Libretto famiglia, ecco a chi conviene e come fare

I soggetti che intraprendono una attività lavorativa in modo saltuario, non continuativo e sporadico, rientrano nella disciplina delle prestazioni di lavoro occasionale. Un apparato normativo  introdotto dall’articolo n° 54 bis della legge n° 96 del 21 giugno 2017, quando fu convertito in legge il decreto n° 50 del 24 aprile 2017.

Le prestazioni di lavoro occasionale quindi, sono utilizzabili nel momento in cui un lavoratore intende lavorare senza carattere di continuità. Lo strumento Inps adatto a tale esigenza è il libretto famiglia. Si tratta di uno strumento che ha sostituito i vecchi voucher.

Prestazioni di lavoro occasionale e libretto famiglia

Gli utilizzatori delle prestazioni di lavoro occasionale possono acquisirle per il tramite del libretto famiglia. In pratica è un libretto composto da tanti buoni lavoro, nominativo (perché è intestato al lavoratore e non può essere utilizzato per altri soggetti), e prepagato.

Il libretto è così composto da tanti buoni lavoro da 10 euro cadauno. Ogni buono da 10 euro può essere speso come corrispettivo per una sola ora di lavoro. Infatti come si legge sulla scheda informativa dell’Inps, la durata dell’attività lavorativa non può superare un’ora di lavoro per ciascun buono utilizzato.

L’interessato a sfruttare il lavoro di un soggetto che svolge attività con carattere saltuario, può acquistare il libretto famiglia versando il corrispettivo per i buoni che intende comperare (in pratica per le ore di lavoro che intende sfruttare da parte del lavoratore).

Il versamento può essere fatto anche da casa, tramite il Portale dei Pagamenti o mediante il modello F24. Va detto con assoluta precisione che tale strumento si rivolge esclusivamente  a persone fisiche e non nell’esercizio di attività professionali o di impresa.

Libretto famiglia, come funziona?

L’utilizzo del libretto famiglia, oltre che per lavoro continuo, ha delle eccezioni al suo utilizzo. Quando si parla di prestazioni di lavoro occasionale in senso stretto, occorre ricordare i limiti reddituali a cui si è assoggettati per non essere considerati lavoratori in pianta stabile.

Nel lavoro occasionale si deve distinguere tra due figure, cioè il prestatore, che è colui che effettua la prestazione lavorativa, e l’utilizzatore, che è colui che usa il lavoratore e che lo paga tramite il libretto famiglia.

Limiti previsti per utilizzatori e prestatori nel libretto famiglia

In entrambi i casi c’è il limite dei 5.000 euro per anno solare riferito alla prestazione oggetto di questo rapporto di lavoro “particolare”.

Il prestatore, a prescindere dal numero di utilizzatori, non può superare i 5.000 euro come compensi per il tramite del libretto famiglia. Stesso discorso, pur se inverso, per gli utilizzatori, che non possono superare i 5.000 euro di buoni lavoro spesi a prescindere dal numero di prestatori utilizzati nell’anno solare di riferimento. Per rapporti tra un medesimo utilizzatore ed un altrettanto medesimo prestatore, la soglia annua è fissata in 2.500 euro.

Occorre ricordare che le cifre prima citate riguardano importi al netto di contributi, costi di gestione e spese. Nel caso di prestatori che sono pensionati (pensione di vecchiaia e di invalidità), oppure giovani studenti under 25, disoccupati e beneficiari di prestazioni a sostegno del salario, il compenso va calcolato al 75% dell’importo effettivo. Non si può usare il libretto famiglia con lavoratori con cui l’utilizzatore ha avuto rapporti lavorativi negli ultimi 6 mesi. Questo sia come lavoro dipendente che anche solo come Co.Co.Co.

Altre sfaccettature dello strumento per il lavoro occasionale

Colui che assume il ruolo di prestatore nel libretto famiglia ha diritto ad essere iscritto presso la Gestione Separata Inps, quindi all’assicurazione previdenziale e assistenziale per la vecchiaia, l’invalidità e i superstiti.

Al prestatore dei 10 euro di cui consta il buono del libretto famiglia, vanno 8 euro per ora di lavoro. Infatti, 1,65 euro riguardano la contribuzione IVS alla Gestione Separata,  0,25 euro sono come contributo Inail, e  0,10 euro sono il corrispettivo per i cosiddetti oneri gestionali.

Per quanto detto, sono numerose le limitazioni all’utilizzo del libretto famiglia, ma altre limitazioni sono di carattere strettamente lavorativo. Infatti non tutte le attività lavorative possono essere remunerate tramite il libretto famiglia da un utilizzatore. Le attività sono predefinite e specifiche e sono: elencate dall’Inps nella sua scheda informativa sul portale istituzionale. Tali attività, come testualmente riporta l’Istituto sono:

  • Piccoli lavori domestici, inclusi i lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione;
  • Assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità;
  • Insegnamento privato supplementare.

Nuovo reddito di emergenza, novità in arrivo dalla UE

Nessuna proroga del reddito di emergenza è stata prevista fino a questo momento. La cosa è ormai nota visto che il reddito di emergenza è cessato lo scorso anno e che il governo con la nuova legge di Bilancio non ha previsto nulla al riguardo.

Subito smontate le speranze che molti italiani avevano e che si collegavano allo stato di emergenza ed al Green pass. Infatti il governo ha deciso di prorogare lo stato di emergenza fino al 31 marzo. Inoltre continua con le ristrettezze dettate anche al lavoro da Green pass base o super Green pass. In pratica, emergenza e limitazioni proseguono, ma evidentemente ciò che da un lato si considera pesante (emergenza epidemiologica, obbligo vaccinale e limitazioni), non vale per le famiglie bisognose di aiuto.

Ma è dalla UE che tornano le speranze per queste famiglie in difficoltà. Infatti corre voce (ma si tratta di indiscrezioni senza conferme ufficiali), che l’Europa, alla luce della prosecuzione della situazione pandemica, avrebbe in mente un nuovo sussidio.

Un nuovo reddito di emergenza, magari con un nome diverso e senza Isee

Un nuovo sussidio ma non italiano, bensì europeo. È la notizia che molti siti e media in queste ore stanno lasciando trapelare. Infatti al posto del reddito di emergenza potrebbe sopraggiungere un nuovo sussidio, stavolta a carattere europeo e pure scollegato da Isee o simili.

In linea di massima oggi il nostro governo opera con due pesi e due misure come già detto in premessa. La situazione resta grave e meritevole di attenzione per quanto concerne l’obbligo vaccinale over 50, lo stato di emergenza, le colorazioni delle regioni e i Green pass obbligatori perfino per andare a prendere la pensione. Ma non è così dal punto di vista economico, perché vengono via via cancellati tutti gli aiuti introdotti in questi due anni per fronteggiare l’emergenza sanitaria, quasi che il governo da questo punti di vista consideri il ritorno alla normalità cosa fatta.

E così anche del Rem, acronimo di Reddito di emergenza, non si parla più. Dalla UE però inizia a trapelare l’intenzione di prevedere un nuovo sussidio, un autentico Reddito di Base Universale scollegato da qualsiasi vincolo patrimoniale o requisito reddituale. In altre parole, nessun collegamento con l’Isee come siamo abituati in Italia.

Reddito universale di base in Europa, ecco il punto della situazione

Sarà rimasto deluso chi si aspettava ancora qualche altra mensilità del reddito di emergenza. Le buone notizie dalla UE però ci sono, anche se al momento è solo una semplice ipotesi e pure lontana nel tempo. Del Reddito universale di base a livello UE se ne parla da tempo. Ciò che ha spinto diversi siti e media a dare la notizia è solo la conferma che si dovrebbe tornare ad affrontare l’argomento a giungo 2022, al Parlamento Europeo è attesa per giugno 2022.

Il sussidio già nella sua fase iniziale, cioè basata sulle discussioni su una proposta, ha avuto parere favorevole da molti a Bruxelles. La speranza di molti è che dalla fase embrionale si passio alla definizione del tutto, anche se noi ipotizziamo tempi molto lunghi. Anche perché sarebbe un sussidio che è scollegato pure dalla situazione attuale.

Infatti non si parla di misura emergenziale o temporanea dovuta al Covid e alla crisi economica scaturita per la pandemia. Si parla soprattutto di una misura definitiva, strutturale, che per esempio, una volta introdotta dovrebbe sostituire in Italia anche il reddito di cittadinanza.

Bonus Irpef: le tre opzioni del lavoratore, come scegliere

Il bonus Irpef 2022 o trattamento integrativo è una misura che anche nel corrente anno riguarderà moltissimi lavoratori. Il trattamento integrativo che ha sostituito da luglio 2020 il bonus Renzi, anche quest’anno è appannaggio di lavoratori che rispettano determinate caratteristiche.

Parliamo del bonus introdotto con il cosiddetto taglio del cuneo fiscale che consta in un benefit massimo di 100 euro al mese. La manovra di Bilancio 2022, per via della riforma del Fisco e dei nuovi scaglioni Irpef ha rimodulato questo trattamento integrativo. Alla proroga della misura infatti si è affiancata una rivisitazione della stessa che ne ha drasticamente ridotto la portata.

Resta comunque un bonus fruibile da molti, anche se in misura intera la platea dei beneficiari si riduce. Restano infine le opzioni per poterlo percepire, perché deve essere il lavoratore a scegliere come ottenerlo se spettante.

Bonus Irpef 2022, si cambia, tutte le novità introdotte in manovra per l’anno in corso

Ciò di cui parliamo riguarda il 2022 come anno di imposta. Infatti il 2021 è passato e sarà oggetto, in quanto anno di imposta, delle dichiarazioni dei redditi che presto i contribuenti presenteranno. In pratica, sul 2021 non si può intervenire. Resta una annualità importante quella precedente, perché è il primo anno di completa applicazione del trattamento integrativo. Il 2020 infatti fu diviso in due, con il bonus Renzi in funzione da gennaio a giugno e con il trattamento integrativo da luglio a dicembre.

Tornando all’anno in corso, l’articolo n° 1 comma 3 della legge di Bilancio 2022 ha portato la soglia reddituale utile alla fruizione per intero (100 euro al mese e 1.200 euro per anno) del beneficio a 15.000 euro. Nel 2021 tale soglia era fissata a 28.000 euro. Per chi ha redditi superiori, e fino a 40.000 euro, il bonus Irpef è ridotto in forma via via decrescente fino ad azzerarsi per redditi che superano la cifra massima prima citata. La differenza è sostanziale visto che fino al 2021 questa riduzione partiva da contribuenti con redditi a partire da 28.001 euro.

Tutto nasce, sempre dalla legge di Bilancio 2022 che ha fatto entrare in vigore la riforma fiscale con il suo passaggio da 5 a 4 scaglioni Irpef. Per questo il bonus Irpef da 100 euro al mese per il 2022 è appannaggio di una platea più piccola di beneficiari.

Bonus 100 euro 2022

Il bonus viene recuperato mensilmente con le buste paga da parte dei lavoratori. Infatti è il datore di lavoro ad anticiparlo insieme al normale stipendio del mese. Da quest’anno viene meno però la salvaguardia per gli incapienti. Si torna quindi a quanto già previsto per il credito Irpef del bonus Renzi. In pratica, beneficio riconosciuto nel caso in cui l’imposta lorda dovuta sui redditi di lavoro dipendente o assimilato è di importo superiore alla detrazione prevista per redditi di questo genere.

Il pratica, il bonus Irpef da 100 euro al mese non spetta a chi ha redditi inferiori a 8.145,00 euro. Si tratta della no tax area per definizione, dal momento che fino a quella soglia l’imposta lorda viene azzerata dalla detrazione per lavoro dipendente o assimilato.

Per recuperare il bonus, non occorre una domanda specifica. Ma forse sarebbe meglio dire, che senza una domanda, il datore di lavoro deve erogare in automatico tale bonus in busta paga e mese dopo mese. Il lavoratore però può optare per riceverlo tutto a conguaglio a fine anno.

A dicembre di ogni anno infatti, il datore di lavoro effettua i conguagli fiscali dal momento che solo a fine anno (o in caso di interruzione del rapporto di lavoro), si ha consapevolezza definita del reddito del lavoratore.

Perché scegliere di non fruire del bonus mensilmente

A dicembre in sede di conguaglio, non è raro trovarsi in casi in cui il lavoratore deve restituire alcuni bonus e benefit percepiti durante l’anno. Questo vale naturalmente anche per il trattamento integrativo che può essere erogato dal datore di lavoro considerando sotto i 15.000 euro di reddito annuo il suo dipendente.

Ma è una considerazione preventiva questa, dal momento che poi a dicembre come già detto, si avrà la consapevolezza del reddito complessivo del lavoratore. Chi si trova in situazioni particolari, per evitare di dover restituire soldi magari spesi in precedenza, potrebbe optare per la richiesta di spostare il bonus solo in sede di conguaglio. In altri termini a fine anno il datore di lavoro erogherebbe il reale bonus spettante alla luce del reddito ufficiale del lavoratore.

Va ricordato che la normativa sui conguagli prevede una salvaguardia. Infatti nel caso in cui la somma da restituire sia superiore a 60 euro, il recupero può essere effettuato in 8 rate. Altra novità questa dal momento che con il bonus Renzi in sede di conguaglio le cifre in più corrisposte erano trattenute tutte insieme in busta paga.

I problemi da evitare con il trattamento integrativo

Comunicare al datore di lavoro di voler far slittare il bonus a fine anno è una opzione valida per evitare i problemi prima citati. Difficoltà del datore di lavoro che si ripercuotono inevitabilmente sui lavoratori dipendenti. Il datore di lavoro in assenza di comunicazioni da parte del lavoratore, non potrà che erogare il bonus mese per mese, ma partendo da una simulazione del reddito complessivo del lavoratore.

Simulazione che può non tenere in considerazione altri redditi in capo allo stesso dipendente come possono essere  i redditi erogati da altri datori di lavoro per chi ha più di un rapporto. Infatti ogni datore di lavoro senza comunicazioni diverse da parte del lavoratore, erogherà il bonus come se il lavoratore di reddito avesse ciò che lo stesso datore di lavoro eroga.

Anche con il 730 si può recuperare il bonus Irpef spettante

Il problema delle somme in più corrisposte sopraggiungerebbe nel momento in cui un lavoratore supera la soglia dei 15.000 euro cumulando diversi redditi da lavoro con diversi sostituti di imposta e quindi datori di lavoro. La soluzione sarebbe il comunicare al datore di lavoro quanto si è percepito da altri datori di lavoro.

Soluzione che però non azzererebbe del tutto il rischio di conguagli con segno meno perché come dicevamo, fino a dicembre la certezza del reddito non può essere acclarata.

Questa è la fattispecie tipica di un lavoratore che farebbe meglio a scegliere di ricevere il benefit a conguaglio a fine anno. Il lavoratore che prevede di ricevere redditi complessivi superiori a 15 mila euro potrebbe dover scegliere. E potrebbe dover chiedere al datore di lavoro la non liquidare in busta paga del trattamento integrativo. Si può infatti arrivare anche alla rinuncia del trattamento integrativo in busta paga, che non compromette comunque la possibilità di godere lo stesso del bonus. Il lavoratore infatti lo potrà eventualmente ricevere anche in sede di dichiarazione dei redditi quando sarà noto il reddito complessivo dell’anno. Questa soluzione è ancora migliore di quella a conguaglio nel caso di datori di lavoro particolari, di cui non ci si fida al 100%. Stesso  discorso per i contribuenti che hanno a che fare con dichiarazioni dei redditi altrettanto particolari e con Irpef elevata.

Pensioni: entro il 28 febbraio l’adempimento del RED, ecco cosa dice l’Inps

Chiunque prende una pensione integrata al trattamento minimo, o integrata da maggiorazioni, o ancora, con parte di assegno collegata a prestazioni assistenziali o reddituali, devono effettuare un adempimento. Si chiama modello RED.

E si tratta di un adempimento molto importante dal momento che in assenza di questo, si rischia la sospensione o addirittura la revoca delle prestazioni prima citate. Parliamo naturalmente del già citato modello RED, comunicazione reddituale ma non solo, con cui devono avere a che fare tutti i pensionati che hanno determinati trattamenti pensionistici e che non sono tenuti a presentare la dichiarazione dei redditi.

La comunicazione Inps

Come dicevamo, l’Inps nella sua consueta area denominata “Inps Informa”, avvisa gli utenti che sta per arrivare il termine ultimo per provvedere ad espletare l’adempimento relativo al RED. Nello specifico si legge che, per evitare la revoca delle prestazioni legate al reddito è necessario inviare all’Inps la dichiarazione reddituale (RED) relativa all’anno 2019. Il termine è fissato per il 28 febbraio.

Sempre l’Istituto comunica che l’interessato può provvedere all’adempimento, in maniera autonoma, per il tramite servizio  “Dichiarazione reddituale – RED semplificato“. Tale applicativo è disponibile sul sito istituzionale dell’Inps. Naturalmente per quanto detto in precedenza, occorre prestare attenzione all’anno di riferimento del modello.

Infatti l’applicativo permette di completare il modello con annesso invio telematico dello stesso, per diversi anni. Quello che conta per l’adempimento di cui parla l’Inps è solo l’anno 2019 e pertanto occorre aver cura di selezionare il 2019 come anno di riferimento della dichiarazione reddituale.

Come adempiere all’obbligo del modello Red

L’adempimento può essere effettuato accedendo alla propria area riservata del sito Inps, precisamente a quella area chiamata “My Inps”. Una volta collegati occorre autenticarsi. Cliccando nell’area My Inps si aprirà la finestra relativa alle varie modalità di autenticazione. Le possibilità sono 3 ovvero, lo Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale, la CIE (Carta di Identità Elettronica e la CNS (Carta Nazionale dei Servizi).

Con queste modalità l’interessato potrà adempiere in piena autonoma alla compilazione del modello Red e al suo successivo invio. La procedura termina con la ricevuta di avvenuta presentazione scaricabile e stampabile. Naturalmente occorre compilare il modello con tutti i dati reddituali dell’0anno 2019 richiesti dal formulario.

In alternativa a quello che possiamo definire “fai da te”, restano sempre i canali accessibili mediante delega. Parliamo di Patronati, Caf (Centri di Assistenza Fiscale), commercialisti e qualsiasi altro soggetto autorizzato. Strutture queste che possono assistere, il più delle volte gratuitamente, il diretto interessato ad adempiere correttamente a questo obbligo.

Bonus per donne disoccupate, requisiti e vantaggi

Non è una novità assoluta perché ormai sono diversi gli anni di funzionamento della misura conosciuta come bonus donne disoccupate. Fatto sta che anche nel 2022 questo beneficio è appannaggio dei datori di lavoro che scelgono di ampliare l’organico dipendenti proprio assumendo nuove lavoratrici precedentemente disoccupate.

Vediamo nel dettaglio come funziona il bonus assunzioni che fu introdotto dalla legge Fornero del governo Monti nel 2012.

Bonus donne disoccupate 2022, perché?

Si tratta di un incentivo all’assunzione di donne disoccupate. Una misura che funziona da diversi anni e che per il 2022 resta potenziata così come lo è stata per il 2021. La misura come è evidente, nasce per limitare il fenomeno delle differenze di genere che il mondo del lavoro purtroppo presenta. Per questo come vedremo dopo, il bonus, pur se si parla di disoccupate, riguarda anche lavoratrici occupate in particolari settori lavorativi dove la disparità di genere come numero di addetti è sproporzionata a favore degli uomini.

Le donne erano e restano lo spaccato più penalizzato dal mondo del lavoro, oggettivamente spostato verso i maschi. Lo dimostrano i dati che parlando di una netta predominanza maschile nel mondo del lavoro. E lo dimostrano anche le carriere lavorative delle donne, raramente costellate da carriere lunghe e duratura come per i colleghi maschi.

Tetto massimo 6.000 euro per l’incentivo

Il bonus assunzioni per le donne nasce proprio per favorire l’occupazione al femminile, offrendo sconti sul costo del lavoro ai datori di lavoro che pensano al mondo femminile per ampliare l’organico dipendenti.

Entrando nel dettaglio del bonus, per il 2022 esso consta di uno sgravio dei contributi che il datore di lavoro deve versare a nomee per conto della lavoratrice. Uno sgravio al 100% fino alla soglia massima di 6.000 euro annui comprensivi anche dei versamenti Inail sugli infortuni sul lavoro.

Il bonus donne disoccupate nel dettaglio

Occorre rispettare determinate condizioni sia da parte del datore di lavoro che da parte della lavoratrice per completare la procedura di benefit. In primo luogo va sottolineato che l’assunzione incentivata deve essere a tempo indeterminato. Non è fattore discriminante la modalità di assunzione a tempo indeterminato che può essere a giornata intera o anche part-time.  L’assunzione a tempo indeterminato consente di godere a pieno dell’agevolazione, perché per le assunzioni a tempo determinato o per la trasformazione di un precedente rapporto di lavoro anche esso agevolato, l’incentivo viene drasticamente ridotto.

Va sottolineato che tale bonus può essere fruito anche su una lavoratrice a contratto di somministrazione. Parliamo di quei lavoratori che vengono assunti per il tramite della agenzie di lavoro interinale. In questo caso è evidente che il benefit spetta alla stessa agenzia di somministrazione e non all’azienda presso cui il lavoratore è mandato a lavorare proprio dall’agenzia.

Bonus assunzioni 2022

La durata di questo incentivo, sempre fino alla già citata soglia di 6.000 euro annui di sgravio, varia in base alla tipologia di assunzione applicata. Massimo 18 mesi per le assunzioni a tempo indeterminato. Sempre di 18 mesi massimo è la fruizione del benefit nel caso di trasformazione di un contratto precedentemente a tempo determinato, in uno a tempo indeterminato. Ma occorre ricordare che la trasformazione del precario in lavoratore dipendente in pianta stabile, per essere agevolato per18 mesi deve sopraggiungere nei primi 12 mesi di continuità del rapporto di lavoro a tempo determinato.

La durata massima del beneficio è di 12 mesi invece, per le assunzioni a tempo determinato o pre le proroghe di assunzioni di questo genere.

Bonus donne disoccupate, i requisiti della lavoratrice

Per godere del beneficio la lavoratrice che si va ad assumere deve rispettare una serie di condizioni. La lavoratrice deve essere:

  • Disoccupata da almeno 6 mesi se proveniente da settori con una netta discriminazione in materia di rapporto uomo/donna come occupazione;
  • Occupata in determinati settori lavorativi come previsto dalla normativa vigente e dalle direttive ministeriali annuali;
  • Disoccupata da almeno 12 mesi;
  • Residente in una delle Regioni del Mezzogiorno.

Altre cose utili per le lavoratrici

I requisiti prima citati sono alternativi tra loro. Entrando nel dettaglio di questi vincoli, va sottolineato che lo status di disoccupazione non deve necessariamente passare per l’attestazione del Centro per l’Impiego competente territorialmente.

Da sottolineare infine che l’incentivo per le assunzioni spetta anche alle over 50, disoccupate da almeno 13 e iscritte all’Ufficio di Collocamento con DID (Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro) sottoscritta presso lo stesso centro. Se lo stato di disoccupazione è di lunga data, cioè almeno di 2 anni, non esistono limiti di età della lavoratrice per godere di questo beneficio.

I requisiti del datore di lavoro

Il bonus avvantaggia la lavoratrice facilitando la sua assunzione, ma agevola il datore di lavoro abbassando i costi del lavoro che avrebbe da sostenere. Per questo alla serie di requisiti che la lavoratrice deve detenere, se ne affiancano altri che riguardano il datore di lavoro. Ed anche in questo caso parliamo di requisiti fondamentali per la riuscita della richiesta di incentivazione all’assunzione.

In primo luogo serve che il datore di lavoro risulti in regola con i versamenti contributivi. In sostanza serve essere in regola con il Durc, appunto il documento unico di regolarità contributiva. Naturalmente non basta il Durc in regola.

Infatti il datore di lavoro deve essere in regola con il rispetto di tutte le normative previste dalla normativa vigente in materia di lavoro, nonché da tutti i vincoli di occupazione e assunzione imposti dal CCNL di categoria applicato. Inoltre, le assunzioni agevolate devono essere inserite in un piano di incremento occupazionale. In pratica, non si può ridurre personale e poi sfruttare le assunzioni agevolate sostituendo i fuoriusciti che non godevano di incentivi, con i nuovi lavoratori agevolati in materia di versamento dei contributi.

Assegno mensile di assistenza invalidi 74%, guida 2022

Rispettando determinate condizioni alcuni invalidi possono rientrare in una misura poco nota ma abbastanza importante. Si chiama assegno mensile di assistenza, ed è una misura economica concessa ai mutilati e agli invalidi civili. Servono alcuni requisiti specifici, cioè una determinata età, una determinata condizione reddituale e un altrettanto determinato grado di invalidità.

Assegno mensile di assistenza, i requisiti

Entrando nel dettaglio della misura, va detto che negli anni ciò che è cambiato radicalmente è l’età a partire dalla quale la misura può essere percepita.
Infatti si è passati da 65 anni fino al 2012, a 65 anni e tre mesi dal 2013, per poi arrivare ai 66 anni e 7 mesi fino al 2019 ed ai 67 anni di oggi.
La misura riguarda gli invalidi con una percentuale di disabilità accertata pari ad almeno il 74%.
Oltre ai canonici requisiti utili per la stragrande maggioranza delle prestazioni assistenziali e previdenziali oggi vigenti, serve anche una determinata condizione reddituale.
Per accedere all’assegno ordinario di assistenza, occorre essere un cittadino italiano o dell’Unione Europea. Possibile pure per un extracomunitario, ma in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Serve inoltre che il richiedente sia effettivamente residente in Italia.

La condizione reddituale per l’assegno mensile di assistenza

La misura si rivolge esclusivamente al soggetti con età compresa tra i 18 ed i 67 anni. Va ricordato che al compimento dei 67 anni di età questo assegno cessa di essere erogato. Dai 67 anni infatti, automaticamente e d’ufficio, la prestazione viene trasformata nell’assegno sociale sostitutivo.
Per quanto riguarda la condizione reddituale invece, i limiti di reddito utili alla fruizione dell’assegno vengono aggiornati dall’Inps annualmente. Al momento, come si legge sul sito ufficiale dell’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano, tale soglia è fissata a  4.931,29 euro come reddito imponibile ai fini Irpef.
Per il paletto del requisito reddituale, si considerano i redditi dell’anno in cui si presenta domanda. Tali redditi quindi vanno  dichiarati dall’interessato in via presuntiva. Questo in prima liquidazione, perché per la continuità di fruizione, cambia tutto. Infatti per gli anni successivi vanno considerati i redditi percepiti nell’anno solare di riferimento se trattasi di redditi da pensione e nell’anno precedente per le altre tipologie di redditi.

Collocamento al lavoro, l’adempimento obbligatorio per i beneficiari

La fruizione dell’assegno mensile di assistenza dal 2008 non è più collegato alla condizione di incollocabilità lavorativa del soggetto beneficiario. Basterà infatti dichiarare in sede di domanda che non so svolge alcuna attività lavorativa.
Difatti, entro determinate soglie, lavorare non impedisce all’interessato la fruizione di questo assegno.Tutto questo come da orientamento introdotto dal 2008. L’importante è che vengano rispettati i limiti di reddito provenienti dall’attività lavorativa svolta. Inoltre è importante che si tratti di attività lavorativa minima.
La persona disabile che è impegnata in una attività lavorativa, può lo stesso percepire l’assegno. Ma non deve superare il reddito personale annuo pari a 7.500 euro se di tratta di lavoro dipendente e 4.500 euro se si tratta di lavoro autonomo.
Occorre comunque che l’interessato sia iscritto alle liste di collocamento presso gli Uffici Territoriali del Lavoro. Solo se l’interessato è stato dichiarato incollocabile al lavoro, l’assegno viene concesso comunque. In pratica, anche in assenza di iscrizione alle liste di collocamento beneficio garantito. Obbligo di iscrizione che non si applica nemmeno ai soggetti che dimostrano di frequentare corsi di studio.

Assegno mensile di assistenza e cause di incompatibilità per determinati invalidi

 
L’assegno mensile di assistenza è incompatibile con qualsiasi altra prestazione concessa e legata alla medesima invalidità, anche se si tratta di rendite Inail,  di prestazioni per cause di servizio, cause di lavoro o di guerra.
Incompatibilità acclarata anche per qualsiasi altra pensione di invalidità Inps. Parliamo dell’assegno di accompagnamento,delle pensioni di inabilità e così via.

Importo della misura e altre notizie utili per gli invalidi

L’importo dell’assegno è fisso e viene erogato mensilmente su 13 mesi. Nel caso si percepiscano altre prestazioni per invalidi che rientrano nei casi di incompatibilità prima citati, la normativa concede all’interessato la facoltà di scegliere il trattamento più favorevole.
Ogni anno è l’Inps a determinare tramite decreto, l’importo valido per l’anno di riferimento. In attesa delle novità 2022,  l’importo mensile della prestazione è di 287,09 al mese.
L’assegno mensile di assistenza decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.
Ogni anno, entro marzo, i beneficiari dell’assegno mensile di assistenza devono presentare una dichiarazione di responsabilità. Si tratta dell’autocertificazione in cui si dichiara il mantenimento dei requisiti previsti per beneficiare della prestazione.
Va ricordato che contrariamente a tutte le altre prestazioni assistenziali di questo tipo, il ricovero in strutture ospedaliere o assistenziali, non è ostativo. Infatti, pure se a carico dello Stato, non sono incompatibili con la fruizione della misura.
Da tenere a mente infine che la residenza è requisito cardine della misura. Infatti, a prescindere dalla cittadinanza o dai permessi, il soggetto non più residente in Italia perde il diritto alla concessione di questo assegno mensile di assistenza per invalidi. Essendo questa una prestazione di carattere meramente assistenziale, come normativa vuole per questo genere di misure, non può essere erogata a soggetti residenti all’estero.

Le pensioni anticipate del passato una rovina, dal 2023 si cambia

Se c’è un esperto di pensioni in Italia, uno che da tempo è addentrato nel sistema, questo è senza ombra di dubbio Alberto Brambilla. Si tratta del Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali. Diverse altre volte in passato, Brambilla ha parlato di pensioni arrivando più volte a proporre misure e soluzioni. Proposte queste, atte a rispondere alle esigenze di riforma della previdenza sociale. Stavolta il Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali interviene a gamba tesa criticando le vecchie riforme e suggerendo politiche idonee ad una profonda riforma.

Perché sulle pensioni in passato tutto è stato sbagliato

Alberto Brambilla stavolta passa ad attaccare le riforme previdenziali del passato, arrivando a parlare di stretta per la nuova riforma che dovrebbe partire dal 2023. Quando si parla di stretta in materia previdenziale, le notizie non sono positive. Stretta significa limitare le uscite troppo anticipate, inasprire ulteriormente le misure pensionistiche, già oggi aspre.

“Basta con le pensioni anticipate” è ciò che si legge sul quotidiano il Messaggero e sono le parole di Alberto Brambilla, che parla di rovina dell’Italia proprio in riferimento alle vecchie riforme. Secondo il Presidente di Itinerari Previdenziali, è da ricercare nelle pensioni anticipate troppo facili la colpa di un sistema non propriamente virtuoso dal punto di vista della sostenibilità.

In sostanza, per via delle pensioni troppo facilmente erogate in passato, il sistema sta scoppiando e i giovani di oggi dovranno lavorare sempre di più in futuro per accedere alla pensione.

L’analisi del Centro Studi Itinerari Previdenziali, uno spaccato desolante del sistema

L’analisi del Centro Studi Itinerari Previdenziali di cui Brambilla è Presidente, parla di un trentennio disastroso. Infatti il disastro sulle pensioni nasce tra il 1965 ed il 1997, con tanti, forse troppi lavoratori mandati in pensione troppo presto. È il caso delle pensioni con 14 anni 6 mesi ed un giorno di lavoro, appannaggio storicamente delle lavoratrici statali con figli a carico e sposate. Le cosiddette baby pensioni che tante critiche hanno riscosso in passato.

L’analisi di Itinerari Previdenziali è piuttosto approfondita e si estende anche a chi in quei 30 anni riusciva ad andare in pensione con solo 19 anni  6 mesi ed un giorno di lavoro o con 25 anni di contributi (per esempio i lavoratori degli enti locali).

Eloquente come funzionava il sistema fino al 1981, quando si andava in pensione con la quiescenza di anzianità a 50 anni di età.

Un impatto devastante anche sulle pensioni di oggi

L’impatto di queste misure così vantaggiose come uscite dal lavoro si manifesta ancora oggi, perché stando al dossier che presto Itinerari Previdenziali presenterà in Senato, i numeri sono eloquenti.  Oggi a carico dello Stato ci sono ancora 476mila pensioni che vengono pagate da 44/46 anni. Una enormità per il sistema, un peso enorme per le casse dello Stato. Si mette in luce il fatto che in passato le pensioni venivano usate come ammortizzatori sociali, ma gravando sulla spesa previdenziale.

E ritorna in mente l’annoso problema relativo al dividere l’assistenza dalla previdenza. Infatti quando si calcola la sostenibilità del sistema, oppure la spesa pubblica per le pensioni, dentro il calderone finiscono anche le misure assistenziali, che sono un’altra cosa.

Secondo Brambilla le pensioni per essere sostenibili e per essere eque non dovrebbero essere pagate ai beneficiari per più di 25 anni (se non addirittura 20).

 

Cosa andrebbe fatto secondo Itinerari previdenziali sulle pensioni

I conti sono presto fatti se per Brambilla il periodo massimo in cui lo Stato può accollarsi l’onere di pagare la pensione ad un lavoratore è tra i 20 ed i 25 anni. Bisogna calcolare la vita media degli italiani. Evidente che la pensione non può certo essere erogata prima dei 60 anni e forse nemmeno a 61 o 62 anni.

Secondo Itinerari Previdenziali infatti, oggi in Italia si va in pensione troppo presto mediamente, intorno ai 62 anni e mezzo di età. Negli altri Paesi invece la soglia è vicina ai 65 anni.  Come dire, la pensione con opzione donna a partire dai 58 anni di età o quella che parte dalla stessa età per i militari, non potranno che essere debellate dal nostro ordinamento.

Una rivisitazione completa del sistema che guarda in su come età pensionabile quindi, con buona pace di chi chiedeva vie di uscita ad anagrafica inferiore. Un duro colpo anche per i sindacati, che il 15 febbraio saranno impegnati al tavolo con il governo per parlare proprio di pensioni. Immaginare oggi che il governo possa dire di si ad una ipotetica quota 41 per tutti o ad una altrettanto ipotetica flessibilità dai 62 ani è assolutamente azzardato.

Soprattutto alla luce di questa analisi del Centro Studi Itinerari Previdenziali del Presidente Alberto Brambilla.

Auto estera non va immatricolata in Italia, la Corte UE lo sancisce

Non è lecito il provvedimento del governo italiano che limita l’uso di auto estere in Italia. Parliamo dello stop imposto dal governo Conte uno per chi usava la propria auto estera, cioè con targhe straniere pur essendo residenti in Italia.

Il provvedimento, discusso fin da subito, adesso riceve il duro colpo da parte della Corte UE che sancisce come questo provvedimento vada contro ad alcuni provvedimenti dell’Unione Europea.

Persone e merci, In UE vige la libera circolazione

In pratica, un netto stop all’obbligo di immatricolare da capo l’auto in Italia per chi ha la targa estera e risiede in Italia. È stata la Corte Europea che è intervenuta in materia. Infatti la Corte UE ha sancito che il provvedimento emanato a suo tempo dal governo italico, precisamente dal decreto Sicurezza di Salvini, andava contro le regole ordinarie di libera circolazione di persone e merci in area Euro.

L’accusa è quella di aver prodotto una specie di tassa sulla circolazione dei veicoli a motore che una volta in Italia, dovrebbero essere reimmatricolati.

Quindi, illecita la norma che prima, vietava di mettersi alla guida di un veicolo con targa estera per chiunque era residente in Italia da più di 60 giorni. È quanto stabiliva il decreto sicurezza di Matteo Salvini.

Ed illecita secondo la Corte UE pure la norma che concede 3 mesi dall’ingresso in Italia come lasso di tempo per immatricolare di nuovo l’auto in Italia, norma quest’ultima di recente inserimento nella normativa.

È proprio l’obbligo di immatricolare nuovamente in Italia una auto già immatricolata all’estero quello che i giudici UE adesso considerano illecito.

Cosa succede adesso

Contrastare i furbetti delle targhe estere era alla base delle ferree regole introdotte dal

decreto Sicurezza dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ma si tratta di norme contrarie alle regole europee, soprattutto perché obbligando i proprietari ad una nuova immatricolazione, finisce con il tassarli due volte. E vietando la circolazione di questi veicoli a targa estera, di fatto si impedisce la libera circolazione di persone, capitali e cose. Libertà in una area comune, che resta uno dei principi fondamentali della UE.

Non idonee quindi le modifiche al Codice della Strada introdotte dal decreto di Salvini, perché si vieta a chi risiede in uno Stato membro dell’Unione di guidare un’auto con una targa di un altro Paese allo stesso modo membro della UE.

I giudici di Lussemburgo ammettono tali restrizioni solo se va di mezzo l’interesse nazionale e se si parla di frode fiscale acclarata.

Pensioni, la riforma: ecco cosa può cambiare con il DEF di aprile, novità in arrivo

In agenda martedì 15 febbraio un nuovo summit sul tema delle pensioni tra governo e sindacati. C’è da approntare la riforma delle pensioni, con il sistema pensionistico che necessita di nuove misure e nuove possibilità di uscita per i lavoratori.

Niente è facile, soprattutto perché le posizioni, come è naturale che sia, sono differenti al tavolo della trattativa. I sindacati a chiedere uscite più facili per tutti, magari dai 62 anni o con una 41 anni di contributi.

Il governo invece, stretto nella morsa dell’Europa, che chiede parsimonia in materia di conti pubblici e che deve cercare di fare i compiti a casa per ottenere i soldi già assegnati come Recovery Plan.

Ecco perché si è arrivati ad un punto dove alcune misure verranno sicuramente introdotte, ma non esattamente come i lavoratori si aspettano. Nuove misure verranno varate e dovrebbero andare a sostituire alcune misure oggi in vigore che viaggiano verso il capolinea.

Cosa accadrà adesso sulle pensioni

Misure che vanno e misure che vengono, forse mai come quest’anno, si interverrà forte in materia previdenziale. Dopo il nulla di fatto o quasi della scorsa legge di Bilancio, che ha partorito solo la quota 102, ecco che probabilmente non si dovrà attendere la prossima manovra finanziaria per iniziare a mettere mano alle pensioni.

Tutto sembra andare verso un intervento già con il prossimo Documento di Economia e Finanza. Nell’atto, propedeutico alla legge di Bilancio, che i governi di norma emanano ad aprile, vengono segnate le linee che un esecutivo segue in materia economica e finanziaria.

E tutto sembra spingere a considerare quell’atto come quello dove si inizierà a varare la riforma. In primo luogo un ritocco serve per le pensioni delle Forze dell’ordine, dei militari e così via, per i quali è prevista la pensione dai 58 anni.

Misure da correggere sulle pensioni, ecco quelle a rischio

Ma potrebbero con ogni probabilità sparire misure oggi vigenti che consentono a determinate categorie di lasciare il lavoro anticipatamente. Parliamo per esempio di opzione donna.

Il regime contributivo anticipato per le lavoratrici, oggi consente il pensionamento dai 59 anni di età per le lavoratrici autonome. Invece è dai 58 anni per le lavoratrici dipendenti. In ogni caso servono anche 35 anni di contributi. Opzione donna però si centra se l’età e il montante contributivo vengono completati al 31 dicembre 2021.

Una misura che però, stando alle indiscrezioni di cui tratta il quotidiano “Il Giornale”, è destinata a scomparire. Si lascerebbe sempre un canale agevolato per le donne.  Ma partendo da 60 e 61 anni, cioè due anni più lontano di quanto prevede oggi il regime contributivo donna.

Occorre allontanare le pensioni, non basta il calcolo contributivo, la riforma come deve essere

Tutto lascia presupporre quindi un inasprimento dei requisiti. Anche perché nonostante il taglio delle pensioni dovuto al ricalcolo contributivo imposto, la giovane età è un peso. Le uscite anticipate troppo come età sono un fardello pesante in materia di spesa pensionistica. E la riforma pensioni non può non considerare questo.

E la UE è proprio questo che da sempre contesta all’Italia. L’elevato costo della spesa previdenziale (che a dire il vero erroneamente in Italia è cumulata con la spesa assistenziale). È proprio il costo delle misure previdenziali che verrà messo in discussione. E probabilmente questo costo sarà utilizzato come scudo da parte del governo per dire di no a qualsiasi ipotesi di alleggerimento dei requisiti di uscita.

Bonus Irpef 100 euro 2022, cambia tutto: beneficiari, soglie e regole

Così come per l’Irpef sono intervenute nuove aliquote e nuovi scaglioni, anche per il bonus Irpef cambia tutto. Infatti ambia anche il famoso bonus Irpef in busta paga, o trattamento integrativo che dir si voglia. Il bonus per il 2022 sarà diverso da come lo abbiamo conosciuto lo scorso anno.

E non parliamo solo del fatto che il 2022 è il primo anno in cui il Bonus Irpef sarà liquidato per 12 mesi ai lavoratori (lo scorso anno i primi sei mesi furono ancora sotto l’insegna del bonus Renzi da 80 euro). Il nuovo sistema di imposizione fiscale sui redditi, cioè il nuovo sistema delle aliquote Irpef ha prodotto un cambiamento anche per il correlativo bonus Irpef da 100 euro.

Scende il limite utile a percepire il trattamento integrativo Irpef per intero

Lo scorso anno il trattamento integrativo sull’Irpef fu introdotto a partire dal luglio in sostituzione del bonus Renzi da 80 euro. la misura fino al 31 dicembre scorso erogava 100 euro al mese ai lavoratori che avevano redditi fino a 28.000 euro. Fino a tale soglia il trattamento era erogato in misura piena. Per chi invece superava i 28.000 euro e fino a 40.000 euro di reddito, il trattamento restava riconosciuto, ma in forma ridotta ed a scalare con un meccanismo proporzionale al reddito, fino ad azzerarsi sopra i 40.000 euro.

Le nuove aliquote Irpef hanno ridotto da 5 a 4 gli scaglioni di imposizione. Va detto però che il primo scaglione è rimasto identico a come lo conosciamo da anni. In effetti il primo scaglione Irpef è rimasto quello fino a 15.000 euro. E la novità riguardante il bonus Irpef 2022 è che, la misura intera sarà appannaggio esclusivamente di soggetti rientranti nel primo scaglione.

In pratica la misura intera resta pienamente fruibile solo da chi ha redditi fino a 15.000 euro. Un netto calo che porta chi invece chi supera i 15.000 euro a percepire un trattamento in misura ridotta.

Lo ha stabilito l’articolo n° 1 comma 3 della legge di Bilancio 2022.

Nuovo Bonus Irpef, cala la platea dei beneficiari del trattamento pieno

Il bonus Irpef è pari a 1.200 euro all’anno, ma solo per chi ha redditi fino a 15.000 euro annui. Per gli altri si applica un decalage man mano che cresce il proprio reddito. Va detto che per i redditi compresi tra 15.001 e 28.000 euro, il bonus viene erogato ad una condizione.La somma di tutte le detrazioni teoricamente spettanti al diretto interessato, devono essere superiori all’imposta lorda dovuta, cioè all’Irpef da versare. Questo l’altro vincolo imposto a chi supera i 15.000 euro di reddito.

Quando si parla di somma di tutte le detrazioni, parliamo di quelle relative ai carichi di famiglia, a quelle da lavoro dipendente ed anche a quelle derivanti dagli oneri detraibili (spese sanitarie, ristrutturazioni, istruzione e così via).