Volontario e associato nel Codice del Terzo Settore e associazioni culturali

Le associazioni culturali in Italia svolgono attività di promozione culturale a 360° e operano in diversi settori. Si è visto in precedenza che con il Codice del Terzo Settore per poter continuare a operare in regime di fiscalità agevolata dovranno  trasformarsi in APS, Associazioni di Promozione Sociale. Per queste attività sono però previsti nuovi limiti ed è importante fin da ora parlare di due importanti figure, cioè il volontario e l’associato nel Codice del Terzo Settore.

Il successo del volontariato in Italia

In Italia l’associazionismo ha un appeal molto importante questo perché risponde all’esigenza di operare nel sociale e consente di avere delle agevolazioni fiscali. In Italia ci sono oltre 340 mila istituzioni no profit (dati 2018), o di volontariato, e la maggior parte delle stesse operano al Nord. Proprio in virtù del rilevante numero delle associazioni no profit, tra cui le associazioni culturali, è nato il Codice del Terzo Settore che però ancora non è applicato in tutte le sue parti, manca infatti l’entrata in vigore della parte più importante, cioè il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore. L’ingresso delle nuove regole è stato più volte procrastinato per dare alle associazioni, e al mondo del volontariato, in genere tempo per adeguare il proprio statuto alle nuove regole, infatti con la nuova disciplina entrano in vigore anche nuove norme, tra cui quelle inerenti i vincoli assunzionali.

I lavoratori impiegati nel terzo settore infatti superano le 800.000 unità, ma con l’applicazione del RUNTS per le associazioni che vorranno mantenere i benefici fiscali vi saranno dei limiti e le assunzioni non potranno superare il 50% del numero dei volontari e il 5% degli associati. Si tratta quindi di un doppio limite da rispettare molto importante perché, avendo un numero esiguo di volontari e associati, la possibilità di assumere professionisti che aiutino a raggiungere lo scopo e porre in essere le attività sociali sarà ridotta. Ciò potrebbe indurre delle difficoltà operative importanti, allo stesso tempo potrebbe essere una forma di incoragimento nella ricerca di volontari “specializzati”.

Se vuoi scoprire cosa cambia con l’entrata in vigore del RUNTS leggi l’articolo: Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali
Se vuoi scoprire i tratti salienti si un’associazione culturale leggi l’articolo: Cosa fa un’associazione culturale? Scopriamo insieme le caratteristiche

Volontario e associato nel Codice del Terzo Settore

Proprio in virtù di questi vincoli assunzionali è importante distinguere tra l’associato e il volontario nelle associazioni del terzo settore. Il volontario rappresenta un figura chiave nella normativa e infatti nel codice su parla di lui circa 150 volte.

Il Volontario, in particolare, è al centro del Titolo III del Codice e viene definito all’articolo 17: “una persona che per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un Ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”.

Incompatibilità tra volontariato e rapporti di lavoro

Da questa descrizione emerge che vi è incompatibilità tra la figura del volontario e quella del dipendente, appare quindi evidente che colui che opera come volontario non può essere assunto dalla stessa associazione o svolgere incarichi dietro il pagamento di corrispettivo, neanche in qualità di professionista. Ad esempio, un volontario che svolge autonomamente attività di archeologo, non può fornire una consulenza a pagamento presso l’associazione in cui è volontario.

Appare altrettanto palese dallo stesso articolo 17 che il volontario può ottenere il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. In realtà su questo punto non mancano voci critiche, infatti il comma 4 dell’articolo 17 del Codice del Terzo Settore prevede che sia possibile ottenere rimborsi fino a 150 euro mensilie non più di 10 euro al giorno, avvalendosi semplicemente dell’autodichiarazione ai sensi del DPR 445 del 2000, articolo 46. Molti hanno pensato che questa possa essere una sorta di scorciatoia per dare piccole retribuzioni forfettarie, in realtà non è così perché si applicano tutti i principi e le sanzioni previste dallo stesso DPR 445/2000 per le false dichiarazioni. Si deve quindi ritenere che in realtà tale disposizione non intenda avallare l’ipotesi di rimborsi non dimostrabili, ma semplicemente semplificare le modalità di rimborso.

Diritti del volontario

Il volontario deve essere iscritto in un apposito registro tenuto dall’associazione stessa, inoltre può ricevere premi di modico valore e onorificenze.  Tra le norme che sembrano tutelare l’associato vi sono quelle che prevedono il diritto a usufruire di forme di flessibilità sull’orario di lavoro. L’associazione è obbligata anche a stipulare a tutela dei volontari un’assicurazione contro infortuni, malattie e responsabilità civile verso terzi.

L’associato: chi è?

I volontari devono però essere tenuti distinti dagli associati, che però all’interno della associazione possono assumere anche il duplice ruolo di volontari. Gli associati sono coloro che fanno parte degli organi sociali di un’associazione, ad esempio l’assemblea, il consiglio direttivo e il presidente. Partecipano all’assemblea coloro che versano la quota sociale, ottengono quindi una tessera e coloro che fondano l’associazione stessa.

Per loro non vi è il divieto di avere rapporti di lavoro con l’associazione stessa, quindi possono essere dipendenti.

Questa differenza di trattamento tra l’associato e il volontario non è esente da critiche, infatti sono in molti a sollevare dei dubbi. In particolare viene sottolineato che il divieto vige anche al contrario e quindi impedisca di fatto a coloro che sono dipendenti dell’associazione di prestare anche attività di volontariato all’interno della stessa. In realtà l’obiettivo del legislatore è fare in modo che le associazioni di promozione culturale che operano sul territorio cerchino di avvalersi in modo prevalente di attività di volontariato e non siano trasformate in enti utilizzati per dividere gli utili avendo però una fiscalità agevolata, una sorta di cooperative con finalità mutualistiche, ma nascoste.

Di certo per vedere l’impatto definitivo delle nuove norme sul mondo dell’associazionismo sarà necessario attendere ancora qualche mese, anche se nel frattempo le associazioni sono già impegnate nella scelta della strada da percorrere per la propria associazione.

 

 

 

Associazione culturale o associazione di promozione sociale, cosa è meglio?

Oggi andremo a verificare e definire cosa è meglio tra costituire una associazione culturale o un associazione di promozione sociale. Quanto meno, quale delle due opzioni può risultare più redditizio o comunque più utile al fine lavorativo.

Associazione culturale, di cosa si tratta

Partiamo innanzitutto con una dichiarazione che certifichi di cosa si parla, quando si fa riferimento ad una associazione culturale.

Un’associazione culturale non è altro che un ente privato senza scopo di lucro dove diverse persone con lo stesso interesse si riuniscono ed utilizzano i fondi per scopi culturali, di insegnamento o educativi. Per poter costituire unassociazione culturale sarà necessario identificare le persone che assumeranno le tre cariche sociali di maggiore importanza, al fine di rappresentare l’associazione ai fini legali e amministrativi, qualsiasi associazione, per poter essere costituita, necessita di almeno tre soci fondatori.

Associazione di promozione sociale, di cosa si tratta

L’associazione di promozione sociale (nota anche come Aps) è una categoria di ente del terzo settore, costituita in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, che svolge attività di interesse generale a favore dei propri associati (in forma esclusiva o meno), dei loro familiari o di terzi.

Per poter costituire un’associazione di promozione sociale, è necessario richiedere l’attribuzione del Codice Fiscale, pagare la tassa di registro, acquistare i bolli da applicare agli atti, ed infine presentare l’atto costitutivo e lo statuto in duplice copia (la procedura è quella di “registrazione atti privati”);

Esse non possono avere scopi di lucro.

Quale conviene di più, tra le due associazioni?

Come abbiamo visto, costituire una associazione, in entrambe i casi, non comporta possibilità di lucro, quindi di guadagni in termine economico.

Allora, come stabilire quale delle due opzioni possa rivelarsi più vantaggiosa e conveniente per chi vuole costituire associazione?

Tuttavia, possiamo dire riassumendo che le associazioni culturali sono enti senza finalità di lucro definiti generici, in quanto disciplinati solamente dalla normativa fiscale di cui il D.lgs 460/97. Le Associazioni di promozione sociale, invece, sono state riconosciute anche civilmente attraverso la Legge 383/2000, aggiungendo particolari agevolazioni in materia amministrativa. Questa tipologia associativa non è altro che l’evoluzione giuridica di alcune tipologie di associazioni tra cui anche quelle Culturali.

Va aggiunto che le Aps possono svolgere attività commerciale, ovviamente dopo essersi dotate di partita Iva. Nei casi delle Aps che svolgono attività commerciale possono optare in partita IVA per un regime forfettario agevolato ai fini del pagamento delle imposte oltre che per la tenuta delle scritture contabili.

Ad ogni modo, la vera convenienza di ciò che si vuol svolgere sarà l’ago della bilancia di quale associazione sarà meglio costituire, evitando di pensare al guadagno per quanto concerne il campo di una associazione.

Se dovete istituire corsi o spazi culturali specifici, come teatro, attività sportive, corsi di lettura, sarà bene che istituiate una semplice associazione culturale.

Ma quali sono i costi per costituire associazione culturale?

Per costituire associazione culturale occorre una registrazione per cui è prevista un’imposta di 200,00 euro, più il corso delle marche da bollo (16,00 euro ogni 4 pagine o 100 righe). Atto costitutivo e statuto vanno consegnati in duplice copia. Indicativamente, dunque, il costo complessivo per costituire associazione culturale si aggira intorno ai 300,00 euro.

Dunque, questo è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere sulle due tipologie di associazioni e su come fare la vostra scelta in merito.

Associazione culturale: quali compensi ai collaboratori?

Nel mondo del no profit spesso si fa leva sul supporto di attivisti e di volontari che danno una mano al fine di permettere ad un’associazione di perseguire il proprio scopo sociale. Pur tuttavia, molte realtà associative hanno bisogno pure di persone che, anche se in modo non continuativo e non abituale, possano esercitare delle attività di lavoro autonomo senza alcun vincolo di subordinazione. Per esempio, considerando un’associazione culturale, quali compensi si devono riconoscere ai collaboratori? E, soprattutto, come inquadrarli ai sensi di legge?

Quali compensi riconoscere ai collaboratori di un’associazione culturale?

Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che in generale nulla vieta alle realtà associative di avere lavoratori dipendenti e collaboratori. Così come, per esempio, nulla vieta ai volontari ed agli attivisti di riconoscere loro dei rimborsi spese. A patto che siano debitamente documentate.

Detto questo, concentrando l’attenzione sui collaboratori, per un’associazione culturale non ci sono restrizioni sulla possibilità di attivare dei rapporti di lavoro. L’importante è che il tutto avvenga sempre nel pieno rispetto della legge.

Di conseguenza, pure per un’associazione culturale un collaboratore può per esempio fornire delle prestazioni lavorative di natura occasionale per un massimo di 30 giorni nell’anno solare. E nel rispetto del limite di un corrispettivo annuo non superiore ai 5.000 euro. Altrimenti a scattare sarà l’iscrizione all’INPS.

Che si tratti di rimborsi spese, di compensi ai collaboratori, o di stipendi ai dipendenti, quindi, pure un’associazione culturale è chiamata ad adeguarsi a quelle che sono le vigenti normative sui rapporti di lavoro.

Come pagare i compensi ai collaboratori nel mondo del no profit

Per pagare i compensi ai collaboratori nel mondo del no profit, per gli incarichi assegnati, in genere la soluzione migliore, anche per un’associazione di tipo culturale, è quella di passare dall’approvazione da parte del Consiglio Direttivo tramite apposito verbale.

Il collaboratore, inoltre, deve percepire sempre un compenso che sia in linea ed anche proporzionale all’attività svolta. Altrimenti si può prefigurare il sospetto di una distribuzione indiretta degli utili. Cosa che un’associazione culturale non può assolutamente fare in quanto deve sempre operare al di fuori di scopi e di fini di lucro.

Anche per questo, e non solo, un’associazione culturale che è strutturata anche con dipendenti e collaboratori dovrebbe sempre rapportarsi con un commercialista o con un consulente del lavoro, esperto nel terzo settore, ai fini di un corretto inquadramento a livello fiscale, contributivo ed anche giuridico. Anche perché in un’associazione culturale, e per tante realtà del no profit, il lavoro volontario, e quello retribuito in maniera forfettaria, dovrebbe essere sempre e comunque preponderante rispetto al lavoro che, invece, è stipendiato.

Quindi, quando un’associazione culturale eroga degli specifici compensi per attività che sono connesse e finalizzate a perseguire lo scopo sociale, questi devono essere sempre riportati nel rendiconto annuale. Indicando peraltro in maniera esplicita i parametri quantitativi che hanno portato all’erogazione di un determinato compenso. E questo anche al fine di evitare poi eventuali contestazioni sulla normativa che è collegata alle attività degli enti no profit ed in generale per le realtà associative del terzo settore.

Associazione culturale oppure Onlus, cosa conviene?

Al pari delle società che hanno lo scopo di lucro, pure per il mondo del no profit si possono costituire tanti tipi di associazioni. Con la scelta che di norma è legata anche allo scopo ed all’oggetto sociale da perseguire. Al riguardo, mettendole a confronto, cosa conviene per esempio tra l’associazione culturale e la Onlus?

Cos’è un’associazione culturale e cos’è invece una Onlus?

Prima di dare una risposta in merito cerchiamo di capire cos’è un’associazione culturale e cos’è una Onlus. Nel dettaglio, l’associazione culturale è un ente privato che è costituito da un gruppo di persone che ha in comune il raggiungimento di uno scopo che è di interesse collettivo.

Lo scopo può essere culturale, ma anche educativo e formativo. Quella culturale è un tipo di associazione che può essere anche non riconosciuta, ed in questo caso non c’è tra l’altro l’obbligo di gestione patrimoniale.

Per esempio, le associazioni culturali che sono non riconosciute, e che sono anche quelle più diffuse, sono quelle costituite da più persone che vogliono condividere la stessa passione. Dalla musica alla poesia, e passando per il cinema, il teatro, il collezionismo e tanti altri interessi e passioni come, per esempio, l’astronomia a livello amatoriale.

La Onlus, invece, è una Organizzazione non lucrativa di utilità sociale la cui costituzione è sempre legata a perseguire degli scopi che sono di solidarietà sociale. Una Onlus, inoltre, può essere tale pure sotto forma di associazione riconosciuta o non riconosciuta. Ma in realtà può assumere la denominazione di Onlus pure un comitato, una fondazione e, tra l’altro, pure una società cooperativa.

Cosa conviene tra la Onlus e l’associazione culturale?

Tra l’associazione culturale e la Onlus, quindi, c’è una grossa differenza. In quanto una Onlus può avere pure lo stesso scopo sociale di un’associazione culturale, ma a differire è sempre la finalità.

Visto che, come sopra detto, l’associazione culturale ha scopi di promozione e di diffusione della cultura, mentre la Onlus ha nella solidarietà sociale il fine stesso della sua costituzione e della sua esistenza. Su cosa conviene tra Onlus ed associazione culturale, quindi, c’è da rimarcare che si tratta di due realtà associative che sono totalmente differenti.

Basti pensare che, rispetto ad un’associazione culturale, una Onlus può essere costituita per le attività non lucrative di utilità sociale nel campo della ricerca scientifica e dell’assistenza sociale e sanitaria a favore di persone svantaggiate.

La costituzione e la gestione di un’associazione culturale, inoltre, è decisamente più semplice e più snella rispetto ad una Onlus. Le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale, infatti, godono di rilevanti vantaggi a livello fiscale, ma nello stesso tempo sono soggetti al rispetto di vincoli e di restrizioni.

In particolare, una Onlus – Organizzazione non lucrativa di utilità sociale, gode di un regime tributario che è di favore per quel che riguarda l’Imposta sul valore aggiunto (Iva), le imposte sui redditi ed anche altre imposte indirette. Per esempio, le Onlus hanno la possibilità di iscriversi negli elenchi per devolvere il 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).

Associazione culturale con partita IVA: quali adempimenti fiscali?

Un’associazione culturale non è obbligata all’apertura di una partita IVA. Qualora si rendesse necessaria, ci sarebbero degli adempimenti fiscali a cui attenersi.

In linea di massima, un’associazione non deve operare in regime di partita IVA se percepisce solo entrate istituzionali, ossia rappresentate dalle quote versate dagli associati per l’iscrizione e i rinnovi. Anche i contributi liberali erogati da aziende, privati ed enti associati e non, per sostenere le finalità dell’organizzazione, rientrano in questa categoria di entrate.

Non vi è obbligo di aprire partita IVA nemmeno per le associazioni che conseguono entrate decommercializzate per legge. In generale, si tratta di ricavi per attività e servizi svolti esclusivamente o prevalentemente verso gli associati.

Le suddette tipologie di entrate non sono soggette a tassazione, pertanto non richiedono emissioni di fatture. Tale beneficio è concesso solo alle associazioni che hanno trasmesso regolarmente il modello EAS presso l’Agenzia delle Entrate, utile ai fini del godimento delle agevolazioni fiscali previste per il settore no profit.

Quando non è necessario chiedere la partita IVA, l’associazione può limitarsi a richiedere solo il codice fiscale, il quale permette all’ente di compiere le operazioni di basilari, come l’apertura di un conto corrente o la stipula di un contratto. Inoltre, nel caso si abbia intenzione di registrare l’associazione per rendere conoscibile l’organizzazione ai terzi, beneficiando di ulteriori agevolazioni, è necessario il codice fiscale.

Quando la partita IVA è obbligatoria per l’associazione culturale

In alcuni casi, la partita IVA è obbligatoria anche per le associazioni culturali che percepiscono ricavi da una o più attività commerciali. Poiché si tratta di un ente no profit, le attività svolte devono risultare sempre secondarie e finalizzate al finanziamento degli scopi associativi. Viceversa, se l’attività commerciale dovesse divenire prevalente, i ricavi sarebbero soggetti a tassazione e l’ente perderebbe la qualifica di associazione non a scopo di lucro.

Tutte le entrate non rientranti tra quelle istituzionali e decommercializzanti, sono ritenute commerciali per le associazioni. Quindi, lo sono i ricavi provenienti dalle attività rivolte in prevalenza verso soggetti terzi non associati. Cioè, gli incassi ottenuti per ingressi a pagamento rivolti al pubblico, per somministrazione di alimenti e bevande (quasi tutte), sponsorizzazioni e pubblicità.

Ricapitolando, le entrate derivanti da attività commerciali svolte dalle associazioni in modo abituale e continuativo o comunque non sporadico od occasionale, obbligano l’associazione culturale all’apertura di una partita IVA. A questo punto, è fondamentale capire cosa s’intende per attività commerciale occasionale.

Le disposizioni di legge in merito, considerano attività occasionale un numero di eventi commerciali non superiori a due all’anno con incassi che non devono superare i 50.000 euro.

Nel momento in cui non ci sono le condizioni per tenere un’associazione con il solo codice fiscale, è necessario che l’associazione provveda ad aprire una partita IVA. Pur avendo già un codice fiscale, un’associazione che svolge regolarmente attività commerciale può e deve richiedere la partita IVA.

Per richiedere una partita IVA, l’associazione deve compilare e presentare il modello AA7/10 all’Agenzia delle Entrate. Ciò significa che quando si compila il modello va indicato il codice ATECO relativo alle attività commerciali svolte.

Gli adempimenti fiscali di un’associazione con partita IVA

Quando si opera con partita IVA si emette fattura per le entrate commerciali. Quindi, anche per un’associazione culturale no profit vige l’obbligo di fatturazione elettronica se i ricavi commerciali superano i 65.000 euro annui e se l’ente non ha aderito al regime forfettario IVA. Attenzione, però, se i redditi annui sono superiori a 400.000 euro, nemmeno l’ente no profit può beneficiare del regime agevolato.

E’ da sottolineare che con la riforma del terzo settore, tutti gli enti no profit verranno riuniti in un unico gruppo. Pertanto, molte associazioni non potranno scegliere il regime forfettario, tuttavia, avranno la possibilità di aderire a nuove misure fiscali, come l’applicazione di aliquote agevolate sulle entrate commerciali.

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Associazione culturale con scopo di lucro: cosa cambia

L’associazione culturale è un gruppo organizzato di persone e beni finalizzato al raggiungimento di uno scopo di interesse collettivo, senza fini di lucro, ciò vuol dire che se vi sono degli utili gli stessi non possono essere divisi tra gli associati, ma devono restare nell’associazione ed utilizzati per svolgere le attività previste nell’atto costitutivo. Vi sono però delle peculiarità che meritano un accenno, cioè la possibilità di avere dei dipendenti e il rimborso spese e in questi casi si può genericamente parlare di associazione culturale con scopo di lucro.

Associazione culturale con scopo di lucro: esiste?

Si è visto negli articoli precedenti:

Resta ora da chiarire se è possibile avere un’associazione con scopo di lucro e quale forma giuridica è possibile dare a un’associazione che vuole perseguire tali finalità.

La prima cosa da fare è provare a capire cosa vuol dire scopo di lucro: lo scopo di lucro altro non è che la finalità di dividere gli utili che derivano dall’attività svolta. Molti però confondono lo scopo di lucro vero e proprio con i compensi dovuti ai dipendenti e i rimborsi spesa. In linea di massima l’associazione culturale non può dividere gli utili, può però stipulare contratti di lavoro anche in favore degli stessi associati e naturalmente le prestazioni lavorative devono essere retribuite, ma tale attività ha dei limiti altrimenti potrebbe configurarsi una divisione indiretta degli utili.

Contratti di lavoro

L’associazione cultutrale può stipulare contratti di lavoro, sono però previsti dei limiti per evitare una distribuzione indiretta degli utili. In particolare se colui che presta lavoro per l’associazione culturale ha una partita IVA, deve emettere una regolare fattura per il pagamento delle prestazioni. Nel caso in cui non sia un lavoratore autonomo, vi sono diverse possibilità, in pratica è possibile stipulare:

  • un contratto di lavoro subordinato;
  • un contratto di lavoro parasubordinato, ad esempio a progetto;
  • oppure si può stipulare un contratto di collaborazione occasionale.

E’ stato anticipato in precedenza che vi sono dei limiti inerenti tali contratti, in particolare il corrispettivo non deve superare del 20% dei salari e stipendi previsti dal Contratto Collettivo Nazionale per quel tipo di prestazione. In caso contrario si ritiene che in realtà vi sia una distribuzione indiretta di utili vietata dalla legge. Deve essere inoltre sottolineato che non vi è alcuna norma specifica che vieta di assumere, per le mansioni inerenti la realizzazione delle scopo dell’associazione culturale, i soci, anche se membri del comitato direttivo. Naturalmente anche in questo caso devono essere rispettati i limiti previsti dalla normativa altrimenti si può ipotizzare una distribuzione indiretta degli utili.

I rimborsi spesa

Svolgere le attività all’interno dell’associazione comporta per associati e volontari delle spese, in questo caso è possibile ottenere il rimborso spese che non ricade nella divisione degli utili. Ad esempio i soci di una compagnia teatrale potrebbero sostenere in proprio i costi per gli abiti di scena.

Per ottenere il rimborso spese occorre una deliberazione del consiglio direttivo, inoltre le spese effettuate devono essere provate attraverso le “pezze giustificative” , più comunemente chiamate fatture. Le spese devono essere inerenti all’attività svolta. In realtà molte associazioni hanno la cattiva abitudine di stabilire dei rimborsi spesa forfettari, questo comportamento però deve essere considerato a rischio perché potrebbe essere considerato come una divisione degli utili e quindi vietata per tale tipologia di associazione.

Cosa cambia con l’entrata in vigore del Codice del Terzo Settore

Occorre ricordare che con l’entrata in vigore del RUNTS, Registro Unico Nazionale Terzo Settore, che probabilmente avverrà nel 2022, entreranno in vigore nuovi limiti.  In questo caso infatti è previsto che, le associazioni che decidono di avere la forma delle Associazioni di Promozione Sociale, hanno l’obbligo di avvalersi prevalentemente del lavoro dei volontari e nel caso in cui si proceda all’assunzione di dipendenti questi non possono superare il 50% dei volontari e il 5% degli associati. Anche in questo caso non vi è il divieto di assumere associati.

Di fatto, se ci si chiede cosa cambia nel caso di associazione culturale con scopo di lucro e senza tale finalità, occorre sottolineare che sono due “fenomeni” incompatibili, le associazioni non possono avere scopo di lucro, non possono dividere gli utili tra gli associati, possono invece assumere, ma vi sono dei limiti da rispettare questo vuol dire che è improbabile “remunerare” tutti i soci.

Associazione culturale con scopo di lucro e trasformazione in società cooperativa

La strada per evitare tutti i limiti visti è quella di istituire una società cooperativa, in questo caso infatti è previsto che i benefici ricadano direttamente sui soci della stessa e nel caso di cooperative di lavoro, lo scopo è proprio quello di fornire occasioni di lavoro agli associati a condizioni particolarmente favorevoli. Un divieto espresso di assumere soci si ha soltanto nelle associazioni di volontariato.

L’articolo 2500 octies del codice civile prevede però la possibilità di trasformare le associazioni culturali in società cooperative e viceversa. In particolare il comma terzo di questo articolo stabilisce: la trasformazione di associazioni in società di capitali può essere esclusa dall’atto costitutivo o, per determinate categorie di associazioni, dalla legge; non è comunque ammessa per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e oblazioni del pubblico. Il capitale sociale della società risultante  dalla trasformazione è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi”.

Come si può notare è quindi possibile trasformare l’associazione in una società e quindi ottenere la divisione degli utili, ma solo nel caso in cui l’associazione non abbia ricevuto contributi pubblici o oblazioni da privati e se l’atto costitutivo non lo vieta espressamente. Deve essere sottolineato che in realtà l’associaizone può essere trasformata in qualunque società di capitali, ma lo schema più simile, a causa dello scopo mutualistico, è quello della società cooperativa.

Se vuoi conoscere le similitudini tra associazione culturale e società cooperative, leggi l’articolo: Associazione culturale e società cooperativa: cosa scegliere?

Per deliberare la trasformazione dell’associazione in società è necessaria una delibera da parte dell’assemblea a maggioranza dei ¾, come stabilito dall’articolo 21 del codice civile.

Associazione culturale: si può aprire senza sede?

Tra le realtà associative cha sono tra la più diffuse in Italia spicca quella culturale. Sia perché la sua costituzione è relativamente semplice, sia perché, senza scopo di lucro, un’associazione culturale può operare attivamente in tanti ambiti promuovendo così tanti valori che sono legati alla cultura in senso ampio e generico.

Dalla promozione della tutela ambientale all’arte, e passando per il cinema, il teatro e, tra l’altro, pure l’educazione civica. Ma detto questo, per chi vuole aprire un’associazione culturale in maniera veloce e con la burocrazia che è ridotta al minimo, questa si può eventualmente aprire pure senza avere una sede fisica?

Associazione culturale senza sede non si può aprire, vediamo perché

L’associazione culturale senza sede non si può aprire in quanto nell’atto costitutivo occorre indicare, tra l’altro, proprio l’indirizzo della sede. Che è quello di riferimento per tutti gli atti ufficiali e per tutte le comunicazioni. In altre parole, senza una sede legale non è possibile costituire un’associazione culturale. In quanto, altrimenti, non sarebbe tra l’altro possibile richiedere all’Agenzia delle Entrate il certificato di attribuzione del codice fiscale. Ed eventualmente pure l’apertura della partita Iva.

Oltre all’indicazione della sede, nell’atto costitutivo di un’associazione culturale devono essere presenti, tra l’altro, pure le generalità di tutti i soci fondatori. Ovverosia il loro nome, il cognome, la residenza ed il codice fiscale. Ma anche la denominazione e lo scopo dell’associazione culturale, il patrimonio, la data ed il luogo in cui i soci fondatori hanno costituito l’associazione culturale, riuniti in assemblea, e la composizione del consiglio direttivo.

La sede legale e quella operativa per un’associazione culturale

L’indicazione della sede legale, per quanto detto, è obbligatoria per un’associazione culturale. In quanto trattasi del luogo dove devono essere tenuti tutti gli atti e tutti i documenti. L’indirizzo della sede legale, inoltre, può anche coincidere con il domicilio o con la residenza del presidente dell’associazione culturale. Oppure di uno dei soci fondatori.

Oltre alla sede legale, c’è poi per l’associazione culturale pure le sede operativa. Ovverosia, quella dove vengono svolte le attività. La sede legale può coincidere come non può coincidere con la sede operativa. Inoltre, in assenza di limitazioni, un’associazione culturale può avere una sede legale ed anche più sedi operative che sono sparse sul territorio.

Obblighi per un’associazione culturale, dai proventi allo scioglimento

Oltre all’atto costitutivo, dove c’è indicata la sede legale come sopra accennato, l’associazione culturale deve avere pure uno statuto il cui contenuto deve essere tale da rispettare il carattere dell’associazione stessa. Ovverosia quello della totale assenza di fini e di scopi di lucro.

Questo significa, tra l’altro, che nello statuto di un’associazione culturale deve essere espressamente indicata l’impossibilità di distribuire i proventi delle attività svolte tra gli associati. Così come, in caso di scioglimento dell’associazione culturale, nello statuto deve essere presente l’obbligo di devolvere il patrimonio ad altre realtà associative che perseguono la stessa attività. L’assenza di scopi di lucro, in ogni caso, non esonera ai sensi di legge l’associazione culturale a dover redigere in via obbligatoria un rendiconto economico e finanziario.

Associazione culturale: come guadagnare?

Oggi andremo, con questa rapida guida, a scandagliare il mondo dell’associazione culturale, e se e con quali metodi è possibile guadagnare con essa. Scopriamolo assieme, nei prossimi paragrafi.

Associazione culturale, di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo subito col dire che quando si parla di associazione culturale si parla di un ente privato senza scopo di lucro, dove diverse persone con lo stesso interesse si riuniscono ed utilizzano i fondi per scopi culturali, di insegnamento o educativi.

E come è possibile costituire un’ associazione culturale, dunque?

Dunque, i passi fondamentali per poter costituire una associazione culturale sono i seguenti, per qualsiasi tipo di associazione:

  • riunire i soci fondatori (minimo 3 persone) che dovranno ricoprire le prime cariche sociali
  • determinare lo scopo e gli obiettivi dell’associazione
  • redigere atto costitutivo e statuto dell’associazione
  • richiedere il codice fiscale della neonata associazione
  • registrare l’associazione presso l’agenzia delle entrate.
  • Inviare in modo telematico il modello EAS

Una volta fatto ciò, andiamo a scoprire come e se è possibile attuare un’ associazione culturale che trae guadagni.

Come guadagnare con una associazione culturale

Dunque, usualmente quando si parla di associazione culturale si fa riferimento ad una attività sociale senza scopo di lucro. Ma è possibile, comunque, ottenere dei guadagni da tale attività. O, perlomeno dei rimborsi spese. Scopriamo come.

Il più comune dei modi di guadagnare è senz’altro la richiesta di una quota d’iscrizione ai vari soci (quota associativa), necessaria per farvi parte ed avere diritto di voto nelle assemblee; a queste andranno ad aggiungersi le quote di partecipazione dei soci alle diverse attività dell’Associazione. 

Come detto, non è strettamente possibile lucrare da un’associazione culturale, ma è possibile ottenere dei rimborsi spese, come ad esempio con la quota di iscrizione. E’ vietata la distribuzione di utili, ad esempio, ovvero la ripartizione tra i soci dell’incremento di patrimonio sociale conseguito al termine di ogni periodo amministrativo.

Lavorare in una associazione culturale è possibile?

Essere lavoratori di una associazione culturale parrebbe tuttavia possibile. Difatti, è importante rilevare che non esiste alcuna regola generale che vieta di corrispondere compensi o assumere soci di un’associazione, anche se membri del Consiglio Direttivo. Divieto che vige solo per le associazioni di volontariato.

Sta di fatto che i compensi dovranno sempre essere proporzionati all’attività svolta dal socio a favore dell’associazione e dovranno ad ogni modo rientrare nei normali valori di mercato per il lavoro svolto, in modo che non ci sia il sospetto di un’indiretta distribuzione di utili.

Si possono anche assumere dipendenti, all’interno di una associazione culturale. Quindi, è possibile lavorarvi all’interno, indipendentemente dal profitto dei soci.

Le possibilità di contratto preposte sono le seguenti:

  • contratto di lavoro subordinato;
  • contratto a progetto o parasubordinato;
  • rapporto di lavoro occasionale, vale a dire quello esercitato in modo non continuativo e non abituale, che non può durare più di 30 giorni in un anno solare.

Per quanto riguarda, invece i corrispettivi erogabili per il dipendente, dovrà esserci proporzione:

  • all’impegno del lavoratore
  • al numero di ore effettivamente svolte
  • alla difficoltà e alla responsabilità dell’impiego.

Ad ogni modo, la legge stabilisce un tetto massimo per gli importi erogabili ai dipendenti, poiché altrimenti si potrebbe presumere che si stia trattando di distribuzione indiretta di utili. In particolare si considera indiretta distribuzione di utili quando vengono corrisposti salari o stipendi superiori del 20% rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le stesse qualifiche.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere e approfondire in merito alla questione di possibili guadagni con una associazione culturale. Una soluzione, quella associativa, non certamente incentrata al mondo del lavoro, quanto più alla divulgazione ed alla passione per una specifica attività, volta a rafforzare il tessuto sociale, più che a rafforzare le proprie tasche.

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali

Nella disamina fatta finora inerente alle associazioni culturali più volte ci siamo imbattuti nel Codice del Terzo Settore e in particolare nel RUNTS, pur precisando anche attualmente il Registro non è ancora attivo e quindi continuano ad applicarsi le norme previste dal TUIR e dalla legge 391 del 1998, è bene fin da ora fare qualche breve cenno al Codice del Terzo Settore e ai cambiamenti che interverranno per le associazioni culturali che potranno scegliere tra diverse opzioni.

Cos’è il Codice del Terzo Settore

Il Codice del Terzo Settore è una riforma organica contenuta nel decreto legislativo 117 del 2017, la stessa riforma prevede l’emanazione di successivi regolamenti attuativi e ad oggi, complice anche la crisi pandemica, non è ancora entrato in vigore in tutte le sue parti.  Nel momento in cui entrerà in vigore andrà però a determinare dei notevoli cambiamenti anche per quanto riguarda le associazioni culturali, in quanto lo stesso codice prevede espressamente che queste siano assoggettate al codice del terzo settore. Ciò infatti è espressamente previsto nell’articolo 4 che sottolinea che tale disciplina si applica sia alle associazioni riconosciute, quindi che hanno chiesto e ottenuto la personalità giuridica, sia a quelle non riconosciute, che ad oggi sono la maggior parte.

Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS)

La principale novità del Codice del Terzo Settore è l’introduzione del RUNTS, cioè il Registro Unico Nazionale Terzo Settore. Le associazioni culturali non sono obbligate ad iscriversi, ma se non lo fanno perdono molte agevolazioni fiscali. Per potersi iscrivere è però necessario adeguare il proprio statuto alle nuove regole del RUNTS. Attualmente le associazioni culturali si trovano in una situazione di transizione che diventa particolarmente pesante perché l’entrata in vigore del RUNTS è slittata già più volte e in teoria dovrebbe entrare in vigore nel 2022 (salvo ulteriori proroghe dei termini).

Le associazioni culturali per l’iscrizione potranno scegliere tra 7 settori:

  • Organizzazione di volontariato;
  • Associazione di promozione sociale (APS);
  • Ente filantropico;
  • Impresa sociale (che comprende anche le cooperative);
  • Rete associativa;
  • Società di mutuo soccorso;
  • Altro ente del Terzo Settore.

Le associazioni culturali devono scegliere una sezione del registro che sia congrua rispetto alle finalità perseguite. Tutte le associazioni del terzo settore senza scopo di lucro potranno però aderire ad un regime di tassazione forfettario. I vantaggi fiscali non finiscono qui, infatti le donazioni e le quote di associazione versate dai contribuenti alle associazioni culturali  godono di agevolazioni sulle imposte indirette.

Se vuoi scoprire gli attuali vantaggi delle associazioni culturali, leggi l’articolo: Pro e contro di un’associazione culturale

Le Associazioni di Promozione Sociale (APS)

Naturalmente non mancano svantaggi legati alla iscrizione nel registro. Tra questi vi è l’impossibilità di continuare a beneficiare della de-commercializzazione  dei corrispettivi versati dai soci, infatti tale agevolazione è riconosciuta solo agli enti di promozione sociale, ma un associazione culturale per ricevere tale qualificazione deve rispettare canoni particolarmente stringenti:

  • il numero minimo di soci è di 7 persone e non tre come per le associazioni culturali semplici;
  • deve avvalersi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri soci e riduce al massimo l’assunzione di lavoratori dipendenti;
  • l’assunzione di dipendenti è limitata ai soli casi in cui questa sia necessaria per lo svolgimento delle attività sociali e per raggiungere lo scopo sociale. In base all’articolo 36 del codice, tale assunzione di dipendenti può riguardare gli associati;
  • Il numero dei lavoratori impiegati non deve essere superiore al 50% dei volontari e al 5% degli associati.

Questi requisiti possono essere difficili da raggiungere per molte associazioni, come quelle di promozione culturale che organizzano corsi. L’esempio classico è quello delle associazioni culturali che formano bande musicali, in questo caso è necessario avere un numero congruo di insegnanti per i vari strumenti e può essere difficile non superare la quota del 5% degli associati.  Diventa essenziale a questo punto distinguere la figura del volontario da quella dell’associato, infatti non coincidono.

Il volontario in base all’articolo  17 del CTS è una persona che mette a disposizione il suo tempo e le proprie capacità in modo gratuito e senza scopo di lucro al fine di raggiungere lo scopo sociale. Gli associati sono coloro che partecipano alla struttura sociale dell’associazione stessa, come soci fondatori o soggetti che hanno aderito successivamente versando la quota sociale. Naturalmente gli associati possono ricoprire anche il ruolo di volontari, mentre non è detto che i volontari siano associati.

I vantaggi delle Associazioni di Promozione Sociale

Deve però essere sottolineato che in base al Codice del Terzo Settore avere la qualifica di Associazione di Promozione Sociale è molto rilevante perché:

  •  consente di avere benefici fiscali simili a quelli attualmente vigenti con la legge 398 del 1991 per ricavi commerciali inferiori a 130.000 euro (art.86);
  • inoltre le associazioni culturali che scelgono di avvalersi della disciplina prevista per le Associazioni di Promozione Culturale possono ottenere contributi pubblici e privati;
  • possono  partecipare a percorsi di co-progettazione e co-programmazione con pubbliche amministrazioni (artt.55 e 56);
  • possono incentivare fiscalmente le donazioni anche attraverso il riconoscimento del social bonus (artt.81 e 83).

Questi benefici si perdono nel caso in cui si opti per la soluzione dell’ente del terzo settore generico (punto 7 dei settori) , ma come visto non sempre è facile riuscire a qualificarsi come associazione culturale di promozione sociale.

Le Imprese Sociali

La terza soluzione possibile è quella di iscriversi nel settore delle Imprese Sociali, anche in questo caso vi sono dei pro e dei contro. Sicuramente vi sono più agevolazioni fiscali rispetto agli enti del terzo settore generico, ma comunque si tratta di una struttura più complessa con:

  • necessità di nominare i sindaci a prescindere dai volumi delle attività commerciali effettuate;
  • necessità di adottare una contabilità ordinaria;
  • approvare il bilancio civilistico e sociale;
  • effettuare la valutazione di impatto sociale.

Tra gli elementi presenti nel Codice del Terzo Settore che sono positivi vi è la possibilità di migrare da un settore all’altro del Registro senza particolari oneri. E’ possibile iscriversi inizialmente come ente del terzo settore generico e passare poi all’Impresa Sociale oppure alle Associazioni di Promozione sociale e viceversa, cioè sono possibili diversi passaggi. Tali passaggi possono essere effettuati senza dover devolvere il patrimonio sociale. Quest’ultimo può essere un vantaggio rispetto alla disciplina corrente, infatti abbiamo visto che l’associazione culturale al momento dello scioglimento deve devolvere il patrimonio ad un’associazione/ ente che abbia finalità simili.

Associazione culturale senza Partita Iva può emettere fattura?

Senza fini di lucro, quella culturale è un’associazione che può essere costituita con lo scopo di diffondere e di promuovere iniziative a carattere non solo culturale, ma anche umanistico e artistico. Le figure chiave di un’associazione culturale sono i soci e gli attivisti che perseguono lo scopo per cui l’associazione culturale è stata costituita.

E nel farlo, anche per ottenere finanziamenti, i soci e gli attivisti puntano a coinvolgere le istituzioni pubbliche ed anche le aziende con il ruolo di sponsor. Nel perseguire lo scopo sociale, inoltre, all’associazione culturale è permesso ai sensi di legge pure si svolgere delle attività di natura commerciale anche se queste sono e devono essere minime, e quindi non prevalenti. Al riguardo, per esempio, un’associazione culturale senza la Partita Iva può emettere la fattura?

Ecco perché un’associazione culturale senza la Partita Iva non può emettere la fattura

Con il solo codice fiscale, e quindi senza la partita Iva, un’associazione culturale non può emettere la fattura. Questo però non significa che per un’associazione culturale l’apertura di una partita Iva sia obbligatoria. Fino a quando le sole entrate sono di natura istituzionale, infatti, l’associazione culturale può perseguire gli scopi prefissi pure senza la partita Iva.

Se invece per esempio, come sopra accennato, l’associazione incassa dei fondi tramite delle sponsorizzazioni, allora la partita Iva è in tal caso obbligatoria. In quanto per il legislatore quella relativa alla sponsorizzazione viene vista, in tutto e per tutto, come un‘attività commerciale.

Per avere dei rapporti di natura commerciale, quindi, un’associazione culturale deve avere una posizione fiscale attiva attraverso l’apertura di una partita Iva. E solo in questo modo potrà essere emessa regolare fattura distinguendo tra la base imponibile e l’aliquota applicata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. La società sponsor, a sua volta, con l’acquisizione della fattura potrà andare a scaricare l’Iva nonché il costo sostenuto per la sponsorizzazione stessa.

Quando un’associazione culturale deve aprire la partita Iva?

L’attività di un’associazione culturale deve essere in prevalenza di tipo non commerciale, ma in caso di introiti da sponsorizzazione, come sopra spiegato, l’apertura della partita Iva è obbligatoria. E lo stesso dicasi anche per altre operazioni come la cessione di beni nuovi o le attività di ristorazione che, comunque, non devono essere prevalenti. In altre parole, le entrate commerciali devono essere contenute affinché l’associazione culturale, rientrante tra gli enti non commerciali, mantenga valido il suo status.

L’associazione culturale può chiedere l’attribuzione del numero di partita Iva subito, ovverosia in concomitanza con l’attribuzione del codice fiscale, oppure può farlo in un secondo momento. Ed in ogni caso occorrerà compilare ed inviare all’Agenzia delle Entrate il modello AA7/10 per via telematica, a mezzo raccomandata postale oppure recandosi sul territorio presso un ufficio del Fisco.

Via posta raccomandata con la ricevuta di ritorno, al modulo occorre allegare pure la copia di un documento di identità in corso di validità del dichiarante. Mentre all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate occorre presentarsi con il modulo AA7/10 compilato in duplice esemplare. Aperta la partita Iva, l’associazione culturale sarà chiamata poi a rispettare nuovi adempimenti di tipo contabile e fiscale. Ragion per cui è bene in genere rivolgersi ad un commercialista esperto nel terzo settore.