Le pensioni anticipate del passato una rovina, dal 2023 si cambia

Se c’è un esperto di pensioni in Italia, uno che da tempo è addentrato nel sistema, questo è senza ombra di dubbio Alberto Brambilla. Si tratta del Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali. Diverse altre volte in passato, Brambilla ha parlato di pensioni arrivando più volte a proporre misure e soluzioni. Proposte queste, atte a rispondere alle esigenze di riforma della previdenza sociale. Stavolta il Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali interviene a gamba tesa criticando le vecchie riforme e suggerendo politiche idonee ad una profonda riforma.

Perché sulle pensioni in passato tutto è stato sbagliato

Alberto Brambilla stavolta passa ad attaccare le riforme previdenziali del passato, arrivando a parlare di stretta per la nuova riforma che dovrebbe partire dal 2023. Quando si parla di stretta in materia previdenziale, le notizie non sono positive. Stretta significa limitare le uscite troppo anticipate, inasprire ulteriormente le misure pensionistiche, già oggi aspre.

“Basta con le pensioni anticipate” è ciò che si legge sul quotidiano il Messaggero e sono le parole di Alberto Brambilla, che parla di rovina dell’Italia proprio in riferimento alle vecchie riforme. Secondo il Presidente di Itinerari Previdenziali, è da ricercare nelle pensioni anticipate troppo facili la colpa di un sistema non propriamente virtuoso dal punto di vista della sostenibilità.

In sostanza, per via delle pensioni troppo facilmente erogate in passato, il sistema sta scoppiando e i giovani di oggi dovranno lavorare sempre di più in futuro per accedere alla pensione.

L’analisi del Centro Studi Itinerari Previdenziali, uno spaccato desolante del sistema

L’analisi del Centro Studi Itinerari Previdenziali di cui Brambilla è Presidente, parla di un trentennio disastroso. Infatti il disastro sulle pensioni nasce tra il 1965 ed il 1997, con tanti, forse troppi lavoratori mandati in pensione troppo presto. È il caso delle pensioni con 14 anni 6 mesi ed un giorno di lavoro, appannaggio storicamente delle lavoratrici statali con figli a carico e sposate. Le cosiddette baby pensioni che tante critiche hanno riscosso in passato.

L’analisi di Itinerari Previdenziali è piuttosto approfondita e si estende anche a chi in quei 30 anni riusciva ad andare in pensione con solo 19 anni  6 mesi ed un giorno di lavoro o con 25 anni di contributi (per esempio i lavoratori degli enti locali).

Eloquente come funzionava il sistema fino al 1981, quando si andava in pensione con la quiescenza di anzianità a 50 anni di età.

Un impatto devastante anche sulle pensioni di oggi

L’impatto di queste misure così vantaggiose come uscite dal lavoro si manifesta ancora oggi, perché stando al dossier che presto Itinerari Previdenziali presenterà in Senato, i numeri sono eloquenti.  Oggi a carico dello Stato ci sono ancora 476mila pensioni che vengono pagate da 44/46 anni. Una enormità per il sistema, un peso enorme per le casse dello Stato. Si mette in luce il fatto che in passato le pensioni venivano usate come ammortizzatori sociali, ma gravando sulla spesa previdenziale.

E ritorna in mente l’annoso problema relativo al dividere l’assistenza dalla previdenza. Infatti quando si calcola la sostenibilità del sistema, oppure la spesa pubblica per le pensioni, dentro il calderone finiscono anche le misure assistenziali, che sono un’altra cosa.

Secondo Brambilla le pensioni per essere sostenibili e per essere eque non dovrebbero essere pagate ai beneficiari per più di 25 anni (se non addirittura 20).

 

Cosa andrebbe fatto secondo Itinerari previdenziali sulle pensioni

I conti sono presto fatti se per Brambilla il periodo massimo in cui lo Stato può accollarsi l’onere di pagare la pensione ad un lavoratore è tra i 20 ed i 25 anni. Bisogna calcolare la vita media degli italiani. Evidente che la pensione non può certo essere erogata prima dei 60 anni e forse nemmeno a 61 o 62 anni.

Secondo Itinerari Previdenziali infatti, oggi in Italia si va in pensione troppo presto mediamente, intorno ai 62 anni e mezzo di età. Negli altri Paesi invece la soglia è vicina ai 65 anni.  Come dire, la pensione con opzione donna a partire dai 58 anni di età o quella che parte dalla stessa età per i militari, non potranno che essere debellate dal nostro ordinamento.

Una rivisitazione completa del sistema che guarda in su come età pensionabile quindi, con buona pace di chi chiedeva vie di uscita ad anagrafica inferiore. Un duro colpo anche per i sindacati, che il 15 febbraio saranno impegnati al tavolo con il governo per parlare proprio di pensioni. Immaginare oggi che il governo possa dire di si ad una ipotetica quota 41 per tutti o ad una altrettanto ipotetica flessibilità dai 62 ani è assolutamente azzardato.

Soprattutto alla luce di questa analisi del Centro Studi Itinerari Previdenziali del Presidente Alberto Brambilla.

Pensioni, la riforma: ecco cosa può cambiare con il DEF di aprile, novità in arrivo

In agenda martedì 15 febbraio un nuovo summit sul tema delle pensioni tra governo e sindacati. C’è da approntare la riforma delle pensioni, con il sistema pensionistico che necessita di nuove misure e nuove possibilità di uscita per i lavoratori.

Niente è facile, soprattutto perché le posizioni, come è naturale che sia, sono differenti al tavolo della trattativa. I sindacati a chiedere uscite più facili per tutti, magari dai 62 anni o con una 41 anni di contributi.

Il governo invece, stretto nella morsa dell’Europa, che chiede parsimonia in materia di conti pubblici e che deve cercare di fare i compiti a casa per ottenere i soldi già assegnati come Recovery Plan.

Ecco perché si è arrivati ad un punto dove alcune misure verranno sicuramente introdotte, ma non esattamente come i lavoratori si aspettano. Nuove misure verranno varate e dovrebbero andare a sostituire alcune misure oggi in vigore che viaggiano verso il capolinea.

Cosa accadrà adesso sulle pensioni

Misure che vanno e misure che vengono, forse mai come quest’anno, si interverrà forte in materia previdenziale. Dopo il nulla di fatto o quasi della scorsa legge di Bilancio, che ha partorito solo la quota 102, ecco che probabilmente non si dovrà attendere la prossima manovra finanziaria per iniziare a mettere mano alle pensioni.

Tutto sembra andare verso un intervento già con il prossimo Documento di Economia e Finanza. Nell’atto, propedeutico alla legge di Bilancio, che i governi di norma emanano ad aprile, vengono segnate le linee che un esecutivo segue in materia economica e finanziaria.

E tutto sembra spingere a considerare quell’atto come quello dove si inizierà a varare la riforma. In primo luogo un ritocco serve per le pensioni delle Forze dell’ordine, dei militari e così via, per i quali è prevista la pensione dai 58 anni.

Misure da correggere sulle pensioni, ecco quelle a rischio

Ma potrebbero con ogni probabilità sparire misure oggi vigenti che consentono a determinate categorie di lasciare il lavoro anticipatamente. Parliamo per esempio di opzione donna.

Il regime contributivo anticipato per le lavoratrici, oggi consente il pensionamento dai 59 anni di età per le lavoratrici autonome. Invece è dai 58 anni per le lavoratrici dipendenti. In ogni caso servono anche 35 anni di contributi. Opzione donna però si centra se l’età e il montante contributivo vengono completati al 31 dicembre 2021.

Una misura che però, stando alle indiscrezioni di cui tratta il quotidiano “Il Giornale”, è destinata a scomparire. Si lascerebbe sempre un canale agevolato per le donne.  Ma partendo da 60 e 61 anni, cioè due anni più lontano di quanto prevede oggi il regime contributivo donna.

Occorre allontanare le pensioni, non basta il calcolo contributivo, la riforma come deve essere

Tutto lascia presupporre quindi un inasprimento dei requisiti. Anche perché nonostante il taglio delle pensioni dovuto al ricalcolo contributivo imposto, la giovane età è un peso. Le uscite anticipate troppo come età sono un fardello pesante in materia di spesa pensionistica. E la riforma pensioni non può non considerare questo.

E la UE è proprio questo che da sempre contesta all’Italia. L’elevato costo della spesa previdenziale (che a dire il vero erroneamente in Italia è cumulata con la spesa assistenziale). È proprio il costo delle misure previdenziali che verrà messo in discussione. E probabilmente questo costo sarà utilizzato come scudo da parte del governo per dire di no a qualsiasi ipotesi di alleggerimento dei requisiti di uscita.

Pensioni anticipate 61 anni e 7 mesi per nuove categorie

Pensioni agevolate per chi svolge lavori particolarmente pesanti. L’orientamento dei legislatori è questo. Che sia un duro lavoro probabilmente solo chi lo svolge lo sa. Parliamo di professioni quali gli infermieri, gli operatori socio sanitari e le badanti. Molti di questi lavoratori svolgono turni di notte, oltre che appesantire il tutto con mansioni che definire leggere è esercizio di puro eufemismo.

Per questo si continua a spingere per facilitare l’accesso alla pensione pure a loro.

Perché le professioni infermieristiche o equiparate andrebbero tutelate sulle pensioni

Iniziamo con il presentare le motivazioni secondo le quali, il lavoro di infermieri, ostetriche, assistenti invalidi e anziani, operatori socio sanitari e simili, vanno considerate usuranti.

In servizio spesso di notte, e molte volte senza collegamento a disposizioni provenienti dai CCNL di categoria. Può una badante lasciare l’anziano che assiste solo perché ha finito l’orario di servizio? Sicuramente no. E lo stesso vale per infermieri e attività correlate.

Già questo dovrebbe essere un fattore determinante in materia di gravosità o logorio di queste attività lavorative.

E poi ci sono le oggettive mansioni da svolgere. Spostare un invalido, oppure un anziano, allettato e incapace di svolgere le consuete mansioni, non è facile se a farlo è da sola la badante. Spesso già in avanti con gli anni, magari con un fisico più esile del soggetto bisognoso di cure, che già di per se, non essendo collaborativo diventa più pesante de suo oggettivo peso.

Eppure, la badante recentemente è stata estromessa, forse colpevolmente, dalla attività gravose che per esempio consentono una uscita agevolata a partire dai 63 anni con i cosiddetti lavori gravosi dell’Ape sociale. Cosa invece ammessa per infermieri delle sale operatorie ed ostetriche delle sale parto per esempio. Infatti si tratta di alcune categorie che rientrano di diritto tra le 15 che fin dall’inizio rientravano nei cosiddetti lavori gravosi dell’Ape sociale. Questo a prescindere dall’estensione ad altre categorie appena decisa dal governo nel pacchetto pensioni della legge di Bilancio.

Lavoro gravoso diverso dal lavoro usurante

Nel panorama normativo previdenziale esistono due definizioni che collegate a determinate attività lavorative svolte, da diritto ad un migliore e più favorevole trattamento previdenziale. SI tratta dei lavori gravosi e dei lavori usuranti. I primi, che permettono l’uscita con la quota 41 senza limiti di età o con l’Ape sociale a 63 anni con 35 anni di contributi versati. I secondi con il loro scivolo con 61 anni e 7 mesi di età, 35 anni di contributi versati e con contestuale completamento della quota 97,6. Gli infermieri rientrano nell’Ape sociale e nella Quota 41, così come le ostetriche. Ma solo a condizione che svolgano lavoro organizzato su turni e che siano in servizio presso le sale operatorie e le sale parto.

I lavori gravosi invece sono riferiti ad attività davvero particolari se si considera che parliamo per esempio di palombari, vetro refrattaristi e così via. Forse solo gli autisti di mezzi di trasporto pubblico e gli operai addetti alle linee a catena sono quelli più comuni che rientrano comunque nello scivolo per i lavori usuranti.

Ma le stesse condizioni di pensionamento anticipato, quindi pensione a partire dai 61,7 anni di età, con 35 anni di contributi versati e con quota 97,6 si applica ai cosiddetti lavoratori notturni. Parliamo di chi svolge la gran parte della sua attività lavorativa tra le 24:00 e le 05:00 del mattino seguente.

Cosa chiedono i sindacati per queste professioni

CI sono almeno due considerazioni che si possono fare sulle attività lavorative di infermieri, Oss e badanti che possono avvalorare richieste di trattamento agevolato in materia previdenziale. La prima considerazione inevitabilmente è l’attività pesante svolta. Se il principio cardine che usa il legislatore per considerare una professione come meritevole di un trattamento più leggero in materia pensionistica è la pesantezza dell’attività, allora inevitabile non considerale pesanti queste attività.

E poi la questione del lavoro notturno, che si sposa perfettamente per questo genere di attività. Per questo i rappresentanti di categoria, nello specifico quelli di infermieri e operatori socio sanitari richiedono l’inserimento di questi addetti tra i lavori usuranti.

Una richiesta avvalorata da documentazione attestante il surplus di usura che queste attività hanno evidenziato in questi mesi di emergenza sanitaria.

Presentati i dati dello stress e della carenza di personale presenti sin da prima della pandemia. Durante i lavori parlamentari della Commissione permanente su lavoro pubblico e privato e sulla previdenza sociale, i sindacati hanno chiesto questa estensione in audizione in Senato.

La pensione per una partita Iva: regole, requisiti e informazioni utili

Come si va in pensione per le partite Iva o per i lavoratori autonomi in genere è una domanda frequente. La stragrande maggioranza dei siti, dei media e di chi in genere si occupa di dare informazioni sulla previdenza, non risponde a questa domanda come se le partite Iva fossero una inezia.

Certo, la verità è che i lavoratori dipendenti sono molti di più degli autonomi, ma parliamo comunque di uno spaccato importante della società italiana. Per questo oggi cerchiamo di dare una risposta ai frequenti dubbi che riguardano le regole previdenziali per le partite Iva, cioè le regole di pensionamento del lavoratore autonomo.

La pensione di vecchiaia per i lavoratori autonomi

Come i lavoratori dipendenti, anche i titolari di partita IVA e quindi i lavoratori autonomi hanno diritto a vedersi erogata la pensione di vecchiaia, al raggiungimento di una determinata età e di una altrettanto determinata soglia di contribuzione versata. Nello specifico:

  • Almeno 67 anni di età;
  • Almeno 20 anni di contributi a qualsiasi titolo versati.

Per chi ha avviato una attività dopo il 1995, e non ha contributi previdenziali antecedenti il primo gennaio 1996 (anche da dipendente, figurativi e così via), può accedere alla pensione anticipata contributiva, che prevede:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 20 anni di contributi versati;
  • Primo contributo successivo al 31 dicembre 1995;
  • Pensione liquidata per un ammontare pari o superiore ad 1,5 volte l’assegno sociale.

In assenza dei requisiti prima citati, la pensione di vecchiaia si centra, per chi ha inziiato a versare dopo il 1995, con:

  • Almeno 71 anni di età;
  • Almeno 5 anni di contributi versati.

La pensione anticipata ordinaria per le partite Iva

Anche la pensione anticipata è una misura che riguarda i titolari di partita Iva e i lavoratori autonomi in genere. La pensione anticipata che dal 2012 ha sostituito (con la riforma Fornero) le pensioni di anzianità, non prevede limiti di età e si centra con:

  • Almeno 42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini (pari a 2.227 settimane ) e 41 anni e 10 mesi di contributi versati (pari a 2.175 settimane) per le donne;
  • Almeno 35 anni di contributi effettivi, al netto di figurativi per malattia e disoccupazione.
  • Possibile accedere alla pensione nel 2022 con quota 102, in possesso dei seguenti requisiti:
  • Almeno 62 anni di età;
  • Almeno 38 anni di contributi versati.

Per chi ha completato nel 2021 sia i 62 anni di età che i 38 anni di contributi versati, resta ancora lo scivolo di quota 100, per via della cristallizzazione del diritto. Anche per le autonome, cioè per le donne lavoratrici c’è la possibilità di accedere al Regime contributivo donna, meglio conosciuto come opzione donna. Rispetto alle lavoratrici dipendenti, le autonome escono con un anno di ritardo come età anagrafica e con una finestra di attesa di 18 mesi e non di 12. L’opzione donna per le autonome si centra con:

  • Almeno 59 anni di età compiuti entro il 31 dicembre 2021;
  • Almeno 35 anni di contributi versati sempre entro il 31 dicembre 2021.

La pensione con opzione donna anche per le autonome è calcolata interamente con il penalizzante sistema contributivo.

Le altre misure per i lavoratori autonomi

Ad esclusione dei liberi professionisti iscritti ad ordini e collegi, anche ai lavoratori autonomi si applica l’agevolazione dell’Ape sociale. Dal punto di vista dei requisiti l’Ape sociale prevede:

  • Minimo 63 anni di età;
  • Almeno 30 anni di contributi versati per disoccupati, caregivers e invalidi;
  • Almeno 32 o 36 anni di versamenti per i lavori gravosi in base alla categoria i cui si rientra.

Per i disoccupati quindi, bastano 63 anni di età e 30 anni di contribuzione purché la disoccupazione fuoriesca a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di conciliazione obbligatoria. Dentro pure i disoccupati a seguito di scadenza di un contratto a termine a condizione che nei tre anni precedenti la cessazione del rapporto, abbiano avuto periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi. Per il 2022 è venuto meno il vincolo dei tre mesi di margine dall’ultima Naspi percepita.

Ape sociale anche per gli autonomi se caregivers. Si tratta di coloro che, sempre centrando prima il doppio requisito anagrafico-contributivo, al momento della richiesta di Ape sociale risultino soggetti che prestano assistenza da almeno sei mesi ad un disabile tra:

  • Coniuge;
  • Unito civilmente;
  • Parente di primo grado convivente;
  • Parente o un affine di secondo grado convivente (a determinate condizioni).

Inoltre Ape sociale pure per gli invalidi con 63 anni di età almeno e con non meno di 30 anni di contributi versati a condizione che siano riconosciuti disabili con almeno il 74% di invalidità.

Infine, non collegata al lavoro autonomo, resta la possibilità di accedere all’Ape sociale come lavoro gravoso, con le nuove attività introdotte quest’anno che hanno aumentato considerevolmente la platea dei beneficiari.  Stessi beneficiari e quindi, caregivers, invalidi disoccupati e lavori gravosi (ma solo per le 15 attività previste fino al 2021) per la pensione con quota 41. Servono i seguenti requisiti:

  • Almeno 41 anni di contributi versati;
  • Almeno 35 anni di contributi al netto dei figurativi da disoccupazione e malattia;
  • Non meno di un anno di contributi completati anche discontinuamente prima dei 19 anni di età.

Contributi per commercianti e artigiani

Se nel lavoro dipendente il versamento dei contributi è a carico del datore di lavoro, per l’autonomo il versamento è a suo carico.

In genere si versano due tipologie di contributi per il commerciante o per l’artigiano, che sono:

  • Il minimale;
  • I contributi eccedenti il minimale.

I primi sono quelli fissi, obbligatori per legge. Li stabilisce l’Inps ogni anno con tanto di circolare esplicativa. In genere si versano ogni trimestre. Quelli eccedenti il minimale invece si calcolano in percentuale sul reddito del lavoratore autonomo e sulla parte che ha superato il minimale.

Ad esclusione di commercianti e artigiani per gli altri lavoratori autonomi si deve calcolare l’aliquota del 25,72% da versare annualmente sul reddito prodotto. Va ricordato che di questa aliquota lo 0,72% riguarda le coperture assistenziali per eventuali periodi di malattia, maternità e assegni.

Calcolo della pensione per commercianti e artigiani

Le regole di calcolo della pensione per commercianti ed artigiani sono assai semplici. Si parte dal 2% di reddito pensionabile per ogni anno di contribuzione e si somma ciò che esce ogni anno con tanto di rivalutazione e coefficienti di trasformazione. In pratica, in maniera semplicistica, si percepisce di pensione l’80% del reddito medio pensionabile prodotto con 40 anni di contributi versati, cos’ come si percepisce il 40% con 20 anni e così via.

In genere sia commercianti che artigiani versano ogni anno qualcosa come 3.550 euro circa in 4 rate trimestrali. Va ricordato che per gli autonomi il calcolo della pensione è basato sull’anzianità contributiva massima di 40 anni.

I contributi pensionistici dei titolari di partita IVA valgono un anno ai fini previdenziali solo se è stata versata una contribuzione annua non inferiore a quella calcolata sul minimale di reddito. Una sottolineatura questa che riguarda per esempio gli autonomi che aderiscono al regime forfettario, e quindi versano contributi pari al 65% di quelli normalmente dovuti.

Trattamento di fine rapporto (Tfr), quando si può chiedere l’anticipo?

Quando si può richiedere l’anticipo del Trattamento di fine rapporto (Tfr)? Le casistiche per chiedere in anticipo quanto sarà dovuto al termine dell’attività lavorativa devono rispettare le condizioni previste dal Codice civile. Il lavoratore deve sempre motivare la richiesta di anticipo del Tfr. È quanto stabilisce l’articolo 2120 del Codice civile al comma 6, secondo il quale il lavoratore dipendente può chiedere l’anticipo del Tfr per una quota non superiore al 70% rispetto a quanto maturato alla data della richiesta.

Quando si può chiedere l’anticipo del Trattamento di fine rapporto? I limiti sui dipendenti aziendali

La richiesta di anticipo del Trattamento di fine rapporto, tuttavia, deve soddisfare determinate condizioni. Innanzitutto, il lavoratore deve avere un’anzianità di servizio presso lo stesso datore di non meno di otto anni. Inoltre, le richieste di anticipo del Tfr, effettuate da tutti i dipendenti, non devono superare il limite annuo del 10% degli avanti diritto. Ovvero le richieste non devono essere superiori al 4% del numero totale dei dipendenti in organico all’inizio di ogni anno.

Richiesta di anticipo del Tfr: la necessità di coprire le spese mediche o della prima casa

Ulteriori condizioni per la richiesta di anticipo del Trattamento di fine rapporto riguardano le spese da effettuare da parte dell’avente diritto. Si tratta spese:

  • sanitarie, necessarie per svolgere terapie e interventi straordinari che siano riconosciuti dalle strutture pubbliche competenti (Asl, comma 8 dell’articolo 2120 del Codice civile);
  • per l’acquisto della prima casa, sia a favore del lavoratore stesso che nei casi in cui l’operazione sia effettuata dal coniuge o dai figli del lavoratore. L’acquisto può valere per la richiesta di anticipo anche nei casi in cui l’operazione viene effettuata dal coniuge del lavoratore richiedente in regime di comunione o dell’unione civile.

Richiesta di anticipo del Trattamento di fine rapporto nei casi di congedo per maternità o per la formazione

Ulteriore condizione da rispettare per la richiesta di anticipo del Tfr riguarda i congedi parentali. Il primo congedo è legato alla maternità: per questi casi, l’anticipo del trattamento di fine rapporto del 70% massimo, deve essere commisurato alla retribuzione perduta nel periodo di congedo e agli ipotetici oneri contributivi. Inoltre, si può richiedere l’anticipo per finanziare il congedo per la formazione, ovvero il completamento delle scuole dell’obbligo o l’ottenimento del diploma di maturità o della laurea. Il congedo può essere richiesto anche per il diploma di laurea universitario o per partecipare a corsi di formazione professionale inerenti attività differenti a quelle favorite o finanziate dal datore di lavoro.

Congedo per la formazione motivo di richiesta di anticipo Tfr: quando è possibile?

Per il congedi legati alla formazione, la legge numero 53 del 2000 stabilisce, all’articolo 5, che la richiesta può provenire sia dai dipendenti pubblici che da quelli privati purché il richiedente abbia non meno di 5 anni di servizio presso lo stesso ente pubblico o la medesima azienda. Inoltre, la richiesta di anticipo del Trattamento di fine rapporto per congedi necessari alla formazione può avvenire per un periodo di tempo massimo di undici mesi. Il periodo può essere sia frazionato che continuativo durante tutta la vita lavorativa.

Altre limitazioni per la richiesta di anticipo del trattamento di fine rapporto: i contratti collettivi

Oltre alle richiamate limitazioni riguardo alla richiesta di anticipo del Trattamento di fine rapporto, i contratti collettivi nazionali possono prevedere ulteriori restrizioni. In tal caso è necessario verificare sul proprio contratto di lavoro se vi siano delle limitazioni alla richiesta di anticipo del Tfr. Ricorrendone le condizioni, il richiedente può chiedere l’anticipo del Trattamento di fine rapporto un’unica volta durante tutto il rapporto di lavoro con la stessa azienda. Quanto preso di anticipo, deve essere detratto dall’ammontare del Trattamento di fine rapporto accumulato a favore del lavoratore dipendente.

Pensione 2022: 5 o 7 anni prima, anche senza limiti di età, tre vie possibili

Andare in pensione subito, nel 2022, con ben 5 anni di anticipo rispetto a pensioni di vecchiaia e pensioni anticipate è un autentico sogno per milioni di lavoratori. Ma per molti di essi potrebbe tramutarsi in realtà. Anzi, per alcuni potrebbe scattare anche una ipotesi ancora maggiormente favorevole. Infatti la pensione potrebbe arrivare addirittura con 7 anni di anticipo.

Parliamo degli scivoli, cioè di quegli strumenti che permettono ai lavoratori in accordo con l’azienda, di anticipare la pensione con assegno in gran parte a carico delle aziende stesse. Anche in materia previdenziale quindi, diventa importantissimo il ruolo del datore di lavoro. E si tratta di misure che mai come adesso sembrano riscuotere interessa per via della fase in cui è arrivato il sistema previdenziale, ormai alle porte di una riforma che rischia di essere ancora peggiore dell’attuale legge Fornero.

Come lasciare il lavoro e andare in pensione prima con l’aiuto del datore di lavoro

Le opzioni di pensionamento anticipato non mancano nemmeno nel 2022, nemmeno dopo la chiusura di quota 100. E non si parla solo di quelle misure che la legge di Bilancio ha introdotto come la quota 102. E nemmeno di misure che la stessa manovra finanziaria ha prorogato ed in alcuni casi potenziato come l’Ape sociale o opzione donna. Parliamo degli scivoli aziendali, opzioni che tirano dentro sempre di più il datore di lavoro.

Esistono tre scivoli che permettono di andare in pensione prima per il tramite di una intesa  fra azienda e sindacati. Mandare in pensione 5 anni prima il personale, sempre che ci sia adesione da parte dei lavoratori interessati è quello che consentono questi scivoli. Nello specifico la misura si chiama contratto di espansione.

Il contratto di espansione, guida allo strumento di pensione anticipata

Con il contratto di espansione  l’interessato può ottenere una indennità di importo pari alla pensione che ha maturato al momento dell’uscita. SI tratta di una indennità mensile pagata dall’azienda fino al raggiungimento della vera e propria pensione, quindi per 5 anni se il lavoratore esce a 62 anni di età e deve attendere i 67 anni della pensione di vecchiaia.

Ma può uscire anche prima dei 62 anni, o meglio, senza limiti di età se si trova a 5 anni dal completamento dei 42 anni e 10 mesi di contributi utili alla pensione anticipata (per le donne 41 anni e 10 mesi). In questo caso l’azienda o il datore di lavoro in genere, oltre a versare l’indennità, versa pure la quota mancante di contributi da versare per raggiungere quelle soglie prima citate relative alle pensioni anticipate.

Per l’azienda in materia di contratti di espansione vige l’obbligo di assumere un nuovo addetto ogni tre rientranti nello scivolo. Inoltre ad addolcire l’esborso la possibilità di sfruttare i due anni di Naspi teoricamente spettanti ai lavoratori interessati dallo scivolo.

Isopensione, in pensione anche sette anni prima

L’isopensione, che viene definito pure contratto di esodo consente ai lavoratori di anticipare la pensione anche di 7 anni. Anche in questo caso i 7 anni sono quelli che mancano ai lavoratori o per la pensione di vecchiaia (almeno 67 anni di età e 20 di contributi) o per quella anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini o 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne).

In ogni caso l’azienda deve versare oltre all’assegno di accompagnamento alla pensione, pure i contributi previdenziali dovuti per tutta la durata dello scivolo. Utilizzabile da imprese con più di quindici addetti.

Assegno straordinario per il tramite dei fondi bilaterali

Un’altra misura che rientra di diritto in quelli che comunemente sono definiti scivoli aziendali è l’asegno straordinario. Anche in questo caso si tratta di uno scivolo di accompagnamento alla pensione,  sia per le quiescenze di vecchiaia che per le quiescenze anticipate.

L’assegno straordinario ha una durata massima di 5 anni ed è pagato tramite l’utilizzo dei cosiddetti fondi di solidarietà bilaterale. Non è una possibilità generica ma vale solo per i settori lavorativi dove sono attivi questi fondi bilaterali. Anche per l’assegno straordinario l’azienda oltre a versare l’indennità mensile di accompagnamento alla pensione versano pure i relativi contributi previdenziali fino alla data di effettivo pensionamento.

Pensione di invalidità: ecco per chi l’INPS corregge gli ISEE

La pensione di invalidità è stata oggetto di valutazione, in questi giorni, a causa di alcuni errori di calcolo, ecco come risponde l’Inps.

Pensione di invalidità, l’amara sorprese per i disabili

Quest’anno tutti coloro che hanno già fatto l’Isee 2022 si è trovato una strana e poco gradita sorpresa. Infatti la quota della pensione che supera 280 euro è stata calcolata come reddito. Di conseguenza, il valore del reddito dell’ indicatore della situazione economica è aumentato. Subito sono insorti i contribuenti, anche perché più è alto l’ISEE meno sono le agevolazioni richiedibili. Ma andiamo con ordine.

La legge 26 maggio 2016 n. 89, ha introdotto un articolo che stabilisce  come dal reddito disponibile non devono essere inclusi i trattamenti erogati dalle amministrazioni pubbliche in ragione di una condizione di disabilità. Viene da se che il valore della pensione di invalidità non può essere considerato come fattore per il calcolo dell’Isee.

L’interpello della Fish per regolare la situazione

Il Presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap, Vincenzo Falabella, ha inviato un interpello urgente al ministero del lavoro e delle politiche sociali per segnalare l’anomalia nei nuovi isee 2022 e sulle pensioni. Lo stesso interpello è stato inviato anche all’Agenzia delle entrate o all’INPS, che in fin dei conti è l’ente erogatore del contributo.

L’INPS si è resa conto dell’errore e sta cercando di rimediare. Infatti sta inviando a tutti i contribuenti che percepiscono la pensione di invalidità, un messaggio che contiene una importante comunicazione. Tutti gli isee fatti dal primo gennaio al 20 gennaio, saranno ricalcolati d’ufficio, a seguito degli errori riscontrati nel modo di calcolo.

Pensione di invalidità, giù le mani dalle agevolazioni

L’INPS aveva conteggiato le maggiorazioni sociali ai fini dell’ISEE. Le maggiorazioni sociali spettano ai titolari di pensioni sociali dirette o ai superstiti. Per ricevere queste maggiorazoni occorre avere una pensione inferiore a 528,83 euro e non avere altri redditi. Inoltre il reddito anno non può superare 6.079 euro per le persone sole e 12.158 euro per le persone coniugate.

Quindi possiamo precisa che la pensione di invalidità civile non genera reddito e non è necessario inserirla nella dichiarazione dei redditi e nemmeno nel calcolo dell’ISEE. Inoltre la pensione di invalidità va da considerarsi come il reddito di cittadinanza, tutte misure rivolte a favorire le famiglie e non certo a sfavorirle. Attendiamo quindi le correzioni da parte dell’INPS che sembra si sia subito mossa.

 

 

 

Pensione anticipata dal 2023: resta la riforma Fornero e poi? le ultime

La pensione anticipata è la misura che insieme alla pensione di vecchiaia rappresenta uno dei due pilastri del sistema. Una misura che salvo cose estreme e cambiamenti radicali da parte del governo, resterà attiva anche nel 2023.
Sarebbe diverso se il governo accettasse, cosa oggi assai improbabile, alcune proposte dei sindacati, soprattutto quella che mira ad estendere a tutti il beneficio di quota 41.

Pensione anticipata nel 2023, ancora la riforma Fornero a farla da padrona

La pensione anticipata è quella misura che la riforma delle pensioni di Elsa Fornero ha introdotto in sostituzione delle pensioni di anzianità. Con il decreto “Salva Italia” del governo presieduto dal Premier Mario Monti, nel 2011 si decise di dare un taglio più aspro alle pensioni, inasprendo i requisiti di accesso. E così con la riforma “lacrime e sangue” della professoressa Elsa Fornero si arrivò a questa pensione anticipata.
Di inasprimento in inasprimento, la pensione anticipata si centra al raggiungimento di un unico requisito, quello contributivo. Nella misura inoltre è stato introdotto un trattamento differente in base al genere del richiedente. Le donne infatti hanno un trattamento agevolato, anche se di poco.

Pensione anticipata,i requisiti in sintesi

Ma quali sono i requisiti per la pensione anticipata nel 2022 e nei prossimi anni? Nel dettaglio la pensione anticipata nel 2022 si centra con:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne;
  • 35 anni di contributi effettivi, al netto dei figurativi da disoccupazione o malattia.

Sulla misura grava una finestra di 3 mesi. In sostanza, la pensione è erogata a partire dal quarto mese successivo a quello in cui si maturano i requisiti. Non si centra la pensione, come avviene per le quiescenze di vecchiaia, a partire dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti.

Come si è arrivasti a 42 anni e 10 mesi di contributi versati

Va detto che si è arrivati a quelle soglie, per via degli incrementi dell’aspettativa di vita, fattore che con la riforma Fornero è rimasto in piedi per adeguare i requisiti di accesso alle pensioni, alla stima di vita degli italiani come calcolato dall’Istat.
A salvaguardare la pensione anticipata però, un recente indirizzo dato dal governo nei primi mesi di questa legislatura. È stato, di fatto, congelato il collegamento delle pensioni anticipate alla stima di vita. In pratica, anche nel 2023 (ma sarà così fino al 2026,sempre al netto di interventi del legislatore) nessun adeguamento è oggi previsto e la pensione anticipata verrà congelata ai requisiti odierni, cioè 42,10 o 41,10 rispettivamente per uomini o donne e senza alcun limite anagrafico.

E se alla fine si arrivasse a quota 41 per tutti? Dal 2023 cambierebbe tutto, anche le pensioni anticipate

Tra le proposte dei sindacati figura sempre la pensione anticipata con quota 41 per tutti. La misura oggi esiste già, ma limitata come platee. Si chiama quota 41 precoci, ed è una misura che rispetto alle pensioni anticipata ha più di qualcosa in comune. L’attuale quota 41 per precoci è distaccata da limiti anagrafici proprio come la pensione anticipata ordinaria. Inoltre, dei 41 anni di contributi richiesti, almeno 35 devono essere al netto dei contributi figurativi da disoccupazione o malattia, alla stregua delle pensioni anticipate canoniche.
Ciò che varia è la platea di riferimento. La misura è indirizzata ai precoci, coloro che hanno completato almeno un anno di contributi versati, non necessariamente continui, prima dei 19 anni di età. Inoltre la prestazione conosciuta come quota 41 precoci si applica solo a 15 attività di lavoro gravoso che comprendono tra le altre, ostetriche e infermieri delle sale operatorie e delle sale parto, edili, camionisti e maestre o educatori di asili nido e scuole dell’infanzia.
Altre categorie a cui si applica l’attuale quota 41 sono i disoccupati, alcuni invalidi e chi assiste un parente stretto disabile grave (cd caregivers).

Quota 41 per tutti, misura che cancellerebbe la pensione anticipata

Tra le ipotesi allo studio del Governo per evitare l’applicazione della Legge Fornero dal 2023 anche Quota 41

Con la quota 41 per tutti invece, il vantaggio di un anno e 10 mesi per gli uomini, e di 10 mesi per le donne,  è evidente. Un discreto vantaggio rispetto alle quiescenze anticipate ordinarie che si estenderebbe alla generalità dei lavoratori, rendendo la pensione anticipata inutile. Chi resterebbe al lavoro fino a 42 anni e 10 mesi se si da la facoltà di uscire con 41 anni di versamenti e soprattutto, con le stesse regole di calcolo? A meno che non si colleghi la quota 41 per tutti al ricalcolo contributivo della prestazione. Soluzione questa che andrebbe a differenziare questa misura, dalla pensione anticipata rendendola penalizzante come importo.
Una via questa che potrebbe però essere determinante nella scelta del governo di arrivare per davvero alla quota 41 per tutti. Ogni cavillo, vincolo o requisito aggiuntivo volto a rendere meno appetibile una misura, permetterebbe al governo di avere più facilità nell’approvare una misura per via del contenimento della spesa previdenziale. Un principio questo che è stato alla base sempre, di qualsiasi misura previdenziale varata negli ultimi anni. In pratica, varare una misura e renderla il meno appetibile possibile.

Anche la pensione flessibile a 62 anni potrebbe rivoluzionare il sistema

Parliamoci chiaro, oggi e nel 2023 se non si vuole aspettare la pensione di vecchiaia a 67 anni l’alternativa fissa resta solo una. Ed è quella della pensione di vecchiaia ordinaria. Le altre misure, chi come vincoli di platea (anticipata contributiva, anticipata per invalidi, Ape sociale e così via) e chi come scadenza (la quota 102 nel 2023 sparirà), non rappresentano solide soluzioni. Non si tratta di vie atte ad evitare di dover arrivare ai 67 anni per mettersi a risposo.
Ma potrebbe essere introdotta un’altra misura che può essere definita insieme alla quota 41 per tutti, il cavallo di battaglia dei sindacati. Parliamo naturalmente della pensione flessibile dai 62 anni di età. Una misura che offrirebbe una opzione a tutti i lavoratori, cioè quella di decidere liberamente ed in base alle proprie esigenze, di centrare la quiescenza una volta raggiunta l’età minima di 62 anni e la carriera contributiva minima di 20 anni.

Soluzione questa che andrebbe anche nella direzione di diventare alternativa alla pensione anticipata. Statistiche alla mano, è proprio a 62 anni l’età più frequente con cui escono i lavoratori con la quiescenza anticipata con 42,10 o 41,10 anni di contributi versati. Evidente quindi che permettere a tutti di accedere alla pensione a 62 anni, anche a coloro a cui mancano pochi anni dal raggiungimento dei 42,10 o 41,10 anni di contributi per le anticipate, sarebbe una autentica manna dal cielo.

Pensione di reversibilità: l’INPS la riconosce al separato con addebito

Novità per i coniugi separati: la pensione di reversibilità o superstiti spetta indipendentemente dal titolo della separazione (con addebito o senza addebito) e dalla corresponsione dell’assegno alimentare.

L’INPS cambia orientamento: la pensione superstiti spetta al coniuge separato con addebito

L’INPS con la Circolare 19 del 1° febbraio 2022 ha chiarito alcune disposizioni. L’INPS riprende la circolare 185 del 2015 in cui aveva specificato che la pensione di reversibilità era di spettanza del coniuge separato nel caso in cui, nonostante l’addebito della separazione, aveva ottenuto il riconoscimento del diritto all’assegno alimentare. Questa disposizione però di fatto era stata superata dalla giurisprudenza. La Corte Costituzionale con la sentenza 286 del 1987 ha infatti stabilito che la pensione di reversibilità spetta al coniuge separato indipendentemente dal titolo della separazione.

Di conseguenza trova applicazione l’articolo 22 della legge n. 903 del 1965 che non richiede l’assenza dell’addebito per riconoscere il diritto alla pensione superstiti.

Pensione di reversibilità al coniuge separato con addebito: le posizioni pendenti e già definite

L’INPS nella circolare chiarisce anche cosa succede con i rapporti pendenti. Per le domande presentate successivamente alla circolare devono essere applicate le nuove disposizioni. Per i rapporti pendenti, quindi per le richieste inoltrate e non ancora definite, si applicano ugualmente i nuovi criteri.

Nella circolare l’INPS sottolinea anche che è necessario riesaminare le domande respinte alla luce dei nuovi orientamenti. Vi sono però condizioni e limiti per fare ciò. In primo luogo è necessaria una nuova istanza da parte del coniuge separato la cui domanda per la pensione superstiti sia stata oggetto di rigetto. Inoltre, affinché si possa presentare la domanda e questa possa ottenere l’accoglimento, è necessario che non sia presente una sentenza passata in giudicato.

In caso di giudizi in corso, in primo grado o in appello, le strutture territoriali dell’INPS dovranno accogliere le istanze nei limiti della prescrizione quinquennale. Per i ricorsi amministrativi, dove possibile, le sedi territoriali INPS dovranno agire in autotutela.

Cosa succede se altri soggetti godono della pensione di reversibilità?

Può capitare che in assenza di coniuge altri soggetti abbiano ottenuto il riconoscimento della pensione di reversibilità, ad esempio i figli. Cosa succede in questi casi? L’INPS nella circolare 19 del 2022 chiarisce che in questo caso si rende necessaria la ricostituzione o la revoca della pensione già liquidata con effetto dalla decorrenza originaria, cioè dalla morte del soggetto titolare del diritto alla pensione.

Emerge da questa disamina che l’obiettivo dell’INPS è evitare/ ridurre il contenzioso in tale materia. Si adegua così all’interpretazione giurisprudenziale prevalente. Inoltre vita che possano esservi trattamenti diversi in situazioni analoghe, dovute alla mancata presentazione di ricorsi oppure da interpretazioni diverse operate dai vari giudici.

Naturalmente la questione si tratta in modo diverso in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero se i coniugi hanno perfezionato il divorzio. Occorre anche ricordare che non sempre ritornare a convivere interrompe la separazione.

Inoltre anche il TFR deve essere diviso con il coniuuge sebbene divorziato o separato. Per sapere come viene calcolato, leggi l’articolo: TFR e divorzio: quando l’ex coniuge ha diritto a una quota

Pensione anticipata da 58 a 61 anni, quando è possibile

Pensione anticipata tra i 58 e i 61 anni di età? Si, è possibile, anche se non certo facile. Infatti esistono misure particolari che permettono uscite incentivate dal punto di vista dell’età, ma con requisiti particolarissimi. Non per questo però sono misure impossibili da centrare. Ecco come si può fare e cosa occorre sapere al riguardo.

Uscire a 58 anni dal lavoro? Tre vie possibili

Per uscire dal lavoro a 58 anni esistono fondamentale tre vie. Una riguarda la generalità dei lavoratori, due solo uno spaccato della società. Hai iniziato a lavorare davvero in tenera età? Allora puoi uscire con la pensione anticipata ordinaria o con la quota 41. In entrambi i casi non esistono limiti di età. Per la pensione anticipata ordinaria, disco verde al raggiungimento di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne.

Chi ha iniziato a lavorare poco dopo i 15 anni con carriera continua, può accedere a questa pensione se da limiti anagrafici. Ancora meglio quota 41, che da diritto alla pensione anticipata al raggiungimento di 41 anni di contribuzione versata. Occorre aver versati un anno, anche discontinuo, prima dei 19 anni di età ed essere alternativamente, invalidi al 74% almeno, caregivers che da sei mesi assistono un parente stretto disabile, disoccupati o lavoratori alle prese con i lavori gravosi. Solo le 15 categorie già previste al netto degli aggiornamenti validi solo per l’Ape sociale.

Sia per la pensione anticipata ordinaria che per quella con quota 41, finestra di 3 mesi. La decorrenza della prestazione pensionistica raggiunta non viene erogata dal primo giorno del mese successivo a quello in cui si completano i requisiti, ma viene posticipata di 3 mesi.

Opzione donna

Ancora più ridotta la platea a cui è destinata opzione donna, terza via che consente uscire dai 58 anni di età. Parliamo di una misura destinata esclusivamente alle donne. Possono uscire a 58 anni le lavoratrici che al 31 dicembre del 2021, hanno già completato i 58 anni di età. Parliamo però di lavoratrici dipendenti, tanto del settore privato che di quello pubblico. Per le lavoratrici autonome invece, l’età da aver già raggiunto al 31 dicembre scorso è pari a 598 anni.

In ogni caso con Opzione donna la quiescenza si centra se alla stessa data in cui andava raggiunta l’età anagrafica prevista, si completavano pure i 35 anni di contributi versati.

Va ricordato che parliamo di una misura diversa da quelle del paragrafo precedente anche come importo. Infatti opzione donna è una misura facoltativa e flessibile, ma non per il calcolo della prestazione. Infatti occorre accettare  che l’assegno previdenziale versato sia liquidato con il metodo contributivo. Significa per le donne che riusciranno a completare il doppio requisito, arrivare a perdere anche il 30% (se non di più), di pensione per via di questo ricalcolo.

Penalizzate in maniera evidente le lavoratrici che hanno accumulato una carriera lunga nel sistema retributivo, cioè prima del primo gennaio 1996. La misura prevede anche il sistema a finestra, nel senso che la decorrenza della prestazione non coincide con il primo giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti. Infatti per le dipendenti il primo rateo di pensione slitta di 12 mesi, mentre per le lavoratrici autonome slitta di 18 mesi.

Le pensioni a 59, 60 e 61 anni

Misure che prevedono uscite a 58 anni quindi, esistono e sono sostanzialmente quelle 3 prima citate. Va detto che con la pensione anticipata ordinaria o con la quota 41 di cui accennavamo nel primo paragrafo, possono uscire naturalmente e con più facilità, anche i soggetti con 59, 60 o 61 anni.

Dal momento che non centra l’età, evidentemente i requisiti contributivi bastano per accedere alla quiescenza ad una età inferiore rispetto alla quota 100 coi suoi 62 anni, alla quota 102 coi suoi 64 anni e all’Ape sociale con i suoi 63 anni.

Bisogna ricordare pure che con invalidità pensionabile certificata dall’Inps, a 61 anni possono uscire pure gli uomini che contestualmente centrano 20 anni di contributi versati. Per le donne questo vantaggio è ancora antecedente, visto che si può uscire lo stesso con 20 anni di contributi, ma a 56 anni. Per questa misura, che si chiama pensione di vecchiaia anticipata con invalidità pensionabile, finestra mobile di 12 mesi.