DURC fiscale o DURF, come si richiede all’Agenzia delle Entrate

I grandi contribuenti possono richiedere all’Agenzia delle Entrate un documento che, disponibile a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese, ha poi una validità che è pari a 4 mesi. Si tratta, nello specifico, del DURC fiscale che, anche in via telematica, può essere richiesto al Fisco rivolgendosi alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate che è competente per territorio.

Di conseguenza, in via telematica, la richiesta deve essere inoltrata a mezzo posta elettronica certificata (PEC) alla struttura dell’Agenzia delle Entrate competente. Gli indirizzi PEC delle direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate sono reperibili a questo link.

Nel caso in cui l’impresa non rientri tra i grandi contribuenti, invece, il DURC fiscale in base al domicilio dell’impresa può essere richiesto rivolgendosi ad un ufficio territoriale della Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate. L’impresa in possesso del DURF, agli occhi dei committenti, attesta la propria regolarità fiscale per lavori di di appalto, subappalto e simili superiori alla soglia dei 200.000 euro. Gli indirizzi PEC delle direzioni provinciali dell’Agenzia delle Entrate sono invece reperibili a questo link.

Quali sono i requisiti per ottenere il DURC fiscale dall’Agenzia delle Entrate

Il Durc fiscale che viene rilasciato dall’Agenzia delle Entrate permette alle imprese, in materia di appalti, subappalti e simili, di non essere soggetta alle nuove regole restrittive in materia di ritenute e di compensazioni. Per ottenere il DURC fiscale l’impresa deve essere in attività da almeno tre anni, deve essere in regola con gli obblighi dichiarativi e, tra l’altro, non deve avere accertamenti esecutivi o iscrizioni a ruolo. Così come il Fisco rilascia il documento se e solo se per l’impresa richiedente i versamenti in conto fiscale risultano essere non inferiori al 10% dei ricavi e/o dei compensi.

Controlli per il DURC fiscale prima del rilascio, ecco quali sono

Esente da imposta di bollo e dal pagamento di tributi speciali, il DURC fiscale, che è anche noto con la sigla DURF, è un documento che, su richiesta dell’impresa, l’Agenzia delle Entrate rilascia sempre e solo dopo aver effettuato le dovute verifiche. E precisamente la verifica sulla base dei dati che sono stati trasmessi dagli agenti della riscossione, e la verifica sulla base delle risultanze del sistema informativo dell’anagrafe tributaria.

Al momento del rilascio del DURC fiscale, l’impresa può chiedere al Fisco l’emissione di un nuovo documento aggiornato nel caso in cui dovesse ritenere che ci sono dei dati che non sono stati presi in considerazione. In tal caso al riscontro, e qualora ci siano i presupposti, dopo ulteriori e adeguate verifiche l’Agenzia delle Entrate procederà con l’emissione di un nuovo certificato che avrà sempre una validità che è pari a quattro mesi a partire dalla data del rilascio.

Ai sensi dell’art. 17-bis Dlgs 241/97, per la richiesta del certificato di sussistenza dei requisiti per le imprese appaltatrici c’è online, sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, il Facsimile che è visionabile e scaricabile in formato editabile. Da parte del direttore dell’Agenzia delle Entrate, lo schema di certificato è stato approvato con apposito provvedimento in data 6 febbraio del 2020.

Quando e perché è necessario cambiare partita Iva?

Aprire una partita Iva significa agli occhi del Fisco avviare un’attività professionale, imprenditoriale o di lavoro autonomo. Al pari del codice fiscale per un privato, la partita Iva è una sequenza di 11 cifre che identifica univocamente un soggetto che esercita una determinata attività. Ma detto questo, cosa accade quando e se il titolare di una partita Iva vuole apportare delle variazioni? Per esempio, c’è la possibilità per un lavoratore autonomo, per un piccolo imprenditore o per un libero professionista di poter cambiare il proprio numero di partita Iva?

Cambiare il numero di partita Iva? Non si può a meno che non si decida di chiuderla

Nel dettaglio, sull’eventuale scelta, da parte di un titolare di partita Iva, di cambiarla, la legge e quindi la normativa vigente parla molto chiaro. La partita Iva da parte del contribuente non può essere cambiata in quanto, come sopra accennato, va a definire e a identificare in maniera univoca la propria attività.

Pur tuttavia per la partita Iva, anche se non si può cambiare, la legge ammette la variazione dei codici che sono collegati alla propria attività. In questo modo il titolare di partita Iva potrà cambiare o aggiungere nuovi settori di attività che prima al Fisco non sono stati indicati.

Ed allora, per quanto detto, non c’è alcuna soluzione per il cambio di partita Iva? Al riguardo c’è da dire che l’unica possibilità a disposizione del contribuente è quella di chiudere la partita Iva e di aprirne una nuova. Solo in tal caso, senza infrangere la legge, l’Agenzia delle Entrate fornirà infatti una diversa sequenza di 11 cifre che andrà a identificare la nuova partita Iva.

Come si cambia la partita Iva per chiudere un’attività e per avviarne una nuova

Per cambiare la partita Iva, chiudendo la vecchia ed aprendone una nuova, per esempio perché gli affari sono andati davvero male, il contribuente deve comunicare al Fisco la cessazione dell’attività attraverso il modello AA9/12 entro un termine massimo di 30 giorni. Così come è sempre il modello AA9/12 quello da utilizzare per comunicare all’Agenzia delle Entrate l’inizio di una nuova attività con la conseguente attribuzione di un nuovo numero di partita Iva.

La chiusura della partita Iva, comunicando all’Agenzia delle Entrate la cessazione dell’attività tramite il modello AA9/12, può essere effettuata in proprio, attraverso i canali telematici del Fisco, oppure avvalendosi della consulenza e dell’assistenza da parte di un intermediario abilitato, per esempio da parte del proprio commercialista di fiducia.

La chiusura della partita Iva, da parte dell’Agenzia delle Entrate, può peraltro avvenire in certi casi pure in maniera forzosa. E questo può accadere, in particolare, quando la partita Iva che è stata aperta dal contribuente risulta essere dormiente o silente. Per la precisione quando alla partita Iva non è associata alcuna movimentazione per un periodo che è pari ad almeno 3 anni di imposta. In tal caso il contribuente, che in ogni caso potrà presentare reclamo facendo valere le proprie ragioni, riceverà dall’Agenzia delle Entrate l’apposita comunicazione di chiusura d’ufficio della partita Iva.

Chi ha partita Iva può avere status da disoccupato?

Chi non trova lavoro come dipendente spesso opta per l’apertura di una partita Iva mettendosi così in proprio come lavoratore autonomo oppure come libero professionista iscritto all’albo. Ma detto questo, la scelta di aprire una partita Iva è sempre compatibile con il mantenimento dello status di disoccupato? Oppure ci sono delle condizioni da rispettare?

L’apertura di una partita Iva fa perdere lo status da disoccupato?

Per la risposta in merito occorre prendere come riferimento in Italia la normativa che è legata, proprio in materia di disoccupazione, al decreto attuativo del Jobs Act. Nel dettaglio, il Jobs Act fissa non uno ma più status in corrispondenza dei quali si può trovare una persona disoccupata. Ovverosia, un lavoratore senza lavoro si trova nello stato di disoccupazione proprio perché è privo d’impiego. Ma può essere pure un lavoratore che è in uno stato di non occupazione, oppure in uno stato di disoccupazione parziale.

La partita Iva non è incompatibile con la condizione di non occupazione

Il lavoratore autonomo o il professionista in possesso di partita Iva può avere status da disoccupato, ed in particolare rientra nello stato di non occupazione ma a patto che il suo reddito annuo, legato all’attività svolta, non superi la soglia dei 4.800 euro.

Indennità di disoccupazione Dis-coll è incompatibile con la partita Iva aperta

Quindi, chi ha la partita Iva, nel rispetto di opportune condizioni, può essere considerato a tutti gli effetti un disoccupato, ma è comunque escluso da alcune indennità. Tra queste l’indennità di disoccupazione che è dedicata e destinata ai collaboratori che, nel rispetto degli altri requisiti di accesso alla misura, non possono essere titolari di partita Iva anche se questa risulta essere silente. Il collaboratore che ha presentato la richiesta di indennità di disoccupazione Dis-coll, e che inizia a percepirla, può poi in ogni caso aprire una partita Iva in qualità di ditta individuale o di lavoratore autonomo.

Pur tuttavia, per non perdere la Dis-coll vale sempre il rispetto di un reddito annuo non superiore a 4.800 euro, così come, tramite comunicazione, l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS) dovrà essere a conoscenza dell’attività e del reddito annuo presunto entro un termine massimo di 30 giorni dall’apertura della partita Iva.

Status da disoccupato e partita Iva per il lavoratore privo d’impiego

In più, chi ha partita Iva può avere considerato disoccupato pure quando il lavoratore si trova nello stato di cittadino privo d’impiego. In tal caso, la partita Iva aperta non fa infatti decadere lo status di disoccupato, ma questa, così come è stato chiarito dal ministero del Lavoro, deve essere non movimentata da almeno 12 mesi a partire dalla data in corrispondenza della quale è stata presentata la Did, ovverosia la dichiarazione d’immediata disponibilità.

Muniti di codice PIN che è stato rilasciato dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS), oppure con SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), con la CNS (Carta Nazionale dei Servizi) o con la CIE (Carta d’Identità Elettronica), la Did – dichiarazione d’immediata disponibilità si può presentare anche comodamente online. E precisamente dall’area MyANPAL del sito Internet dell’Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro.

Quando partita Iva e codice fiscale non coincidono?

Qual è la differenza tra la partita Iva ed il codice fiscale? Al riguardo c’è da dire che la partita Iva è sempre composta da 11 caratteri numerici, mentre il codice fiscale è una combinazione di numeri e di lettere per un totale di 16 caratteri alfanumerici. Ma detto questo, quando la partita Iva ed il codice fiscale coincidono? Ed in quali casi, invece, la partita Iva  ed il codice fiscale non coincidono?

Quando per una società la partita Iva ed il codice fiscale coincidono, e quando invece no

Al riguardo c’è da dire che, in linea generale, per le società il codice fiscale e la partita Iva coincidono sempre. Ma questo non vale, pur tuttavia, per le imprese individuali. In tal caso, infatti, il codice fiscale non coincide mai con il numero della partita Iva. In più, ci sono casi particolari in corrispondenza dei quali il codice fiscale e la partita Iva non coincidono anche se non si tratta di ditta individuale. E questo accade quando la società ha trasferito il domicilio fiscale da una provincia all’altra. In tal caso, infatti, il Fisco all’impresa attribuirà un nuovo numero di partita Iva, mentre il codice fiscale continuerà a restare invariato.

La sequenza di 11 numeri, quella che è coincidente con la partita Iva, viene rilasciata dall’Agenzia delle Entrate e, per lo svolgimento dell’attività economica, è rilevante ai fini tributari. E questo perché la società proprio con la partita Iva viene identificata sempre in maniera univoca. Nel caso in cui non ci sia un trasferimento di sede legale, come sopra detto, il codice fiscale di un’impresa coincide sempre con la partita Iva.

E questo che si tratti di una società in nome collettivo (Snc), di una società a responsabilità limitata (Srl), oppure di una società in accomandita semplice (Sas). E lo stesso vale pure per altre forme giuridiche d’impresa come la società per azioni (Spa), e come la società in accomandita per azioni (S.a.p.a). Mentre il codice fiscale è quella sequenza alfanumerica che, composta da 16 tra numeri e lettere, identifica in maniera univoca la persona fisica che è residente in Italia.

Perché per una ditta individuale il codice fiscale e la partita Iva non coincidono mai

Nel dettaglio, per una ditta individuale il codice fiscale e la partita Iva non coincidono mai in quanto in tal caso il codice fiscale è composto da 16 caratteri alfanumerici che coincidono con il codice fiscale del titolare della ditta. Mentre i caratteri numerici della partita Iva sono sempre e solo 11.

In particolare, come per qualsiasi altra persona che è residente in Italia, il codice fiscale dell’impresa individuale è composto dai primi 3 caratteri che sono alfabetici e che sono ricavati dal cognome; i successivi 3 caratteri sono ricavati dal nome, e poi ci sono 5 caratteri alfanumerici che sono ricavati dal giorno, dal mese e dall’anno, ovverosia dalla data di nascita. Gli ultimi 5 caratteri alfanumerici del codice fiscale sono invece così strutturati: i primi 4 caratteri alfanumerici identificano il comune di nascita, mentre l’ultimo carattere, che è alfabetico, ha una funzione di controllo.

Quale percentuale di invalidità per legge 104?

Per il riconoscimento dell’invalidità un cittadino deve sottoporsi a visita medica che attesti e che certifichi il suo stato. Allo stesso modo, sempre con una visita di accertamento, una persona può accedere, in base al suo stato di handicap, ai benefici che sono previsti dalla legge 104/92. Ma detto questo, qual è la percentuale di invalidità che permette l’accesso alle agevolazioni per legge 104?

Qual è la percentuale di invalidità per legge 104 e come accedere alle agevolazioni?

Al riguardo c’è da dire che la percentuale di invalidità deve essere superiore al 33,33%, ma si tratta solo di una condizione necessaria ma non sufficiente. In quanto, come sopra accennato, per il riconoscimento di un handicap, e per le conseguenti agevolazioni per legge 104, è sempre necessario sostenere e superare la visita che è distinta da quella per il riconoscimento, da parte dell’INPS, dello status di invalido.

La legge 104, che in Italia a livello legislativo è una delle pietre miliari a sostegno dei portatori di handicap, mira con i benefici e con le agevolazioni concesse ad eliminare o comunque a lenire tutte le difficoltà che portano non solo alla riduzione della capacità lavorativa, ma anche alla regolare integrità e dignità a livello fisico, psichico ed anche sociale.

L’accesso ai benefici della legge 104, in particolare, risulta essere strutturato in tre fasi. Nel dettaglio, il primo step è quello di ottenere il certificato da parte del proprio medico curante. Dopodiché si inoltra la documentazione dei requisiti sanitari all’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS) avvalendosi del canale online, tramite il call center dell’Istituto di previdenza oppure chiedendo il supporto e tutta l’assistenza necessaria ad un patronato sul territorio. L’ultimo step è poi quello della visita da superare, ovverosia l’accertamento dei requisiti da parte del medico.

Quali agevolazioni sono previste per percentuali di invalidità superiori al 33,33%

Rispettato il requisito minimo di invalidità superiore al 33,33%, e superata la visita per l’accesso ai benefici per la legge 104, attualmente è prevista la concessione gratuita di ausili e protesi. Ma con percentuali di invalidità superiori alla soglia minima i benefici e le agevolazioni previste aumentano.

Nel dettaglio, con un’invalidità dal 46% in poi scatta l’accesso all’iscrizione al collocamento mirato per i disabili, dal 51% si aggiunge pure il congedo per invalidi, e dal 60% c’è pure la possibilità, per chi già lavora, di passare alle categorie protette. Per le percentuali di invalidità sopra il 66% scatta pure l’esonero dal pagamento delle tasse universitarie, e sopra il 67% c’è anche l’esenzione parziale dal pagamento del ticket sanitario.

Sopra il 74% di invalidità, oltre alla possibilità di maturare dei contributi aggiuntivi ai fini della pensione, l’INPS riconosce pure l’assegno mensile di invalidità. Per un’invalidità sopra l’80% scatta il diritto al pensionamento anticipato di vecchiaia, mentre con l’invalidità al 100% viene riconosciuta la pensione di inabilità. In più, alla pensione di inabilità, sempre in caso di invalidità al 100%, lo Stato italiano riconosce al cittadino pure l’assegno di accompagnamento. E questo quando, in particolare, l’invalidità causa la mancata autonomia nella deambulazione o comunque l’impossibilità a poter svolgere gli atti della vita quotidiana.

Noleggio auto a lungo termine: quanto è l’Iva e come si porta in detrazione?

Quella dell’auto a noleggio è in Italia una delle formule più gettonate da parte delle imprese e dei professionisti che hanno bisogno di mezzi di trasporto per esercitare la loro attività. E questo anche perché, nel rispetto di opportune condizioni, nel nostro Paese al noleggio auto è associata una fiscalità di vantaggio sull’Iva, che è attualmente al 22%, e sulla deducibilità dei costi.

Detrazione Iva e deducibilità costo noleggio a lungo termine per beni non strumentali

Nel dettaglio, ed in linea generale, le imprese ed i professionisti titolari di partita Iva, con il noleggio a lungo termine, possono portare in detrazione il 40% dell’Iva e portare in deduzione fiscale pure il 20% del costo sostenuto entro un limite massimo annuo che è di 3.615,20 euro. Queste aliquote, in particolare, valgono e sono applicabili quando l’auto noleggiata non risulta essere un bene strumentale per l’esercizio dell’attività come può esserlo invece, per un’autoscuola o per un conducente di taxi.

Per esempio, se il professionista o se l’impresa stipula un contratto di noleggio auto a lungo termine per un valore di 3.500 euro più Iva al 22%, pari quindi a 770 euro, allora la deduzione fiscale del costo sarà pari a 700 euro che è il 20% della spesa che è stata sostenuta. Mentre l’Iva che si potrà portare in detrazione sarà pari al 40% di 770 euro, ovverosia 308 euro.

Quando il costo e l’Iva per il noleggio a lungo termine sono deducibili e detraibili al 100%

La fiscalità di vantaggio per il noleggio auto a lungo termine, dal fronte della detraibilità dell’Iva e della deducibilità del costo sostenuto, si rafforza decisamente invece quando il bene risulta essere strumentale per l’esercizio dell’attività. In tal caso infatti, l’impresa o il professionista titolare di partita Iva non solo può portare in deduzione il 100% del costo sostenuto, ma può pure detrarre il 100% dell’imposta sul valore aggiunto senza alcun limite o massimale di importo.

Deducibilità costo del noleggio al 70% per l’auto aziendale data in uso ai dipendenti

La detraibilità IVA e la deducibilità del costo sostenuto, per il noleggio a lungo termine, cambia quindi in base al tipo di utilizzo del mezzo di trasporto, ma può variare anche in base a chi è destinato. Per esempio, l’impresa che noleggia un’auto aziendale da destinare ai dipendenti può beneficiare di una deducibilità del costo che è pari al 70%.

La fiscalità di vantaggio del noleggio auto a lungo termine per gli agenti di commercio

Per gli agenti di commercio, per i rappresentanti e per i soggetti assimilati, sia in forma individuale che societaria, la percentuale di deducibilità dei costi per i canoni di noleggio sale inoltre all’80% con un tetto massimo che allo stesso modo, anziché a 3.615,20 euro, sale fino a 5.164,57 euro. Mentre l’Iva è detraibile completamente.

Per gli agenti di commercio, per i rappresentanti e per i soggetti assimilati, sia in forma individuale che societaria, la fiscalità di vantaggio, in particolare, è stata introdotta con la Legge di Stabilità del 2017 al fine di equiparare i benefici fiscali con quelli legati non alla formula del noleggio, ma all’acquisto diretto di un veicolo.

Noleggio auto a lungo termine, conviene davvero ai privati?

Possedere un’auto senza doverla per forza acquistare è possibile grazie ad una formula che, originariamente accessibile solo alle imprese, può essere stipulata anche dai privati. Si tratta, nello specifico, del noleggio a lungo termine che permette di entrare in possesso di un’auto nuova per parecchi mesi pagando un canone fisso che in genere include pure la manutenzione, il bollo ed anche la copertura assicurativa obbligatoria ai fini della responsabilità civile. Ma detto questo, quando per le automobili il noleggio a lungo termine è una formula conveniente anche per i privati?

I vantaggi del noleggio a lungo termine, dalla certezza della spesa alla permuta della vecchia auto

Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che per un’auto la formula del noleggio auto a lungo termine è potenzialmente vantaggiosa quando non c’è la disponibilità economica per acquistare il veicolo in un’unica soluzione. Così come il noleggio auto a lungo termine può rivelarsi vantaggioso e quindi più conveniente anche rispetto all’acquisto di un’auto tramite un finanziamento.

Nello specifico, il noleggio auto a lungo termine è vantaggioso quando si vuole cambiare auto spesso, in media ogni 2-3 anni, quando ogni anno si percorrono tanti chilometri, e quando l’obiettivo è quello della certezza della spesa. Essendo infatti inclusa nel canone pure la manutenzione, l’automobilista con il noleggio a lungo termine è sollevato da preoccupazioni relative a guasti o a malfunzionamenti per il veicolo.

In più, il noleggio a lungo termine può rivelarsi ancor più vantaggioso quando il cliente ha una vecchia auto. E questo perché le migliori società di noleggio a lungo termine possono proporre il noleggio a lungo termine includendo pure la permuta della vecchia auto, ed in tal caso il canone mensile da pagare si abbasserà ulteriormente.

Come sottoscrivere un contratto di noleggio auto a lungo termine

Per la sottoscrizione di un contratto di noleggio auto a lungo termine bisogna in ogni caso rispettare alcune condizioni e valutare pure l’eventuale presenza di clausole come quelle relative al chilometraggio. E questo perché il canone lievita se si supera il chilometraggio a meno che non si scelga la formula illimitata che comporta un aumento del costo mensile del noleggio a lungo termine, ma che permetterà di fare un uso intensivo del mezzo senza pensieri.

In più, oltre all’assicurazione, alla manutenzione ed al bollo, nel contratto di noleggio auto a lungo termine è possibile inserire pure altri servizi accessori che spaziano dal soccorso stradale all’auto sostitutiva gratuita in caso di fermo del veicolo. In termini di percorrenza, inoltre, si può dire che il noleggio auto a lungo termine conviene anche ai privati quando la percorrenza annua supera come minimo i 15.000 chilometri.

L’automobilista, inoltre, può sottoscrivere anche contratti di noleggio a lungo termine della durata di 5 anni pagando un anticipo, che di norma è molto contenuto, e poi 60 rate mensili che, per quel che riguarda le coperture assicurative, di norma includono pure il furto e incendio e la Kasko. Ma ci sono pure società di noleggio auto a lungo termine che permettono anche di evitare di pagare l’anticipo. In tal caso l’acconto sarà incluso e spalmato sulle rate da pagare.

Start Up innovativa: per la costituzione necessario intervento notarile – La sentenza

Senza l’intervento del notaio la costituzione di una start up innovativa si presenta in tutto e per tutto come un’operazione illegittima. Questo è quanto in estrema sintesi, con la sentenza numero 2643 del 4 marzo del 2021, ha sancito la Sezione sesta del Consiglio di Stato nell’accogliere un ricorso che è stato presentato dal Consiglio Nazionale del Notariato.

Ecco perché per costituire una start up innovativa serve il notaio

La sentenza che decreta l’illegittimità della costituzione di una start up innovativa senza l’intervento e senza la presenza del notaio, di fatto rende illegittimo a cascata pure il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) del 17 febbraio del 2016. Un Decreto contro il quale, tra l’altro, il Consiglio Nazionale del Notariato aveva subito manifestato la propria opposizione presentando un ricorso dinanzi al TAR del Lazio.

Un ricorso che venne sostanzialmente respinto dal TAR del Lazio con la sentenza numero 10004 del 2017, e che ha portato il Consiglio Nazionale del Notariato, di conseguenza, a presentare il ricorso in appello al Consiglio di Stato ottenendo, invece, un pronunciamento favorevole. Un pronunciamento che, in pratica, sancisce come la costituzione di una start up innovativa senza l’intervento e senza la presenza del notaio sia illegittima in quanto risulta essere assente il necessario controllo di legalità.

Creazione online di una start up innovativa, il servizio è momentaneamente sospeso

La palla ora passa al legislatore che sarà chiamato ad intervenire proprio a seguito del pronunciamento da parte del Consiglio di Stato che, di riflesso, vieta alla start up innovativa la sua costituzione gratuita online in quanto, come sopra detto e come sopra spiegato, serve obbligatoriamente l’atto pubblico che garantisca il controllo preventivo, amministrativo e giudiziario. Non a caso, sulla piattaforma online di Infocamere attualmente si legge che il servizio risulta essere momentaneamente sospeso proprio a seguito della sentenza della Sezione sesta del Consiglio di Stato e delle conseguenti e necessarie valutazioni.

La posizione del Consiglio Nazionale del Notariato sulla costituzione delle SRL online

Il Consiglio Nazionale del Notariato, aspettando l’esito del ricorso al Consiglio di Stato, poi vinto, ha inoltre manifestato già da tempo la volontà di predisporre una piattaforma informatica unica finalizzata proprio alla costituzione delle SRL online. Ovverosia una piattaforma attraverso la quale la costituzione delle imprese, pur avvenendo senza la presenza fisica di notaio, offra tutte le garanzie di controllo a livello preventivo, amministrativo ed anche giudiziario come sopra accennato. Ovverosia l’accertamento di tutte le identità in gioco, la verifica e l’accettazione della loro volontà e, di riflesso, la conseguente stipula dell’atto unitamente a tutti i relativi adempimenti.

Già nel marzo scorso, tra l’altro, il Consiglio Nazionale del Notariato con una nota aveva fatto presente ed aveva precisato, dopo aver presentato il ricorso, di non essere per nulla contrario al modello di impresa che è rappresentato dalla start up innovativa. Ma nello stesso tempo il controllo di legalità preventivo è fondamentale per evitare che, in maniera indiscriminata, le organizzazioni malavitose facciano leva proprio su questi nuovi modelli societari che, tra l’altro, sono appetibili in quanto risultano essere agevolati in maniera significativa.

Isee: ecco tutte le agevolazioni che spettano

L’indicatore della situazione economica equivalente, che è noto semplicemente con l’acronimo di Isee, è un parametro che misura lo stato e la condizione economica di una famiglia. Così come l’Isee, a patto che sia aggiornato ed in corso di validità, è pure la chiave di accesso alla maggioranza dei bonus e delle prestazioni sociali erogate e concesse in Italia non solo dallo Stato centrale, ma anche dalle regioni e dai comuni. Ecco allora la carrellata su quali sono tutte le agevolazioni che spettano con l’Isee.

Quali sono tutte le agevolazioni che possono spettare alle famiglie con l’Isee

Nel dettaglio, con l’Isee aggiornato ed in corso di validità, le famiglie possono accedere a bonus, a prestazioni sociali e ad aiuti economici che spaziano dal reddito di cittadinanza al bonus idrico, e passando per il bonus luce e gas, ma a patto che l’indicatore della situazione economica equivalente sia inferiore ad una soglia prefissata.

Tra le agevolazioni accessibili con l’Isee, inoltre, c’è pure il bonus sul canone da pagare per la telefonia su rete fissa, il conto corrente di base gratuito, il bonus affitti e tutta una serie di prestazioni sociali a sostegno della famiglia che spaziano dal bonus bebè all’assegno di maternità, e passando per gli assegni al nucleo familiare.

In più, nell’ambito del diritto all’istruzione, le famiglie con Isee basso possono pure accedere al bonus libri per i figli, a riduzioni o esenzioni dal pagamento delle tasse universitarie, ed alla riduzione della retta per gli asili nido e per altri servizi educativi.

A chi presentare la domanda per l’accesso alle agevolazioni con Isee basso

Per ogni agevolazione o bonus che è ottenibile con l’Isee, variano non solo le soglie dell’indicatore della situazione economica equivalente da rispettare, ma pure le modalità di presentazione delle istanze. Per esempio, il reddito di cittadinanza, nel rispetto dei requisiti previsti, si può chiedere e si può ottenere presentando la domanda dal portale dell’Inps oppure con SPID dal sito Internet ufficiale della misura, oppure avvalendosi dell’assistenza sul territorio dei patronati.

Mentre la domanda per il bonus idrico, per il bonus luce e per il bonus gas si presenta al CAF oppure al Comune di residenza. Con il modulo per la presentazione dell’istanza che si può scaricare dal sito Internet dell’ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente.

Inoltre, alcune prestazioni sociali ottenibili con l’Isee sono accessibili se e solo se è stato emanato un bando. E questo vale, per esempio, per il bonus affitti che, come contributo ad integrazione del pagamento del canone di locazione, viene stabilito in base a singoli bandi comunali.

In aggiunta alle misure statali che sono accessibili rispettando le soglie Isee, inoltre, le regioni ed i Comuni possono stanziare pure altri fondi al fine di attivare misure per aiutare e per sostenere le famiglie a basso reddito. Come per esempio i bandi comunali per le famiglie a basso reddito ed anche per le imprese in difficoltà, al fine di chiedere e di ottenere, presentando la domanda, il rimborso totale o parziale della TARI.

A quale età si va in pensione nel 2021?

Con l’aumento della speranza di vita, e con gli interventi del legislatore, in genere le condizioni ed i requisiti per l’accesso in Italia alla previdenza pubblica cambiano o comunque possono cambiare di anno in anno. Per esempio, a quale età si va in pensione nel 2021?

Previdenza pubblica, dalla pensione di vecchiaia alle opzioni di pensionamento anticipato

Al riguardo c’è da dire che, fissato l’anno in corrispondenza del quale sarà possibile ritirarsi dal lavoro, la pensione di riferimento per la previdenza pubblica è rappresentata da quella di vecchiaia per la quale, in particolare, nel 2021 servono 67 anni di età ed almeno 20 anni di anzianità contributiva. Pur tuttavia, rispetto ai requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia, in Italia ci sono attualmente svariate opzioni e soluzioni di pensionamento anticipato che, nel rispetto delle condizioni previste, presentano dei requisiti che sono meno stringenti in alcuni casi sull’anzianità contributiva, ed in altri sull’età per il pensionamento.

Quali sono i requisiti 2021 per l’accesso alla pensione anticipata ordinaria

Prima della maturazione dei requisiti per la prestazione INPS di vecchiaia, il lavoratore ha la possibilità di accedere, nel rispetto dei requisiti previsti, alla pensione anticipata ordinaria per il cui ottenimento, comunque, serve un’anzianità contributiva molto alta e nessun requisito d’età.

Precisamente, per gli uomini, ben 42 anni e 10 mesi di contributi versati e, per le donne, 41 anni e 10 mesi di contributi versati da parte delle lavoratrici che sono iscritte alle gestioni previdenziali dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.

Andare in pensione con la quota 100 nel 2021, le condizioni ed i requisiti

Tra le misure di pensionamento anticipato attualmente in vigore, rispetto alla prestazione di vecchiaia ed alla pensione anticipata ordinaria, spicca la quota 100. In particolare, per andare in pensione con la quota 100 servono 38 anni di anzianità contributiva, ma rispetto alla pensione di vecchiaia il requisito dell’età scende a 62 anni.

Introdotta con il Decreto legge numero 4 del 28 gennaio del 2019, la quota 100 è una misura di pensionamento anticipata che è stata introdotta in via sperimentale per il triennio che va dal 2019 al 2021. Dal 2022, stando all’attuale orientamento del Governo italiano, la quota 100 non dovrebbe essere rinnovata o prorogata.

L’anticipo pensionistico di accompagnamento alla prestazione di vecchiaia

Per accompagnare i lavoratori verso la maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, inoltre, attualmente c’è in vigore l’APE Sociale che non è altro che un anticipo pensionistico il cui importo massimo erogabile è pari a non oltre 3 volte l’assegno sociale.

Per l’accesso all’APE sociale, nel dettaglio, servono minimo 63 anni di età, un’anzianità contributiva di 30-36 anni di contributi versati, e l’appartenenza alle cosiddette categorie deboli. Ovverosia lavoratori che sono disoccupati, addetti a mansioni gravose, lavoratori precoci, lavoratori disabili o che assistono parenti con disabilità o con gravi patologie invalidanti.

Il lavoratore o la lavoratrice che percepisce l’APE Sociale prenderà l’assegno di accompagnamento fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia o di altre prestazioni previdenziali che prevedano l’erogazione del trattamento da parte dell’INPS in anticipo. Inoltre, l’APE Sociale è una prestazione INPS che, tra l’altro, non è compatibile con l’accesso agli ammortizzatori sociali.