Pensione contributiva nel 2022: per i nati anche nel 1958 bastano 20 anni di contributi

Quando lasciare il lavoro può essere vantaggioso nonostante si dice che il sistema contributivo è penalizzante.  Potrebbe essere questo ciò che si deve dire in relazione ad una misura che è ancora oggi vigente in quanto strutturale, che consente a chi è nato anche nel 1958, di accedere ad una pensione anticipata di tre anni rispetto alle soglie della pensione di vecchiaia.

Uscita a partire dai 64 anni quindi, esattamente come la quota 102 di oggi, ma con una dotazione nettamente inferiore rispetto alla pensione per quotisti introdotta dal governo Draghi con la legge di Bilancio. La misura è la pensione anticipata contributiva, spesso poco considerata ma assai utilizzabile, soprattutto per chi per poco non centra i 38 anni di contributi per la quota 102° per la stessa ragione non ha completato i 38 anni di contributi per la quota 100.

Pensioni nati nel 1958, come uscire nel 2022

Notevoli le possibilità di accedere alla pensione nel 2022 per chi è nato nel 1958 e quindi si accinge, se non lo ha già fatto, a compiere i 64 anni di età. Per loro esistono due misure possibilmente utilizzabili per anticipare l’uscita e non attendere il 2025 per andare in pensione (a 67 anni con la quiescenza ordinaria di vecchiaia ndr).

Certo, non parliamo di chi completa i 42 anni e 10 mesi se uomo, o i 41 anni e 10 mesi se donna, che danno diritto alla pensione anticipata ordinaria, senza limiti anagrafici. E non parliamo nemmeno di chi ha completato i 41 anni di contributi e si trova ad essere una delle categorie a cui si applica la quota 41 per i precoci. Va ricordato al riguardo che precoce è chi ha un anno di contributi prima dei 19 anni di età. Per la quota 41 tra l’altro è necessario rientrare in determinate categorie che sono le stesse a cui si applica l’Ape sociale con 63 anni di età.

Quota 102 e pensione anticipata contributiva più larghe di quota 41 e Ape sociale

Caregivers, invalidi, disoccupati e lavori gravosi (per la quota 41 sono solo 15 le attività gravose previste). Sono queste le categorie che limitano molto sia l’Ape sociale che la quota 41 come platea. Quota 102 e pensione anticipata contributiva invece, non hanno limiti di platee, basandosi solo sui requisiti specifici da centrare.

Parliamo di chi ha iniziato la carriera dopo il 1996, e viene considerato un contributivo puro, o di chi riesce ad entrate nella quota 102. Due vie dicevamo, consentono di accedere alla quiescenza già nel 2022, per chi è nato nel 1958 e si trova così ad aver compiuto 64 anni di età. Due strade nettamente diverse. Una è la quota 102, l’altra la pensione anticipata contributiva.

La pensione con quota 102, come funziona nel 2022?

La quota 102 è la nuova misura inserita nel pacchetto pensioni dell’ultima manovra di Bilancio. Una misura nata in sostituzione della quota 100 da cui si differenzia sostanzialmente, solo per l’età minima di uscita. Con quota 100 si usciva dal lavoro una volta raggiunti i 62 anni di età e di 38 anni di contributi versati. Con la quota 102 invece, si esce con 64 anni di età e con 38 anni di contributi.

Uscire con la quota 102 significa sottostare fino a 67 anni al vincolo di incumulabilità tra pensione e attività di lavoro ad esclusione di quella da lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro annui.

Da quota 100 a quota 102, cambia solo l’età

La quota 100 è terminata lo scorso 31 dicembre 2021 e nel 2022 potranno accedervi solo coloro i quali hanno già maturato il diritto. Si tratta di chi ha ompletato la combinazione 62+38 entro il 31 dicembre 2021. Rendere utili al calcolo della contribuzione precedenti il 2022, e non considerati lo scorso anno, concede comunque la possibilità, dal momento che gli anni pregressi coperti da operazioni effettuate nel 2022, valgono come se fossero state effettuate l’anno a cui la copertura dei contributi si riferisce. In pratica, vale la cristallizzazione del diritto come ultima possibilità di accedere alla quota 100 nonostante sia stata cessata a dicembre scorso.

La quota 102 invece scadrà il 31 dicembre prossimo, e nel 2023 varranno le stesse regole di cristallizzazione del diritto. La quota 102 quindi sarà valida solo per 12 mesi, salvo nuove proroghe oggi assai difficili da ipotizzare.

La pensione anticipata contributiva con 20 anni di contributi, difficile ma non impossibile

Un’altra possibilità per i nati nel 1958 è la pensione anticipata contributiva. Si chiama così perché è appannaggio esclusivamente dei lavoratori privi di carriera al 31 dicembre 1995. Lavoratori che vengono definiti quindi, contributivi puri. In pratica, disco verde per chi è stato privo di occupazione fino ai 37 anni di età per poi iniziare una carriera che lo ha portato a completare almeno 20 anni di contributi.

Per l’accesso a questa misura, occorrono determinate condizioni. Servono almeno 64 anni di età anagrafica, 20 anni di età contributiva. E poi, assenza di contribuzione al 31 dicembre 1995 e una pensione liquidata pari quanto meno a 1.300 euro al mese, cioè 2,8 volte l’assegno sociale.

Servono carriere e lavori importanti per completare l’uscita con 20 anni di contributi

INPS: nessun adeguamento dell’aspettativa di vita

Evidente che la combinazione 64+20, visto l’ammontare della pensione utile a poter percepire la prestazione, potrebbe essere nella maggior parte dei casi, insufficiente. Pensare a un lavoratore che alla luce di “solo” 20 anni di contribuzione, raggiunga una pensione tanto elevata, appare quanto meno azzardato. Servono lavori altamente remunerati che hanno prodotto una notevole contribuzione dal punto di vista degli importi.

Più facile che la possibilità venga sfruttata quindi da chi ha determinate carriere. Cioè chi iniziato a lavorare nel 1996 e si trova ad aver avuto una completa continuità di assunzione fino al 2022. Con 26 anni di contributi versati, in una attività lavorativa remunerata in maniera sufficientemente degna, la via è possibile. Infatti in questi casi arrivare a 1.300 euro di pensione lorda non è certo una cosa impossibile.

Resta il fatto che la pensione anticipata contributiva rispetto alla “gemella” (come età minima di uscita), quota 102, è nettamente migliore come requisiti. Evidente tutto questo dal momento che bastano 20 anni di carriera minima. Carriera minima che per la quota 102 è quasi il doppio superiore, visto che parliamo di ben 38 anni. E va ricordato anche che dei 38 anni necessari, ben 35 devono essere effettivi da lavoro. Infatti 35 anni devono essere neutri da contributi figurativi per disoccupazione, maternità esterna all’attività lavorativa e malattia.

Pensioni: cosa cambia con il blocco dell’aspettativa di vita?

L’INPS ha reso noto che fino al 2025 non ci saranno aumenti del requisito anagrafico richiesto (o semplicemente dell’età) per la pensione di vecchiaia. Ciò è dovuto al blocco dell’aspettativa di vita, ma cosa implica ciò?

Blocco dell’aspettativa di vita e pensioni

Il Covid ha cambiato gli scenari e soprattutto ha inciso sulla speranza di vita. Secondo i dati dell’ISTAT nel 2020 la speranza di vita a causa del Covid si è ridotta di tre mesi. Questo dato molto negativo va però a incidere sull’adeguamento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. L’INPS ha comunicato che per i prossimi anni non è previsto l’adeguamento dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia in base all’aspettativa di vita. La circolare dell’INPS n° 28 del 18 febbraio 2022 specifica che “in attuazione del decreto direttoriale del Ministero dell’Economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali” i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non sono ulteriormente incrementati. La circolare inoltre contiene una sintesi dei requisiti per l’accesso ai vari trattamenti pensionistici valevoli per il biennio 2023/2024 e per le pensioni precoci e anticipate fino al 2027.

Si riduce la speranza di vita e l’INPS blocca l’adeguamento dell’età per la pensione di vecchiaia

La circolare sottolinea che dal primo gennaio 2023 al 31 dicembre 2024 sarà possibile accedere alla pensione di vecchiaia al compimento del 67° anno di età. Dal primo gennaio 2025 potrebbe esserci un adeguamento in base alla speranza di vita determinata dall’ISTAT ai sensi dell’art. 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 . Nel 2025 l’adeguamento previsto è di 2 mesi. Si potrà accedere alla pensione di vecchiaia al compimento di 67 anni e 2 mesi. Naturalmente si tratta di un’ipotesi, infatti non è ancora possibile prevedere con precisione se effettivamente ci sarà un aumento della speranza di vita.

Per coloro che hanno svolto mansioni gravose, invece il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia resta fissato a 66 anni e 7 mesi sempre per il biennio 2023 e 2024. In questo caso è comunque necessario aver maturato almeno 30 anni di contributi.

Requisiti diversi sono previsti anche per i soggetti il cui primo accredito contributivo decorre dopo il primo gennaio 1996, in questo caso infatti per poter accedere alla pensione di vecchiaia occorre “un’anzianità contributiva minima effettiva di cinque anni, si perfeziona, anche nel biennio 2023/2024, al raggiungimento dei 71 anni.

Pensione anticipata e pensione precoci: requisiti fermi fino al 2027

Restano invariati anche i requisiti per la pensione anticipata, questi sono fissati dal primo gennaio 2023 al 31 dicembre 2026 in 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. In questo caso il primo trattamento pensionistico si riceve dopo 3 mesi dalla data di maturazione dei requisiti.

Per i lavoratori precoci (devono aver maturato almeno un anno di contributi prima del compimento di 19 anni di età) il requisito contributivo previsto per il periodo che intercorre dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2026 è di 41 anni di contributi.

Anche in questo caso il primo accredito è previsto a decorrere dai tre mesi successivi alla maturazione dei requisiti.

Restano fermi anche i requisiti per il comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco, tra cui Forze Armate, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Arma dei Carabinieri, Dipartimento Polizia Penitenziaria. In questo caso per il biennio 2023/2024 saranno necessari 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, mentre per coloro che hanno compiuto 58 anni bastano 35 anni di contributi.

Lavoratori come ballerini continuano ad andare in pensione a 47 anni, sportivi professionisti a 54 anni, cantanti a 62 anni, attori e conduttori a 65 anni. Le restanti categorie iscritte alla Fondo pensione lavoratori dello spettacolo (FPLS) dovranno invece attendere i 67 anni di età.

 

 

Precoci in pensione nel 2022, in scadenza il primo marzo la certificazione

Una misura ormai strutturale del sistema previdenziale italiano è la quota 41, una pensione anticipata alternativa a quella ordinaria. Non parliamo della quota 41 per tutti, misura che rischia seriamente di restare un chimera visto che il governo pare intenzionato a non esaudire le richieste dei sindacati.

La quota 41 strutturale è quella precoci, una versione di pensione anticipata senza limiti di età, ma destinata ad alcune particolari categorie di soggetti, tutti precoci e con problematiche di natura fisica, familiare, reddituale o lavorativa.

La quota 41 precoci infatti è una misura che pur avendo una caratteristica contributiva, visto che somiglia alle pensioni anticipate ordinarie, ma con meno anni di carriera necessari, ha uno spiccato lato assistenziale. Resta il fatto che parliamo di una misura che può essere sfruttata anche nel 2022, ma occorre fare presto. La misura ogni anno viene rimpinguata con dei fondi ad hoc, che non sono certo illimitati.

Per questo sta per arrivare una scadenza importante per chi si trova a completare i requisiti di accesso entro il 2022, una scadenza che non fa perdere il diritto alla misura, ma che rischia, per chi non adempie, di far slittare il via alla pensione, di rischiare di uscire fuori dalle dotazioni disponibili.

La quota 41 nel 2021, tutti i requisiti necessari

In attesa che arrivino buone nuove sulle pensioni, con una riforma che si sta avviando a compimento, anche se con misure che rischiano di lasciare l’amaro in bocca a chi si aspettava miglioramenti, ci sono misure ancora attive che possono consentire uscite anticipate dal mondo del lavoro.  Una di queste è la famosa quota 41, nome che richiama anche ad una proposta dei sindacati e in passato della Lega, che non verrà però attuata.

La quota 41 in vigore è quella per i precoci. Per il 2022 la misura ha i seguenti requisiti:

  • 41 anni di contributi versati;
  • 35 anni di contributi effettivi ed al netto di contributi figurativi da disoccupazione e malattia;
  • 12 mesi di contributi versati antecedentemente  il compimento dei 19 anni di età, anche se discontinui.

La misura è destinata a:

  • Disoccupati;
  • Invalidi;
  • Caregivers;
  • Lavori gravosi.

La quota 41 per i disoccupati

Per i disoccupati e la loro quota 41, non dovrebbe essere passata una modifica intervenuta per un’altra misura loro destinata nel 2022, cioè l’Ape sociale. Infatti per l’Anticipo pensionistico sociale si è deciso di eliminare il requisito Naspi, ovvero la distanza tra il termine di fruizione dell’indennità per disoccupati e la data di presentazione della domanda. Per la quota 41 resta il vincolo dei 3 mesi. In pratica, devono essere decorsi 3 mesi dall’ultima rata di Naspi percepita per poter accedere alla pensione con quota 41.

Invalidi e caregivers, come funziona la loro quota 41

Due categorie a cui si applica la quota 41 precoci, alla pari dell’Ape sociale sono quelle delle invalidi e dei cosiddetti caregivers. Per gli invalidi serve una percentuale di disabilità certificata pari ad almeno il 74%. Per invalidità certificata il riferimento è a quella ratificata dalle competenti commissioni mediche delle Asl, quelle chiamate Commissioni Mediche Invalidi Civili.

Per i caregivers, che sono soggetti con parenti disabili a carico, serve che l’assistenza sia partita da almeno 6 mesi prima dell’uscita con la quota 41. I familiari disabili devono avere una percentuale di disabilità pari a quella degli invalidi, cioè al 74% e possono essere coniuge e figli ma anche altri parenti o affini che hanno particolari situazioni familiari. Il soggetto assistito dal richiedente la quota 41 precoci deve essere a carico di quest’ultimo e in coabitazione.

La quota 41 e i lavori gravosi, la pensione in anticipo

Chi svolge particolari attività lavorative, piuttosto logoranti e pesanti, ha diritto ad un trattamento agevolato in materia previdenziale. Parliamo dei lavori gravosi. Per loro ci sarebbero le vie dell’Ape sociale e della quota 41. Per la prima la legge di Bilancio ha esteso la possibilità a tante categorie. Una cosa che non è intervenuta per la quota 41.

Infatti per i precoci restano 15 le categorie a cui la quota 41 è destinata. Si tratta di:

  • Edili;
  • camionisti;
  • infermieri delle sale operatorie e ostetriche delle sale parto che lavorano in turni;
  • Personale  addetto all’assistenza di persone non autosufficienti;
  • Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia;
  • Maestre, maestri ed educatori di asili nido e scuole dell’infanzia;
  • Conciatori di pelli e pellicce;
  • Pescatori;
  • Siderurgici;
  • Marittimi;
  • Agricoli;
  • Addetti ai servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti;
  • Facchini;
  • Gruisti;
  • Macchinisti dei treni e personale ferroviario viaggiante.

 

Tutte queste attività, per dar luogo all’uscita con la quota 41, fermo restando il possesso dei requisiti generali prima descritti, devono essere stati svolti per 6 degli ultimi 7 anni di carriera, o in alternativa, per 7 degli ultimi 10 anni.

Pensione precoci: come si accede e cosa occorre fare

Per accedere al beneficio della quota 41 per i lavoratori precoci è necessario presentare una domanda di riconoscimento del beneficio prima di presentare la vera domanda di pensione. La scadenza del primo marzo è quella da segnare in rosso sul calendario. Infatti entro il primo marzo di ciascun anno, e quindi anche entro il prossimo primo marzo, va tassativamente presentata la domanda di certificazione del diritto alla pensione con la quota 41. La domanda di pensione può essere fatta in un periodo successivo ma solo ad esito positivo della domanda di riconoscimento del beneficio.

La scadenza del primo marzo è determinante dal momento che così facendo si evita il rischio di essere tagliati fuori dalla prestazione per esaurimento risorse. Per le domande di riconoscimento del beneficio presentate successivamente al primo marzo ed entro il 30 novembre dello stesso anno, le domande verranno  prese in considerazione solo se le risorse saranno sufficienti.

Va sottolineato che per la pensione in regime di quota 41 peri precoci, vige il sistema della finestra mobile, nel senso che la pensione è posticipata di 3 mesi rispetto alla data di completamento dei requisiti prescritti.

Pensioni contributive: il ricalcolo penalizzante, ecco cosa si perde, tutti gli esempi

A dirla tutta, parlare di riforma delle pensioni come di una cosa ormai certa è sempre un esercizio azzardato visto quello a cui si è assistito negli anni. Riforma delle pensioni che più volte sembrava ad un passo ma che alla fine non è mai stata fatta. Sono stati molteplici gli interventi normativi negli ultimi anni sul capitolo delle pensioni. Ma il più delle volte sono stati interventi tampone, piccole misure ben delimitate come platea e piene zeppe di vincoli, paletti e requisiti a volte difficilmente centrabili e forse comprensibili.

Adesso però sembra che tutte le caselle del puzzle stiano andando al loro posto, con l’esecutivo Draghi che pare seriamente intenzionato a varare una riforma delle pensioni che arrivi per davvero a superare la riforma Fornero, ultima vera riforma del sistema a memoria d’uomo.

Ma sarà una riforma che secondo molti, rischia di far rimpiangere la riforma del governo Monti/Fornero. Sarà vero che dopo tanti anni di discussioni, incontri, summit e proposte, alla fine si arriva a ritoccare un sistema basato su una legge troppo severa come quella della Fornero, introducendone un’altra ancora più severa? Probabilmente si arriverà ad una riforma che produrrà misure di pensionamento anticipato come molti lavoratori auspicano, ma a caro prezzo. Un prezzo che sarà pagato come al solito dai lavoratori e futuri pensionati.

Riforma delle pensioni ad un passo? Sembrerebbe di si

Nulla ancora di ufficiale e di certo, ma pare che la riforma delle pensioni tra poche settimane potrebbe vedere finalmente i natali. E dal 2023 tutto cambierà in materia previdenziale. Sono molteplici le proposte e le ipotesi sul tavolo. Nessuna però capace di far dire a chi le osserva, che dal 2023 si andrà in pensione più facilmente. Anzi, quello che balza agli occhi è un peggioramento della situazione, non tanto per età di uscita dal lavoro o di pensionamento, quanto di importo degli assegni.

Probabilmente sarà ad aprile con il nuovo documento di economia e finanze che la riforma delle pensioni verrà predisposta, o per lo meno inizierà a fare capolino visto che il DEF è l’atto di governo con cui vengono delineate le misure di carattere economico e finanziario dello Stato, con i capitoli di spesa compresa quella previdenziale. Ciò che appare evidente è che si va verso un contributivo integrale, nel senso che probabilmente di dovrà dire addio alle pensioni calcolate nel misto.

Oggi sono sempre meno i contribuenti che hanno contributi versati nel sistema retributivo. Ma ce ne sono tanti che hanno anche più di 18 anni di versamenti prima del primo gennaio 1996. E più anni di carriera rientrano nel favorevole sistema retributivo, più si perde a ricevere una pensione calcolata tutta con il sistema contributivo.

Perché contributivo e basta

Secondo tutti i tecnici il sistema contributivo è meno favorevole ai pensionati rispetto a quello retributivo. Un dato di fatto questo incontrovertibile. Ma è altrettanto vero che per tutti questi tecnici, il sistema contributivo è il più equo. Chi va in pensione prende ciò che si merita, ovvero un assegno corrispettivo di ciò che ha versato nella carriera lavorativa.

I punti fermi che oggi sono sul tavolo riguardano due cose, cioè la mancata conferma della legge Fornero come parametro del sistema previdenziale, e lo stop alla quota 102. Si, anche quest’ultima misura, nata solo da qualche mese, in sostituzione di quota 100, cesserà il 31 dicembre prossimo.

Probabilmente però, si cercherà di arrivare ad un misura pensionistica che parte da una età pensionabile di 64 anni proprio come quota 102. Magari rendendola allineata alla pensione di vecchiaia ordinaria, cioè con uscite una volta raggiunti i 20 anni di contributi minimi (la quota 102 ne prevede 38 come la vecchia quota 100). Ma solo accettando un pieno ricalcolo contributivo.

Una pensione contributiva per tutti

Si estenderebbe a tutti la pensione anticipata contributiva che già oggi fa uscire dal lavoro chi ha compiuto 64 anni ed ha almeno 20 anni di contributi versati, per lo meno. Ma con pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Ma è una misura che oggi riguarda solo chi è privo di contributi a qualsiasi titolo versati antecedenti il 1996. Si tratta dei cosiddetti contributivi puri, che di fatto non subirebbero alcuna penalità accettando questa misura visto che non hanno diritto a calcoli di pensione alternativi a quello per chi hanno versato, cioè il contributivo.

Diverso il caso di chi uscirebbe con una misura del genere, estesa a tutti, ma con opzione per il contributivo obbligatoria. Il rischio è che chi compie 64 anni di età nel 2023, pur completando 38 anni di contributi versati, e magari avendone già 18 o più versati al 31 dicembre 1995, possa prendere una pensione nettamente più bassa rispetto a chi essendo nato un anno prima ha sfruttato la quota 102.

Alcune proposte sul tavolo, ma tutte contributive, salasso sulle pensioni

Estendere quindi la pensione anticipata per i contributivi puri, pure ai misti è solo una proposta tra quelle sul tavolo. Ed è una proposta che prevede un grosso taglio di assegno per molti possibili pensionati che potrebbero così soprassedere e decidere di non sfruttare questo canale di uscita, aspettando la pensione di vecchiaia senza tagli di assegno. Anche perché si tratta di 3 anni di anticipo, non certo un anticipo netto di età pensionabile che può rendere particolarmente appetibile la misura. Ed anche portando la soglia da 2,8 ad 1,5 volte l’assegno sociale, l’appeal della misura non sarebbe incrementato in maniera esponenziale.
Ma ci sarebbe anche la proposta di Pasquale Tridico, Presidente dell’Inps. In questo caso la pensione potrebbe essere penalizzata solo per una parte, cioè per qualche anno fino al compimento dell’età per la pensione di vecchiaia.

Secondo il numero uno dell’Istituto Previdenziale, si potrebbe concedere una pensione anticipata a partire dai 63 anni. Ma accettando di percepire solo la parte contributiva dell’assegno. In pratica si deve accettare di percepire quella pensione tagliata e liquidata con il solo metodo contributivo. Ma il taglio durerebbe solo il necessario, cioè solo per quegli anni di anticipo fino ai 67 anni, quando si andrebbe a ricalcolare il tutto anche con la parte retributiva.  E sempre di pensione a 64 anni parla un’altra proposta, ma con taglio lineare del 3% per ogni anno di anticipo, cioè fino al 9% in meno di pensione. Evidente che il ragionamento dei legislatori è quello di dotare il sistema delle opportune misure di flessibilità in uscita, ma barattando l’anticipo con una pensione più bassa.

Pensioni per tutti con uscita flessibile a 64 anni, la quiescenza del futuro

Apertura piena da parte del governo a mettere finalmente mano alle pensioni. Il superamento della riforma Fornero vede il governo, forse per la prima volta aprire ad una revisione completa del sistema. Ma non sono certo buone notizie, o meglio, non sono le notizie che tanti attendevano. Infatti si parte con un secco no alla quota 41 per tutti, misura caldeggiata dai sindacati da molto tempo, ed una volta caldeggiata anche dalla Lega di Matteo Salvini salvo poi fare dietrofront o quasi come su quasi tutta la linea politica del Carroccio di questi tempi.
E poi, pensione flessibile dai 62 anni e senza penalità, altro cavallo di battaglia dei sindacati, cestinata e non ammissibile per il governo. Ma allora di cosa si tratta e su cosa avrebbe aperto il governo? La riforma delle pensioni secondo l’esecutivo prevede una pensione flessibile dai 64 anni di età. La stessa medesima età con cui si concede oggi l’uscita con la nuova quota 102, tanto per intenderci.

Cosa si sta preparando per le pensioni, l’uscita a 64 anni per tutti, ma con penalità

Nessuna intesa e non poteva essere altrimenti tra sindacati e governo alla luce dell’ultimo summit di ieri 15 marzo. Posizioni sempre distanti e governo che apre alla riforma, ma partendo da una età che ai sindacati non piace. Uscita come per la quota 102 di oggi, cioè pensione per tutti a 64 anni. Una nuova misura flessibile.
Pochi fanno rilevare cosa significa flessibile quando si parla di pensioni. Flessibilità significa opzione, cioè lasciare la scelta al lavoratore se continuare a lavorare o andare in pensione. La parola flessibilità collegata alle pensioni significa penalità. Così come non può esistere sistema pensionistico contributivo senza flessibilità, così non può esistere sistema flessibile senza penalizzazioni di assegno.
In un sistema basato sul calcolo contributivo della pensione, cioè su un calcolo che prevede una pensione in base al montante contributivo, è naturale che una pensione sarà più ricca per chi più versa. Prima si esce dal lavoro, meno contributi si versano, meno si prende di pensione. E questo è alla base della flessibilità, che lascia la scelta al lavoratore se uscire prima prendendo una pensione più bassa di quella che gli spetterebbe l’anno successivo per esempio, restando in servizio.
Ma flessibilità significa porre delle nette differenze tra l’importo dell’assegno in base all’età prescelta per uscire. E qui che entra in gioco la penalizzazione di assegno che resta alla base della proposta del governo di una pensione flessibile dai 64 anni di età.

Si litiga anche sul taglio dell’assegno

Per il governo ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria a 67 anni dovrebbe prevedere il 3% di taglio dell’assegno. Conti semplicistici parlano quindi di un taglio del 9% massimo considerando in 3 anni il numero massimo di anni di anticipo tra i 64 anni della pensione flessibile ed i 67 della quiescenza ordinaria. Se così fosse, un lavoratore che a 67 anni percepirebbe un assegno da 1.500 euro al mese uscendo a 67 anni, uscendo a 64 anni percepirebbe 1.365 euro al mese.
Per i sindacati invece questo taglio non è quello che effettivamente subirebbero i pensionati. Secondo le parti sociali infatti il taglio sarebbe ben maggiore. Soprattutto per chi rientra nel sistema misto si rischia di perdere il 30% di pensione.
Più elevati sono gli anni di contributi prima del 1996, più è forte la perdita di assegno. Infatti il governo avrebbe in mente di applicare il ricalcolo contributivo a questa pensione a 64 anni per tutti. Infatti verrebbe estesa la pensione anticipata contributiva a tutti. La misura oggi vigente è destinata ai lavoratori privi di contribuzione al 31 dicembre 1995.

La pensione anticipata contributiva per tutti, e sempre a 64 anni

Si esce dal lavoro infatti a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, a condizione che il primo contributi a qualsiasi titolo versato è a partire dal primo gennaio 1996 e che la pensione liquidata sia pari ad poco più di 1.300 euro al mese, cioè pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale.
Il contributivo puro però non ha alternative al ricalcolo contributivo della prestazione, quello del misto invece si. E per chi ha maturato già 18 anni di contribuzione prima del 1996, il diritto al favorevole calcolo retributivo arriva fino al 2012.
Il sacrifico che il governo imporrebbe ai pensionandi che opteranno per l’uscita a 64 anni è importante. Oltre al taglio lineare di assegno, anche il ricalcolo contributivo della pensione. Ed inoltre, va considerato il meno favorevole coefficiente di trasformazione dei contributi in pensione, che è tanto più penalizzante quanto prima si lascia il lavoro. E non va sottovalutata la perdita in termini di assegno, per via dei 3 anni teorici di contributi in meno versati se il lavoratore esce a 64 anni e non a 67.

La solita misura con poco appeal per le pensioni future

Siamo di fronte quindi ad una misura di pensione anticipata che nasce come le ultime varate negli ultimi anni. Misure che nascono con vincoli e paletti adatti a renderle quanto meno appetibili possibile, in modo tale da dotare il sistema di una misura di pensionamento anticipato che pochi vorranno sfruttare. L’esempio di opzione donna è lapalissiano, visto il netto anticipo che consente (Già a 58/59 anni di età) e visto il netto taglio di assegno che impone.

Pensioni con i fondi di solidarietà bilaterali, cosa sono e quali sono i requisiti di uscita

Per alcuni settori produttivi si può andare in pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali, usufruendo di requisiti agevolati e di un’uscita anticipata di cinque anni. Lo strumento previdenziale riguarda, nella maggior parte dei casi, i settori del credito, delle assicurazioni, delle Ferrovie dello stato e del credito cooperativo. Ma anche altri settori possono accedere ai fondi bilaterali consentendo ai datori di lavoro di accompagnare i lavoratori all’uscita anticipata. I meccanismi previdenziali compresi in questa misura contemplano l’erogazione di un assegno straordinario di integrazione al reddito basato sulla contrattazione collettiva.

In pensione con i fondi bilaterali, i riferimenti normativi e le estensioni del 2022

A prevedere la possibilità di pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali è stato il decreto legislativo numero 148 del 2015. All’articolo 26 il decreto definisce gli strumenti a sostegno dei redditi dei lavoratori per situazioni di riduzione dell’attività lavorativa o di accompagnamento alla pensione. Novità sono arrivate dalla legge di Bilancio 2022. Infatti, la finanziaria ha esteso la possibilità di ricorrere ai fondi bilaterali anche le imprese con un solo dipendente. Nel contempo, la legge spinge le parti sociali a ricorrere maggiormente alla contrattazione.

Pensioni con i fondi bilaterali, come matura il diritto all’uscita anticipata?

Andare in pensione con i fondi bilaterali comporta l’accordo collettivo delle maggiori sigle sindacali nazionali. Tali accordi sono volti a utilizzare i fondi di solidarietà bilaterali per sostenere il reddito in periodi di difficoltà delle imprese o per procedere all’accompagnamento alla pensione con alcuni anni di anticipo dei lavoratori.

Pensioni con l’assegno straordinario dei fondi di solidarietà bilaterali: di cosa si tratta?

Proprio in questo ambito, uno degli strumenti più diffusi messi a disposizione dai fondi di solidarietà bilaterali è rappresentato dall’assegno straordinario di sostegno al reddito. Si tratta di una indennità finanziata dai datori di lavoro per coinvolgere i lavoratori nell’esodo aziendale. L’indennità accompagna, dunque, i lavoratori negli anni di prepensionamento fino ad arrivare ai requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia, attualmente fissata a 67 anni di età.

Quali sono i requisiti richiesti per la maturazione delle pensioni con i fondi di solidarietà bilaterali?

Per poter accedere alla formula di pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali i requisiti richiesti al lavoratori sono:

  • maturazione di requisiti per la pensione di vecchiaia entro 5 anni;
  • accompagnamento all’uscita per i lavoratori che si trovino a non più di 5 anni dalla maturazione dei requisiti necessari per la pensione anticipata.

Similmente a quanto avviene per l’isopensione, l’accordo sindacale è necessario per l’accesso alla pensione con i fondi bilaterali. Diventa indispensabile, pertanto, che i lavoratori aderiscano allo scivolo previdenziale. Il passaggio necessario è quello della cessazione del rapporto di lavoro.

Pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali o isopensione: quale conviene di più?

Per il lavoratore, la pensione anticipata con i fondi di solidarietà bilaterali è più conveniente, in termini di trattamento economico mensile, rispetto all’isopensione. Lo è perché l’importo dell’assegno straordinario dei fondi bilaterali calcola già i contributi complessivi fino a tutto l’espletamento dello scivolo pensionistico. Ovvero fino alla maturazione della pensione di vecchiaia. Mentre nel caso dell’isopensione, i contributi si fermano a quanto maturato al momento dell’uscita con l’esodo. In entrambi i casi, tuttavia, il datore di lavoro versa la contribuzione fino a quando il lavoratore non maturi il diritto alla pensione di vecchiaia.

In pensione con i fondi di solidarietà bilaterali: si può continuare a lavorare?

Particolari regole vigono per quanto attiene al cumulo dei redditi da lavoro e da pensione. E, dunque, alla possibilità di lavorare durante gli anni di esodo del contribuente accompagnato alla pensione. I singoli fondi bilaterali possono prevedere l’incompatibilità e la non cumulabilità dei redditi, sia parziale che totale. Cosa che non avviene nel caso dei contratti di espansione e nell’isopensione. Pertanto, in alcuni settori come quelli del credito e delle assicurazioni, il contribuente che percepisce l’assegno straordinario non può continuare a lavorare.

Divieto di cumulo redditi da lavoro e da pensione nel caso di fondi di solidarietà bilaterali

E dunque non può cumulare l’assegno stesso con redditi derivanti da lavoro alle dipendenze o autonomo. Il divieto vige specificamente perché il lavoro svolto dal contribuente andrebbe in concorrenza con il datore di lavoro dal quale il soggetto ha ricevuto l’esodo. In base alla normativa, sono vietati anche i susseguenti contratti di consulenza e di collaborazione con lo stesso datore di lavoro che ha utilizzato l’esodo. Se si violano le disposizioni, si decade dal trattamento economico e dalla relativa contribuzione.

Pensione con l’esodo dei fondi di solidarietà, si può lavorare con altri datori di lavoro?

Nel caso in cui si svolga un’altra attività con un datore di lavoro non in concorrenza con l’azienda che ha accompagnato alla pensione con i fondi di solidarietà il lavoratore, l’assegno straordinario si può cumulare con i redditi da lavoro dipendente nel limite dell’ultima retribuzione mensile. Se si supera questa soglia, l’assegno straordinario viene decurtato della parte eccedente. Il lavoratore, pertanto, ha l’obbligo di effettuare la comunicazione per far presente lo svolgimento della nuova attività. Tale comunicazione va fatta sia al fondo tramite al sede Inps competente per territorio, sia allo stesso datore di lavoro.

Pensioni con i fondi di solidarietà, si può usufruire della quota 102 del 2022?

Si può beneficiare delle pensioni a quota 102 con i fondi di solidarietà bilaterali? In altre parole, l’anticipo dei fondi può essere fatto sui requisiti della quota 102? Per rispondere alla domanda è necessario rifarsi alla precedente quota 100. Il decreto legge numero 4 del 2019 stabilì l’impossibilità di accesso alla quota 100 con l’assegno straordinario assicurato dallo scivolo dei fondi bilaterali. Successivamente è stato previsto un assegno ad hoc parallelo alla quota 100, peraltro esteso nel 2022 alla quota 102. Si ritiene, pertanto, che le aziende possano accompagnare i lavoratori alla pensione con riferimento al nuovo strumento previdenziale sperimentale fino al 31 dicembre 2022.

Fondi bilaterali per la pensione, agevolazioni sul riscatto della laurea

Peraltro, alcuni fondi bilaterali hanno previsto alcune agevolazioni a favore dei lavoratori accompagnati allo scivolo previdenziale con l’assegno straordinario. In alcuni settori, infatti, il datore di lavoro ha la possibilità di pagare direttamente al lavoratore l’onere del riscatto della laurea. Oppure l’onere di ricongiunzione. Questa possibilità accorcia i requisiti per accedere allo scivolo previdenziale, permettendo, nei casi di consistenza di requisiti richiesti, di accedere alla pensione senza nemmeno permanere un mese nel fondo di solidarietà.

Pensione integrativa anche ai professionisti e lavoratori autonomi da aprile 2022

In arrivo le pensioni integrative anche ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi. La sottoscrizione alla previdenza complementare sarà possibile a partire dal mese di aprile 2022. La decisione è stata presa dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) sulla possibilità di accesso, per le partite Iva, all’integrazione della previdenza complementare con Fon.te. Si tratta di un fondo pensione già attivo a favore dei dipendenti delle imprese del settore terziario.

Previdenza complementare, per la pensione integrativa dei professionisti e partite Iva c’è Fon.te

Il fondo pensione Fon.te nei giorni scorsi ha diffuso la comunicazione della possibilità di adesione alla pensione complementare anche per i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. Nell’informativa si legge che “Fon.Te, il Fondo pensione complementare per i dipendente da aziende del terziario, estende la platea a tutti i liberi professionisti e lavoratori autonomi che si trovano a lavorare nei settori di interesse del Fondo. A partire da aprile 2022, grazie all’approvazione della Commissione di Vigilanza sui Fondi pensione (Covip), i commercianti potranno integrare la propria pensione aderendo a Fon.te, il terzo fondo negoziale italiano per numero di iscritti”.

Fondo pensione, i vantaggi dell’adesione con obiettivo la previdenza complementare

L’adesione alla previdenza complementare comporta il vantaggio di poter costruire una pensione futura aggiuntiva. L’obiettivo è quello di di incrementare, in modo significativo, il livello delle prestazioni pensionistiche, una volta usciti dal mondo del lavoro. Dai dati del fondo pensione, l’adesione dei lavoratori del settore terziario alla termine del 2021 era in numero di 9.745 milioni. Nello scorso anno il fondo pensione ha aumentato il numero di iscritti di oltre 400 mila aderenti rispetto al 2020. Le risorse destinate ai trattamenti previdenziali a fine 2021 ammontavano a 212.6 miliardi di euro, in crescita di circa 15 miliardi rispetto al 2020. In aumento, nello scorso anno, anche gli incassi dei contributi da fondi negoziali, Pip e fondi pensione aperti. In tutto, gli aumenti sono stati di 13,3 miliardi di euro, circa 900 milioni in più rispetto al 2020.

Fondi pensione, come aderire alla previdenza complementare?

Per aderire al fondo pensione Fon.te. si può procedere in maniera esplicita o tacitamente. L’adesione esplicita comporta la consegna al dipendente della parte I della Nota Informativa (“Le informazioni chiave per l’aderente”) e l’Appendice informativa sulla sostenibilità. Dopo averne preso visione, l’aderente dovrà procedere con la compilazione del Modulo di adesione. L’adesione tacita si realizza quando il dipendente, dopo 6 mesi dall’assunzione, non abbia manifestato alcuna volontà in merito alla destinazione del Trattamento di fine rapporto maturato.

Come si aderisce a un fondo pensione versando il Trattamento di fine rapporto e un contributo aggiuntivo?

In attesa di maggiori indicazioni dal fondo pensione per l’adesione alla previdenza complementare ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi, è necessario specificare che se il lavoratore abbia già scelto di destinare il Trattamento di fine rapporto (Tfr) al fondo pensione è necessario compilare il Modulo di adesione. Il documento contiene una prima parte di dati anagrafici; l’indicazione se si aderisce a un altro fondo pensione da indicare; la scelta del comparto di investimento; la modalità di adesione.

Modalità di adesione al fondo pensione: come procedere con il versamento del Tfr?

Per quest’ultimo punto, si può chiedere di aderire con il solo versamento del Trattamento di fine rapporto (Tfr); oppure oltre al Tfr, si può contribuire con un versamento minimo a carico del lavoratore stabilito da contratto. Quest’ultimo dà diritto al contributo da parte del datore di lavoro. Infine si può aderire versando, oltre al Trattamento di fine rapporto, anche un contributo diverso dal minimo stabilito dal contratto, nella percentuale desiderata dal sottoscrivente.

Pensioni sbagliate? Ecco i motivi di migliaia di ricorsi

Si sono accentuati in maniera esponenziale i problemi dell’Inps in materia previdenziale, sulle pensioni. L’emergenza pandemica ha prodotto un notevole incremento dei ritardi nell’espletamento delle pratiche di pensione.

Ma le lungaggini burocratiche peggiorate non sono certo l’unico dei problemi con cui hanno a che fare i cittadini pensionati o pensionandi.

Moltissimi infatti i ricorsi presentati dai contribuenti nei confronti dell’Inps.

E spesso le problematiche sono relative a pensioni sbagliate. Calcolo errato o mancato riconoscimento di integrazioni e trattamenti sono alla base di moltissimi ricorsi.

Troppi gli errori sulle pensioni da parte dell’Inps, ma non tutti sono addebitabili all’Istituto

Alla data attuale ci sarebbero in pendenza oltre 500.000 ricorsi contro l’Inps per pensioni errate. Prima di approfondire alcune tematiche relative a questi errori da parte dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale Italiano, va detto che ci sono errori da parte dell’Istituto e mancate richieste da parte dei cittadini.

In questo ultimo caso nulla è addebitabile all’Inps naturalmente. Molti non sanno che ci sono alcuni diritti spettanti ai pensionati, che l’Inps non eroga automaticamente, ma serve espressa richiesta degli stessi pensionati.

Parliamo dei diritti inespressi, ovvero di somme aggiuntive sulla pensione, che se non è lo stesso pensionato a richiedere, non vengono assegnate dall’Inps. Maggiorazioni sociali, trattamento minimo, integrazioni, ma anche assegni familiari, quattordicesima e così via.

L’Inps non può sapere tutto sempre, gli adempimenti dei pensionati

Le comunicazioni reddituali a cui ogni anno i titolari di un trattamento pensionistico sono tenuti, non fanno altro che consentire all’Inps di erogare la pensione giusta ad un pensionato. Un figlio a carico che entra o esce dal nucleo familiare, produce un cambiamento che l’Inps non può conoscere se non lo segnala il pensionato stesso.

Lo stesso accade per redditi che cambiano da un anno all’altro, per il coniuge che prima era a carico e poi non lo è più e viceversa. Ma ci sono anche contributi previdenziali non utilizzati per la liquidazione della pensione, perché magari versati o accreditati dopo la stessa liquidazione.

Quando è l’Inps che sbaglia sulle pensioni

È altrettanto vero però che gli errori sulle pensioni sono assai frequenti e sono stati oggetto di alcune campagne di sensibilizzazione che i sindacati e i patronati hanno avviato in passato. Operazioni su larga scala che hanno portato a scoprire che una pensione su tre che eroga l’Inps hanno importi errati e a svantaggio del pensionato.

Naturalmente in primo luogo perché ci si è trovati a tutta una serie di diritti inespressi come quelli di cui parlavamo in precedenza in riferimento a mancate richieste dei pensionati. E poi perché l’Inps sbagliava.

Gli ultimi dati parlano di oltre 500.000 ricorsi contro l’Inps da parte di cittadini che denunciano, soprattutto, problemi ed errori di calcolo della pensione. Mancato cumulo dei contributi, oppure errori in sede di ricongiunzione, ma anche ritardo nelle liquidazioni delle stesse pensioni.

I ritardi dell’Inps sulle risposte per le pensioni

Soprattutto sulle pensioni di invalidità, oppure su quelle in deroga che sono collegate anche ai fondi a disposizione, non è raro il caso di pensionati che si trovano a dover aspettare tanti mesi per ricevere una risposta. Naturalmente raramente si perde tutto, perché l’Inps lavora con arretrati a partire dalla data di presentazione delle domande.

Ciò che stride è il fatto che spesso un lavoratore è costretto a lasciare il lavoro perché molte delle misure pensionistiche vigenti, tra i vincoli prevedono la cessazione del rapporto di lavoro. E rimanere per tanti mesi senza lavoro e senza pensione non è certo una cosa facile.

Gli errori più frequenti da parte dell’Inps

Per la maggior parte delle volte, gli errori dell’Inps riguardano pensioni che vengono calcolate in maniera errata. Parliamo di pensioni in essere quindi, o di quelle in prima liquidazione. Spesso si tratta di pensioni di importo inferiore a ciò che dovrebbero. Altre volte invece si tratta di pensioni non erogate per niente, come per i casi di mancato riconoscimento di un assegno di invalidità.

I numeri dei ricorsi prima citati provengono direttamente all’Inps e dal suo Comitato di indirizzo e vigilanza. Secondo il CIV Inps infatti, 931.000 pratiche erano giacenti e non ancora espletate al 31 ottobre 2021. Sempre secondo il Comitato, di tutti i ricorsi che pervengono all’Inps, il 40% produce un esito sfavorevole all’Istituto. In pratica, ogni 10 ricorrenti, 4 hanno ragione nel produrre ricorso nei confronti dell’Istituto.

Pensioni: entro il 28 febbraio l’adempimento del RED, ecco cosa dice l’Inps

Chiunque prende una pensione integrata al trattamento minimo, o integrata da maggiorazioni, o ancora, con parte di assegno collegata a prestazioni assistenziali o reddituali, devono effettuare un adempimento. Si chiama modello RED.

E si tratta di un adempimento molto importante dal momento che in assenza di questo, si rischia la sospensione o addirittura la revoca delle prestazioni prima citate. Parliamo naturalmente del già citato modello RED, comunicazione reddituale ma non solo, con cui devono avere a che fare tutti i pensionati che hanno determinati trattamenti pensionistici e che non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi.

La comunicazione Inps

Come dicevamo, l’Inps nella sua consueta area denominata “Inps Informa”, avvisa gli utenti che sta per arrivare il termine ultimo per provvedere ad espletare l’adempimento relativo al RED. Nello specifico si legge che, per evitare la revoca delle prestazioni legate al reddito è necessario inviare all’Inps la dichiarazione reddituale (RED) relativa all’anno 2019. Il termine è fissato per il 28 febbraio.

Sempre l’Istituto comunica che l’interessato può provvedere all’adempimento, in maniera autonoma, per il tramite servizio  “Dichiarazione reddituale – RED semplificato“. Tale applicativo è disponibile sul sito istituzionale dell’Inps. Naturalmente per quanto detto in precedenza, occorre prestare attenzione all’anno di riferimento del modello.

Infatti l’applicativo permette di completare il modello con annesso invio telematico dello stesso, per diversi anni. Quello che conta per l’adempimento di cui parla l’Inps è solo l’anno 2019 e pertanto occorre aver cura di selezionare il 2019 come anno di riferimento della dichiarazione reddituale.

Come adempiere all’obbligo del modello Red

L’adempimento può essere effettuato accedendo alla propria area riservata del sito Inps, precisamente a quella area chiamata “My Inps”. Una volta collegati occorre autenticarsi. Cliccando nell’area My Inps si aprirà la finestra relativa alle varie modalità di autenticazione. Le possibilità sono 3 ovvero, lo Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale, la CIE (Carta di Identità Elettronica e la CNS (Carta Nazionale dei Servizi).

Con queste modalità l’interessato potrà adempiere in piena autonoma alla compilazione del modello Red e al suo successivo invio. La procedura termina con la ricevuta di avvenuta presentazione scaricabile e stampabile. Naturalmente occorre compilare il modello con tutti i dati reddituali dell’0anno 2019 richiesti dal formulario.

In alternativa a quello che possiamo definire “fai da te”, restano sempre i canali accessibili mediante delega. Parliamo di Patronati, Caf (Centri di Assistenza Fiscale), commercialisti e qualsiasi altro soggetto autorizzato. Strutture queste che possono assistere, il più delle volte gratuitamente, il diretto interessato ad adempiere correttamente a questo obbligo.

Pensioni lavoratori precoci con quota 41, chi può avere lo sconto nel 2022?

Per i lavoratori che abbiano iniziato a lavorare all’età dell’adolescenza, anche per il 2022 si potrà usufruire delle pensioni anticipate a quota 41. La misura dei precoci, infatti, consente ai contribuenti di uscire da lavoro al raggiungimento dei 41 anni di contributi con una finestra mobile di 3 mesi. Tuttavia, non si tratta di una quota 41 per tutti, anche se non esiste un’età minima per andare in pensione. Infatti, i precoci devono soddisfare determinati requisiti per lasciare il lavoro da “precoci”.

Pensioni precoci, quali sono i requisiti richiesti di contributi e condizioni lavorative?

Il primo requisito delle pensioni precoci per agganciare l’uscita con 41 anni di contributi è quello secondo il quale è necessario aver versato un anno di contributi prima del raggiungimento dei 19 anni di età. Si tratta di un requisito di carattere generale che deve essere soddisfatto da chiunque voglia uscire con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età di pensionamento. Tuttavia, a questo requisito è necessario abbinare, alternativamente, uno dei restanti quattro requisiti. Si tratta dello stato di disoccupazione, dell’assistenza di un familiare con handicap o della non capacità lavorativa e dell’appartenenza a una delle categorie di lavoratori impiegati in mansioni usuranti.

Andare in pensione con la misura per i precoci per chi è senza lavoro

Il primo dei tre requisiti richiesti delle pensioni per i precoci è quello di trovarsi nello stato di disoccupazione. Ovvero il richiedente la pensione deve trovarsi in questo stato in seguito alla cessazione del proprio rapporto di lavoro per licenziamento, risoluzione consensuale o per dimissioni per giusta causa. Il licenziamento può essere avvenuto anche in maniera collettiva. In tutti i casi, per ottenere la pensione è necessario aver già espletato da almeno tre mesi la prestazione prevista per la disoccupazione.

Pensioni con quota 41 per chi assiste convivente con handicap o ha riduzione capacità lavorativa

Ammessi alla pensione dei precoci anche i soggetti che assistano il coniuge o un parente di primo grado convivente in situazione di handicap grave. L’assistenza deve avvenire da almeno 6 mesi e può estendersi anche ai parenti e affini di secondo grado conviventi quando i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano almeno 70 anni, o con patologie invalidanti, o siano mancanti o deceduti. Sono ammessi alle pensioni con quota 41 anche i contribuenti che abbiano subito la riduzione della capacità lavorativa almeno al 74%.

Ammessi alle pensioni precoci anche i lavoratori impiegati in mansioni gravose o usuranti

Sono ammessi alla pensione dei precoci anche i lavoratori impiegati in mansioni gravose o usuranti. L’attività deve essere svolta da non meno di 7 anni rispetto agli ultimi 10. In alternativa il lavoro deve essere stato svolto, al momento del pensionamento, da almeno 6 rispetto agli ultimi 7 anni. Inoltre, a partire dal 1° gennaio 2022 le categorie dei lavoratori ammesse per svolgimento di attività usuranti sono state estese. Le categorie, come i requisiti inerenti i disoccupati, i caregiver e gli invalidi civili, sono le medesime richieste per le pensioni con uscita Ape sociale.

Categorie lavorative ammesse alle pensioni precoci con quota 41 come usuranti nel 2022

Sono ammessi alle pensioni dei lavoratori precoci in quanto facenti parte di attività definite “usuranti” o “gravose” le seguenti categorie lavorative:

  • gli operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici;
  • i conduttori delle gru e di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni;
  • i conciatori di pelli e di pellicce;
  • i conduttori di convogli ferroviari e il personale viaggiante;
  • il personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere, con organizzazione del lavoro su turni;
  • i conduttori di mezzi pesanti e di camion;
  • gli addetti all’assistenza personale di soggetti in condizioni di non autosufficienza;
  • i docenti della scuola dell’infanzia, gli educatori degli asili nido e le professioni assimilate;
  • i facchini, gli addetti allo spostamento delle merci e gli assimilati;
  • il personale non qualificato per i servizi di pulizia;
  • gli operatori ecologici e gli altri raccoglitori e separatori di rifiuti;
  • gli operatori agricoli, della zootecnia e della pesca;
  • i pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare sia dipendenti che soci di cooperative;
  • i lavoratori del settore siderurgico di prima e di seconda fusione; i lavoratori del vetro addetti a mansioni ad alte temperature non già rientranti nella normativa del decreto legislativo numero 67 del 2011 degli usuranti;
  • i marittimi imbarcati a bordo e il personale viaggiante dei trasporti marini e delle acque interne.

Pensionati con quota 41 dei lavoratori precoci, possono svolgere altri lavori?

Chi sia andato in pensione come precoce con la quota 41 non può cumulare i redditi relativi allo svolgimento di un lavoro (sia da dipendente che da autonomo) con la pensione. Il divieto vige per tutto il periodo di decorrenza della pensione, fino a raggiungere il diritto al pensionamento se non avessero beneficiato della deroga ai requisiti ordinari di uscita da lavoro. La domanda di pensione con quota 41 deve essere presentata entro il 1° marzo di ciascun anno. La seconda scadenza annuale è fissata al 15 luglio. L’ultima scadenza è relativa al 30 novembre, ma in questo caso è necessario verificare che siano residuate le risorse finanziare per beneficiare della misura.

Trattamento di fine rapporto (Tfr) o di fine servizio (Tfs) nel caso di pensione dei lavoratori precoci

Nel caso di pensione ottenuta con la quota 41 dei lavoratori precoci, il Trattamento di fine servizio (Tfs) dei subordinati del pubblico impiego e il Trattamento di fine rapporto (Tfr) dei lavoratori del settore privato decorreranno dal momento in cui il neopensionato abbia raggiunto i requisiti per andare in pensione con i requisiti ordinari. Alla decorrenza andranno sommati anche gli ordinari termini di differimento, consistenti in un anno per la vecchiaia e in 24 mesi per la pensione anticipata.