Truffe: come difendersi da Phishing e Smishing

Che cosa sono il Phishing e lo Smishing, questi singolari sistemi di truffa? E come difendersi per evitare di cadere nelle trappole? Scopriamolo in questa rapida guida sull’argomento.

Phishing, di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo col comprendere cosa si intende con il termine Phishing.

Con la parola Phishing si fa riferimento ad una truffa informatica che viene effettuata inviando un’e-mail con il logo contraffatto di un istituto di credito o di una società di commercio elettronico, in cui si invita il destinatario a fornire dati riservati (come il numero di carta di credito, password di accesso al servizio di home banking, ecc.), motivando tale richiesta con ragioni di ordine tecnico.

Come difendersi dalle truffe via mail?

La miglior difesa contro questo tipo di minaccia è senza dubbio la consapevolezza: soprattutto per quanto riguarda gli ambienti aziendali, dove molti account sono attivi ogni giorno ed allo stesso tempo – e non sono in pericolo solamente dati privati, ma anche informazioni di clienti e dell’impresa stessa – non ci si può permettere di esporsi. 
Il maggior pericolo, spesso si palesa nella cartella degli Spam, dove queste mail particolari trovano il loro approdo.

Smishing di cosa si tratta

Scopriamo, invece cosa si intende con il termine Smishing, altro sinonimo di possibile raggiro telematica.
Lo smishing non è altro che una forma di phishing che utilizza i telefoni cellulari come piattaforma di attacco. Il truffaldino mandatario compie l’attacco con l’intento di raccogliere informazioni personali, compresi il codice fiscale e/o il numero di carta di credito. Lo smishing viene attuato attraverso messaggi di testo o SMS, da cui deriva il nome “SMiShing”.

Come difendersi dallo Smishing

Attraverso un messaggio di testo l’hacker può tentare di raggiungere diversi tipi di risultati. Questo, come anticipato poco sopra, include il furto di dati personali dell’utente, spacciandosi per un rappresentante della sua banca o del gestore telefonico o in alcuni casi per compagnie di consegna pacchi, con apposito link fittizio su cui cliccare.

Può cercare, infatti, di far cliccare l’utente su un collegamento incluso nel messaggio di testo per connettersi al sito web di un surrogato della banca o dell’azienda falsificata e verificare un recente addebito sospetto o un pacco in arrivo. Qui potrebbe essere richiesto di chiamare il numero del servizio clienti, incluso per comodità nel messaggio di testo, per carpire informazioni personali.

Un altra tipologia di attacco smishing è un’offerta del provider che propone uno sconto su un servizio o un aggiornamento del telefono. Il messaggio esorta a cliccare sul collegamento fornito per attivare l’offerta. Una volta raggiunta la pagina web falsificata che riproduce il sito del provider, il sito chiede di confermare il numero di carta di credito, l’indirizzo e magari anche il codice fiscale.

Vediamo, di seguito alcune rapide informazioni per evitare di abboccare allo Smishing:

  • Considerare gli avvisi urgenti sulla sicurezza e i messaggi urgenti di riscatto di coupon, offerte e affari come campanelli d’allarme per un tentativo di hacking.
  • Nessun istituto finanziario o commerciante invierà un SMS in cui chiede di aggiornare le informazioni del conto o di confermare il codice del bancomat.
  • Non bisogna mai cliccare un link o un numero di telefono presenti in un messaggio di cui non si è sicuri.
  • Prestare attenzione ai numeri sospetti che non sembrano numeri di telefono reali, come ad esempio “5000”. Come sostiene Network World , questi numeri sono collegati ai servizi che inviano SMS direttamente dalle caselle di e-mail, che spesso sono usati dai truffatori per evitare di fornire il loro reale numero di telefono.
  • Evitare di conservare i dati bancari o della propria carta di credito sullo smartphone. Evitando ciò, i truffatori non le possono rubare neppure se immettono un malware nello smartphone.

Questo è quanto di più utile e necessario da sapere in merito alle pericolosità di Phishing e Smishing.

Spese condominiali, chi paga quelle dell’inquilino moroso?

Le spese condominiali sono quelle che devono essere pagate dal proprietario, ma in caso di locazione e l’inquilino è moroso, cosa si fa?

Spese condominiali, il proprietario deve sempre pagarle

Quando un immobile si trova all’interno di un condominio, i proprietari di tutte le unità devono pagarne le spese. A gestire le spese, riparare i danni ci deve pensare l’amministratore di condominio. Tuttavia il proprietario di un immobile può anche destinare a locazione il proprio immobile. Così proprietario ed inquilino possono accordarsi per il pagamento mensile proprio di quest’ultimo.

Tuttavia al di là della ripartizione delle spese condominiali tra conduttore e locatore, quest’ultimo rimane l’unico responsabile in caso di morosità dell’inquilino. Infatti uno degli obblighi dell’amministratore è proprio quello di avvisare il proprietario che le spese non sono state pagate dall’inquilino. Anche perché il padrone di casa è l’unico che può effettuare il pagamento nei confronti dell’amministratore.

Come liberarsi dell’inquilino moroso

E’ chiaro che attraverso i rendiconti l’amministratore avvisa periodicamente che l’inquilino non ha versato le quote di sua competenza. A questo punto se l’inquilino non paga  le spese condominiali il locatore può rivolgersi prima al proprio avvocato che a sua volta lo farà nei confronti del Tribunale. Può anche decidere di pagare il debito, per evitare che si accumuli e poi rivolgersi al tribunale.

Infatti al tribunale può chiedere l’emissione di una ingiunzione di pagamento a carico del conduttore per gli importi scoperti, oppure può notificare sfratto per morosità. L’ingiunzione di pagamento è un istituto giuridico che può essere attivato da un creditore per fare valere il diritto di recuperare il proprio credito. Quindi è una decisione presa da un giudice, a seguito di una richiesta fatta dall’interessato.

Spese condominiali quando si prescrivono?

Se invece a pagare non è il proprietario di un immobile, sarà l’amministratore ad agire per il benessere del condominio stesso. Anche in questo caso l’amministratore farà un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti del condomino che si sia reso moroso rispetto al pagamento delle spese condominiali. Nel frattempo però può limitare alcuni servizi per il condomino moroso che però non creino problemi agli altri.

Inoltre le spese condominiali ordinarie si prescrivono in cinque anni dall’approvazione del rendiconto. A norma infatti dell’articolo 2948 del Codice civile si prescrivono in cinque anni tutte le spese che deve pagarsi almeno una volta all’anno. Ecco quindi il periodo entro cui le spese possono essere sanate e quindi provvedere alla cancellazione del proprio debito.

Nuova Flat tax cos’è, pro e contro di una scenario possibile

La nuova Flat tax è uno degli scenari possibili che potrebbero esserci nel nostro paese a seguito delle elezioni del 25 settembre, ma cos’è?

NuovaFlat tax, cos’è e perché tutti ne parlano

Uno dei termini più usati nelle torrida estate 2022 in Italia è “Flat tax”. In scienze delle finanze la flat tax è un sistema fiscale non progressivo. Si basa su un’aliquota fissa, al netto di eventuali deduzioni fiscali o detrazioni. Tuttavia tale sistema si riferisce alle imposte sul reddito familiare e talvolta sui profitti delle imprese tassate con un’aliquota fissa.

In altre parole, la flat tax è una tassa piatta, che andrebbe a sostituire le attuali cinque aliquote Irpef e i cinque scaglioni di reddito. Mentre così facendo si applicherebbe un’aliquota unica e fissa sul valore del reddito familiare prodotto dal nucleo familiare.

Facciamo un esempio se una famiglia guadagna 30.000 euro, e la flat tax ha una percentuale del 15% oppure del 23%. Al valore del reddito vanno applicate delle deduzioni per figli a carico. Mettiamo che abbia un valore di 5.000 euro. Quindi si pagherebbe così:

30.000 euro (reddito) – 5.000 euro (deduzioni) = 25.000 x 15% = 3.750 euro sarà la somma da versare per le tasse.

Nuova Flat tax, i vantaggi di questo regime fiscale

Se il centro destra dovesse vincere le prossime elezioni il 25 settembre c’è un’alta possibilitàche la flat tax venga introdotta dal nuovo Governo. Ma a dire il vero, non è proprio una novità. Attualmente, ad esempio, i possessori di partita Iva che rientrano nel regime forfettario, pagano così le proprie tasse sul reddito percepito. Adesso questo sistema vorrebbe estendersi anche ai lavoratori dipendenti, pensionati e tutti gli italiani.

Tuttavia i vantaggi della flat tax sembrano essere principalmente tre:

  • contrastare l’evasione fiscale;
  • semplifiicare il sisema con la razionalizzazione delle attuali detrazioni;
  • ridurre la pressione fiscale sia per le imprese che per le famiglie.

La flat tax se mantenuta a queste quote potrebbe quindi prevede un peso fiscale minore per le famiglie. Anche se occorrerebbe un sistema percentuale diversa a seconda dei redditi familiari. In altre parole chi guadagna di più, dovrebbe avere una percentuale maggiore.

Quali possono essere gli svantaggi?

Come in ogni cosa ci sono i vantaggi e gli svantaggi. Tuttavia ci sono molte persone che ritengono che questo nuovo regime non è possibile da applicare in Italia. E che di conseguenza porterà numerosi svantaggi. Infatti i contro potrebbero essere l’introduzione di una tassa piatta che possa portare minori entrate per lo Stato. Ma anche il rischio di avvantaggiare i più ricchi e, quindi, di introdurre una legge ad alto rischio incostituzionalità.

Bonus verde: chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate e limiti

Il bonus verde è stato introdotto per la prima volta con la legge di bilancio 2018. Ha trovato spazio per la riconferma anche nella legge di bilancio 2022 fino al 2024. Consente di ottenere detrazioni fino al 36% delle spese per la manutenzione straordinaria del verde. Con la circolare 28 del 2022 l’Agenzia delle Entrate ha specificato i limiti entro i quali è possibile avvalersi di questo beneficio.

In quali casi si può usufruire del bonus verde?

L’Agenzia delle Entrate nella circolare 28 del 2022 ha specificato in quali casi non spetta la detrazione del bonus verde. Si tratta di:

  1. manutenzione ordinaria periodica di giardini pre-esistenti non connessa ad un’attività innovativa;
  2. lavori in economia, precisa l’Agenzia delle Entrate che è possibile fruire dell’agevolazione anche se l’acquisto di piante e arbusti avviene tramite fornitori diversi, è essenziale “che l’intervento di riqualificazione dell’area verde sia complessivo e ricomprenda anche le prestazioni necessarie alla sua realizzazione” .

Per quanto riguarda le agevolazioni riferibili a balconi e terrazzi, nella circolare si precisa che l’applicazione di fioriere e l’allestimento di verde deve comunque consistere in un intervento permanente e innovativo.

Rientrano tra le spese agevolabili anche quelle di progettazione delle aree verdi.

Bonus verde: casi particolari

La detrazione del bonus verde viene riconosciuto su un importo massimo di 5.000 euro e di conseguenza applicando il 36% si possono ottenere 1.800 euro. Nel caso in cui gli interventi siano su parti comuni di edifici, il limite dei 5.000 euro si intende riferito ad ogni unità immobiliare. L’Agenzia delle Entrate precisa che in questo caso se uno stesso soggetto è titolare di più unità immobiliari, può ottenere la detrazione per ciascuna di esse. Inoltre il proprietario può ottenere detrazioni sia per i lavori su parti comuni, sia per i lavori sull’unità immobiliare di proprietà.

Nel caso in cui la sistemazione a verde avvenga su unità immobiliari ad uso promiscuo, ad esempio per lo svolgimento di arti o professioni l’agevolazione spettante è calcolata al 50%.

In caso di vendita dell’unità immobiliare su cui sono ancora fruite le detrazioni, il beneficio si trasmette, tranne nel caso di contrario accordo delle parti, al nuovo acquirente. Lo stesso principio vale nel caso in cui vi sia la morte del beneficiario, in questo caso il beneficio si trasmette all’erede che conservi la detenzione materiale e diretta del bene.

Naturalmente per potersi avvalere del bonus verde è essenziale che i pagamenti siano effettuati con strumenti di pagamento tracciabili.

Pellet: quanto costa? Conviene o è preferibile il metano?

Uno dei principali problemi che gli italiani dovranno affrontare nel prossimo inverno è la spesa per il riscaldamento. Le alternative sono diverse, ma ad oggi appaiono tutte costose, tra queste vi è il pellet che negli ultimi anni è stato sempre più richiesto a causa del buon rapporto qualità/prezzo. Oggi però gli italiani si trovano a dover far fronte a prezzi davvero imbarazzanti con raddoppio del 100% del prezzo rispetto allo stesso periodo di un anno fa.

Costo pellet 2022 certificato

La prima cosa da sottolineare è che quando si parla di pellet è bene riferirsi sempre a pellet certificato, cioè un prodotto che rispetti gli standard di qualità previsti dalla normativa. Solo acquistando pellet certificato si può avere la certezza di acquistare un combustibile che abbia una buona resa e non presenti sostanze particolarmente dannose per la salute e per l’ambiente, ad esempio collanti. All’interno poi delle certificazioni ci sono diverse fasce di qualità e di conseguenza di prezzo.

Lettura consigliata: Pellet, metano e gasolio: quanto ci costerà in più il riscaldamento quest’anno?

Ogni paese ha i suoi criteri di certificazione a livello europeo e con riconoscimento internazionale, la certificazione è Enplus, quindi nella maggior parte delle case degli italiani si potrà notare il classico sacchetto con la certificazione Enplus. In alcuni casi accanto a questa si può notare la certificazione Din e Din Plus, che si trova su pellet proveniente dalla Germania, mentre Onorm M 7135 per quello proveniente dall’Austria.

La certificazione Enplus risponde alla direttiva EN 14961-2 ed è una certificazione che offre il vantaggio di seguire tutta la filiera di produzione del pellet: dal bosco, allo stoccaggio della legna alla trasformazione, trasporto e vendita.

La certificazione Enplus ha tre livelli:

  • Enplus A1, cioè pellet di alta qualità (con un residuo ceneri inferiore allo 0,7%);
  • Enplus A2: pellet di una qualità inferiore (con un residuo ceneri inferiore all’1,5%);
  • En-b: prodotto di scarsa qualità, adatto esclusivamente per utilizzo industriale.

Per evitare truffe con false certificazioni basta prestare attenzione a un dettaglio, cioè il codice azienda accanto alla certificazione. Questo può essere verificato sul sito https://enplus-pellets.eu/en-in/ in modo da controllare se l’azienda produttrice è autorizzata ad usare la certificazione Enplus.

Quali sono le quotazioni prezzi pellet 2022?

Fatta questa doverosa premessa si può ora parlare di prezzi del pellet. La passata stagione invernale era iniziata con pellet Enplus A1 al prezzo di 5 euro per un sacchetto di 15 kg, al termine della stagione però lo stesso sacchetto aveva una media di circa 7,50 euro. Quindi con un rincaro del 50%. Si riteneva che la stagione potesse iniziare da quel prezzo, cioè 7,50 euro per il sacchetto di 15 kg di Enplus A1, invece chi ha preferito la pre-vendita nei mesi estivi, cioè quando il prezzo era più basso ha avuto un’amara sorpresa, cioè in media un pellet Enplus A1 costa 10 euro per un sacchetto di 15 kg.

Quando si parla di prezzi medi del pellet è bene prestare attenzione, infatti, il prezzo dei vari marchi oscilla tra 9,50 euro e 11 euro, con previsioni al rialzo per i prossimi mesi, cioè a partire da settembre. Ci possono essere lievi oscillazioni di prezzo tra pellet di abete e di faggio. Generalmente il faggio brucia più lentamente quindi riesce a mantenere il calore, ma nella fase iniziale di accensione impiega più tempo a raggiungere la temperatura pre-impostata.

Il prezzo ovviamente diminuisce per un pellet Enplus A2, le differenze sono soprattutto di resa, infatti un bruciatore con un prodotto che ha un basso potere calorifero impiega maggior tempo a raggiungere la temperatura impostata, di fatto consuma di più soprattutto nel caso di stufe a pellet in automodulazione, cioè modelli che, raggiunta la temperatura impostata, bruciano solo piccole quantità di pellet per mantenerla. Tendenzialmente il pellet Enplus A2 costa circa 1 euro in meno rispetto ad Enplus A1.

Quali sono i motivi dei rincari prezzo del pellet 2022?

La motivazione ufficiale dei venditori è l’introvabilità dei prodotti che porta i prezzi alle stelle, a ciò si aggiunge la produzione quasi nulla dell’Italia quindi siamo costretti a importare il pellet con spese di trasporto notevoli. Deve inoltre aggiungersi che gli impianti di produzione di pellet hanno un elevato dispendio di energia e di conseguenza i rincari energetici pesano anche in questo settore.

Conviene avere la stufa a pellet o è preferibile il metano ?

Fino a poco tempo fa la risposta era affermativa, oggi è difficile fare calcoli senza sapere esattamente come andrà la stagione. Qualcuno però ci ha provato, i calcoli sono basati su quotazioni del metano nel mese di aprile 2022. In quel caso veniva rilevato che il pellet sarebbe stato meno conveniente del metano nel caso in cui avesse superato il prezzo di 8,90 euro al sacchetto.

Il problema però è un altro, infatti queste stime sono poco convincenti oggi, ad agosto 2022, perché si annunciano nuovi rialzi del metano e soprattutto la razionalizzazione dello stesso perché, sebbene gli approvvigionamenti dell’Italia siano sufficienti anche grazie alla politica adottata con forniture dall’Algeria, la normativa europea prevede che in caso di difficoltà, il metano debba essere redistribuito in favore di altri paesi. A titolo informativo, ad aprile i prezzi del gas metano erano: 0,859 €/Smc, oggi siamo già a 1,08 €/SMC, quindi il calcolo che abbiamo visto in precedenza già non è più valido.

Poi c’è un altro fattore, cioè noi parliamo del costo di riscaldarsi con un prodotto o l’altro, ma dimentichiamo i costi della stufa a pellet o di una caldaia a condensazione, sono simili, ma se abbiamo una stufa a pellet nuova difficilmente ne abbiamo ammortizzato il costo e se compriamo un nuovo prodotto, come un bruciatore a biomassa o una caldaia a condensazione dobbiamo valutare sempre l’ammortizzazione del costo, tranne nel caso in cui possiamo beneficiare di detrazioni. Come ad esempio nel caso in cui si intenda fruire del bonus stufe a pellet.

Consigliamo la lettura di: Stufe a pellet a rischio: mancano componenti per la produzione

CDS cosa sono e come funzionano

In questa rapida guida entreremo nel mondo dei CDS, per capire di cosa si tratta e come funzionano questi particolari strumenti finanziari.

CDS, che cosa sono

Noti con l’acronimo CDS, i Credit Default Swap sono degli strumenti finanziari derivati, usati per gestire i portafogli dei titoli.

I credit default swap esistono dal 1994, grazie ad una idea di JP Morgan (multinazionale americana). Sono poi aumentati nei primi anni 2000. Mentre nella fine del 2007, l’ammontare in circolazione del CDS era di 62,2 trilioni di dollari, sceso a 26,3 trilioni di dollari entro la metà del 2010 e riferito a 25,5 miliardi di dollari all’inizio del 2012.

I CDS va aggiunto che non sono negoziati in borsa e non vi è alcuna segnalazione obbligatoria delle transazioni ad un’agenzia governativa.

Ma, andiamo nello specifico a capirne di più, in merito ai CDS.

Sostanzialmente, il credit default swap non è altro che un contratto derivato di credito tra due controparti. L’acquirente effettua pagamenti periodici al venditore, ricevendo in cambio un pagamento se uno strumento finanziario sottostante viene impostato su default o si verifica un evento di credito simile.

Va precisato che il Credit Default Swap può fare riferimento ad un’obbligazione specifica di prestito o obbligazione di “entità di riferimento”, in genere una società o un governo.

CDS, come funzionano

Andiamo, in maniera rapida ed esaustiva a sapere qualcosa in più di questi strumenti finanziari.

Nei casi di inadempienza, l’acquirente del CDS riceve un compenso e il venditore del CDS prende possesso del prestito insoluto. Ad ogni modo, chiunque può acquistare un CDS, pure i compratori che non possiedono lo strumento di prestito e che non posseggono interessi diretti assicurabili sul prestito, in tal caso si parla di CDS scoperti. Se esistono più contratti CDS in circolazione rispetto alle obbligazioni esistenti, troveremo un protocollo per tenere un’asta di un evento di credito; di solito, il pagamento ricevuto è inferiore al valore nominale del prestito.

Chi può usare i dati sui CDS?

Di norma, i dati sui CDS possono essere utilizzati dai professionisti finanziari, dalle autorità di regolamentazione ed anche dai media per poter visionare il modo in cui il mercato considera il rischio di credito, di qualsivoglia entità su cui è disponibile un CDS.

La maggior parte dei CDS sono documentati usando moduli standard redatti dall’International Swaps and Derivatives Association (nota come ISDA), sebbene vi siano diverse modalità. A parte gli swap di base single-name, possiamo trovare swap predefiniti per i pani (BDS), CDS su indici, CDS finanziati (noti come credit-linked ), ed anche credit default swap su prestiti (LCDS). Oltre alle società e ai governi, l’entità di riferimento può avere inclusa una società veicolo che emette titoli garantiti da attività.

Va aggiunto che i CDS possono essere utilizzati per creare posizioni sintetiche lunghe e corte nella specifica entità di riferimento. I CD Naked sono quelli che costituiscono la maggior parte del mercato dei CDS. Infine, i CDS possono essere utilizzati anche nell’arbitraggio della struttura del capitale.

Vediamo alcuni esempi di CDS

In ultimo andiamo a vedere qualche esempio per rendere più chiaro il concetto di funzione dei CDS.

Se in una specifica ora di un giorno preciso, l’assicurazione dal fallimento sul titolo obbligazionario della Repubblica Italiana viene scambiata a 255,5 punti base, significa che per sottoscrivere quell’assicurazione sul default dello stato dovemmo pagare il 2,56% dell’investimento nel titolo. Quindi, per poter assicurare 1 milione di euro investiti in BTP, sarà necessario investire 25.550 euro in CDS.

Andiamo a vedere un secondo esempio.

Supponendo che un investitore acquisti un CDS da AAA-Bank, in cui l’entità di riferimento è Risky Corp, l’ investitore, quindi acquirente della protezione, verserà pagamenti regolari a AAA-Bank, il venditore di protezione. In caso di inadempimento del debito da parte di Risky Corp, l’investitore riceve un pagamento una tantum da AAA-Bank e così viene risolto il contratto CDS.

Questo dunque è quanto di più essenziale ed utile da sapere in merito ai funzionamenti e alle specifiche finanziare di un CDS.

22 agosto, stop alla tregua estiva dei versamenti per il fisco

Oggi 22 agosto è la data che segna la fine della tregua estiva dei versamenti per il fisco. Ma da oggi sono previsti ben 168 pagamenti, quali?

22 agosto, da oggi si ricominciano a pagare le tasse

Archiviato Ferragosto 2022 si ritorna alla vita di sempre con i pagamenti delle tasse e di altre versamenti dovuti al fisco. Da oggi lunedì 22 agosto e per tutto il mese ne sono previsti ben 168. I principali pagamenti sono quelli previsti per le tasse come il saldo del 2021 ed il primo acconto per il 2022. Ed anche i contributi auto liquidati con la maggiorazione del 4% sono previsti per la stessa data.

Dal 22 agosto è anche in scadenza la liquidazione dell’Iva periodica per il mese di luglio. Si fa riferimento ai contribuenti con liquidazione mensile dell’Iva dei mesi di aprile, maggio e giugno. Sono anche previsti i pagamenti per le ritenute da lavoro dipendente ed autonomo ed i contributi previdenziali.

Perché la data del 22 agosto?

Il mese di agosto è un pò particolare perché contrassegnato dalle chiusure aziendali o dalle ferie dei dipendenti. Pertanto com’è noto tutti i versamenti di agosto, ogni anno, possono essere fatti dal primo al 20 agosto senza nessuna maggiorazione. Ma quest’anno il 20 agosto cade di sabato. Pertanto la prima data utile per eseguire i pagamenti cade proprio oggi lunedì 22 agosto.

L’Agenzia delle entrate fa anche sapere che saranno effettuati maggiori controlli sui movimenti bancari, che devono avere sempre e comunque un giustificativo. Altrimenti eventuali versamenti non giustificati sui propri conto correnti, saranno considerati comunque aumenti di reddito.

Quali sono gli altri adempimenti previsti

Oltre agli adempimenti fino a qui citati ci sono gli altri previsti dallo scadenziario. Tra questi ci sono:

  • Versamento contributi IVS da parte di artigiani e commercianti tramite aliquote specifiche;
  • Versamento Iva per associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro e associazioni pro loco che hanno effettuato l’opzione per il regime fiscale agevolato;
  • esterometro;
  • Registrazione dei contratti e versamento dell’imposta di registro;
  • intrastat;
  • i sostituti d’imposta devono versare l’imposta sostitutiva IRPEF e le addizionali regionali e comunali su tutti gli stipendi versati ai dipendenti nel mese precedente;
  • Tobin Tax;
  • Dichiarazione dei redditi, peri professionisti con Partiva Iva che devono versare le imposte relative ai redditi delle persone fisiche, società ed enti;
  • Pagamento del canone Rai, per tutti coloro che non lo pagano insieme alla bollette della luce;
  • Imposta sugli intrattenimenti da pagare con F24 e attraverso le modalità telematiche

Un amaro rientro un pò per tutti i contribuenti che si trovano già alle prese con i versamenti fiscali.

 

 

Imposta di soggiorno, perché e quando si paga all’Ade

L’imposta o la tassa di soggiorno viene pagata dal turista alla struttura ricettiva, questa poi ha l’obbligo di versarla all’agenzia delle entrate.

Imposta di soggiorno, quando la paga il turista

L’art. 4 del D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 prevede che i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio
territorio. Quando il turista lascia la struttura ricettiva, insieme alla fattura, paga anche l’imposta o la tassa di soggiorno. L’imposta di soggiorno determina per il turista un costo che va mediamente da uno a cinque euro massimo al giorno per singola persona. Tuttavia il massimo richiedibile è pari a dieci euro.

Ma a sua volta la struttura ricettiva deve versarla all’agenzia delle entrate. E’ possibile presentare online il modello per la dichiarazione dell’imposta di soggiorno per gli anni 2020 e 2021 entro il 30 settembre 2022. E’ possibile farlo oltre che dai canali telematici, anche sul sito web dell’Agenzia delle entrate, accedendo all’area privata.

Dichiarazione di imposta di soggiorno, chi e quando deve versarla?

La dichiarazione di imposta di soggiorno va compilata in ogni suo campo. Infatti deve indicare il tipo di dichiarazione ed il comune presso cui ha sede la struttura. Tuttavia devono pagare la tassa di soggiorno, i seguenti soggetti:

  • il gestore della struttura ricettiva;
  • colui che si occupa di mediazione immobiliari ai fini della locazione turistica;
  • il dichiarante diverso dal gestore della struttura ricettiva, come l’eventuale curatore fallimentare;
  • un intermediario abilitato.

La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo. Limitatamente all’anno d’imposta 2020, la dichiarazione deve essere presentata unitamente a quella relativa all’anno d’imposta 2021.

Alcune indicazioni per la compilazione

Il modulo per la dichiarazione dell’imposta di soggiorno si compone di due pagine ed è facile da compilare. Infatti occorre indicare i seguenti dati:

  • la data di riferimento dell’anno d’imposta;
  • la tipologia di dichiarazione;
  • il Comune;
  • i dati della struttura ricettiva, o del mediatore abilitato per la locazione dell’immobile;
  • il campo relativo alle persone fisiche o a quelle giuridiche;
  • la firma del dichiarante;
  • il valore dei versamenti già eseguiti.

Sulla base di tale dichiarazione il gestore è chiamato ad effettuare il pagamento dell’imposta, tramite bollettini postali, modello F24, o pagamento diretto alla tesoreria comunale.

Sanzioni auto senza revisione: cosa si rischia

Gli automobolisti che circolano senza la revisione possono rischiare multe molto salate e non solo. Andiamo a vedere, nello specifico, nella nostra guida a quali sanzioni si va incontro in certe circostanze.

Revisione auto, di cosa si tratta

Andiamo, innanzitutto a specificare di cosa si tratta quando si parla di revisione, per coloro che ancora non posseggono un’automobile e stanno magari pensando di acquistarne una.

Con la revisione dell’auto si fa riferimento ad un controllo ben delineato e approfondito delle funzionalità della vettura.

Sostanzialmente, la revisione è una procedura imposta dalla casa automobilistica e deve essere effettuata a quattro anni dalla prima immatricolazione, per poi essere ripetuta ogni due anni. Il tagliando è una procedura imposta dalla legge e serve a garantire la massima sicurezza di ciascun veicolo, senza cadenze temporali prefissate.
In via eccezionale, la revisione potrebbe essere imposta anche in periodi diversi dalle scadenze normali appena viste; questo può accadere quando ci siano sospetti sul corretto funzionamento del veicolo. O, in casi in cui l’auto sia incidentata. Anche qualora sorgano dubbi sulla persistenza dei requisiti di sicurezza, come rumorosità ed inquinamento, si possono ordinare in qualsiasi momento la revisione di singoli veicoli.
In pratica, se la polizia dovesse notare che un veicolo presenta delle sospette anomalie (ad esempio: fumo nero dalla marmitta, particolare rumorosità nella marcia), può trasmettere la segnalazione alla Motorizzazione, la quale convocherà il proprietario del veicolo per effettuare una revisione straordinaria.

Revisione auto scaduta, cosa si rischia

Dunque, cosa si rischia quando la revisione auto è scaduta e non è stata effettuata nuovamente?

Secondo l’ articolo 80 del Codice della Strada è prevista per la violazione una sanzione amministrativa che varia dai 169 ai 680 euro: gli importi vengono raddoppiati se la revisione è stata omessa più di una singola volta.

Oltre alla sanzione, si incorre nel divieto di circolazione fino a revisione effettuata. Chi invece circola anche durante il periodo di sospensione, rischia una multa fino a 7.993 euro, inoltre, all’accertamento di questa violazione consegue la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per un tempo di novanta giorni. In caso di reiterazione delle trasgressioni, si applica la sanzione accessoria della confisca del veicolo.

Insomma, non esattamente dei rischi da correre a cuor leggero per gli automobilisti.

Tuttavia, vi è una regola esclusiva che si applica nel caso in cui il veicolo sprovvisto di regolare revisione circoli in autostrada. Nel caso specifico, oltre al pagamento della sanzione da 173 a 694 euro, è sempre disposto il fermo del veicolo che verrà restituito al conducente, proprietario o legittimo detentore, ovvero a persona delegata dal proprietario, soltanto dopo la prenotazione per la visita di revisione.

Ma quanto costa la revisione dell’auto?

Partiamo col dire che il costo da pagare è 45 euro se la revisione viene effettuata presso la Motorizzazione Civile (con versamento da effettuare in anticipo su bollettino postale prestampato 9001), ma sale ad una quota di 66,88 euro se si utilizzano le officine private autorizzate.

Va aggiunto però un aumento di circa 9 euro, attuato nel corso del 2021 per decreto attuativo del Ministro dei Trasporti, attualmente ancora vigente.

Revisione falsa, cosa si rischia?

Vi possono essere casi truffaldini, di automobilisti che circolano con una revisione auto falsa, quindi non valida ed illegittima. Cosa rischia, in tal senso l’automobilista lo vediamo di seguito.

Possiamo, molto brevemente dire che coloro che producono agli organi competenti attestazione di revisione falsa sono perseguibili con sanzione amministrativa di una somma che varia da 430 a 1.731 euro. Da tale violazione deriva la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della carta di circolazione.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito ai rischi che si incorrono nel non effettuare la revisione auto, una volta scaduta. Meglio, quindi tornare alla guida con tutti i requisiti del caso, prima di rischiare grosso.

Consulente digitale Inps: il successo di un servizio innovativo

Successo inaspettato per il consulente digitale Inps, in poco tempo le richieste di aiuto sono state oltre 200.000 e hanno portato al riconoscimento di diritti inespressi.

Per cosa si può usare il consulente digitale Inps?

Il Consulente Digitale INPS nasce grazie alle risorse del PNRR e ha l’obiettivo di aiutare coloro che accedono nella gestione delle varie pratiche in particolare può verificare se:

  • se può avere un supplemento di pensione;
  • se deve essere corrisposta l’integrazione al minimo.

Il servizio è partito nel mese di aprile 2022 in maniera ridotta ed è in corso di implementazione, ma di fatto i primi dati resi noti confermano che lo stesso è stato molto apprezzato al punto che sono tantissime le persone che hanno usufruito dei servizi trovandone giovamento.

Per conoscere come funziona il servizio, leggi l’articolo: Consulente digitale delle pensioni INPS: ecco la guida al nuovo servizio per i pensionati

I risultati del servizio Inps : successo inaspettato

Secondo i dati resi noti dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, dal momento del lancio del servizio del consulente digitale Inps sono aumentate del 10% le domande di quattordicesima mensilità, mentre le domande volte ad ottenere il supplemento pensione sono aumentate del 20%.

L’obiettivo non è solo verificare se l’utente ha diritto alla prestazione, ma anche indicare il percorso più semplice da seguire al fine di ottenere in breve tempo un riscontro da parte dell’Inps e quindi iniziare a ricevere il sussidio. Purtroppo capita di frequente che le persone che si rivolgono a patronati oppure provano da soli ad accedere ai benefici si perdano o commettano errori nella fase della compilazione, ma grazie a questo servizio è possibile ridurre l’impatto degli errori nella fase di trasmissione delle domande.

Nel frattempo l’Inps, oltre ad aver reso noti i dati sull’accesso ai servizi, ha reso noto l’avvio di una campagna di comunicazione multicanale volta a raggiungere il più elevato numero possibile di persone in modo che siano sempre più numerose le persone che decidono di accedere ai servizi del consulente digitale Inps. Questo attraverso l’uso anche dei social networks che ogni giorno raggiungono migliaia di utenti e forniscono un servizio innovativo e su misura.

Ai servizi digitali Inps è possibile accedere senza autenticazione oppure autenticandosi con le proprie credenziali ( Spid, Cie o Cns) in questo secondo caso il servizio offerto è personalizzato e semplificato.