Assunzione apprendista: caratteristiche e informazioni

L’assunzione di un apprendista comporta per il datore di lavoro, oltre al pagamento di una retribuzione per l’attività lavorativa svolta e al versamento dei relativi contributi agevolati, l’obbligo di garantirgli il percorso formativo al fine di acquisire le adeguate competenze professionali. Per l’apprendista, ricorre l’obbligo di seguire il percorso formativo che può compiere all’interno come all’esterno dell’azienda.

I contratti di apprendistato

Il contratto di apprendistato è riservato ai giovani fino a un massimo di 29 anni. Al termine della formazione, previo accordo tra le parti, il contratto di apprendistato si trasforma in contratto a tempo indeterminato.

Esistono tre tipologie di apprendistato, per ognuna è previsto un diverso contratto con cui viene assunto il lavoratore che si differenzia per durata e retribuzione.

Apprendistato per la qualifica e diploma professionale, di istruzione secondaria superiore e la specializzazione tecnica superiore

Il relativo contratto di lavoro consente all’apprendista di ottenere un diploma professionale o di istruzione secondaria superiore, o una qualifica e specializzazione professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e la specializzazione professionale, cimentandosi tra lavoro e studio. L’apprendista assunto deve avere un’età compresa tra i 15 anni e i 25 anni compiuti.

La durata contrattuale dipende dal tipo di diploma o qualifica da conseguire, in ogni caso, varia da un anno a quattro anni. I datori di lavoro possono prorogarla fino ad un anno per qualificati e diplomati, per il consolidamento e l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche, valide anche per il conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore o del diploma di maturità professionale.

La contrattazione collettiva può prevedere la stipula di contratti di apprendistato anche a tempo determinato per le attività stagionali, ma solo se Regioni e Province autonome hanno attivato un sistema di alternanza scuola-lavoro.

Sotto l’aspetto retributivo, si va dai 2.000 euro per i minorenni fino ai 3.000 euro per i maggiorenni.

Apprendistato professionalizzante

Questo contratto di lavoro permette di ottenere una qualifica professionale attraverso il relativo percorso formativo. Il giovane assunto deve avere un’età compresa tra i 18 anni (17 anni nel caso di possesso di una qualifica professionale) fino al compimento dei 29 anni, in tutti i settori dell’attività, siano essi pubblici che privati.

L’apprendistato è esteso con gli stessi obiettivi ai beneficiari di misure di sostegno al reddito legati alla disoccupazione (compresi i lavoratori in mobilità), senza vincoli anagrafici. La durata del contratto non può superare i tre anni (cinque anni per l’artigianato).

Gli apprendisti ricevono uno stipendio regolare, inizialmente anche dal 60% per poi raggiungere negli anni il 100% della retribuzione prevista per il livello d’assunzione.

Nel caso di cassa integrazione a zero ore, l’obbligo di formazione dell’apprendista è sospeso. Alla ripresa del lavoro, il periodo di apprendistato viene prorogato in misura equivalente all’ammontare delle ore di integrazione salariale fruite.

LEGGI ANCHE: Assunzione diretta: cos’è, gli obblighi di comunicazione del datore di lavoro

Apprendistato di alta formazione e ricerca

Questo contratto di lavoro si pone l’obiettivo di conseguire il diploma di scuola secondaria superiore, di professionale di tecnico superiore, di laurea, master e dottorato di ricerca. Può essere usato anche per il praticantato al fine di accedere agli ordini professionali.

L’apprendista assunto deve avere un’età compresa tra i 18 anni (17 anni nel caso di possesso di qualifica professionale) e i 29 anni, in tutti i settori di attività, privati o pubblici.

La durata minima di questo contratto è di sei mesi, la massima differisce a seconda dell’apprendistato:

  • per alta formazione è correlata ai relativi percorsi;
  • per attività di ricerca non può superare i tre anni (quattro anni su proroga di regioni e delle province autonome per esigenze correlate al progetto di ricerca;
  • per il praticantato mirato all’accesso negli ordini professionali è definita in rapporto al conseguimento dell’attestato di compiuta pratica per l’ammissione all’esame di Stato.

La retribuzione è stabilita dal CNNL e dal livello di inquadramento.

Assunzioni di apprendisti

Il datore di lavoro può assumere tre apprendisti ogni due dipendenti. Per quelli con meno di dieci dipendenti, non si può superare il limite massimo di assunzioni di apprendisti rispetto alle maestranze specializzate e qualificate. I datori di lavoro con meno di tre dipendenti o in assenza di lavoratori specializzati, può assumere fino a tre apprendisti. Le imprese artigiane fanno riferimento ai limiti dimensionali previsti dalla legge-quadro di categoria.

I datori di lavoro sono tenuti a confermare il 20% degli apprendisti assunti nei 36 mesi precedenti nelle aziende con più di 50 dipendenti (salva diversa indicazione dei contratti collettivi). Tali regole sono previste solo per gli apprendisti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante.

Tutele per gli apprendisti

L’apprendista beneficia del divieto di retribuzione a cottimo e può essere inquadrato fino a due livelli inferiore rispetto alla qualifica spettante. Può essere stabilita anche uno stipendio percentualmente ridotto e gradualmente crescente con l’anzianità di servizio. Beneficia di un’aliquota ridotta e di piena copertura previdenziale.

Inoltre, è coperto per infortuni sul lavoro, malattia (anche professionale), invalidità e vecchiaia, maternità e assegno familiare. Per sospensione involontaria dell’apprendistato oltre i 30 giorni, l’apprendista può prolungarne il periodo.

Se il rapporto di lavoro si interrompe per cause diverse dalle dimissioni (compreso il recesso al termine del periodo formativo comunicato dal datore di lavoro), anche per gli apprendisti è dovuto a carico del datore di lavoro il contributo pari al 50% della NASpI iniziale, per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.

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Come si può uscire da una SRL

Quando un gruppo di imprenditori decide di costituire una società, di solito all’inizio c’è una piena unità di intenti. Ma poi con il tempo spesso accade che non tutti i soci condividono le linee guida e gli obiettivi di business. In tal caso uno o più soci possono decidere di defilarsi e quindi di lasciare un’azienda. Ed allora, come si esce da una società, per esempio da una SRL?

Come si può uscire da una SRL tra decisioni non condivise e clausole nell’atto costitutivo

Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che nessun socio di un’azienda può essere chiaramente costretto a rimanere a vita all’interno di una società? Pur tuttavia, l’uscita di un socio da una SRL deve avvenire non solo rispettando l’iter di legge, ma anche nel rispetto di quello che è l’atto costitutivo. Nel rispetto del codice di procedura civile, infatti, nell’atto costitutivo di una SRL ci sono in genere inserite non solo le modalità, ma anche le cause di recesso e, quindi, di uscita di un socio dalla società a responsabilità limitata.

Ma nello stesso tempo ci possono essere delle clausole che possono rendere l’uscita da una SRL decisamente più complessa e quindi più difficoltosa. Per un socio uscire da una SRL, infatti, significa prendere la decisione di andare a cedere le proprie quote, ma nell’atto costitutivo, per esempio, potrebbero essere state inserite delle clausole o comunque delle limitazioni alla trasferibilità delle quote possedute da ogni socio della SRL.

Nella maggioranza dei casi un socio che vuole uscire da una SRL chiede agli altri soci se ci sia disposto qualcuno ad acquistare le sue quote. Ma spesso la cifra proposta tende ad essere inferiore al valore corrente di mercato della società. In tal caso è possibile far valutare la società da un soggetto indipendente, ed il socio facendo leva sulle disposizioni di legge può in ogni caso dare le dimissioni esercitando il diritto di recesso.

Quando il socio di una SRL può uscire avvalendosi del diritto di recesso

La legge dispone infatti che il socio di una SRL può defilarsi, per esempio, quando è cambiato l’oggetto sociale, quando la società a responsabilità limitata ha perfezionato operazioni di scissione o di fusione, ed anche quando, tra l’altro, è stato varato un aumento di capitale a pagamento con l’esclusione dei diritto di opzione. Tre la cause di uscita di un socio da un SRL, potendo così esercitare il diritto di recesso ai sensi di legge, c’è pure il trasferimento della sede sociale all’estero, il cambio di tipo di società ed anche la modifica nell’atto costitutivo proprio delle cause di recesso.

Esercitando il recesso ai sensi di legge al socio della SRL spetterà il rimborso della quota in proporzione a quello che è il patrimonio della società. In altre parole, al socio uscente spetteranno dei soldi, ma bisogna fare molta attenzione alle eventuali contromisure e contromosse da parte degli altri soci che, se sono in disaccordo, potrebbero addirittura deliberare lo scioglimento della società. Ed in tal caso a scomparire sarebbe non solo il diritto di recesso del socio, ma anche i soldi spettanti.

Il registro dei corrispettivi IVA: quando si usa e a cosa serve

Il registro dei corrispettivi IVA va usato da alcune categorie di commercianti. Ecco nello specifico come funziona, chi deve usarlo e a cosa serve.

Il registro dei corrispettivi IVA: a cosa serve?

Il motivo principale per cui si utilizza il registro dei corrispettivi è per capire la posizione del contribuente nel confronti dell’Erario, ai fini della liquidazione dell’IVA. Tutte le attività (escluse quelle aderenti a particolari regimi fiscali) sono tenute a liquidare l’IVA. Si tratta del calcolo dell’importo dell’imposta tra le fatture emesse e quelle ricevute dai fornitori. La differenza tra questi due importi, rappresenta la somma da versare all’Erario. Questa operazione si svolge mensilmente oppure trimestralmente a seconda del volume d’affari dell’impresa.

Il registro dei corrispettivi IVA: chi deve usarlo?

Secondo l’art. 24 del D.P.R. 633/1972, tutti i commercianti al minuto hanno l’obbligo dell’uso dei registro dei corrispettivi IVA. Rientrano in questa categoria tutti coloro che esercitano professionalmente l’attivita di acquisto merci a nome e per conto proprio e le rivende. La rivendita può essere all’interno di una sede fissa, privata o mediante altre forma di distribuzione diretta al consumatore finale, o al pubblico in termini più generali. Pertanto ne fanno parte i negozianti, i bar, le pizzerie ed i parrucchieri. Questi commercianti non hanno l’obbligo di emissione della fattura (sia cartacia che elettronica). Ma devono annotare tutte le operazioni svolte nel registro dei corrispettivi.

Le informazioni da indicare

All’interno del registro vanno annotati i corrispettivi giornalieri. Per ciascuna tipologia di operazione deve essere indicati:

  • gli importi delle operazioni imponibili;
  • le operazioni esenti IVA;
  • le operazioni non imponibili;
  • gli importi delle operazioni soggette al regime del margine
  • le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di soggetti passivi debitori dell’imposta in un altro stato dell’Unione europea.

In questo ammontare vanno anche compresi i corrispettivi, comprensivi di imposta, delle operazioni che riguardano:

  • operazioni relative a immobili o beni strumentali;
  • operazioni effettuate con emissione di fattura comunque richiesta dal cliente oppure obbligatoria.

E’ bene appuntare la data di registrazione e la descrizone dell’operazione. 

Il registro dei corrispettivi: la modalità telematica

L’Agenzia delle entrate precisa che chiunque sia in possesso di un Registratore Telematico deve avere una connessione internet attiva al momento della chiusa della cassa. Questo permette l’invio dei dati attraverso l’operazione RT in automatico a predisporre il file contenente i dati da trasmettere al fisco. Infatti dopo la chiusura della cassa, l’RT prova a collegarsi al server dell’Agenzia delle entrate e, non appena il canale di colloquio è attivo, trasmette il file. Ma cosa succedere se in quel preciso istante ci sono problemi con la connessione? Ci sono 12 giorni di tempo per trasmettere i dati o riconnettendo l’RT o copiando il file dei corrispettivi su una memoria esterna e utilizzando l’apposita funzionalitàdi upload di tale file presente nel portale Fatture e Corrispettivi. Durante i giorni di chiusura non occorre fare nessuna operazione. Ma al momento del primo invio, sarà lo stesso sistema a contare i giorni di chiusura del negozio.

Modalità di tenuta del registro

Come in tutti gli altri registri obbligatori anche questo è esente da impsta di bollo e non è soggetto a vidimazione iniziale. Ma il contribuente ha un obbligo e cioè quello di numerare progressivamente le pagine. Infatti man mano che si scorre il registro le pagine oltre la numero progressivo deve anche indicare l’anno di riferimento delle registrazioni. Le aziende devono anche tenere tanti altri libri come quello della contabilità, fatture in entrata ed in uscita, ma per tutti vigono delle regole. Non devono essere presenti cancellature, correzioni, spazi lasciati vuoti, perchè se ci sono delle annotazioni da fare, questi devono sempre essere leggibili. Questo permette di garantire maggiore trasparenza delle singole operazioni.

Cosa significa mettere una società in liquidazione?

Oggi andremo ad occuparci di una annosa questione, nel mondo del lavoro. Ovvero la cessazione di una attività intesa come società e quindi vedremo cosa significa mettere una società in liquidazione.

Cos’è una società a responsabilità limitata?

Innanzitutto, cominciamo col dire cosa sia una società srl, sebbene molto probabilmente chi è qui a leggere saprà già di cosa stiamo parlando.

Quando parliamo di srl, parliamo di società a responsabilità limitata, quindi una società che consente di costituirsi con altre persone, sia fisiche che giuridiche (ovvero altre società), con le quali si diventa soci. Le quote societarie affidate a ciascun socio possono essere trasferite e cedute come regolato nello statuto della società.

Molti, dunque si chiedono cosa accade mettendo in liquidazione una società. Non ci resta che andare a scoprirlo insieme.

Cosa si intende per liquidare un’ azienda o società

Dunque, dichiarasi la liquidazione nel caso in cui una società di capitali, una società di persone o un’impresa individuale deve essere sciolta. Attraverso tale procedura l’obiettivo è quello di rendere liquidi i beni residui dell’impresa (come gli edifici, i macchinari, i veicoli) per far fronte a tutte le passività, ovvero per convertirle completamente in contanti o in altri fondi facilmente scambiabili.

Le tipologie di liquidazioni si distinguono in diversi casi, come i seguenti:

  • volontaria o ordinaria cioè disciplinata dal Codice civile; prevede tre fasi (scioglimento, liquidazione, estinzione). È quella su cui ci soffermeremo nel nostro articolo.
  • forzata o giudiziale o concorsuale che è conseguente alla dichiarazione di fallimento.
  • coatta amministrativa quando è disposta dall’autorità giudiziaria e applicata ad alcuni enti e categorie d’impresa quali imprese bancarie e assicurative, società partecipate da enti pubblici, società cooperative e alcuni enti dell’amministrazione italiana.

Ma quando viene determinata la liquidazione di una società?

Dunque, questa liquidazione con scioglimento societario può determinarsi in diversi modi, secondo motivi differenti:

  • previa accordi dei soci che lo hanno deliberato
  • si sono verificate le cause di scioglimento previste dalla legge
  • a verifica di cause di scioglimento previste dal contratto sociale o dall’atto costitutivo

Una volta che si è messo fine alla fase produttiva, una società in liquidazione vive quindi la sua ultima fase di vita, in cui realizza le attività e paga le passività. Nel caso dovesse rimanere un attivo dopo aver ultimato le precedenti operazioni avrà esso possibili due destinazioni:

  • qualora si tratti di un’impresa individuale finisce nel patrimonio privato dell’imprenditore;
  • se si tratta, invece di una società tornerà ai soci in proporzione al capitale conferito da ognuno di essi al momento della costituzione della società.

Vediamo, inoltre cosa ancora comporta determinare la liquidazione di una società. Il principale cambiamento in un’azienda in fase di liquidazione non interessa l’oggetto sociale che resta immutato, ma lo scopo sociale. L’obbiettivo diviene infatti quello di estinguere ogni rapporto giuridico, attivo o passivo che sia, caratterizzante la vita dell’ azienda liquidata.

Nel caso, ad esempio di una società di persone le cause contenute nell’articolo 2272 del Codice civile che portano al determinare lo stato di liquidazione di una società di persone sono quelle che seguono:

  • decorso del termine
  • conseguimento dell’oggetto sociale o impossibilità di conseguirlo
  • volontà di tutti i soci
  • mancanza della pluralità dei soci
  • altre cause previste dal contratto sociale o atto costitutivo

Responsabilità dei soci e revoca della liquidazione

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a vedere quali sono le responsabilità dei soci nello scioglimento di una società. Al conseguimento della cancellazione di una società di persone dal Registro delle Imprese possono essere rimasti dei crediti non soddisfatti. In tal caso, i creditori sociali potranno procedere nei confronti dei soci ed eventualmente anche dei liquidatori, qualora essi siano la causa del mancato pagamento.

Per quanto riguarda la revoca della liquidazione, invece, vi è infine la possibilità di revocare lo stato di liquidazione. Per poterlo fare si dovrà rimuovere le cause di scioglimento, con il consenso di tutti i soci, quindi si potrà riprendere la normale attività sociale.

Ora che la questione “liquidazione” è appurata, non ci resta che liquidarci e darci appuntamento alle prossime notizie sul mondo delle imprese e del lavoro.

Concordato fallimentare: la procedura da seguire per ottenerlo

Il concordato fallimentare è una procedura volta a determinare la chiusura di una procedura di fallimento attraverso un accordo con i creditori, ma come funziona?

Concordato fallimentare: a cosa serve?

La crisi economica ha determinato difficoltà per molte imprese e società, non tutte sono riuscite a far fronte agli impegni economici e per molte si è aperta la porta del fallimento. Naturalmente un’impresa in difficoltà, che si avvia alla chiusura, ha sicuramente accumulato dei debiti ed è necessario comunque utilizzare i beni della società/impresa per liquidare i creditori (lavoratori, fornitori…).

Per velocizzare le procedure è possibile chiudere con un concordato fallimentare, solitamente questo si attua quando i beni sono insufficienti a coprire tutti i passivi accumulati  e consente al “fallito” di sanare definitivamente i propri debiti, sebbene non tutti i creditori siano stati interamente soddisfatti. La disciplina è contenuta nella Legge Fallimentare (legge 267 del 1942 e s.m.i.) e nel codice civile. La prima all’articolo 1 stabilisce che possono essere soggetti a concordato fallimentare gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, la formula è quindi ampia.

L’obiettivo è ridurre i tempi rispetto alla procedura ordinaria di fallimento che, per poter avviare le procedure del concordato fallimentare (da non confondere con quello preventivo) deve essere già iniziata, infatti come vedremo per poter procedere è necessario che sia stato già determinata l’entità della situazione debitoria (art 97). Ciò implica che siamo in una fase in cui l’imprenditore non può salvarsi dal fallimento, ma semplicemente si possono semplificare le procedure tramite un concordato volto anche a evitare che con il trascorrere del tempo il valore dei beni possa diminuire.

La proposta di concordato fallimentare

La procedura per il concordato fallimentare è distinta in diverse fasi, la prima è la proposta, qui c’è la prima cosa da sottolineare, l’articolo 124 della Legge Fallimentare stabilisce che può essere presentata “da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo” ciò a condizione che il curatore fallimentare possa predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito, oppure può essere proposta dal “fallito, da società cui egli partecipi o da società sottoposte a comune controllo se non dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo”. Ci sono quindi due strade percorribili, con tempi però diversi, infatti i debitori possono chiedere il concordato in modo anticipato rispetto al fallito.

Contenuto della proposta

La proposta di concordato fallimentare deve avere un contenuto ben determinato con:

  • Suddivisione dei creditori in classi definite (devono essere adottati criteri omogenei per la definizione delle classi);
  • possono essere indicati trattamenti diversi per i vari crediti vantati, ma tale differenziazione deve essere giustificata. Non può essere alterato l’ordine delle classi di prelazione, ad esempio un creditore assistito da un’ipoteca su un bene immobile ha diritto ad essere soddisfatto in via principale sul ricavato della vendita di quel determinato bene rispetto ad altri creditori. Se sullo stesso immobile sono presenti più ipoteche comunque si tiene in considerazione la data di iscrizione, per il semplice fatto che i creditori successivi potevano sapere dell’esistenza di una causa di prelazione su quell’immobile. Vedremo nel prosieguo che i creditori assistiti da causa di prelazione possono rinunciarvi;
  • il concordato fallimentare deve prevedere la ristrutturazione dei debiti, ciò anche attraverso la vendita di beni, attraverso l’accollo e altre operazioni straordinarie volte a liquidare il patrimonio, ad esempio cessione di azioni e obbligazioni ai creditori.

Deve essere sottolineato che in base al piano è possibile che i creditori non siano totalmente soddisfatti, sebbene siano assistiti da cause di prelazione, è però essenziale che siano rispettate determinate condizioni e cioè che l’ordine delle cause di prelazione sia rispettato e che la soddisfazione sia in misura non inferiore rispetto a quanto ricavabile in relazione al valore di mercato del bene indicato in una relazione giurata stilata da un professionista nominato dal tribunale. Questa misura è volta a proteggere i creditori assistiti da garanzia da manovre poco corrette volte a ledere i diritti da questi acquisiti.

A chi viene presentata la proposta

La proposta di concordato fallimentare deve essere presentata al giudice delegato che a sua volta deve:

  • valutarne la correttezza;
  • chiedere un parere al comitato dei creditori (parere vincolante) e uno al curatore fallimentare (parere non vincolante);
  • predisporre la comunicazione ai creditori indicando loro una data entro la quale far pervenire il loro dissenso o consenso. Il termine non può essere inferiore a 20 giorni e superiore a 30 (art 125 Legge Fallimentare).  Il silenzio ha valore di assenso (art.128).

Il concordato fallimentare è approvato nel caso in cui ottenga il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Non sono ammessi al voto i creditori assistiti da causa di prelazione (pegno/ipoteca), tranne nel caso in cui rinunciano a tale causa di prelazione. In base all’articolo 127 L.F la rinuncia può essere anche parziale purché non inferiore a 1/3 e comunque il voto è ammesso solo per la quota non coperta da prelazione. Se però la proposta iniziale di concordato comunque non prevede l’intero soddisfacimento dei crediti assistiti da prelazione, i creditori con prelazione possono partecipare al voto anche senza la rinuncia formale alla prelazione.

Il curatore al termine delle operazioni di voto trasmette una relazione sull’esito dello stesso al giudice. Se la proposta risulta approvata, il giudice cura che ne sia data comunicazione con PEC ai creditori (anche dissenzienti), al proponente, che può richiederne l’omologazione, e al fallito ( in questo caso anche con raccomandata con avviso di ricevimento). Il giudice in tale sede stabilisce anche il termine per proporre opposizione al concordato fallimentare.

Omologazione del concordato fallimentare

Se non vengono proposte opposizioni, il giudice procede all’omologazione del concordato preventivo con decreto. Avverso tale decreto è possibile proporre ricorso davanti alla Corte di Appello entro 30 giorni dalla notificazione del decreto. Se nessuno propone ricorso nei termini, oppure nel caso in cui le impugnazioni siano state esaurite,  il concordato diviene obbligatorio e quindi iniziano le procedure per l’effettivo pagamento dei vari crediti. Il concordato è obbligatorio per il fallito e per tutti i creditori antecedenti all’inizio della procedura.

Annullamento e risoluzione del concordato

Il curatore o i creditori attraverso un’istanza possono chiedere l’annullamento del concordato fallimentare, ciò  nel caso in cui si rendano conto che l’attivo è stato in parte occultato oppure è stato dolosamente esagerato il passivo. Si ha invece la risoluzione nel caso in cui non siano effettivamente costituite le garanzie previste all’interno del concordato stesso. Sulla corretta esecuzione del concordato vigilano giudice delegato, curatore e comitato dei creditori. Nel caso in cui i creditori attraverso il concordato non riescano ad ottenere una soddisfazione totale dei crediti, possono comunque agire verso eventuali coobbligati, ad esempio fideiussori.

Chi paga i debiti di una Srl in liquidazione?

La società a responsabilità limitata (Srl) è una società di capitali, nella quale i soci rispondono per le obbligazioni sociali solo in base alle quote di capitale versate. Ma chi paga i debiti di una Srl chiusa e messa in liquidazione?

Srl in liquidazione: chi provvede al pagamento dei creditori?

Il tema del recupero crediti bei confronti di una società estinta costituisce una questione su cui molto si è discusso. Nel caso di società di persone, la responsabilità dei soci è illimitata, motivo per cui ne rispondono anche con i loro beni personali.

Ma quando si tratta di una società di capitali, esigere i crediti è più complicato in quanto i soci hanno responsabilità limitata, per cui non rispondono dei debiti contratti dalla società (come nel caso di una Srl) con il loro patrimonio personale. Tuttavia, l’estinzione di tale società che avviene in seguito alla cancellazione dal Registro delle Imprese, non ha come conseguenza anche la cancellazione in automatico dei suddetti debiti verso i creditori.

Dall’articolo 2495.2 del codice civile si evince che, dopo la cancellazione di una Srl, coloro che vantano crediti nei suoi confronti, devono attendere il bilancio finale di liquidazione che stabilisce le somme spettanti i soci, per poi far valere i crediti nei loro confronti. Di conseguenza, la quota riscossa da ogni socio risponde per i debiti sociali verso tutti i creditori.

Se sei interessato, puoi approfondire l’argomento leggendo: Quando si mette una SRL in liquidazione e la procedura relativa

Chi paga i debiti, se i soci di una Srl non riscuotono niente dalla sua liquidazione?

Se i soci non ottengono nulla dalla liquidazione della Srl, in quanto non c’è nessun attivo, ereditano i debiti che fanno capo ad essa, come fenomeno successorio. Tuttavia, ne rispondono solo limitatamente, per cui i creditori non possono rivalersi sul patrimonio personale dei soci.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 521 del 15 gennaio 2020, si è espressa in merito alla responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione di una Srl messa in liquidazione e cancellata da Registro delle Imprese. La responsabilità del liquidatore si concretizza nel caso in cui sia allegato e dimostrato che la gestione operata dal liquidatore evidenzi l’esecuzione di pagamenti contro il principio della par condicio creditorum.

Per par condicio creditorum, s’intende il principio giuridico per cui i creditori hanno lo stesso diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salvo cause legittime di prelazione.

Più in generale, tenendo conto di altre sentenze da parte dei giudici della Corte di Cassazione, si può affermare che in tema di recupero crediti di una Srl, la responsabilità è dei liquidatori e amministratori se viene dimostrato che hanno svolto completamente il loro compito in modo negligente o fraudolento.

I creditori hanno la possibilità di intaccare i beni personali degli amministratori e dei liquidatori con un’azione giudiziale, anche se è preferibile per non ricorrere a una causa, risolvere la questione per via stragiudiziale, tramite l’arbitrato.

In alcuni casi gli amministratori sono esonerati dalla responsabilità. Accade quando si dimostra che hanno agito ignorando la violazione, tuttavia, se viene ritenuto che ciò è la conseguenza di una mancata vigilanza o diligenza, potrebbero anche essere ritenuti colpevoli.

L’esonero dalla responsabilità di un amministratore, si concretizza nel caso in cui sia a conoscenza dell’atto potenzialmente dannoso che gli altri amministratori stavano per compiere, per cui deve avere comunicato il proprio dissenso dalla loro azione.

I decreti ingiuntivi da parte dei creditori

Per esigere il pagamento di quanto dovuto dalla società, i creditori devono richiedere un decreto ingiuntivo, depositando il relativo ricorso presso la cancelleria dell’Ufficio Giudiziario competente. In caso di accoglimento, sarà il giudice a inoltrare al debitore l’atto giudiziario ingiungendogli il pagamento dei debiti sociali.

In caso di decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, il debitore è obbligato al pagamento delle somme dovute ai creditori entro 40 giorni.

Invece, il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo si può notificare insieme all’atto di precetto senza dover attendere il termine dei 40 giorni previsto dal codice di procedura civile.

Debiti Srl in liquidazione verso i dipendenti

Se i debiti della società riguardano il TFR e/o le retribuzioni non pagate ai dipendenti dopo la liquidazione, questi devono richiederne il pagamento inviando la relativa domanda all’indirizzp della sede legale della Srl, tramite PEC o raccomandata a.r.

In caso di mancato pagamento da parte dei soci, successivamente alla relativa richiesta, i lavoratori della società estinta possono presentare un’istanza fallimentare in tribunale. Al momento dell’accoglimento della stessa con relativa apertura della procedura di fallimento, sarà il Fondo di Garanzia dell’Inps a provvedere al pagamento.

Benefit, premi aziendali: i metodi migliori per incentivare il dipendente

I premi di produzione, sono strumenti di incentivazione, compensi che vengono aggiunti alla retribuzione, elargiti dalle aziende, con un approccio su misura.

Sono leve molto efficaci per motivare i collaboratori, i dipendenti, per incrementare e stimolare le loro performance. Una strategia efficace di fidelizzazione.

Perché tutto ciò funzioni occorre un’attenta e accurata analisi dei loro bisogni. Cosi facendo si definisce un progetto dettagliato, in cui gli importi ed i criteri per il loro calcolo di valutazione, variano a seconda delle aziende stesse.

Proprio per questo non esiste una standardizzazione dei parametri analitici, essi, infatti, vengono stabiliti, all’interno della realtà lavorativa di ciascuna azienda, personalizzati, ottimizzati ed aggiornati costantemente. 

La personalizzazione di un progetto si pone alla base del suo successo ma è necessario possedere gli strumenti giusti.

Quali sono gli strumenti di cui un’azienda dispone per incentivare i dipendenti?

Sono strumenti finalizzati al miglioramento della qualità della vita, della performance, della concentrazione e della soddisfazione personale.

Tra i premi aziendali e le idee più diffuse, troviamo:

  • Riconoscimenti formali 
  • Regali aziendali
  • Premi di produttività 
  • Benefit e Servizi Welfare

I Riconoscimenti Formali 

I riconoscimenti formali non prevedono alcun premio. 

Ciò nonostante, la gratificazione dimostrata, magari durante il corso di una riunione, o durante un evento celebrativo, oppure al termine di un pranzo di lavoro, è importante per esaltare il successo delle attività svolte e ottenere la gratificazione e la motivazione necessaria per fare sempre di più.

Si attiva così un circolo virtuoso, dal momento che la soddisfazione ottenuta scatena altra determinazione per raggiungere nuovi obiettivi, nuove sfide, che si presenteranno in futuro.

I Regali Aziendali 

Tra i regali aziendali, possiamo citare le Gift card, carte spendibili on-line, oppure  buoni emessi da punti vendita selezionati. Oltre ad ingressi omaggio, servizi per la cura della persona, beni per la casa.

Insomma una serie di trovate che, certamente, sono molto vantaggiose, e catalogabili come strumenti pratici. 

Sebbene, però, tutto questo possa apparire allettante, è importante ricordare che non tutti i dipendenti e/o collaboratori potrebbero apprezzare determinati premi. Dal momento che, trattandosi di regali con un’identità specifica ed un utilizzo predeterminato, si crea, inevitabilmente, un limite nell’utilizzo stesso del premio. O, più semplicemente, potrebbero non rispondere alle aspettative, alle esigenze personali del ricevente. 

I Premi Aziendali 

I premi produttività, solitamente riconosciuti quando si giunge al termine di un progetto, oppure quando si raggiungono gli obiettivi prefissati, che possono essere individuali, o collettivi, aziendali.

E’, infine, utile sapere che i dipendenti e/o collaboratori, possono scegliere di modificare o meglio convertire, i premi ottenuti sotto forma di denaro, in servizi welfare, ad esempio nel caso di un ampio progetto aziendale mirato, nello specifico, all’ottenimento di benessere e comfort. 

Benefit e servizi di welfare

Abbiamo, in parte, già anticipato in cosa potrebbe consistere un servizio di welfare, ma cerchiamo di capire a fondo, quest’ultima tipologia di premio aziendale.

Tra i benefit che le aziende potrebbero distribuire, come servizio di welfare, al proprio dipendente, troviamo anche il buono shopping. Una soluzione molto apprezzata trattandosi di privilegi a lunga data di scadenza.

Ed è, contemporaneamente, quella più adottata ed utilizzata dalle imprese, poiché, dal momento che i costi di erogazione sono direttamente legati al lavoro dei propri impiegati, la deducibilità del loro valore, è totale.

Quali sono i vantaggi dei premi aziendali?

Il raggiungimento di un risultato dopo aver dedicato tempo e impegno, suscita, inevitabilmente, soddisfazione, autocompiacimento e autostima.

Ma tutte queste sensazioni possono svanire velocemente se nessuno ne apprezza il successo o è pronto a congratularsene e a condividerne l’esito, in maniera festosa o magari facendo un complimento.

È come se il raggiungimento dell’obiettivo prefissato non fosse reale, dal momento che nessuno lo riconosce pubblicamente. Ed è come sentirsi sminuiti.

La proclamazione di un successo, la gratificazione personale confermano la bravura del lavoro svolto per aver centrato l’obiettivo, ed incentiva a migliorarsi e a fare sempre di più, innescando una dinamica costruttiva, un loop virtuoso che alterna il senso di appagamento all’incentivazione.

Tutto questo ha un impatto positivo sull’azienda. Si affinano le relazioni tra i dipendenti, creando coesione e complicità, si guadagna un ritorno d’immagine, e non meno importante si attraggono nuove e talentuose risorse.

Società con debiti, come può essere chiusa?

Molto spesso un imprenditore o un gruppo di imprenditori decide di aprire una società con l’obiettivo di fare buoni affari. Ma altrettanto spesso, purtroppo, le cose poi nel tempo non vanno propri per il verso giusto. Ed allora si decide di chiudere la società seguendo l’iter di legge che, tra l’altro, prevede la cancellazione dal registro delle imprese. Ma se la società ha dei debiti, questi che fine fanno se l’attività viene chiusa? Ed in che modo si può chiudere una società che ha ancora dei debiti da onorare senza infrangere la legge?

Società chiusa, chi risponde dei debiti ancora da onorare?

Al riguardo c’è da dire, in linea di massima, che una società si può chiudere anche se questa ha dei debiti. E questo perché, sebbene la società che è stata chiusa non esista più, i soci in automatico diventano in genere responsabili di tutti i debiti che ancora l’impresa non ha pagato.

E questo vale, tra l’altro, pure per i crediti che la società non ha ancora riscosso o che, per qualsiasi ragione, non è riuscita ancora a riscuotere. Ma detto questo, in che modo i soci di un’impresa che è stata chiusa rispondono dei debiti ancora da onorare? In questo caso tutto dipende dal tipo di impresa, ovverosia se trattasi di una società di capitali oppure di una società di persone.

Nel dettaglio, se l’impresa è una Srl, una Spa oppure una Sapa, ovverosia una società di capitali, allora i soci risponderanno solo del capitale sociale versato ed il loro patrimonio personale non sarà aggredibile. Mentre lo stesso non vale per le società di persone, ovverosia per le società semplici, per le Snc e per le Sas. In questo caso, infatti, chiudere la società con debiti porterà i soci ad essere responsabili dell’indebitamento e sono chiamati a risponderne con il proprio patrimonio personale.

Come chiudere una società con debiti senza infrangere la legge

Detto questo, e come sopra accennato, una società con debiti per essere chiusa deve seguire sempre l’iter di legge. Per esempio, una società di capitali che non ha abbastanza liquidità per soddisfare tutti i creditori nella maggioranza dei casi ha come unica strada percorribile quella dell’accesso all’istituto giuridico del fallimento.

In altre parole, una società con debiti può essere sempre chiusa, ma mai con l’intenzione di cercare di sfuggire ai creditori anche attraverso eventuali artifici contabili. Altrimenti si può incappare nel reato bancarotta fraudolenta che rientra nel codice penale e che prevede, di conseguenza e tra l’altro, anni di carcere in ragione della gravità degli atti che sono stati commessi.

Come liquidare una società con debiti fino a arrivare alla cessazione

In alternativa al fallimento, inoltre, un altro tipo di operazione, che porta poi alla chiusura di una società con debiti, è la liquidazione. La società, nello specifico, può essere messa in liquidazione quando da un lato ha dei debiti, ma dall’altro ha crediti ed un patrimonio tale che, se convertito in liquidità, potrà andare a coprire l’indebitamento. In questo modo, vendendo tutti i beni, riscuotendo di tutti i crediti e pagando tutti i debiti, la società in liquidazione potrà poi avviare le operazioni di cessazione con la conseguente conclusione di tutte le attività aziendali.

Ravvedimento operoso: il metodo per regolarizzare gli errori

Il Ravvedimento operoso è il metodo per regolarizzare omessi o insufficienti versamenti e altre irregolarità. Una breve guida su come funziona.

Il Ravvedimento operoso: come funziona?

Il ravvedimento operoso consiste nella possibilità per il contribuente di regolare la propria situazione fiscale. Questo accade quando sono stati omessi, o sbagliati o insufficienti versamenti di tributi ed imposte. Tuttavia il provvedimento è stato introdotto dall’art.13 del Dlgs n.472/97. Permette al contribuente di “sistemare” volontariamente la propria posizione. Inoltre occorre provvedere prima che sia atto formalmente avvisato di eventuali procedure di verifica, ispezioni o accertamento a suo carico, pagando sanzione ridotte. Infatti grazie a questa metodologia si può pagare con ritardo l’imposta dovuta dovendo aggiungere:

  • la sanzione ridotta, rispetto a quella piena;
  • gli interessi calcolati al tasso legale annuo dal giorno in cui il versamento avrebbe dovuto essere effettuato a quello in cui viene effettivamente eseguito.

Chi può utilizzare il ravvedimento operoso?

Tutti possono utilizzare il ravvedimento operoso per regolare la propria posizione fiscale. Prima dell’introduzione della Legge di stabilità 2015 per poter ottenere determinate sanzioni occorreva rispettare anche dei limiti di tempo.  Ed inoltre:

  • non dovevano esserci iniziate altre attività di accertamento formalmente comunicate;
  • la violazione non doveva essere constatata e notificata a ci l’avesse commessa non fossero iniziati accessi, ispezioni e verifiche.

Tuttavia il pagamento e la regolarizzazione non precludono la possibilità di accertamenti da parte dell’Agenzia delle entrate o altre attività di controllo di tipo amministrative. Infine i contribuenti possono così regolarizzare i seguenti tributi:

  • imposta catastale;
  • imposta di registro;
  • le ritenute alla fonte operate dal sostituto d’imposta;
  • imposta ipotecaria;
  • Iva (imposta sul valore aggiunta);
  • le imposte dovute a titolo di acconto o di saldo in base alla dichiarazione dei redditi.

In cosa consista la sanzione ridotta?

Come è stato detto utilizzando il ravvedimento operoso è possibile godere di alcune agevolazioni. Affinché queste si configurano in una sanzione ridotta, occorrono alcune caratteristiche in relazione ai diversi casi:

 

Ravvedimento operoso Sanzione edittale Riduzione Sanzione ridotta
Ravvedimento Sprint: entro i primi 14 giorni 15% 1/10 0,1% per ogni giorno di ritardo
Ravvedimento Breve: dal 15° al 30° giorno 15% 1/10 1,5%
Ravvedimento Intermedio: dal 31° al 90° giorno 15% 1/9 1,67%
Ravvedimento lungo: dal 91° giorno al termine di presentazione della dichiarazione 30% 1/8 3,75%
Ravvedimento lungo: entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva 30% 1/7 4,29%
Ravvedimento lunghissimo: oltre il termine di presentazione della dichiarazione successiva 30% 1/6 5%

Il decreto legislativo n.158/2015 ha modificato la normativa sulle sanzioni per ritardati o versamenti omessi prevedendo la riduzione alla metà della sanzione ordinaria per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni della scadenza. Così facendo la sanzione passa dal 30% al 15%.

Come si effettuano i pagamenti?

Per effettuare i pagamenti occorre utilizzare i modelli F23 eF24. In particolare occorre utilizzare:

  • il modello F23 per l’imposta di registro e gli altri tributi indiretti;
  • il modello F24 per le imposte sui redditi le imposte sostitutive, l’Irap e l’Iva;
  • l’F24 elide per i tributi, interessi e sanzioni relativi alla registrazione dei contratti di locazione;
  • l’F24 elide per l’imposta ipotecaria, le tasse ipotecarie, l’imposta di bollo e le sanzioni, dovuti in relazione ai servizi di aggiornamento dei registri immobiliari e al rilascio di certificati e copie.

All’interno del modello F24 devono essere indicati gli importi, gli interessi utilizzando gli appositi codici di contributo e forniti dall’Agenzia delle entrate. Inoltre i pagamenti possono essere fatti presso gli Uffici postali o bancari. Tuttavia non sono richieste ulteriori commissioni in sede di pagamento F24 o F23.

Vies: il sistema europeo per lo scambio di informazioni IVA

Vies è l’acronimo di Vat information exchange sistem, cioè un sistema che permette lo scambio di informazioni ai fini IVA. Ecco a cosa serve e chi deve iscriversi.

Vies: cos’è questo sistema di scambio?

Vies non è altro che un motore di ricerca per lo scambio di informazioni sulle partite IVA. E’ di proprietà della Commissione europea. Inserendo i dati di una partita Iva è possibile capire se è in corso di validità o meno. Inoltre consente di effettuare ricerche sulle banche dati nazionali relative all’IVA dei soggetti che hanno sede all’interno dell’Unione Europea, o che possono in essa operare. E’ disponibile in circa 23 lingue per abbracciare quanti più utenti possibili. Quindi occorre molta attenzione quando si digita un’informazione da ricercare, perché solo così si può avere una risposta coerente con quanto richiesto.

Vies: come funziona?

I risultati offerti dalla ricerca sul Vies possono essere di due tipi: risposta valida o non valida. Nel caso di risposta non valida vuol dire che la partita IVA  inserita nell’apposito spazio di ricerca non è registrata presso i registri nazionali di ogni singolo paese. E a questo punto possono aprirsi diversi scenari e diverse motivazioni per la mancata iscrizione, che possiamo così riassumere:

  • la partita Iva non è attiva per la operazione intra Unione Europea;
  • la partita Iva non esiste;
  • la registrazione non è ancora stata completata.

L’aggiornamento dei dati Vies non sono sempre aggiornati immediatamente, pertanto in caso di dubbio, è sempre meglio rivolgersi al fisco locale. Invece se si ha una risposta valida le indicazioni compariranno a video.

Cosa vuol dire che una partita IVA non esiste?

Il fatto che la partita IVA non compaia nel VIES non vuol dire che è falsa o non operativa. Infatti in questo caso è opportuno rivolgersi alle autorità nazionali. Ogni Paese ha il proprio sistema, ma tutti permettono di capire se la partita iva è valido o se è associata a una ragione sociale. L’indicazione che viene data è solo quella di conferma o meno dell’esistenza di quell’operatore economico. Non verranno trasmessi altri  dati, anche per non ledere il diritto di privacy dell’intestatario. Tuttavia la Commissione non si assume nessuna responsabilità sui dati forniti. Ma si occupa solo di prelevare tali informazioni sui data base nazionali. Sono i singoli stati che dovranno controllare e vigilare sui propri titolari di partita IVA.

 Vies: la registrazione è obbligatoria per tutti?

La registrazione al VIES è obbligatoria solo per effettuare operazioni tra stati dell’Unione Europea. L’iscrizione è gratuita. Dal primo gennaio 2020 l’iscrizione al VIES è un elemento sostanziale per poter beneficiare del regime di non imponibilità IVA nell’ambito delle transazioni europee. Per i nuovi soggetti IVA la scelta di iscriversi al Vies può essere espressa direttamente nella dichiarazione di inizio attività. Occorre compilare il campo “Operazioni Intracomunitarie” del quadro I dei modelli AA7 (soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (imprese individuali e lavoratori autonomi).

Il momento dell’iscrizione avviene nel momento in cui la comunicazione avviene all’Agenzia delle entrate. Inoltre, la revoca funziona allo stesso modo. La registrazione al Vies è obbligatoria per chi esercita un’attività d’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato, in cui la società ha la sede, ma per transazioni in tutta l’Europa. Mentre non è obbligatoria per i soggetti non residenti che presentano la dichiarazione per l’identificazione diretta ai fini IVA o che s identificano tramite nomina di un rappresentante fiscale.

Cosa comporta l’iscrizione al Vies?

L’amministrazione finanziaria è tenuta ad effettuare dei controlli nei confronti dei titolari di partita Iva, sull’esattezza e completezza dei dati da loro forniti relativi alla loro identificazione Iva (secondo quanto previsto dagli Art. 22 e 23 del Regolamento UE n. 904/2010 e dell’art. 35 comma 15-bis del DPR 633/72. I controlli servono a vari scopi:

  • aggiornare le informazioni relative alla partita Iva reperibili tramite Vies;
  • valutare l’adempimento di tutti gli oneri fiscali a cui si è soggetti;
  • procedere alla cancellazione dal sistema tutti quei operatori che per 4 trimestri consecutivi non sono in regola con la presentazione dell’elenco delle operazioni effettuate all’interno dell’Unione Europea.

In generale i controlli sono effettuati entro 6 mesi dalla data di attribuzione della partita Iva. Se da questi controlli si evince che il soggetto titolare di partita iva è privo dei requisiti oggettivi e/o soggettivi, l’ufficio può emettere un provvedimento di cessazione. E questo comporta subito una cancellazione del Vies. Se invece c’è dolo di frode da parte del soggetto, l’Ufficio può notificare al contribuente un provvedimento che rende invalida la partita Iva. I contribuenti che sono esclusi dalla banca dati possono presentare un’istanza di inclusione. Sarà l’ufficio a valutare che siano stati eliminati i motivi che avevano portato alla esclusione. La cancellazione può anche essere volontaria da parte del soggetto, che provvederà ad una richiesta anche tramite pec.