ecco cosa succede.

Obbligo di installazione di cucine a induzione?

L’obiettivo dell’Unione Europea, neanche troppo nascosto, è arrivare alla decarbonizzazione, o meglio al disuso delle fonti fossili tra cui anche il gas. Proprio per questo motivo già dal 2024 non potranno essere riconosciuti incentivi per l’installazione di caldaie a gas, anche se di ultima generazione e poco inquinanti. Mentre dal 2025 c’è il divieto di installazione di caldaie a gas.

Novità sono però in arrivo anche per le cucine a gas, infatti, vi è una proposta di dire addio alle cucine a gas e favorire l’installazione di cucine a induzione. La proposta andrebbe a integrare la direttiva Case green.

In Italia la maggior parte delle cucine usano come alimentazione proprio la rete del metano sono poche quelle ad energia elettrica, considerate meno inquinanti. Si tratta soprattutto di nuove installazioni all’interno di edifici in cui sono installati impianti fotovoltaici.

Non si tratterebbe del primo caso in cui viene vietata l’installazione di cucine a gas, infatti prima dell’Europa, ci ha pensato New York che dal 2026 ha previsto il divieto di installare cucine a gas.

Vantaggi della cucina a induzione

I vantaggi sarebbero notevoli, infatti le cucine a induzione sono caratterizzate dalla presenza di una piastra in vetroceramica che grazie alla corrente elettrica si riscalda facilmente e consente di preparare il cibo in pochissimo tempo quindi anche con un notevole risparmio di tempo. Il divieto a cui sta pensando l’Europa non riguarderà solo i privati, ma anche i ristoranti che quindi dovranno installare nuove cucine.

Ricordiamo anche che dal 2029 è previsto l’obbligo per tutti gli edifici di installare pannelli fotovoltaici. Non avrebbe infatti senso vietare l’uso di fonti energetiche fossili senza delle alternative alla produzione di energia elettrica, ciò è evidente visto l’elevato rischio black out nelle giornate più calde dove un eccesso di uso di energia porta il sistema a saltare. Rischio che ovviamente aumenta nel momento in cui le fonti energetiche vengono ridotte all’uso di elettricità.

L’applicazione di pannelli solari nelle abitazioni civili implicherà per chi ha una buona esposizione solare vi è la possibilità di cucinare gratis, senza consumo di metano. Naturalmente molto dipende dal complesso del fabbisogno energetico del singolo edificio, ma in ogni caso non si può prescindere dalla realizzazione di parchi agrisolari.

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Cos’è il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità?

In questi giorni si sta molto parlando del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, perché ratificato dall’Italia con i soli voti dell’opposizione. Questa scelta è stata in un certo senso necessaria, visto il continuo pressing dell’Unione Europea e la posizione ferma del Governo contro la ratifica. L’approvazione è avvenuta con i membri della maggioranza usciti dall’aula in seguito a parere favorevole alla ratifica espresso dal Ministero delle Finanze. Presenti ma astenuti i membri del M5S, Alleanza verdi e sinistra. Ma di cosa si tratta?

Cos’è Il MES?

Il Mes istituito nel 2012 mediante un trattato intergovernativo, per essere efficace ha bisogno della ratifica degli Paesi Membri dell’Unione Europea. Questa parte è in realtà ratificata dall’Italia, la mancata ratifica vi è per le modifiche del 2021. Di fatto tutti l’hanno ratificato mentre l’Italia è arrivata con notevole ritardo. La ragione di questo ritardo è determinata dal fatto che da sempre il Meccanismo europeo di stabilità è stato guardato con una certa diffidenza, mentre Lega e Fratelli d’Italia sono sempre stati contrari. Più volte il Premier Giorgia Meloni ha ribadito che visto l’andamento dell’economica italiana e visto il Piano PNRR, all’Italia in questo momento il Mes non serve e soprattutto non c’è alcuna intenzione di utilizzarlo perché ritenuto “dannoso”. Ma cos’è esattamente il Mes?

Prestiti e linee di credito per i Paesi in difficoltà

La funzione fondamentale del Mes è fornire ai Paesi Membri assistenza finanziaria nel caso in cui si trovino in difficoltà, è però condizione necessaria che il debito pubblico del Paese sia considerato sostenibile.

Gli strumenti utilizzati possono essere prestiti sotto forma di un programma di aggiustamento macroeconomico o linee di credito precauzionali. Le principali decisioni inerenti il Mes e il suo utilizzo sono prese dal Consiglio dei Governatori, formato dai Ministri delle finanze dell’area euro. Il Mes opera a maggioranza qualificata rappresentante l’85% del capitale.

Sebbene l’Italia non abbia mai ratificato le modifiche al Mes, partecipa al fondo, infatti lo stesso è di oltre 700 miliardi di euro, di questi l’Italia ha sottoscritto un capitale di 125 miliardi circa e ne ha versati 14. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza.

I problemi veri nascono nel 2021 quando sono approvate modifiche al Mes, le stesse non sono mai state ratificate dall’Italia e da lì è partito il pressing da parte degli altri Paesi dell’unione Europea, infatti senza la ratifica dell’Italia il MES non può diventare operativo.

Rider nuove tutele dall’Unione Europea

Negli ultimi anni si è affermata sempre più la professione dei rider. Si tratta di lavoratori molto ricercati il cui compito è effettuare, nel più breve tempo possibile consegne a domicilio utilizzando mezzi agili come bici e scooter. Naturalmente non mancano rider in auto. Nella maggior parte dei casi sono usati per le consegne di cibo e il loro numero si è moltiplicato durante l’emergenza Covid.

Purtroppo però non sempre le condizioni di lavoro sono adeguate, ecco perché l’Unione Europea è intervenuta con una disciplina che dovrà essere applicata in tutto il territorio e quindi anche in Italia. Ecco cosa cambia per i rider.

Rider, stretta sulle false partite Iva

La disciplina prevista dall’Unione europea per i rider mira in primo luogo a evitare il fenomeno delle false partite Iva che in realtà nasconde sfruttamento. Attualmente in Unione Europea ci sono circa 28 milioni di rider e la maggior parte di loro figura come lavoratore autonomo. Questa pratica prevede che i datori di lavoro per evitare di pagare contributi previdenziali e assistenziali e di applicare i contratti di lavoro, chiedono all’aspirante rider di aprire una partita Iva, in questo modo gli oneri ricadranno sul lavoratore che dovrà versarli decurtandoli dai compensi ricevuti. Il rischio è ottenere dei compensi effettivi insufficienti a una vita dignitosa.

Per evitare questa pratica la nuova disciplina dell’Ue prevede l’inversione dell’onere della prova al fine di ottenere il contratto da lavoratore dipendente. Insomma non sarà il lavoratore a dover dimostrare che il rapporto di lavoro si configura con gli elementi caratteristici del lavoro dipendente e non del lavoro autonomo, ma sarà il committente/datore di lavoro a dover dimostrare che effettivamente il lavoro si svolge in modalità tale che il rider possa essere considerato lavoratore autonomo.

Come determinare se il rider svolge lavoro autonomo o dipendente?

L’Unione europea ha fissato i criteri per delineare se trattasi di lavoro autonomo o dipendente:

  • previsione di norme inerenti aspetto e abbigliamento;
  • previsione di norme di comportamento;
  • limiti alla quantità di denaro che possono ricevere gli addetti;
  • restrizioni alla possibilità di rifiutare un incarico;
  • determinazione degli orari di lavoro.

Nel momento in cui nel rapporto di lavoro vi sono almeno 3 di queste caratteristiche il lavoratore può chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da autonomo a dipendente con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano delle tutele sociali.

La normativa prevede inoltre che i lavoratori siano informati sull’eventuale utilizzo di sistemi di monitoraggio del lavoro.

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Case green, prendono il via i negoziati. Cosa succederà?

Dopo l’approvazione da parte del Parlamento europeo della direttiva Case Green, partono i negoziati tra le parti, cioè tra i Paesi Membri e le istituzioni europee al fine di delineare una proposta il più possibile accettata da tutti, l’Italia chiede flessibilità. Vediamo nel dettaglio le posizioni.

Direttiva Case Green, obiettivi

La direttiva Case Green (Energy performance of buildings directive ) impone ai Paesi dell’Unione Europea di abbattere le emissioni inquinanti provenienti dagli edifici il tutto in un breve lasso di tempo. Tre sono le tappe fondamentali:

  • per gli edifici di nuova costruzione vi è l’obbligo di avere la classe energetica “A” a partire dal 2026 per gli edifici pubblici e dal 2028 per edilizia privata;
  • per gli edifici già costruiti se residenziali entro il 2030 devono raggiungere almeno la classe energetica «E», mentre entro il 2033 la classe energetica “D”;
  • gli edifici non residenziali e pubblici invece devono raggiungere la classe energetica “E” entro il 2027, e la classe energetica “D” entro il 2030.

Per ogni Stato ci sono delle fasce di tolleranza, ad esempio per gli edifici storici.

Naturalmente non sono mancate polemiche e critiche che riguardano soprattutto la rigidità di queste norme, infatti gran parte del patrimonio edilizio italiano, ma non solo, avrà problemi ad adeguarsi e si ritiene che non tutti i lavori svolti con il Superbonus 110% consentano di raggiungere le classi energetiche ora viste. Proprio per questo l’Italia insieme ad altri Paesi Ue chiedono maggiore flessibilità. Con i negoziati partiti il 6 giugno 2023 si mira proprio ad ottenere tale risultato.

Partono i negoziati con i Paesi membri per definire la direttiva Case Green

Deve essere ricordato che alla fase dei negoziati non sono previsti termini temporali, questo implica che le trattative potrebbero richiedere anche molto tempo. Il nodo in Italia è anche di tipo economico perché c’è poco spazio per i bonus edilizi che rischiano di far incrementare troppo la spesa pubblica e molte famiglie sono in difficoltà.

Nell’incontro del 6 giugno il dibattito è su ispezioni periodiche degli impianti di riscaldamento, ventilazione e condizionamento, dei rapporti di ispezione, degli esperti indipendenti che devono effettuare le verifiche e dei sistemi di certificazione ( articoli dal 20 al 24 della direttiva).

Il prossimo incontro invece non è ancora stato fissato riguarderà le prestazioni energetiche degli edifici e proprio su questa parte si teme che possa esservi un dibattito particolarmente acceso.

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Direttiva case green: ecco chi dovrà ristrutturare casa nei prossimi anni

Condizionatori, stop dell’Unione Europea ai gas refrigeranti

L’Ue ha adottato il Regolamento F-Gas che ha l’obiettivo di ridurre emissioni di gas fluorurati a effetto serra. Ciò potrebbe influire sull’installazione di condizionatori e pompe di calore e secondo le stime fatte in almeno 8 case su 10 non sarà possibile installarli. Si prevedono inoltre aumenti dei prezzi fino al doppio. Ecco cosa prevede il Regolamento F-Gas per i condizionatori.

Allarme condizionatori, cosa succede in Unione europea?

A lanciare l’allarme sulle nuove regole per i condizionatori è Gabriele Di Prenda, manager di Daikin Italia ed esperto di F-gas, a lui si aggiunge Assoclima, l’associazione dei costruttori dei sistemi di climatizzazione. Entrambi propongono di affiancare agli attuali gas in uso, gas naturali senza però andare a precludere la possibilità di installazione dei modelli attualmente in commercio visto che le aziende del settore sono leader in tutto il mondo.

Il nuovo Regolamento UE F-Gas prevede che per il funzionamento dei climatizzatori siano utilizzati solo gas naturali, come il propano e l’ammoniaca, sottolinea Assoclima che il propano essendo a rischio eplosione– incendio mette a rischio la sicurezza, mentre l’ammoniaca è potenzialmente tossica. A ciò si aggiunge che questi due gas naturali sono vietati in strutture come ospedali, hotel, cinema, spazi pubblici e di conseguenza vi è l’esigenza di provvedere a sistemi alternativi per la climatizzazione di questi ambienti.

Addio a 100.000 posti di lavoro con il nuovo Regolamento F-gas sui condizionatori

L’allarme di Daikin riguarda anche i posti di lavoro, infatti si potrebbero perdere fino a 100.000 posti con una forte ricaduta anche sul Pil nazionale. Tra le ombre della normativa vi è il fatto che il divieto previsto dal Regolamento F-Gas non consentirebbe neanche di effettuare la produzione per l’esportazione in Paesi Extra Ue dove è ancora possibile installare climatizzatori/condizionatori che funzionano con gas che sarebbero vietati in Ue.

Questo implica che sebbene una forte domanda di produzione italiana arrivi proprio dall’estero, non si potrà rispondere a questa domanda. Di conseguenza ci sarà un vantaggio per i produttori americani e cinesi che occuperebbero quello spazio vuoto lasciato dalle produzioni dall’Ue e in particolare dall’Italia.

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Patrimoniale, ora a chiederla è l’Unione Europea. Cosa succede?

L’Italia ha sempre avversato l’idea di introdurre una tassa patrimoniale, in particolare, la destra liberale ha sempre sostenuto che una patrimoniale sarebbe ingiusta e potrebbe determinare effetti negativi in quanto poco accettata. Ora l’ipotesi di una patrimoniale arriva dal Parlamento Europeo e, se approvata, troverebbe applicazione anche in Italia, mandando in frantumi anni di lotte e soprattutto andando a superare gli ostacoli ideologici che finora hanno ostacolato tale introduzione.

Patrimoniale: favorevoli e contrari alla tassa sul patrimonio

Come dice lo stesso nome, la patrimoniale è una tassa sul patrimonio, non colpisce quindi il reddito corrente, ma depositi, risparmi, proprietà. Di fatto visto che le entrate correnti sono già tassate, se le stesse sono accantonate in parte e poi tassate con la patrimoniale, è come se gli stessi redditi venissero tassati due volte. Chi è favorevole alla patrimoniale sostiene che sarebbe una misura di equità che potrebbe ridurre le fasce di povertà.

In Italia una sorta di patrimoniale ha trovato applicazione nel 1992 quando con il Governo Amato, di notte (10 luglio), si optò per il prelievo forzoso dello 0,6% dai conti correnti degli italiani. L’obiettivo in quel momento era sanare i conti pubblici, quella manovra sconvolse gli italiani soprattutto per le modalità e ha portato poi a fidarsi molto poco dello Stato.

Parlamento Europeo: chi chiede la patrimoniale?

Per quanto riguarda la situazione attuale, a chiedere la patrimoniale in Unione Europea è un gruppo di 130 parlamentari, l’obiettivo di questa imposizione da applicare a coloro che sono considerati “ultra-ricchi” è finanziare la transizione ecologica. A chiedere l’attuazione di una patrimoniale sono Socialisti e Democratici, Sinistra unitaria europea e Verdi, questi gruppi rappresentano circa il 20% del Parlamento Europeo, quindi non si tratta di una forza particolarmente rilevante, ma non è detto che non riescano a guadagnare ulteriori consensi verso questa proposta. Deve essere sottolineato che la stessa ha ricevuto il plauso di molti accademici e anche questo dato potrebbe avere una certa rilevanza.

La patrimoniale ipotizzata dovrebbe essere un prelievo diretto dell’1,5% sulle ricchezze di valore superiore a 50 milioni di euro.

Tassa sul patrimonio: chi è favorevole e chi contrario?

L’introduzione di una patrimoniale non è un’ipotesi che sfiora solo il legislatore europeo, infatti anche Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti d’America ha ipotizzato un aumento di imposizione fiscale sui grandi patrimoni. La minimum tax sui miliardari dovrebbe arrivare al 25%, mentre la tassazione sulle plusvalenze ( capital gain) dovrebbe essere portata dal 20% al 39,6%. Infine, è previsto un aumento della tassazione sulle società miliardarie.

In Italia l’introduzione di una patrimoniale è sostenuta soprattutto dai partiti di sinistra e sembra che con la nuova guida del Pd affidata a Elly Schlein anche il Partito Democratico, che ha avuto sempre posizioni meno possibiliste su questa tassazione, si stia schierano a favore. C’è però un nodo da sciogliere, cioè l’obiettivo dichiarato dal Governo Meloni di ridurre la pressione fiscale.

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Data scadenza alimenti, l’Unione Europea cambia l’etichetta

Gli sprechi alimentari sono uno dei problemi più sentiti nel mondo occidentale, gli stessi sono determinati sopratutto da cattive abitudini di acquisto che portano a buttare ogni anno tonnellate di cibo, uno spreco alimentare che genera disuguaglianze e che contribuisce all’inquinamento ambientale. Per ridurre questi effetti l’Unione Europea sta rivedendo le diciture inerenti le date di scadenza dei prodotti alimentari, infatti molti di questi sono buttati quando in realtà sono ancora commestibili.

Sprechi alimentari: L’Unione Europea approva la bozza con le nuove etichette per la scadenza

Si calcola che nel mondo ogni anno si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, secondo la FAO 1/3 del cibo prodotto in tutto il mondo. In Italia lo spreco alimentare è stimato in 67 kg l’anno per ogni italiano, ad di sotto della media globale che è di 74 kg e della media degli altri Paesi europei.

I prodotti alimentari riportano sempre la data di scadenza, in alcuni casi essa è solo indicativa, cioè indica un termine entro il quale è preferibile consumare un determinato cibo. Trascorso tale termine non è detto che il prodotto sia andato a male e non sia quindi commestibile, semplicemente è preferibile osservarlo per determinare se vi sono variazioni di colore, sapore, odore che possono far pensare che il prodotto sia andato a male. Purtroppo però le persone hanno paura e tendono a buttare alimenti che potrebbero essere ancora sani.

Nella bozza anti-spreco della Commissione Europea si prevedono nuove diciture che dovrebbero indurre i consumatori ad una maggiore oculatezza. Ad esempio, si prevede di affiancare alla dicitura “ da consumarsi preferibilmente entro” la dicitura “spesso buono anche oltre”. In questo modo si chiarisce in modo esplicito che il prodotto nella maggior parte dei casi è ancora buono e può essere consumato.

Per quali prodotti ci sarà l’indicazione “spesso buono anche oltre“?

Le etichette attualmente indicano:

da consumarsi entro: utilizzata per i prodotti freschi, latticini, prodotti da banco e indica la data entro la quale il cibo è considerato ancora sano. Si tratta di alimenti che generalmente hanno tempi brevi di conservazione e ai quali è bene stare attenti, ad esempio yogurt e latte fresco.

Da consumarsi preferibilmente entro: viene applicata a prodotti a lunga conservazione e sono proprio questi i prodotti in cui dovrebbe essere affiancata la dicitura “spesso buono anche oltre”. In questo caso il consumatore è invitato a controllare il cibo, verificando la corretta conservazione, ad esempio assenza di fori sulla confezione, il colore che deve risultare inalterato, l’odore deve risultare gradevole, non devono essere presenti macchie, muffe o piccoli insetti. Naturalmente la nuova etichetta, se definitivamente approvata, sarà accompagnata da un’adeguata campagna informativa.

Pagamento Pos, a breve modifiche alle commissioni

A breve potrebbero esservi novità positive per commercianti e professionisti,  è stato istituito il tavolo tecnico per la modifica alle commissioni per il pagamento Pos.

Bocciata la legge di bilancio 2023, si studiano nuove ipotesi per le commissioni su pagamento Pos

La bozza della legge di bilancio 2023 prevedeva inizialmente l’eliminazione dell’obbligo di accettare pagamenti con il bancomat per importi inferiori a 30 o 60 euro. La bozza fu inviata all’Unione Europea che criticò tali misure sostenendo che incoraggiavano l’evasione fiscale. Proprio per questo motivo le norme sparirono dalla legge di bilancio 2023. La ratio della scelta di eliminare l’obbligo di accettare il pagamento con Pos era nel fatto che i commercianti quando accettano tali pagamenti pagano una commissione bancaria che varia in base alla banca. Questo implica che, per piccoli importi, i guadagni effettivi possono essere erosi in maniera considerevole da tali commissioni. Saltata la norma che lasciava i commercianti liberi di non accettare i pagamenti elettronici, resta il problema delle commissioni.

Pagamento Pos: come è costituito il tavolo tecnico?

Proprio per questo motivo è stato istituito il tavolo tecnico presso il MEF ( Ministero dell’Economia e delle Finanze) in cui sono coinvolte anche le associazioni di categoria. In particolare partecipano al tavolo tecnico:

  • Banca d’Italia;
  • Agenzia delle Entrate;
  • Agenda per l’Italia Digitale;
  • Confartigianato, Confesercenti, Confcommercio;
  • Associazione italiana prestatori servizi di pagamento;
  • ABI;
  • Ministero delle imprese e del made in Italy.

In base al decreto del Mef del 3 marzo 2023, possono partecipare anche in qualità di uditori altri soggetti interessati.

L’obiettivo è individuare soluzioni che possano sollevare i commercianti dal pagamento delle commissioni per i piccoli importi.

Commissioni pagamento Pos: doppia soglia

In base ai primi lavori sembra che si opti per individuare una doppia soglia, dovrebbero quindi essere sollevati dall’onere di pagare le commissioni gli esercenti attività di impresa, arti e professioni con ricavi e compensi relativi all’anno antecedente inferiori a 400 mila euro e per pagamenti singoli di importo fino a 30 euro.

Il gruppo di lavoro ha 90 giorni di tempo per definire una bozza equa e trasparente inerente i costi delle commissioni. In caso contrario si procederà a chiedere il versamento di un contributo straordinario pari al 50% delle commissioni introitate per le transazioni inferiori a 30 euro. Questi andranno a costituire un fondo destinato al sostegno di commercianti e professionisti.

Reddito di cittadinanza: ecco come cambierà nei prossimi mesi

Dopo i rilievi della Commissione Europea che ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia per il Reddito di Cittadinanza e l’Assegno Unico che sarebbero discriminatori, dal Ministero del Lavoro arriva la conferma: il reddito di cittadinanza cambierà presto. Ecco cosa si prevede.

Maria Teresa Bellucci: dal 2024 il Reddito di Cittadinanza non ci sarà più

Sia chiaro, in base alle norme dell’Unione Europea l’Italia non può adottare una disciplina che non preveda forme di sostegno per le persone in difficoltà, che si tratti di reddito di emergenza, cittadinanza, inclusione o in qualunque altro modo lo si voglia chiamare le norme dell’Unione Europea sono chiare: è necessario mettere in campo misure di sostegno alle persone.

Già nei primi atti del Governo Meloni vi sono però state delle novità che portano al superamento graduale di questo strumento di welfare e ora arrivano le prime dichiarazioni dal Ministero del lavoro sulle norme a cui si sta lavorando. A fare le prime dichiarazioni è il vice-ministro del Lavoro Maria Teresa Bellucci che ha sottolineato che il reddito di cittadinanza sarà superato definitivamente dal 2024 e sarà sostituito da due diverse misure.

La prima misura è una forma di sostegno economico alle famiglie che ne hanno realmente bisogno. La seconda forma di sostegno mira invece mira all’inserimento lavorativo di persone che sono disoccupate, ma occupabili. Ricordiamo che nel frattempo, in base alle norme contenute nella legge di Bilancio 2023 dal mese di agosto gli occupabili non riceveranno più il sussidio.

Procedura di infrazione Unione Europea: il Reddito di Cittadinanza è discriminatorio

Non sono mancate dichiarazioni del vice-ministro del Lavoro il merito alla procedura d’infrazione avviata dall’Unione Europea, la stessa ha sottolineato che in questa decisione l’Unione Europea sembra scollata dalla realtà infatti ritenere discriminatorio il requisito della residenza da 10 anni in Italia per poter ottenere il Reddito di Cittadinanza mette in serie pericolo i conti pubblici italiani e lo stato sociale.

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Nel frattempo arrivano i primi dati sugli effetti delle norme introdotte di recente del Governo Meloni, infatti sono già diminuiti di 200.000 unità i percettori di reddito di cittadinanza. A ciò si aggiungono controlli più stringenti sulle richieste che sono comunque diminuite rispetto ai dati precedenti. Sono inoltre stati avviati corsi di formazione mirati all’inserimento lavorativo.