Pensione di vecchiaia: come cambia in base all’aspettativa di vita?

Tra gli aspetti più importanti per costruire una buona pensione di vecchiaia, sicuramente gli indici di aspettativa di vita rientrano tra gli elementi decisivi. L’aspettativa di vita, in particolare, condiziona l’accesso alla pensione di vecchiaia. Nel dettaglio, l’aspettativa di vita potrebbe ritardare o, nella migliore delle ipotesi, lasciare inalterati i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia.

Aspettativa di vita per il calcolo dei requisiti delle pensioni, in cosa consiste?

Il requisito richiesto per accedere alla generalità delle pensioni o il requisito contributivo per le pensioni dove non è richiesto l’elemento anagrafico, è adeguato ogni due anni all’aspettativa di vita media calcolato dall’Istat. Qualora risultasse un aumento della speranza di vita, l’età pensionabile si incrementa fino a un massimo di tre mesi; contrariamente, se dai dati Istat viene riscontrato un decremento dell’aspettativa di vita, il requisito anagrafico rimane bloccato con scomputo delle riduzioni nell’adeguamento successivo.

Pensioni di vecchiaia, quali sono i requisiti anagrafici di uscita nel 2022?

Per la pensione di vecchiaia, l’attuale requisito anagrafico è fissato a 67 anni di età. Tale requisito, già calcolato nel precedente biennio, nel 2022 rimarrà inalterato. Per il biennio successivo, ovvero per i lavoratori in uscita dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2024, è stato già confermato che il requisito anagrafico rimarrà invariato. Tale riscontro dei dati demografici dell’Istat sull’aspettativa di vita deriva dall’aver preso in considerazione, nel calcolo della speranza di vita, del primo anno (il 2020) della pandemia da Covid-19. L’emergenza sanitaria ed economica ha determinato il conseguente decremento dell’aspettativa di vita. L’andamento in decrescita della speranza di vita non implicherà, dunque, un aumento dell’età per la pensione.

Pensioni, in che modo l’aspettativa di vita condiziona l’accesso al pensionamento?

L’aspettativa di vita contribuisce all’accesso della pensione dal 2009. Si tratta di una variabile che manda in avanti, incrementando l’età di uscita, l’accesso alla pensione di vecchiaia. La speranza di vita collega in maniera diretta i requisiti anagrafici (o contributivi) degli ingressi agli adeguamenti Istat. Inoltre, il fattore statistico viene attualmente aggiornato ogni due anni, mentre in passato l’aggiornamento avveniva ogni triennio. Dunque l’aggiornamento dei requisiti di pensione avvengono con maggiore frequenza rispetto a quanto succedeva nei primi anni di introduzione del meccanismo della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia e aspettativa di vita: come funziona il meccanismo di adeguamento?

I dati dell’Istat sulla speranza di vita vengono consolidati da decreti del ministero dell’Economia e delle Finanze ogni due anni. Nel caso in cui i dati demografici dell’Istat fanno registrare dei miglioramenti della vita, in particolare nella lunghezza della della durata della stessa, differisce in avanti l’ingresso al trattamento di pensione dei lavoratori. La tutela nel meccanismo dell’aspettativa di vita consiste nel massimo di maggiorazione, per ciascun biennio, di tre mesi. Il prossimo incremento della pensione di vecchiaia, quello del 2025-2026, potrebbe pertanto portare a una pensione di vecchiaia di 67 anni e tre mesi. Non di più.

Pensioni anticipate, come funziona con la speranza di vita?

Laddove non vi sono requisiti anagrafici, l’aggiornamento della speranza di vita incide sull’altro requisito, quello contributivo. È il caso della pensione anticipata dei soli contributi che, attualmente si raggiunge con:

  • 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini, a prescindere dall’età di uscita;
  • 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne, indipendentemente dall’età di uscita.

I requisiti di uscita per la pensione anticipata rimarranno inalterati fino a tutto il 2026. Il blocco dei requisiti richiesti è stato introdotto con il decreto numero 4 del 2019, lo stesso provvedimento che ha decretato la sperimentazione di tre anni di quota 100. Il prossimo aggiornamento dei requisiti contributivi è previsto a partire dal 1° gennaio 2027.

Pensioni di vecchiaia, come condiziona le uscite dei liberi professionisti? L’eccezione alla speranza di vita

All’interno della previdenza dei liberi professionisti, spetta a ogni Cassa previdenziale interpretare e adeguare i propri requisiti all’aspettativa di vita. Per alcune Casse previdenziali, come l’Enpacl dei consulenti di lavoro, non c’è una diretta correlazione tra aumenti della speranza di vita e incremento dei requisiti di pensionamento. Vi è piuttosto una maggiore gradualità nell’applicare gli adeguamenti e gli incrementi della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia liberi professionisti, il caso dei consulenti del lavoro

I requisiti per la pensione di vecchiaia dei consulenti di lavoro risultano modificati dalla speranza di vita con adeguamenti differenti rispetto a quanto succede per la pensione pubblica. Tuttavia, l’età necessaria per andare in pensione di vecchiaia dei consulenti del lavoro è fissata a 69 anni nel 2022 e a 70 anni a partire dal 2025. La contribuzione necessaria è pari a 5 anni di versamenti, ma occorre guadagnare una pensione minima annuale di 10.920 euro. Pertanto, se all’età di uscita per la pensione di vecchiaia non venisse raggiunto il requisito economico della pensione, l’accesso al trattamento si sposterebbe in avanti finché non si maturi il requisito richiesto. È previsto un limite di età, in ogni modo, per il raggiungimento di questo requisito.

Aspettativa di vita, come determina chi può andare in pensione anticipata di vecchiaia per invalidità?

Gli adeguamenti periodici dei requisiti anagrafici dettati dalla speranza di vita non si applicano ai lavoratori che perdono il titolo abilitativo per raggiunti limiti di età. La speranza di vita, tuttavia, si applica alla pensione di vecchiaia anticipata per invalidità. Quest’ultima formula di uscita è riservata ai dipendenti del settore privato con un indice di invalidità di almeno l’80% e si può agganciare non più a 55 anni di età per le donne e a 61 per gli uomini come in passato, ma alle rispettive età di 56 anni e di 61 anni. La misura, infatti, consiste in una deroga al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia ordinaria, e non per uno specifico trattamento per invalidità.

 

 

Autotrasporti: arrivano gli incentivi e le agevolazioni dal 2022

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 gennaio 2022 il decreto del 18 novembre 2021 che prevede agevolazioni e incentivi per gli autotrasportatori. L’obiettivo è rinnovare il parco mezzi delle imprese italiane impegnate negli autotrasporti in modo da rendere il lavoro più sicuro e ridurre l’inquinamento ambientale.

Incentivi e agevolazioni per autotrasporti

Il settore degli autotrasporti è considerato strategico all’interno del PNRR, infatti questo può contribuire alla trasformazione ecologica del Paese, inoltre è essenziale nel sistema economico infatti il trasporto su gomma in Italia è ancora prevalente. Come dichiarato dal Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, si tratta però di un parco mezzi vetusto e di conseguenza è bene impegnare quote del PNRR anche per svecchiarlo e contribuire così alla transizione ecologica.

Proprio per questo il decreto per gli “Investimenti ad alta sostenibilità” mette a disposizione delle imprese di autotrasporto 50 milioni di euro distribuiti fino al 2026 per l’acquisto di veicoli ad alimentazione alternativa, ecologici di ultima generazione e a carburanti di ultima generazione (CNG, LNG). A questi si aggiungono gli investimenti previsti dal decreto, per gli “Investimenti finalizzati al rinnovo e all’adeguamento tecnologico del parco veicoli” che mette a disposizione ulteriori 50 milioni di euro per il biennio 2021-2022.

A chi sono rivolti gli incentivi per gli autotrasportatori?

Gli incentivi per gli autotrasportatori prevedono contributi in favore di imprese che si occupano di trasporto conto terzi che decidono di investire in mezzi ibridi ed elettrici e che contemporaneamente abbiano provveduto alla rottamazione di veicoli di classe inferiore a euro VI. Vediamo però nel dettaglio quali imprese possono accedervi e come funzionano gli incentivi per gli autotrasportatori.

Le domande per accedere agli incentivi per gli autotrasportatori possono essere presentate da imprese di autotrasporto di cose per conto terzi e le società risultanti dall’aggregazione di tali imprese che si siano formate nel rispetto delle norme previste libro V, titolo VI, capo I, o del libro V, titolo X, capo II, sezioni II e II-bis del codice civile, iscritte nel Registro Elettronico Nazionale.

Come accedere agli incentivi del decreto “Investimenti ad Alta Sostenibilità”?

Il decreto “Investimenti ad Alta Sostenibilità” prevede che per poter prenotare il proprio incentivo le imprese e società che si occupano di autotrasporto conto terzi debbano presentare la copia del contratto di acquisizione dei veicoli.  Non è necessaria la trasmissione della copia della fattura da cui si evince il pagamento, quindi può trattarsi anche di veicoli ancora non pagati, ma per il quale il contratto di acquisizione abbia avuto perfezionamento.

In seguito alla prenotazione sarà però necessario dimostrare che l’investimento è stato perfezionato per poter accedere realmente ai fondi accantonati con la prenotazione. Tale fase si chiama di rendicontazione.  Se le risorse dovessero essere insufficienti a coprire le domande presentate, si viene ammessi con riserva e quindi in caso di eventuale scorrimento delle varie posizioni si potrà accedere al beneficio.

Questo implica che l’autotrasportatore presenta la domanda nella fase di accantonamento, se le risorse sono già terminate si viene ammessi con riserva. Parte quindi al fase di rendicontazione in cui entro i termini stabiliti deve essere presentata la rendicontazione dell’investimento perfezionato. Nel caso in cui l’acquisto non sia perfezionato, le somme inizialmente accantonate ritornano al fondo e vengono utilizzate a scorrimento della graduatoria con la possibilità quindi di recupero anche delle imprese ammesse con riserva.

Per le imprese per autotrasporti che dimostrino oltre all’acquisto di un veicolo di nuova generazione, anche la rottamazione di un veicolo di classe inferiore ad euro VI è previsto un ulteriore incentivo di 1.000 euro.

Autotrasporti: a quanto ammontano gli incentivi per l’acquisto di mezzi di nuova generazione?

Gli incentivi agli autotrasportatori sono di:

  • 4.000 euro per l’acquisto o la locazione finanziaria ogni veicolo CNG (gas naturale compresso) e a motorizzazione ibrida;
  • 14.000 euro per l’acquisto o la locazione finanziaria di veicoli elettrici di massa complessiva pari o superiore a 3,5 tonnellate e fino a 7 tonnellate;
  • 24.000 euro per veicoli elettrici di massa superiore a 7 tonnellate.
  • 9.000 euro per ogni veicolo fino a 16 tonnellate trazione alternativa ibrida (diesel/elettrico) e a  metano CNG;
  • 24.000 euro per ogni veicolo di massa superiore a 16 tonnellate trazione alternativa a gas naturale liquefatto LNG e CNG ed a motorizzazione ibrida(diesel/elettrico).

Occorre ricordare che oltre agli incentivi specifici per gli autotrasportatori, è possibile accedere ad altri fondi previsti per le PMI e per le grandi aziende, ad esempio è possibile accedere ai fondi della legge Nuova Sabatini

Bonus balconi: come cambia il bonus facciate nel 2022

Rifare alcune parti di un balcone, ristrutturarlo, realizzarlo, trasformare un balcone in una veranda: sono vari gli interventi che si possono compiere per risistemare le facciate degli edifici. Si può procedere con il bonus ristrutturazioni oppure con il bonus facciate. La legge di Bilancio 2022 ha previsto varie novità per l’anno in corso, soprattutto per il bonus facciate. Fino al 31 dicembre 2021 questo bonus era il più conveniente per rifare l’esterno degli edifici, balconi compresi. Con la riduzione della detrazione fiscale dal 90% al 60% a partire dal 1° gennaio 2022 (e per i lavori effettuati entro il 31 dicembre 2022), la misura subisce il ritorno di interesse dei bonus ordinari, primo tra i quali proprio il bonus ristrutturazioni.

Bonus facciate, le novità dalla legge di Bilancio 2022

Tuttavia, la scelta tra il bonus facciate e il bonus ristrutturazioni per interventi relativi ai balconi necessita di un’attenta analisi delle tipologie di interventi ammessi dalla normativa. Proprio sul bonus facciate nel 2022 il legislatore è intervenuto abbassando la percentuale di detrazione fiscale al 60%. La detrazione spetta per il recupero o per il restauro della facciata esterna degli edifici, inclusa la tinteggiatura o la sola pulitura. La norma stabilisce che gli interventi devono interessare le strutture opache della facciata, inclusi i balconi, gli ornamenti e i fregi.

Quali sono i vantaggi di eseguire interventi sui balconi con il bonus facciate?

Gli interventi rientranti nel bonus facciate, anche per lavori relativi ai balconi, devono riguardare gli edifici esistenti. Anche per il 2022, il vantaggio fiscale si può ottenere attraverso lo sconto in fattura oppure tramite la cessione del credito di imposta. Diversamente, si può detrarre quanto speso (non vi sono limiti di costi per il bonus facciate) recuperando il vantaggio fiscale nei 10 anni successivi ai lavori nella dichiarazione dei redditi. Tra gli adempimenti spettanti nel caso in cui si facciano lavori sui balconi con il bonus facciate è necessario prestare attenzione alle asseverazioni di congruità delle spese e al visto di conformità nel caso in cui ci si avvalga della cessione del credito di imposta.

Bonus ristrutturazione balconi come alternativa al bonus facciate: le novità del 2022

L’alternativa al bonus facciate per lavori riguardanti i balconi è rappresentata dal bonus ristrutturazioni. Il primo elemento che si evidenzia di questa misura rispetto al bonus facciate, è la minore detrazione fiscale spettante, fissata al 50% rispetto al 60%. Tuttavia, nella scelta tra le due misure per gli interventi relativi ai balconi è necessario prendere in considerazione ulteriori variabili. Innanzitutto, per questo tipo di interventi, il bonus ristrutturazione risulta essere l’alternativa più praticabile, rispetto ad esempio l’ecobonus ordinario. Quest’ultima misura può arrivare alla detrazione fiscale del 65% e permette anche l’esecuzione di piccoli lavori come la sostituzione degli infissi e delle finestre. Tuttavia, tra i lavori ammessi, non figura quello relativo ai balconi. E, inoltre, l’ecobonus richiede sempre dei miglioramenti energetici, difficilmente dimostrabili nei soli lavori relativi ai balconi.

Bonus ristrutturazione balconi, quando si può o non si può eseguire?

Nel 2022 il bonus ristrutturazioni può rappresentare, quindi, l’alternativa più valida per i lavori relativi ai balconi, purché vengano rispettati determinati requisiti. Innanzitutto, gli ambiti di intervento del bonus ristrutturazione. I lavori di questa misura sono elencati dall’articolo 16 bis del Testo unico sulle imposte sui redditi. Si tratta di interventi relativi al recupero edilizio e agli altri interventi indipendentemente dalla categoria edilizia. A titolo di esempio, sono ammessi lavori nelle categorie del risparmio energetico, della prevenzione di atti illeciti o di infortuni domestici, della rimozione dell’amianto o delle barriere architettoniche. Tuttavia, è necessario tener presente che se si tratta di manutenzione ordinaria dei balconi, come degli altri interventi ammessi dal Testo unico, i lavori possono essere eseguiti da soli solo se eseguiti su parti comuni dei condomini. È questo la regola alla quale prestare la maggiore attenzione nella scelta del bonus ristrutturazioni.

Detrazioni fiscali bonus ristrutturazione balconi: quali sono i vantaggi rispetto al bonus facciate?

Se la scelta ricade, in ogni modo, sul bonus ristrutturazioni rispetto al bonus facciate per lavori inerenti i balconi, è necessario tener presente che il limite della spesa massima per l’unità immobiliare è fissata in 96 mila euro. Tuttavia, rispetto al bonus facciate che scade al 31 dicembre del 2022, la scadenza del bonus ristrutturazioni è fissata a fine anno del 2024.

Bonus ristrutturazioni, si può procedere con la cessione del credito di imposta o lo sconto in fattura e come?

Analogamente al bonus facciate, la detrazione fiscale si può sfruttare mediante la cessione dello sconto in fattura e la cessione del credito di imposta. Le due opzioni permettono di ottenere da subito il vantaggio fiscale anziché attendere i 10 anni di detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi. Inoltre, è necessaria l’asseverazione di congruità delle spese e il visto di conformità nel caso di cessione del credito di imposta. Tuttavia, questi due adempimenti non sono necessari (rispetto all’obbligatorietà del bonus facciate) nel caso in cui si tratti di interventi eseguiti in edilizia libera o per importi dei lavori che non superino i 10 mila euro.

 

 

Fondo per il sostegno Enti del Terzo Settore: domande entro 4 febbraio

Entro il 4 febbraio 2022 gli Enti del Terzo Settore impegnati nell’emergenza Covid possono presentare la domanda per accedere al fondo per il sostegno Enti del Terzo Settore. Ecco cosa sapere.

Chi può accedere ai fondi di sostegno per ETS? Requisiti

La notizia arriva direttamente dall’Agenzia per la Coesione Territoriale che ha reso nota con un avviso la possibilità per gli Enti del Terzo Settore di accedere ai fondi per il sostegno ETS.

L’avviso è diretto a:

  1. Organizzazioni di volontariato;
  2. Associazioni di promozione sociale;
  3. Organizzazioni non lucrative di utilità sociale.

Le stesse devono però esser ubicate nelle regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Lombardia e Veneto e devono essere impegnate nella gestione dell’emergenza covid-19.

Tra i requisiti richiesti per poter accedere vi è l’essere in regola con il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali per i lavoratori, associazioni e organizzazioni devono inoltre essere in regola con il pagamento delle imposte dirette e indirette e delle tasse. Deve essere presentata una sola istanza per ogni ente.

Tipologie di Enti del Terzo Settore che possono accedere al fondo per il sostegno

Possono accedere esclusivamente gli Enti del Terzo Settore prima visti che nel periodo compreso tra 31/01 /2020 e il 3 1/12/2021 abbiano svolto almeno una di queste attività:

  1. prestazioni socio-sanitarie;
  2. educazione, istruzione, formazione professionale e attività culturali di interesse sociale con finalità educativa;
  3. interventi e servizi diretti alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni ambientali, utilizzazione razionale delle risorse naturali;
  4. tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio;
  5. organizzazione e gestione di attività culturali e ricreative di interesse sociali, incluse le attività di promozione e diffusione della cultura;
  6. formazione extra-scolastica volta anche a prevenire e contrastare la dispersione scolastica;
  7. servizi strumentali ad Enti del Terzo Settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da Enti del Terzo Settore;
  8. servizi finalizzati all’inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro;
  9. alloggio sociale e attività di carattere residenziale temporaneo diretti a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali, formativi o lavorativi;
  10. accoglienza umanitaria e integrazione dei migranti;
  11. beneficenza, sostegno a distanza, cessione gratuita di alimenti o prodotti;
  12. promozione della cultura della legalità, della pace dei popoli, della non violenza, della difesa non armata;
  13. promozione e tutela dei diritti umani, sociali, civili, politici, diritti dei consumatori e degli utenti, promozione delle pari opportunità, incluse banche dei tempi e gruppi di acquisto solidale;
  14. riqualificazione dei beni pubblici e dei beni confiscati.

Spese ammesse per accedere ai fondi di sostegno per ETS

Per poter accedere ai fondi è necessario dimostrare di avere sostenuto delle spese per svolgere attività inerenti la gestione dell’emergenza covid-19. Le spese ammesse sono:

  • spese per la gestione degli immobili ( canoni di locazione, utenze, pulizie, piccole manutenzioni);
  • spese per igienizzazione e acquisto di dispositivi di protezione individuale (mascherine) e per il contrasto alla diffusione del covid-19;
  • costi di attrezzature per un valore massimo di 516, 46 euro, per acquisti di valore superiore la rendicontazione viene comunque riportata a tale importo;
  • spese per acquisto di beni di servizio e di consumo;
  • costi del personale;
  • rimborsi spese per i volontari.

Naturalmente tutte le spese dovranno essere fatturate, comprovate da quietanze e documenti contabili.

Come presentare la domanda per accedere al Fondo?

La domanda deve essere presentata esclusivamente attraverso la piattaforma ETS Fondo Sviluppo e Coesione messa a disposizione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e quindi reperibile al sito www.servizi.lavoro.gov.it . La domanda può essere compilata a partire dalle ore 12:00 del 22 dicembre 2021, alle ore 23:59 del giorno 4 febbraio 2022. I soggetti iscritti nel Registro Nazionale delle associazioni di promozione sociale (APS) presentano le istanze anche attraverso le articolazioni territoriali e i circoli dell’associazione stessa. Questi devono indicare l’APS Nazionale di cui fanno parte e il relativo codice.

Il fondo previsto è di 80 milioni di euro, di cui 16 milioni sono diretti alle Regioni del Nord: Lombardia e Veneto, mentre la parte rimanente alle altre Regioni prima viste.

Il riparto dei fondi avverrà tenendo in considerazione, per ogni associazione che presenta istanza, le attività svolte inerenti alla gestione dell’emergenza covid-19, la differenza del bilancio consuntivo tra il 2019 e il 2020, sarà inoltre tenuto in considerazione il numero degli associati.

In seguito all’approvazione della graduatoria e all’erogazione dei fondi, l’Agenzia per la Coesione provvederà ad effettuare dei controlli a campione sulla veridicità delle dichiarazioni a sostegno dell’istanza presentata. Qualora emerga che il contributo sia in parte o totalmente non spettante si provvederà al recupero delle somme

 

Pensioni 2022, in uscita i nati fino al 1958, due vie possibili, requisiti e vincoli

Se fino al 2021 per le pensioni, sostanzialmente, le età pensionabili alternative ai 67 anni utili per la pensione di vecchiaia erano i 62 anni di quota 100 ed i 63 dell’Ape sociale, nel 2022 si cambia. Infatti la manovra di Bilancio ha introdotto la quota 102. Una misura che ha limitato il pericolo scalone di 5 anni che sembrava dovesse lasciare in campo il post quota 100. Ma allo stesso tempo, ha innalzato di due anni la soglia di età anagrafica utile alla pensione per quotisti.

Ma a 64 anni oltre alla quota 100 il nostro ordinamento prevede un’altra via di uscita. Due misure quindi che possono consentire a chi è nato fino al 1958, di accelerare l’uscita.

Pensioni a 64 anni nel 2022, ecco chi può

La prima cosa da dire è che seguendo le regole ordinarie del sistema previdenziale, basato manco a dirlo sulle norme della riforma Fornero, un nato nel 1958 dovrebbe andare in pensione nel 2025, quando si troverà a compiere i 67 anni di età che insieme ai 20 anni di contribuzione minima versata stabiliscono le soglie minime della pensione di vecchiaia.

Nel 2022 però ci sono due alternative, entrambe valide anche se limitate da vincoli, paletti e requisiti. Iniziamo con la grande novità della pensione con quota 102. La misura permette si di anticipare la pensione di 3 anni rispetto ai 67 anni utili alle quiescenze di vecchiaia ordinarie. Ma necessita di una dote di contributi versati nettamente superiore ai 20 anni prima citati.

Servono infatti ben 38 anni di contributi. Infatti la quota 102 non è altro che una fedele riproposizione della quota 100, con l’unica variazione che riguarda proprio l’età pensionabile, passata da 62 a 64 anni. La misura resta fedele al blocco normativo di quella che l’ha preceduta.

Infatti occorre sapere che la prestazione è liquidata con le regole classiche del sistema misto. Quindi, calcolo retributivo fino a tutto il 1995 per chi non ha almeno 18 anni di carriera antecedenti il 1° gennaio 1996. Per gli anni successivi calcolo contributivo. Per chi invece ha maturato 18 anni almeno di contributi versati prima del 1996, calcolo retributivo fino al 2012 e contributivo per gli anni successivi.

I contributivi puri e la pensione anticipata anche nel 2022

Con la quota 102 resta fermo il vincolo del divieto di cumulo con redditi da lavoro fino ai 67 anni di età. In pratica, per tutti gli annoi di anticipo e fino al raggiungimento della soglia anagrafica utile alla pensione di vecchiaia, è fatto divieto per i pensionati qualsiasi attività lavorativa ad esclusione del lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro di reddito all’anno.

Inoltre per quota 102 resta fermo il meccanismo delle finestre mobili che fanno slittare la decorrenza della pensione di 3 mesi nel lavoro privato e di 6 mesi nel pubblico impiego. Vincoli e paletti che non si trovano nell’altra misura che anche nel 2022 consente a determinati nati fino al 1958, di accedere alla pensione 3 anni prima.

La misura si chiama pensione anticipata contributiva. Sul sito dell’Inps questa misura viene illustrata nella stessa pagina destinata alla pensione anticipata ordinaria. Infatti parliamo di una misura strutturale. Oltre all’assenza dei vicoli di cui parlavamo prima, la misura ha una differenza sostanziale in materia di età contributiva da centrare. Infatti alla stregua della pensione di vecchiaia ordinaria, bastano 20 anni di contributi.

I limiti e i paletti della pensione anticipata contributiva

Una dote di contributi versati non centro insuperabile quindi per la pensione anticipata contributiva. SI tratta di una delle poche misure che consentono uscite anticipate senza necessariamente avere carriere lunghe o lunghissime. Per trovare una misura simile da questo punto di vista a mente si può ricordare solo la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità pensionabile. Anche per questa misura infatti la soglia sono i 20 anni di contributi. E si esce addirittura prima, con 61 anni per gli uomini e 56 per le donne. Ma come si evince, è una misura destinata a chi ha problematiche di disabilità.

Occorre però che tali contributi siano successivi al 31 dicembre 1995. Questa è la data che segna il limite per essere considerati contributivi puri. In parole povere, pensione a 64 anni con 20 anni di versamenti per chi è privo di contribuzione a qualsiasi titolo versata antecedente l’entrata in vigore del sistema contributivo.

Ma la misura è limitata anche da un paletto che riguarda l’importo minimo della pensione. Infatti si può accedere alla prestazione a condizione che la pensione liquidata sia pari ad almeno 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale nell’anno in cui si maturano i requisiti della pensione.

Per il 2022, dopo i recenti adeguamenti con il meccanismo della perequazione, l’assegno sociale nel 2022 è pari a 468,10 euro. Pertanto, per avere diritto alla pensione anticipata contributiva serve una pensione lorda pari o superiore a 1.310,68 euro.

Le pensioni a 64 anni nel 2022, tabelle e requisiti

Ricapitolando, per chi è nato fino al 1958 sono due le misure che permettono uscite nel 2022. A dire il vero ci sarebbero pure l’Ape sociale a 63 anni, Opzione donna a 58 o 59 anni e le varie anticipate, sia ordinarie che per i precoci. Si tratta di misure che sono particolarmente legate a dei vincoli e dei paletti che le rendono fruibili solo a determinate categorie di lavoratori.

Ma misure che riguardano nello specifico i 64 anni di età sono le due sopra descritte. Due misure con requisiti diversi e con regole diverse che possono essere riassunte così:

Quota 102:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 38 anni di contributi versati;
  • Almeno 35 anni effettivi da lavoro;
  • Divieto di cumulo con altri redditi da lavoro;
  • Finestre di uscita.

Pensione anticipata contributiva:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 20 anni di contributi versati;
  • Primo versamento successivo al 31 dicembre 1995;
  • Assegno liquidato per un importo lordo minimo di 1.310,68 euro (2,8 volte l’assegno sociale 2022).

Maggiorazione pensioni e assegni familiari, nuova circolare Inps

Nuova circolare Inps sugli assegni familiari e sulle maggiorazioni. L’Istituto ha prodotto la canonica circolare di inizio anno con cui da le informazioni utili e gli importi di alcune delle prestazioni a favore dei lavoratori autonomi in genere e di particolari categorie quali coltivatori diretti, mezzadri e coloni.

In pratica, informazioni utili per quei soggetti in genere fuori dal perimetro di applicazione della normativa sull’assegno per il nucleo familiare.

Di cosa tratta la circolare

La circolare Inps sottolinea che dal primo gennaio 2022 sono stati rivalutati i limiti di reddito familiare utili sia alla corresponsione degli assegni familiari e delle eventuali quote di maggiorazione delle pensioni che per la loro cessazione o rimodulazione.

Un passaggio di prassi che l’Istituto Previdenziale ogni anno produce tramite circolare. Anche in questo caso, come lo stesso Istituto precisa a margine della circolare stessa, che per via della prossima introduzione dal primo marzo dell’assegno unico e universale per i figli a carico, per alcuni nuclei familiari verranno meno le prestazioni previste dall’articolo n° 4 del Testo Unico sulle norme per gli assegni familiari.

La circolare Inps n° 9/2022

Coltivatori diretti, coloni, mezzadri, piccoli coltivatori diretti, pensionati delle Gestioni speciali per i lavoratori autonomi, sono questi i soggetti a cui si riferiscono le informazioni in materia di assegni familiari e maggiorazioni che l’Inps ha prodotto con la sua circolare.

Il primo punto interessante della circolare riguarda la cessazione del diritto al trattamento di famiglia. L’Istituto precisa che pur se si ricade nei casi di cessazione per via delle nuove norme base sul reddito familiare, gli altri benefit derivanti dai soggetti a carico fiscale di un contribuente, non vengono meno.

Dal punto di vista

  •  8,18 euro  al mese a coltivatori diretti, coloni e mezzadri per i figli e per gli equiparati;
  • 10,21 euro al mese per i pensionati delle Gestioni speciali per i lavoratori autonomi per il coniuge e i figli.

Le nuove tabelle e i nuovi limiti per maggiorazioni e assegni familiari

Alla circolare sono allegate anche le tabelle con tutte le informazioni utili come possono essere i limiti di reddito utili a poter incassare assegni familiari e maggiorazione pensione per l’anno 2022.

Emerge che il trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti è pari a 523,83 euro al mese.

Per avere diritto a questo trattamento minimo occorre rientrare in determinati parametri reddituali e questi sono:

  • 737,73 euro per coniuge, genitore, figli o equiparati;
  • 1.291,02 euro per due genitori ed equiparati.

Contributi a fondo perduto Mise: 6 ambiti di aiuti a imprese e Pmi

Il ministero per lo Sviluppo economico (Mise) ha sbloccato fondi per 750 milioni di euro destinati ai contributi a fondo perduto a favore delle imprese e, con specifiche regole, alle micro e piccole e medie imprese. Si tratta di incentivi rientranti nel Gren New Deal nei settori della transizione ecologica che prevede sei ambiti di applicazione. Il decreto relativo al fondo perduto e ai finanziamenti agevolati alle imprese è stato firmato dai ministri per lo Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, e da quello dell’Economia, Daniele Franco. Attualmente si attende la pubblicazione del provvedimento nella Gazzetta Ufficiale. La misura risale alla legge di Bilancio del 2020 del secondo governo Conte.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati Mise, quali imprese possono richiederli?

I contributi a fondo perduto e i finanziamenti agevolati del ministero per lo Sviluppo Economico possono essere richiesti dalle imprese di qualsiasi dimensioni. Le imprese devono svolgere la propria attività nei settori artigianali, industriali e agroindustriali, dei servizi all’industria oppure devono essere dei centri di ricerca. Alcuni ambiti riguardano nel dettaglio le piccole e medie imprese (Pmi). L’ottenimento degli aiuti è subordinata alla presentazione di progetti, anche nella modalità congiunta da parte delle imprese. I progetti devono riguardare la ricerca industriale e lo sviluppo sperimentale. Le sole piccole e medie imprese (Pmi) possono presentare progetti nell’ambito dell’industrializzazione dei risultati della ricerca e dello sviluppo.

Aiuti alle imprese, la suddivisione delle risorse tra contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati

La dote dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti agevolati del ministero per lo Sviluppo Economico è pari a 750 milioni di euro complessivi. Nel decreto del Mise è stabilito che 600 milioni di euro verranno erogati per la concessione di finanziamenti agevolati a favore delle imprese. La dotazione dei finanziamenti è a valere del Fondo rotativo per sostenere le imprese della Cassa depositi e prestiti. Ulteriori 150 milioni di euro verranno destinati agli aiuti sotto forma di contributi a fondo perduto. Il relativo fondo è quello della crescita sostenibile.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati: quali sono i 6 ambiti di intervento delle imprese?

In merito agli ambiti di intervento per i finanziamenti del Mise e per i contributi a fondo perduto, si distinguono:

  • la decarbonizzazione dell’economica;
  • l’economia circolare;
  • la rigenerazione urbana;
  • l’abbassamento dell’utilizzo della plastica;
  • il turismo sostenibile;
  • il mitigare i rischi derivanti dal cambiamento climatico.

Contributo a fondo perduto Mise e finanziamenti agevolati: quali sono le spese ammissibili e per quali importi?

Nell’ambito dei finanziamenti agevolati alle imprese e dei contributi a fondo perduto del Mise, i progetti dovranno avere degli importi relativi alle spese entro determinati limiti. Infatti, le spese ammissibili devono essere comprese tra i tre e i 40 milioni di euro. I progetti, inoltre, devono essere realizzati nell’ambito del territorio italiano. La durata dei progetti deve essere compresa tra un anno e tre anni.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti Mise, come si dovranno presentare le domande?

Per la presentazione dei progetti e delle domande di finanziamento agevolato e di contributi a fondo perduto, si attende un ulteriore provvedimento del Mise che fornisca ulteriori dettagli sulle procedure. In ogni modo, i canali di accesso agli aiuti delle imprese saranno due. Per i progetti che comportino costi tra i 3 e i 10 milioni di euro si potrà presentare l’istanza a sportello. In questa fascia, il 60% degli aiuti sarà destinata alle piccole e medie imprese (Pmi); il 25% alle micro imprese. I progetti che invece generano spese ammissibili da 10 a 40 milioni di euro saranno sottoposti alla procedura negoziale.

Condizioni applicate ai contributi a fondo perduto e ai finanziamenti agevolati delle imprese

Diverse le condizioni applicate ai contributi a fondo perduto alle imprese e ai finanziamenti. I contributi a fondo perduto potranno avere una percentuale di copertura pari al 15% delle spese ammissibili. I contributi in conto impianti potranno ricevere un aiuto ulteriore del 10%. I finanziamenti agevolati, invece, avranno le seguenti condizioni:

  • il tasso nominale annuo sarà inferiore allo 0,50%;
  • il finanziamento dovrà coprire le spese nella percentuale tra il 50% e il 70%;
  • il finanziamento dovrà essere correlato a un prestito bancario per almeno il 10%.

Buoni Fruttiferi Postali, come viene applicata l’imposta di bollo?

I Buoni Fruttiferi Postali continuano a essere per gli italiani una delle forme di risparmio preferite. Questo per diversi motivi, ma in particolare perché sono un mezzo versatile, semplice da sottoscrivere e spesso utilizzato anche come regalo. A differenza del passato, i buoni fruttiferi postali sono anche tassati con due tipologie di imposte. La prima è la ritenuta fiscale sugli interessi al 12,50% e la seconda è l’imposta di bollo sui Buoni Fruttiferi Postali. Vedremo ora come si calcola la seconda.

Introduzione dell’imposta di bollo sui Buoni Fruttiferi Postali

I Buoni Fruttiferi Postali sono emessi da Cassa Depositi e Prestiti e distribuiti da Poste Italiane, ma soprattutto sono garantiti dallo Stato, ecco perché molti risparmiatori si sentono al sicuro rispetto ad altre forme di investimento. In passato avevano dei buoni rendimenti e ciò ha portato un discreto successo a questo strumento di risparmio. Nel tempo tutti i vantaggi sono terminati e a bassissimi rendimenti si somma una tassazione non particolarmente vantaggiosa. In particolare dal 2012 il Governo ha introdotto anche l’imposta di bollo.

Tale tassazione sui Buoni Fruttiferi Postali è una novità prevista dal Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazione dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214. Nel tempo però la disciplina ha subito diverse modifiche. Attualmente l’imposta di bollo è calcolata al due per mille su base trimestrale, con un valore minimo di 2 euro.

L’imposta di bollo non si applica su valori inferiori a 5.000 euro. La disciplina prevede che ci sia però un cumulo dei prodotti con la stessa intestazione. In poche parole se una persona ha due buoni da 3.000 euro intestati, l’imposta di bollo viene comunque applicata e questo anche grazie a un data base che consente di visionare in breve tempo tutti i prodotti intestati a un medesimo soggetto. Non fanno parte del cumulo di BPF emessi prima del 1° gennaio 2009.

L’imposta di bollo sui Buoni Fruttiferi Postali ha goduto di un’introduzione graduale, infatti la disciplina prevede per il 2012 l’applicazione allo 0,1% (1X1000), al 2013 allo 0,15% (o 1,5X1000). Dal 2014 entra invece a pieno regime e quindi al 2X1000.

Come si esegue il calcolo dell’imposta di bollo?

Il calcolo dell’imposta di bollo sui buoni fruttiferi postali si esegue facendo il cumulo di tutti i Buoni Fruttiferi Postali con la stessa intestazione. Sono esclusi quelli la cui data di emissione è antecedente al 1° gennaio 2009. Come abbiamo detto già prima, questi non concorrono a determinare il limite dei 5.000 euro al di sotto dei quali non è dovuta l’imposta di bollo. Occorre sottolineare che per i buoni fruttiferi cartacei e dematerializzati l’imposta di bollo si contabilizzava e calcolava al 31 dicembre di ogni anno solare, si procedeva quindi ad accantonarla, ma il versamento effettivo c’era al momento della riscossione del prodotto. L’imposta di bollo era però annuale e calcolata sul valore di rimborso del Buono.

Dal 3 gennaio 2018 anche questa regola è cambiata, infatti con l’entrata in vigore della normativa MiFID2 la rendicontazione avviene con cadenza trimestrale e l’imposta di bollo viene calcolata con la stessa periodicità, sebbene sempre in misura del 2X1000 annuale.

Attenzione alla ritenuta fiscale sui Buoni Fruttiferi Postali

Al momento della riscossione è comunque necessario porre particolare attenzione alla tassazione applicata. Poste Italiane calcola la ritenuta al 12,50% con capitalizzazione annuale degli interessi, ma ci sono diverse sentenze, tra cui la più importante è del Tribunale di Bergamo, che sottolineano che si deve applicare la capitalizzazione al momento della riscossione, determinando così forti differenze tra gli importi versati da Poste Italiane e quelli effettivamente dovuti.

Per maggiori informazioni è consigliata la lettura dell’articolo: Tassazione Buoni Fruttiferi Postali: la decisione del Tribunale di Bergamo

Chi detiene Buoni Fruttiferi Postali deve inoltre ricordare che gli stessi sono soggetti a prescrizione, per informazioni leggi l’articolo: Prescrizione Buoni Fruttiferi Postali: ecco le pronunce da ricordare

Pensione a qualsiasi età per invalidi anche non gravi: ecco quando spetta

Sei invalido e non riesci più a svolgere il tuo lavoro? Fai fatica rispetto ai tuoi colleghi a portare a termine i tuoi compiti a causa della tua disabilità? Forse non lo sai ma puoi avere diritto all’assegno ordinario di invalidità, una prestazione che spetta sia continuando a lavorare sia decidendo di cessare l’attività lavorativa. Si tratta di una prestazione previdenziale calcolata sui contributi realmente versati al momento della presentazione della domanda della durata triennale che può essere rinnovata per 3 volte prima di diventare permanente. Vediamo come funziona e a chi spetta.

Assegno ordinario, la pensione indipendente dall’età

Gli unici requisiti richiesti per avere diritto all’assegno ordinario di invalidità sono: riduzione della capacità lavorativa a meno di due terzi ed almeno 5 anni di contributi versati, di cui almeno 3 nei 5 anni precedenti la presentazione della domanda.

Ma attenzione: non basta il 67% di invalidità per avere indiscutibilmente diritto all’assegno ordinario. Si parla, infatti, di riduzione della capacità lavorativa e non di percentuale di invalidità. Questo perchè l’assegno viene riconosciuto nello specifico sul grado di capacità di svolgere la propria mansione. Se, ad esempio, un lavoratore fa il muratore ha problemi a camminare, la sua disabilità pregiudica la sua capacità di svolgere il proprio lavoro, gli crea un handicap non indifferente visto che deve muoversi sulle impalcature. E proprio per questo si vedrà quasi sicuramente riconoscere l’assegno ordinario di invalidità.

Se la stessa patologia, però, ce l’ha un impiegato, un insegnante, una segretaria, ad esempio, la riduzione della capacità lavorativa non sarà la stessa visto che il non camminare bene o il fare fatica a camminare non pregiudica la propria professione.

L’assegno, quindi, viene riconosciuto sulla perdita della capacità lavorativa riferita al lavoro che si svolge e non in via generale come accade nel riconoscimento della percentuale di invalidità civile.

Spetta a qualsiasi età

Detto questo l’assegno ordinario di invalidità spetta a qualsiasi età, visto che i requisiti che richiede sono solo quello sanitario e quello contributivo. Per il titolare di AOI è possibile anche continuare a svolgere la propria attività lavorativa in full time, scegliere di svolgerla in part time o decidere di cessare l’attività lavorativa. Da tenere presente, però, che dopo il primo riconoscimento l’assegno ha una durata di soli 3 anni. Poi deve essere rinnovato e devono essere nuovamente verificate le condizioni sanitarie del richiedente. Solo dopo il terzo rinnovo l’assegno diventa definitivo e non ha più scadenza, fermo restando il diritto dell’INPS di procedere a visita di revisione se lo ritiene opportuno.

 

Partita IVA, Srl o ditta individuale: come scegliere

In questa rapida ma essenziale guida entriamo nel mondo delle Partita IVA e del lavoro aziendale, per scoprire modalità e convenienze e individuare come scegliere tra Srl e ditta individuale.

Partita IVA, Srl, ditta individuale: cosa sono?

Andiamo, dunque per gradi per comprendere le motivazioni e le modalità di una scelta giusta.

Partiamo, quindi col definire, singolarmente le tre opzioni.

  • La partita IVA non è altro che un numero che definisce univocamente il titolare e viene utilizzata per pagare l’IVA. Scopri maggiori informazioni sul mondo della fatturazione con SumUp Fatture. La partita IVA è una serie di 11 numeri che identifica il titolare e serve a contribuire l’IVA all’Agenzia delle entrate.
  • La Srl, o Società a responsabilità limitata, invece è una società di capitali che risponde alle obbligazioni sociali solo nel limite del capitale versato dai soci. Il capitale privato dei soci, invece, è ben separato, e per questo i soci non sono tenuti a coprire alcun debito con il loro patrimonio personale.
  • La ditta individuale o impresa individuale è la forma giuridica più semplice per avviare l’attività ed è costruita intorno alla figura dell’imprenditore. Per questa forma giuridica non esiste un un minimo di capitale da versare o particolari requisiti per la costituzione.

    Ora, possiamo vedere nel confronto come attuare una scelta.

Come scegliere tra Partita IVA, srl e ditta individuale

Iniziamo con stabilire come aprire una ditta individuale.

La scelta è fondamentale per la riuscita del proprio business e da questa decisione dipenderanno molti degli aspetti della vita della nuova impresa: a partire dal sistema di costituzione fino ad arrivare al regime fiscale. Vediamo insieme come affrontare con serenità questa scelta, valutando con attenzione le opzioni e quindi i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna forma giuridica.

Come si costituisce una ditta individuale?

La ditta individuale rappresenta la forma giuridica più semplice e meno costosa. Infatti, la costituzione avviene senza particolari formalità, ed è sufficiente attuare i seguenti passaggi:

  1. aprire partita IVA entro 30 giorni dall’inizio attività;
  2. richiedere la smart-card personale alla camera di commercio;
  3. iscriversi al Registro Imprese;
  4. presentare richiesta di iscrizione all’INPS;
  5. ed iscriversi eventualmente all’INAIL se previsto per il tipo di attività.

Come si costituisce una SRL /SRLS?

Vediamo, invece, cosa occorre per poter aprire una Srl o una Srl semplificata (ovvero Srls)

Per avviare una SRL / SRLS occorre:

  • rivolgersi ad un Notaio per la redazione dello statuto;
  • sottoscrivere il capitale minimo che per le SRL non può essere inferiore a 10.000,00 per le S.R.L.; per Srls il capitale sociale varia da 1 Euro a 9.999 euro;
  • aprire Partita IVA;
  • richiedere la smart-card dell’amministratore alla camera di commercio;
  • aprire una posta certificata intestata alla società;
  • iscriversi al registro delle imprese;

Come aprire una Partita IVA

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a vedere come aprire una Partita IVA

Per l’apertura della Partita Iva saranno necessari i seguenti passaggi:

  • comunicare all’Agenzia delle Entrate l’inizio della propria attività con apposita dichiarazione entro 30 giorni dal primo giorno di attività o usare la procedura ComUnica;
  • compilare il modello AA9/7 per lavoratori autonomi e ditte individuali;
  • compilare il modello AA7/7 per le società;
  • scegliendo il codice ATECO che si riferisce all’attività specifica;
  • scegliendo il tipo di regime contabile tra, regime forfettario o regime contabile ordinariao.
  • I modelli AA9/7 e AA7/7 si possono scaricare dal sito dell’Agenzia delle Entrate e quando vengono compilati si possono presentare alle Entrate:
  • o recandosi presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate con apposito documento di riconoscimento;
  • o inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno, con in allegato fotocopia del documento di riconoscimento;
  • o inviando il modello online tramite apposito software, sempre disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate.

Ovviamente, sono molte altre le variabili che possono esserci tra un’opzione e l’altra, come ad esempio i costi.

Partita IVA, Srl o ditta individuale: quale costa di più

Per quanto concerne l’apertura di una Partita IVA il costo può variare tra i 100 e i 300 euro, ma sarà necessario seguire il tutto con un commercialista. E considerare anche quale regime scegliere.

Molto più costosa l’apertura di una Srl. Infatti, di media, il costo complessivo per aprire una SRL si aggira intorno ai 1.500 euro + IVA. Le imposte variano in base al tipo, per una SRL ordinaria sono previsti circa 600 euro di imposte, mentre per una Startup l’importo scende a circa 200 euro e per una SRLS non ci sono onorari del notaio ma solo 320 euro di imposte.

Si potrebbe, invece dire, un po’ sommariamente che i costi di inizio attività per una ditta individuale si aggirano intorno ai 500 euro. Chiaramente, questi costi variano sulla base del tipo di attività svolta dalla ditta. Se di tipo artigianale o commerciale, fisica oppure online.

Questo, dunque è quanto più essenziale da sapere in merito alle modalità di scelta tra una Partita IVA, una srl o una ditta individuale.