L’Inflazione è un business? Partono i controlli della Guardia di Finanza

Capita spesso che qualcuno in Italia approfitti delle situazioni di difficoltà, confusione e delle novità. È già capitato con il cambio lira/euro quando i prezzi furono arrotondati per eccesso. Ora sembra che stia capitando con l’inflazione e infatti Coldiretti ha iniziato a insinuare qualche dubbio che presto potrebbe sfociare in maggiori controlli della Guardia di Finanza. Sembra infatti che per molti l’inflazione sia un business, cioè che qualcuno ne stia approfittando per aumentare il margine di guadagno.

Inflazione è un business? L’aumento dei prezzi non è giustificato dall’aumento dei costi

L’inflazione dell’ultimo anno ha generato un aumento dei prezzi vistoso, molti però sospettano che alcune filiere abbiano aumentato i prezzi più del dovuto al fine di ottenere un maggiore lucro. Di conseguenza gli italiani starebbero affrontato un aumento non giustificato che sta mettendo in difficoltà molte famiglie. Ad esempio, si calcola che il gelato abbia avuto degli aumenti anche del 20%.

Coldiretti sottolinea che alcuni prodotti, ad esempio la pasta, stanno subendo aumenti più elevati rispetto a quelli che si dovrebbero avere tenendo in considerazione gli aumenti della materia prima, ad esempio il prezzo del grano duro è sceso, e all’aumento dell’energia (i prezzi del settore energetico sono in calo).

Il presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha sottolineato che a questo punto è necessario iniziare dei controlli al fine di tutelare le famiglie. Nel solo mese di marzo 2023 sembra ci sia stato un aumento del prezzo della pasta del 17,5% questo vuol dire che un alimento base della nostra alimentazione rischia di avere un prezzo quasi proibitivo.

Partono i controlli della Guardia di Finanza, ma gli italiani acquistano sempre meno

In seguito all’allarme lanciato, la Guardia di Finanza ha annunciato che inizia ora il monitoraggio del prezzi, l’obiettivo è fare in modo che non vi siano speculazioni e salvare il potere di acquisto degli italiani evitando che l’inflazione sia un business.

Deve infatti essere sottolineato che è vero che aumentano i costi, ma gli italiani comprano sempre meno, rinunciano prevalentemente a frutta e verdura, ma non solo, in calo anche la vendita di carne bovina, pesce e altri ingredienti generalmente utilizzati nella dieta mediterranea. Meno spreco o semplicemente difficoltà a gestire anche la spesa quotidiana?

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Coltivare avocado: clima ideale, costi e guadagni

Il clima italiano diventa sempre più vicino a quello delle zone tropicali, soprattutto al Sud, proprio per questo in regioni come la Sicilia, la Puglia e la Calabria compaiono sempre più colture tropicali come banane, mango e avocado. Scopriamo quali sono le condizioni ideali per coltivare avocado e quanto si può guadagnare.

Coltivare avocado in Italia: si può?

L’avocado è ormai diventato un frutto molto comune sulla tavola degli italiani, ricco di vitamine, sali minerali e antiossidanti. Viene usato per la preparazione di insalate, frullati e per la salsa guacamole, ma non solo. Si tratta di un frutto tropicale che però negli ultimi anni è sempre più spesso coltivato anche in Italia. Per chi lavora nel settore dell’agricoltura, o vuole iniziare a fare investimenti in esso, può trattarsi di una produzione molto redditizia. La prima cosa da capire è in quali condizioni la pianta di avocado può crescere senza richiedere un eccessivo intervento umano per creare le condizioni adatte.

La coltivazione dell’avocado è tipica di un clima tropicale e sud tropicale. Richiede un clima temperato e soprattutto al riparo di gelo e nevicate, ecco perché le zone adatte sono quelle del Sud Italia. Sopporta temperature fino a un massimo di -3°C. Questo particolare albero non sopporta l’eccessivo vento soprattutto nei primi anni quando il fusto è esile.

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I terreni da evitare sono quelli argillosi, eccessivamente calcarei o che favoriscono il ristagno di acqua. Sono invece consigliati terreni con una buona quantità di ghisa e sabbia perché capaci di drenare l’acqua.

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Quando avviare la coltivazione di avocado?

La coltivazione deve essere avviata tra i mesi di aprile e la fine di giugno, si può piantare il seme ( può richiedere 10 anni per fruttificare) o direttamente la piantina ( fruttifica nell’arco di 3 anni). È opportuno ricordare che un albero può raggiungere i 20 metri di altezza quindi per coltivare avocado occorre avere uno spazio adeguato. La raccolta avviene invece nei mesi estivi. Non avendo particolari esigenza di acqua, può essere coltivato anche senza un eccessivo impegno, è stato calcolato che rispetto alla coltivazione di un agrumeto vi è un ottimo risparmio economico.

I costi di impianto sono simili a quelli di un agrumeto, coltivazione tipica della Sicilia, mentre differiscono molto, in favore dell’avocado, quelli di produzione. Nei primi tre anni occorre però prestare molta attenzione alla potatura perché la riuscita della coltivazione dipende molto dall’uso della giusta tecnica.

Per quanto invece riguarda la resa, una piantagione di un ettaro di avocado consente di ottenere 15 tonnellate di prodotto. Proprio per questo motivo viene considerato il nuovo oro verde. Trattandosi di un frutto molto richiesto è anche aumentato il prezzo, in Italia secondo i dati della Coop il consumo è aumentato in poco tempo del 78% e Coldiretti Catania ha anche lanciato l’allarme sui furti di avocado nelle piantagioni presenti nella provincia. Uno dei prodotti più costosi realizzati con l’avocado è il guacamole, un toast può arrivare a costare anche 22 euro. In media il prezzo al kg oscilla tra i 11 e i 20 euro, un pezzo in media pesa 300 grammi.

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Agricoltura: sono sempre più numerose le coltivazioni tropicali in Italia

Il clima sta cambiando, con esso l’agricoltura, che soffre la siccità e l’aumento delle temperature. Proprio per questo si stanno avviando in Italia, soprattutto al Sud, molte coltivazioni tropicali. Di seguito quelle di maggiore successo.

Il clima si surriscalda? Arrivano le produzioni tropicali

Sfruttare al meglio le risorse che si hanno è un modo per proteggere l’ambiente, l’eccessiva siccità che in alcuni periodi dell’anno si prolunga per mesi sta mettendo a dura prova l’agricoltura e l’economia del Paese. A ciò si aggiungono le temperature che nel 2021 sono state in media di 2,18 gradi più elevate della media e il 2022 è stato già definito l’anno più caldo dall’inizio della serie storica. Proprio per questi motivi sono già molti gli agricoltori che stanno cambiando le loro produzioni puntando in tutto o in parte su produzioni di tipo tropicale.

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Che il processo di trasformazione della nostra agricoltura sia in atto è confermato da Coldiretti che sottolinea come in Italia siano presenti sempre più coltivazioni di tipo tropicale. Le Regioni che guidano questa innovazione sono Sicilia, Puglia e Calabria dove sempre di più si coltivano mango, avocado e banane.

Non si tratta di avventure alla cieca, ma di innovazioni che prendono spunto da studi condotti sul clima e che quindi hanno l’obiettivo di insistere con coltivazioni che sono adatte alle caratteristiche dei terreni e del clima. I segni di tropicalizzazione sono più evidenti in Sicilia dove la coltivazione di frutti tropicali ha raggiunto 900 mila tonnellate e comprende anche frutto della passione, lime e litchi che hanno sostituito in particolar modo le coltivazioni di agrumi.

Recupero dei terreni improduttivi e abbandonati per produzioni tropicali

Coldiretti dichiara che i coltivatori hanno puntato soprattutto al recupero dei terreni che erano rimasti incolti a causa proprio del clima sempre più vicino a quello tropicale. Insomma erano diventati improduttivi con le coltivazioni tipiche e allora si è pensato di fare di danno virtù. Il vantaggio è doppio perché, essendo coltivazioni tipiche per il clima che ormai si è creato, non c’è bisogno di creare artificialmente le condizioni, con risparmio quindi di risorse energetiche e idriche. L’idea di concentrarsi su coltivazioni tropicali in Italia è venuta a molti agricoltori anche perché gli italiani preferiscono mangiare frutta prodotta in Italia e non importata e di conseguenza stanno anche aumentando i consumi di questi prodotti.

Vorresti iniziare una coltivazione tropicale? In questo caso puoi leggere le nostre guide per gli aiuti spettanti a chi vuole investire in questo settore.

Se cerchi terre incolte da ottenere a prezzi equi, leggi: Banche delle terre agricole: uno strumento per trovare terreni incolti

Per i contributi invece, leggi: Agevolazioni per l’insediamento di giovani in agricoltura Ismea

Rincari alimentari: ecco i prodotti che hanno subito i maggiori aumenti

Il 2022 è caratterizzato da una serie di aumenti  dei prezzi di prodotti di largo consumo che stanno mettendo in difficoltà le famiglie italiane. Tra quelli che hanno particolare rilevanza ci sono gli aumenti degli alimenti. Scopriamo quali sono i prodotti che hanno avuto i maggiori rincari alimentari.

Rincari alimentari: i maggiori riguardano l’olio

I prodotti che hanno subito aumenti sono quelli per i quali c’è una maggiore influenza delle esportazioni dall’Ucraina. Ecco perché devono essere segnalati gli aumenti dell’olio di semi di girasole, diventato ormai quasi introvabile e che ha avuto aumenti del 43% . L’aumento del costo dell’olio di semi di girasole e soprattutto la sua introvabilità ha portato all’aumento della domanda di altre tipologie di olio, come quello di mais e di oliva. Di conseguenza con l’aumento della domanda, aumenta il prezzo e così si registrano aumenti dell’11% per l’olio di oliva. Ciò nonostante l’Italia ne produca abbastanza e comunque lo importi soprattutto dalla Spagna e quindi ci sia un’influenza limitata degli eventi che caratterizzano l’Ucraina.

Aumento del prezzo del grano

Un altro prodotto che l’Italia importa è il grano, nonostante siano stati incentivati gli agricoltori che producono grano ad aumentare i terreni dedicati a questa coltura e la Banca dei terreni agricoli offra molti ettari per coloro che vogliono investire in agricoltura. In questo settore si registrano aumenti del 17% per farina, pasta e pane cioè prodotti base per la dieta mediterranea. Se fino a qualche mese fa un chilo di pasta costava in media 1,30 euro, ora il costo è di 1,52 euro. Si tratta di prezzi medi e di conseguenza ci sono marchi che hanno prezzi molto più elevati fino a 2,60 euro al chilo in particolare nel caso di scelta di prodotti con trafilatura al bronzo o formati particolari.

Il problema del grano non è limitato ai costi, ma anche all’approvvigionamento, al punto che molti sottolineano che se non si provvede allo sblocco dei grani ucraini che si trovano nei porti, vi è il rischio di una vera e propria crisi alimentare. L’ONU ha calcolato che il blocco potrebbe portare 13 milioni di persone a soffrire la fame. A soffrirne di più potrebbero essere Paesi che già ora affrontano carestie come Egitto, Eritrea, Somalia, Libano, Armenia, Bangladesh, Yemen e Perù in quanto trattasi di Paesi non autosufficienti e che importano la maggiore quantità di grano e cereali proprio da Russia e Ucraina. La crisi generata inoltre non terminerà appena la guerra sarà finita perché in realtà molti terreni sono rimasti incolti e quindi si perderà gran parte del raccolto almeno del 2022.

Rincari alimentari per gli altri prodotti di largo consumo

Il caffè che fino a qualche mese fa aveva mantenuto un prezzo stabile, nell’ultimo mese ha invece visto un aumento del prezzo del 4%, non va meglio per lo zucchero che invece ha visto aumenti del 7,4%.

Non ci sono per ora aumenti particolari aumenti nel settore dell’ortofrutta e in particolare per quanto riguarda prodotti di largo consumo in Italia, come le banane e i pomodori. Aumenti si sono invece registrati per le zucchine e sfiorano il 16%.

Non solo Altroconsumo, anche Coldiretti ha provveduto a una stima dei rincari e registra un aumento del costo della carne di pollo pari al 6%, stesso aumento anche per il pesce fresco.

Secondo Coldiretti vistosi aumenti si sono registrati anche per i costi delle bevande il cui prezzo è in media aumentato del 4,6%. Molto probabilmente in questo caso ad influire sono le spese di trasporto, considerando l’aumento dei carburanti e i costi energetici legati agli stabilimenti di produzione.

Assocarni invece registra un aumento del costo della carne bovina all’ingrosso del 20%. Giustifica tale aumento con il rincaro dei prezzi del cereali con cui gli animali sono alimentati. Si tratta di una sorta di reazione a catena. Naturalmente l’aumento dei prezzi all’ingrosso si ripercuote sui consumatori che al banco trovano brutte sorprese.

Naturalmente i prezzi dei beni di prima necessità accompagnano gli aumenti del prezzi energetici e proprio per questo l’inflazione è galoppante.

Grano e cereali, arriva il piano per aiutare i coltivatori. Campania aumenta la produzione

Due sono gli eventi che mettono in difficoltà le famiglie italiane in questo periodo. Il primo è l’aumento dei costi per l’energia e i carburanti legati alla guerra in Ucraina. Il secondo è l’aumento del prezzo di farina, e di conseguenza pasta e pane, alla base della dieta mediterranea. L’aumento del prezzo del grano e cereali è in realtà iniziato un anno fa a causa della scarsa produzione del Canada e altri eventi congiunturali. Ora l’Italia corre ai ripari con politiche mirate in accordo con le Regioni.

Grano e cereali: l’obiettivo è raggiungere l’autosufficienza. Dati della campagna 2022

L’aumento del prezzo di pane e pasta è legato alla scarsità della materia prima, cioè il grano, che porta la borsa del grano a picchi di prezzo molto elevati e allo stesso tempo a difficoltà di approvvigionamento che inducono i produttori di pasta e pane a lanciare l’allarme.

Alla crisi del grano determinata dalla scarsa produzione del Canada si uniscono gli effetti della guerra in Ucraina, infatti l’Italia importa grano e cereali anche da questa zona. L’obiettivo principale oggi per l’Italia è raggiungere l’autosufficienza sia per quanto riguarda il fabbisogno energetico, sia per quanto riguarda le altre materie prime.

I coltivatori italiani stanno rispondendo abbastanza bene a questa esigenza. Per la campagna di raccolta del 2022 già è stato implementato il terreno coltivato con cereali, tra cui appunto il grano tenero (produzione di pane, pizze, dolci, prodotti lievitati in genere). L’aumento di superficie coltivata a grano a livello nazionale è solo dello 0,5%, per un totale di 500.596 ettari investiti. Per la campagna 2021 gli ettari coltivati erano 498.105 con un incremento di 2.491 ettari. La sensibilità verso la tematica è però diversa nelle varie aree di Italia, infatti l’incremento è del 5,5% al Sud e nelle Isole. Si registra invece un calo nella semina del grano duro, necessario alla produzione di pasta.

In aumento la coltivazione degli altri cereali come l’orzo. Molto probabilmente a frenare la coltivazione è stato anche l’aumento dei prezzi di semi e di tutta la filiera necessaria alla produzione (concimi, carburanti).

Campania: il programma per arrivare all’autosufficenza nella produzione di grano e cereali

Buone notizie potrebbero esservi per la raccolta del 2023, infatti Coldiretti ha annunciato che alcune Regioni stanno già manifestando l’intenzione di stimolare le campagne di coltivazione dei cereali e in particolare di grano duro e tenero. Tra le prime ad aderire è la Campania. La stessa ha reso nota la disponibilità ad aumentare la produzione di 2 milioni di quintali per il 2023.

A dichiararlo è stato Gennarino Masiello, presidente Coldiretti Campania e vicepresidente nazionale. La dichiarazione arriva a margine dell’incontro con il ministro dell’Agricoltura Patuanelli e il ministro per la Transizione Ecologica Cingolani. Nello stesso, alla presenza dell’assessore Caputo, sono state presentate proposte per aiutare il comparto dell’agricoltura in Campania. Particolarmente in difficoltà appare il settore bufalino a causa dell’aumento dei costi delle componenti della mescola dei mangimi. Tra le proposte portate vi è un aumento dei contributi in favore delle aziende agricole, diminuzione delle accise, versamento dei contributi sospesi e il posticipo dell’entrata in vigore della nuova PAC.

A fronte di questi aiuti vi è una disponibilità della Campania ad aumentare la produzione al fine di raggiungere l’autosufficienza. Questo potrebbe avvenire attraverso il recupero dei terreni incolti. La proposta prevede però anche la realizzazione di siti di raccolta di acqua piovana al fine di combattere la siccità che mette a repentaglio soprattutto la coltivazione di mais.

Tutelare i coltivatori con i contratti di filiera che evitano la svalutazione della produzione

Masiello sottolinea anche altri punti, infatti il recupero dei terreni da adibire alla coltivazione di grano tenero, duro e mais non solo potrebbe rendere la Regione autosufficiente, ma potrebbe legare le produzioni al territorio e favorire la biodiversità e, infine, aiutare le aziende agricole ad avere un reddito adeguato.

Coldiretti Campania propone di attivarsi subito per rafforzare il sistema dei contratti di filiera che darebbero ai coltivatori certezze circa il reddito che si può ricavare dalla coltivazione. Infatti i contratti di filiera consentono di avere un prezzo equo e di evitare gli effetti delle pratiche sleali che potrebbero indurre i coltivatori a svendere il raccolto. I contratti di filiera consentirebbero anche a chi ha piccoli appezzamenti di avere un reddito e mettere in produzione i terreni.

La buona notizia è che il Ministro Patuanelli ha accolto con favore le proposte di Coldiretti e ha sottolineato l’impegno a rimuovere il vincolo, previsto nella PAC, al non incremento della superficie irrigabile. Grazie a queste misure la Campania potrebbe tornare già dal 2023 ai livelli di produzione del passato e all’autosufficienza.

Per conoscere i dettagli della nuova PAC, leggi l’articolo: Aziende agricole: reso noto il piano strategico nazionale per la PAC

Banca delle Terre Agricole: ISMEA mette a disposizione terreni in Puglia

Ismea con la Banca delle Terre Agricole mette a disposizione 1.557 ettari di terreni in Puglia. Ecco come ottenerli e avviare la propria azienda.

Aziende agricole in Puglia: disponibili numerosi lotti di terreno a condizioni agevolate

ISMEA, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, mette in vendita con agevolazioni 71 lotti di terreni in Puglia. Le agevolazioni sono rivolte prevalentemente a giovani agricoltori. Le disponibilità sono:

  • 8 terreni da 65 ettari in provincia di Bari
  • 15 lotti a Brindisi di 246 ettari
  • 25 terreni in provincia di Foggia per un totale di oltre 476 ettari
  • 13 terreni da 407 ettari a Taranto;
  • 6 terreni in provincia di Barletta- Andria- Trani di estensione di oltre 339 ettari;
  • 4 lotti in provincia di Lecce di circa 23 ettari.

La Banca delle Terre Agricole è stata istituita dall’art. 16 della legge 28 luglio 2016, n. 154 ed è un inventario completo dei terreni disponibili per essere coltivati. I terreni sono divisi per Regioni.

Si tratta di fondi abbandonati a causa di prepensionamenti e abbandono dell’attività produttiva. L’obiettivo di questo inventario è far in modo che i terreni possano arrivare nella disponibilità di soggetti interessati alla coltivazione ma che non hanno risorse fondiarie. Si tratta soprattutto di giovani agricoltori, che non possono contare su un patrimonio fondiario agricolo familiare, ma che vogliono iniziare una carriera in questo settore portando innovazione, progettualità, idee green.

Per sapere cos’è e come funziona la Banca delle Terre Agricole, leggi l’articolo: Banche delle terre agricole: uno strumento per trovare terreni incolti.

La Banca delle Terre Agricole predilige i giovani agricoltori

Negli ultimi anni l’interesse per l’agricoltura è cresciuto e questo grazie alla nuove opportunità che offre anche con l’uso delle innovazioni tecnologiche che sempre più si fanno largo nel mondo dell’agricoltura. Dai dati raccolti emerge che le aziende agricole condotte dai giovani under 35 hanno anche una migliore produttività e riescono a creare occupazione più delle tradizionali aziende agricole condotte con vecchie tecniche.

Viene così meno la tradizionale remora degli italiani a lavorare in questo settore che nei prossimi anni sarà strategico per il PIL italiano. Accedere ai terreni attraverso la Banca dei Terreni Agricoli, come sottolinea Coldiretti Puglia, offre notevoli vantaggi, infatti in questa Regione i costi ordinari dei terreni sono piuttosto elevati.

  • 14/16mila euro per il seminativo irriguo;
  • 20/25mila euro ad ettaro per i suoli olivetati
  • 33/37mila euro ad ettaro per i terreni ad uva da tavola
  • 15/18mila euro ad ettaro per il frutteto.

Tali valori sono più alti anche rispetto a quelli generalmente praticati in Germania questo perché tutti riconoscono la particolare fertilità di questi terreni che, insieme al clima della Puglia, fanno in modo che i prodotti agricoli di questa regione siano molto ricercati, anche per l’export.

Come ottenere i terreni della Banca delle Terre Agricole in Puglia

Per poter accedere a questa opportunità è necessario visitare il sito: https://www.ismea.it/banca-delle-terre

Dal sito è possibile visualizzare i terreni presenti nelle varie Regioni d’Italia, tra cui anche quelli che si trovano in Puglia. Una volta cercato il terreno di proprio interesse sulla mappa, occorre presentare una manifestazione di interesse. La procedura è molto semplice, maè necessario prima registrarsi con e-mail e password.Fatto questo primo passo si potrà accedere ai servizi.

Deve essere sottolineato che la disponibilità è maggiore nelle regioni del Sud Italia. Molto probabilmente perché proprio qui l’agricoltura ha generato redditi più bassi che hanno portato molti a emigrare al nord o all’estero lasciando terreni incolti.  Sono presenti numerose opportunità in Sicilia, Basilicata, Puglia, poche le disponibilità in Campania, in Lombardia ci sono poco più di 10 ettari in provincia di Pavia.

Ricorda che in Agricoltura sono inoltre presenti ulteriori incentivi a cui puoi accedere e di conseguenza avviare la tua azienda agricola con un supporto economico importante.

Per conoscere le agevolazioni leggi gli articoli:

Agricoltura: aiuti dell’Unione Europea ai settori vitivinicolo e ortofrutticolo

Agricoltura: scopri il Piano Nazionale di sostegno al settore vitivinicolo

Agricoltura: tutte le novità della legge di bilancio 2022

Strategia farm to Fork: come cambieranno agricoltura e consumi

Organizzazione dei produttori agricoli: vantaggi per le aziende agricole

L’agricoltura è uno dei settori strategici dell’economia italiana e dell’Unione Europea. Nel tempo purtroppo è stata messa da parte e il settore abbandonato, sebbene non si possa fare a meno di esso in quanto rispondente alle esigenze primarie di ogni essere umano. L’allontanamento delle persone dall’agricoltura è dovuto principalmente alla difficoltà per le aziende agricole e per gli addetti ai lavori di raggiungere un reddito pari a quello di altre produzioni e di conseguenza sempre più persone hanno lasciato le città con l’obiettivo di ottenere condizioni di vita migliori. Negli ultimi anni c’è però una riscoperta e questa è dovuta alla valorizzazione delle produzioni e all’impegno dell’Unione Europea per tutelare il reddito di coloro che sono impegnati in agricoltura. Un forte aiuto a realizzare tale parità di reddito arriva dalla scelta di aderire all’Organizzazione dei Produttori agricoli (OP).

Organizzazione dei Produttori: cosa sono e quali compiti svolgono?

Molti provvedimenti dell’Unione Europea hanno come destinatarie le Organizzazioni di Produttori (OP) una sorta di enti intermedi tra le aziende agricole e i compratori di prodotti agricoli e tra le aziende e le autorità. L’insieme dei servizi forniti dalle OP rappresentano un vantaggio per le aziende agricole, che siano di piccola o grande entità . Il ruolo principale delle OP è di gestire i rapporti tra le aziende agricole e il mercato. L’Unione Europea sottolinea che vi è un particolare sostegno a tali organizzazioni e questo si manifesta soprattutto deroghe alle regole di concorrenza dell’UE per determinate attività e accesso ai finanziamenti per le aziende del settore ortofrutticolo.

Le Organizzazioni di Produttori hanno regole e servizi differenti in base al principio di autoregolazione, ma nella maggior parte dei casi si occupano di ritirare i prodotti agricoli, ad esempio le organizzazioni di produttori di nocciole, ritirano dalle piccole aziende le nocciole e fanno in modo che le stesse arrivino al mercato e alle grande distribuzione, alle grandi aziende cosa che sarebbe difficile per un piccolo produttore. Le OP spesso mettono a disposizione anche locali per la corretta conservazione dei prodotti, evitando così che prodotti ortofrutticoli possano perdersi ed evitando alle aziende agricole di acquistare strumentazioni costose, come possono essere le celle frigorifero.

Le OP offrono anche il vantaggio di evitare l’invenduto, infatti non sarà compito della azienda agricola che può avere anche piccole dimensioni, cercare un compratore, lo stesso è spesso interessato a grandi quantitativi e che quindi si rivolgono alle organizzazioni di produttori.

Ulteriori vantaggi dell’adesione a un’Organizzazione di produttori

La possibilità di accedere più facilmente a bandi comunitari, nazionali, regionali e locali e di evitare l’invenduto e perdite sono sono i vantaggi principali che possono avere le aziende agricole che aderiscono alle OP. Ulteriori vantaggi possono essere:

  • ridurre i passaggi commerciali;
  • avere a disposizione professionisti che aiutano nella gestione delle varie pratiche, ad esempio offrono assistenza per accedere ai fondi;
  • allargare l’accesso ai mercati con la possibilità di accedere anche a quelli esteri;
  • ottenere garanzie sui crediti da riscuotere, infatti avere un’organizzazione di produttori che si occupa di intermediazione tra piccole aziende e compratori offre maggiori tutele;
  • gestire direttamente la trasformazione dei prodotti;
  • programmare la produzione in base al fabbisogno del mercato evitando così anche che i prezzi possano ribassare eccessivamente (ad esempio i contratti di filiera del grano);
  • gestire sistemi di qualità e certificazioni.

Le Organizzazioni di Produttori in Italia e in Europa

In Italia l’organizzazione di produttori agricoli più conosciuta è sicuramente Coldiretti che offre alle aziende agricole assistenza a 360°, ma non solo, infatti ci sono organizzazioni di produttori di settore, come quelle della mela annurca, delle castagne, del miele. In Italia le OP attualmente in attività sono circa 300 e sono destinatarie di Piani Operativi di livello nazionale ed europeo. Nell’Unione Europea sono invece presenti 11 milioni di aziende agricole, molte delle quali operano a livello familiare, ci sono invece circa 3400 OP. A queste organizzazioni possono aderire anche produttori che hanno produzioni irrisorie e che più difficilmente riescono a collocarsi sul mercato, magari anche con prodotti agricoli di qualità che rischierebbero l’invenduto.

Crisi del grano: attesi aumenti tra i 10-40 centesimi per pasta e pane

Non si era mai vista una crisi del grano così, questo è quanto afferma Giuseppe Ferro, A.D. del Pastificio La Molisana.

Forte calo di produzione di grano nel 2021

Giuseppe Ferro è l’Amministratore Delegato del pastificio La Molisana ed è proprio lui, attraverso un’intervista al Sole 24 Ore, a lanciare l’allarme affermando che molto probabilmente le scorte dell’azienda inizieranno a mancare già nei primi mesi del 2022. Secondo Giuseppe Ferro, la crisi è dovuta al forte calo di produzione avvertito in Canada, il primo Paese al mondo per quantità di grano prodotto, infatti la sua produzione, ma non solo, ha avuto un drastico calo. In passato produceva annualmente 6,5 milioni di tonnellate di grano, mentre nel 2021 solo 3,5 milioni di tonnellate.

Il problema però non è relativo solo alla sua azienda, infatti il calo di produzione ha colpito a livello globale. Naturalmente la riduzione della produzione ha portato le aziende della filiera, tra cui i pastifici, ma anche industrie che operano nel settore dolciario, alla corsa all’accaparramento e questo ha generato fin da ora un aumento dei prezzi della materia prima. Ferro sottolinea che una crisi così grave e profonda non è stata registrata neanche nel periodo delle guerre, infatti lo storico pastificio molisano è in produzione da oltre 100 anni e fino ad ora non aveva mai visto una penuria simile. A ciò si deve aggiungere che mentre per il grano duro lo stoccaggio è annuale, ma è possibile conservarlo anche fino a due anni, per la semola è addirittura di pochi mesi e di conseguenza il rischio che ci sia una vera assenza della materia prima è davvero elevato.

Crisi del grano: i primi aumenti sono già arrivati

Questo naturalmente si ripercuoterà sulle tasche dei cittadini, infatti le leggi di mercato si applicano anche al grano e quindi al diminuire dell’offerta e all’aumentare della domanda, aumentano anche i prezzi. Attualmente le quotazioni sono a 550 euro a tonnellata, mentre negli anni precedenti erano a 250 euro, si può capire da questi dati quale sia la rilevanza della maggiorazione dei prezzi. Ciò soprattutto perché in alcune realtà aziendali, ad esempio pastifici, il costo del grano/farina rappresenta l’85% dei costi di produzione e quindi gli aumenti attesi sono considerevoli. Questo vuol dire che i produttori di pasta e di altri prodotti da forno, tra cui il pane, hanno dei costi di produzione più alti che si riversano sul prodotto finale.

Giuseppe Ferro sottolinea come i primi aumenti siano già operatrivi, infatti la catena LIDL ha già aumentato il prezzo della pasta di 10 cents a pacco, mentre sono attesi aumenti fino a 15-20 cents per pacco di pasta già nei prossimi mesi, addirittura prima di Natale. Naturalmente questi aumenti peseranno in modo incisivo sulla spesa degli italiani che sono abituati a consumare pane, pasta e prodotti da forno quotidianamente.

Crisi del grano confermata anche da Italmopa e Coldiretti

Le prospettive indicate da Giuseppe Ferro sono confermate anche da Coldiretti e proprio per questo non appaiono allarmistiche bensì ponderate. Coldiretti esaminando i dati sottolinea che il calo di produzione di grano in Italia è stato del 10% e che esso è dovuto soprattutto al clima. Sulla stessa linea è anche l’Associazione Industriale Mugnai d’Italia (Italmopa)che ha sottolineato come nel settore del grano si è verificata la tempesta perfetta con un calo di produzione elevato nel 2021 e una riduzione delle scorte mondiali che hanno portato a un incremento del prezzo del grano del 65% in pochi mesi. Grassi, presidente di Italmopa, ha inoltre sottolineato che l’aumento dei costi energetici e logistici che si stanno registrando porteranno la situazione a deteriorarsi ulteriormente.

Italiani più consapevoli contro il falso Made in Italy

Coldiretti ha dato il via alla petizione #stopcibofalso contro il falso Made in Italy che, purtroppo, spopola sugli scaffali dei supermercati, soprattutto esteri.

Fortunatamente, però, ultimamente gli italiani dimostrano di avere una nuova consapevolezza nei confronti dell’importanza della qualità dei prodotti che acquistano e consumano, ma anche della tutela del Made in Italy, che va difeso contro ogni contraffazione.

A dimostrazione di questa tendenza, quasi due terzi degli italiani sono disposti a pagare anche il 20% in più per essere sicuri di portare in tavola prodotti davvero provenienti dal Belpaese e senza contaminazioni estere.
Come conseguenza, il mercato dei prodotti patriottici, che riportano sulle confezioni la Bandiera Italiana e la scritta Product of Italy, è aumentato del 2,2%.

In particolare, sono aumentati i consumi di prodotti con certificazione di origine Doc/Docg e Dop/Igp.

Questa la nota di Coldiretti: “Per tutelare questo mercato dai troppi inganni nei suoi ultimi interventi l’Autorità Garante della concorrenza ha contestato tra l’altro la presenza della bandiera italiana e della scritta ‘Product of Italy’ su vasetti di Pomodori secchi a filetti e di Frutti del cappero provenienti rispettivamente da Turchia e Marocco perché in entrambe le etichette la presenza di bandiere e di scritte sull’italianità dei prodotti poteva indurre i consumatori a pensare che le conserve fossero preparate con verdure coltivate in Italia, ma la bandiera italiana è stata rimossa anche da tutte le conserve di un’altra azienda che produce ‘Spicchi di carciofi in olio di girasole’ perché nonostante la dicitura ‘Prodotto e confezionato in Italia’ la materia prima risultava importata dall’Egitto”.

Per difendere ancora di più il Made in Italy dalle contraffazioni, dalla commissione presieduta da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso da Coldiretti, sono arrivate proposte di riforma dei reati alimentari, che si spera vengano approvate dal Consiglio dei Ministri.

Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti, ha dichiarato: “Il primato italiano nella qualità e nella sicurezza alimentare conquistato grazie all’impegno degli agricoltori e ad una attività di controllo senza uguali nel mondo va difeso di quanti cercano di sfruttare impropriamente il valore aggiunto creato con l’inganno e le speculazioni. L’agricoltura italiana è la più green d’Europa con il maggior numero di prodotti a denominazione di origine Dop/Igp (293), la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico (quasi 60mila), ma anche con la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma e la decisione di non coltivare organismi geneticamente modificati”.

Vera MORETTI

Frutta e verdura Made in Italy da record

Nonostante l’anno scorso sia stato caratterizzato da temperature imprevedibili, e pericolose per l’agricoltura, tanto che anche i prezzi hanno pesantemente influito sulle tasche degli italiani, il 2017 passerà alla storia anche, e soprattutto, per il record storico delle esportazioni di frutta e verdura, con un valore di circa 5,2 miliardi in aumento del 2% rispetto all’anno precedente.

Questi numeri sono stati resi noti da Coldiretti, che si è anche basata sui dati Istat, e sono stati presentati in occasione dell’apertura di Fruitlogistica di Berlino, la fiera internazionale più importante del settore.

La Germania, oltretutto, è il Paese che rappresenta, per l’acquisto di frutta e verdura italiane, il principale cliente, tanto che si aggiudica il terzo posto nelle esportazioni totali, in aumento del 4% nel 2017.

Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, ha dichiarato in proposito: “L’Italia ha le risorse per cogliere le opportunità che vengono dalle nuove tendenze salutistiche nel mondo dove il Made in Italy ha un valore aggiunto in più”.

Per fare in modo che questi risultati si mantengano,però, occorre intervenire per rimuovere gli ostacoli organizzativi, ma anche burocratici e infrastrutturali.
Ad esempio, suggerisce Coldiretti, bisognerebbe accelerare i dossier fitosanitari che potrebbero permettere di aumentare le esportazioni di prodotti ortofrutticoli verso destinazioni oggi problematiche, come Brasile, Cina, Giappone e Sudafrica.

Dall’altra parte, però, occorrerebbe porre un freno alle importazioni, che nel 2017 sono aumentate del 5%, specialmente per quanto riguarda il Marocco, dal quale importiamo pomodoro, arance, clementine, fragole, cetrioli e zucchine o con l’Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi, per un totale di quasi 5 miliardi.

Vera MORETTI