Aumento di capienza cinema e teatri: parere positivo da parte del CTS

Arriva il si per l’aumento di capienza da parte del comitato tecnico scientifico. Cosa cambia per palestre, stadi, cinema e teatro?

Aumento di capienza: le nuove regole

L’aumento di capienza era nell’area già da giorni. Ma con il parere favorevole del CTS le cose potrebbero davvero cambiare. Pertanto, cinema, teatri, arene la capienza arriva al 100% se all’aperto. Mentre sale all’80% nel caso di eventi al chiuso. Questo è quanto stabilito dal Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della salute.

Infatti il comitato nei giorni scorsi era stato chiamato a dare il proprio parere sull’argomento. Inoltre il CTS dà anche il via alla graduale riapertura alla presenza per gli eventi sportivi. Mentre sembra non sia prevista alcuna limitazione per l’accesso ai musei. Ma attenzione le strutture devono comunque sfruttare tutta l’area disponibile, per evitare sempre e comunque che ci siano degli assembramenti di persone. Pertanto i settori come sport e cultura potrebbero cominciare a tirare un sospiro di sollievo.

In attesa ancora le discoteche

Al comitato tecnico scientifico è stato chiesto un parere anche in merito alle discoteche. Nei prossimi giorni dovrebbero arrivare le indicazioni e le modalità di riapertura. Tuttavia quello delle discoteche è stato uno dei settori fortemente danneggiati dalla pandemia. Forse si pensa a delle regole più generali e più equilibrati tra eventi sportivi, culturali e musicale. Ma anche in questo caso rimarranno sempre due regole fondamentali da seguire:

  • indossare la mascherina per tutta la durata dell’evento o della manifestazione;
  • mostrare il Green pass.

Pertanto per quanto riguarda le manifestazioni sportive si va verso aumento della capienza massima delle strutture all’aperto al 75% e per quelle al chiuso al 50% in zona bianca. Mentre per quanto riguarda cinema, teatri e sale da concerto è previsto un aumento della capienza massima delle strutture all’aperto al 75% e per quelle al chiuso al 50% in zona bianca.

Cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni

Gli occhi rimangono sempre puntati sull’andamento della curva dei contagi. Ma se continuano a scendere, come in questi giorni, le totali riaperture appaiono sempre più vicine. Grazie anche all’aumento degli italiani che hanno scelto di vaccinarsi. Il CTS mercoledì dovrebbe anche riunirsi in merito alla quarantena nelle scuole, in cui le regole sono lasciate alle regioni che affrontano diversamente le scelte di quarantena scolastica. Pertanto si chiede al governo di uniformare le regole in materia per tutta la Nazione. Infine, da oggi al via alla terza dose di vaccinazione per i soggetti deboli, anziani oppure ospiti delle residenze sanitarie assistenziali.

Assenza ingiustificata, cosa significa e quali conseguenze per il lavoratore senza Green pass?

I lavoratori che non avranno il Green pass del 15 ottobre 2021 saranno considerati assenti ingiustificati. Nel testo definitivo del Decreto del Green pass, tuttavia, il dipendente non è più sospeso dalla prestazione. Per le aziende, invece, si semplificano le procedure in caso di assenza del lavoratore. Ma proprio alla luce delle più recenti novità del decreto, diventa fondamentale comprendere il significato dell’assenza ingiustificata e capire a quali conseguenze, anche procedurali, possa portare la mancanza del Green pass.

Green pass, com’è cambiato il decreto 127 del 2021 e lo ‘status’ del lavoratore assente ingiustificato

Va fatta subito una premessa: fino al 31 dicembre 2021 l’assenza dal lavoro per mancanza del Green pass non ha conseguenze disciplinari e il lavoratore non perde il suo posto. Ma risulta utile verificare come la versione definitiva del decreto numero 127 del 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 22 settembre, abbia modificato lo “status” del lavoratore privo di Green pass che dovrà essere considerato assente ingiustificato. Nella versione precedente del decreto, il lavoratore era sospeso dal lavoro, con obbligo di comunicazione dell’azienda all’interessato.

Senza Green pass niente stipendio o altri compensi fin dal primo giorno

È proprio lo status del lavoratore senza Green pass il nocciolo della questione. Infatti, chi è privo di certificazione non risulta più sospeso dalla prestazione lavorativa, ma considerato semplicemente “assente ingiustificato”. Dal punto di vista delle conseguenze per il lavoratore non cambia nulla. Ovvero, durante il periodo di assenza il lavoratore non percepirà la retribuzione e nemmeno altri compensi o emolumenti. La decorrenza della perdita di stipendio avviene dal primo giorno in cui sia stato inibito al lavoratore l’accesso nel luogo di lavoro per mancanza del Green pass.

Cosa cambia da sospensione dal lavoro ad assenza ingiustificata?

Le novità del decreto sono dunque inerenti al cambio dalla sospensione dal lavoro all’assenza ingiustificata. Perché, nella prima bozza del decreto, la sospensione comportava in ogni modo l’adozione di un provvedimento da parte del datore di lavoro da comunicare al lavoratore stesso. Mentre, con le modifiche al decreto, adesso l’assenza ingiustificata diventa più semplicemente un fatto del quale l’azienda ne prende atto, senza dover necessariamente comunicare alcunché al lavoratore.

Senza Green pass l’azienda non deve comunicare la sospensione al dipendente

In questo avanzamento del decreto, pertanto, la sospensione della retribuzione rappresenta una conseguenza automatica all’assenza ingiustificata. A supporto di questa interpretazione c’è proprio la cancellazione, nella versione definitiva del decreto, della disposizione che poneva a carico del datore di lavoro il dovere di comunicare immediatamente la sospensione al dipendente. Analogamente, per i lavoratori del pubblico impiego, non è previsto che la sospensione debba essere disposta dal datore di lavoro o da un suo delegato. E, dunque, comunicata al lavoratore. Si tratta di un’altra novità con la quale si è modificata la versione bozza del decreto stesso.

Eliminata la disparità pubblico-privato dell’assenza ingiustificata dal quinto giorno

La versione definitiva del decreto sul Green pass ha anche provveduto a eliminare una disparità tra lavoratori del pubblico impiego e quelli del settore privato in merito alla decorrenza dell’assenza ingiustificata. Infatti, nelle scorse settimane erano intercorse divergenze riguardo ai lavoratori della Pubblica amministrazione, privi di Green pass, e per questo assenti ingiustificati da subito e sospesi dopo 5 giorni di assenza, e privati da sospendere fin dal primo giorno. Con il decreto in Gazzetta, tutti sono fin da subito considerati assenti ingiustificati se privi di Green pass.

Escluse le conseguenze disciplinari, fino a quando vige l’obbligo del Green pass a lavoro?

L’assenza ingiustificata vige fino alla presentazione di un regolare Green pass. In mancanza, il termine è fissato al 31 dicembre 2021. A ogni modo, l’assenza ingiustificata non comporta conseguenze disciplinari e, in particolar modo, conseguenze sulla conservazione del posto di lavoro. In questo il decreto è andato oltre alle normali conseguenze ricollegate, anche dai contratti collettivi, a chi si assenti ingiustificatamente dal proprio lavoro. In altre parole il decreto evita che il lavoratore senza Green pass possa essere licenziato come avverrebbe nelle normali situazioni in cui si verifichi un certo numero di giorni di assenza ingiustificata.

Sanzioni per ‘presenze’ ingiustificate e mancati controlli del Green pass

Il decreto, inoltre, ha lasciato immutate le sanzioni amministrative previste sia a carico del lavoratore che per il datore di lavoro. Per il lavoratore senza Green pass che si trovi sul posto di lavoro la sanzione varia da un minimo di 600 fino a 1.500 euro. La stessa sanzione si prevede anche per il lavoratore esterno all’azienda che vada a svolgere una prestazione lavorativa all’interno dell’azienda. È il caso, ad esempio, di un lavoratore autonomo o libero professionista. Per il datore di lavoro che non effettui i controlli, invece, la sanzione va da un minimo di 400 a un massimo di 1.000 euro.

Partite Iva, atteso in GU il nuovo contributo a fondo perduto: ecco le attività e i codici Ateco interessati

È atteso in Gazzetta Ufficiale il nuovo contributo a fondo perduto per le partite Iva e le attività rimaste chiuse per l’emergenza Covid. Il provvedimento decreterà le modalità di accesso al contributo: il presupposto è la chiusura per almeno 100 giorni nel periodo dal 1° gennaio al 25 luglio 2021.

Presentazione domanda contributi a fondo perduto partite Iva: in attesa indicazione Agenzia entrate

Il decreto, adottato di concerto dal ministero dello Sviluppo economico e quello dell’Economia, individua le partite Iva beneficiarie del fondo perduto disponendo aiuti per 140 milioni di euro. L’aiuto verrà erogato direttamente dall’Agenzia delle entrate sul conto corrente bancario o postale da indicare nella domanda. Le indicazioni per la domanda del contributo a fondo perduto saranno contenute in un provvedimento che verrà adottato dall’Agenzia delle entrate entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale.

Requisiti per presentare domanda contributi a fondo perduto

Oltre alla chiusura per 100 giorni della propria attività, tra i requisiti per presentare domanda del nuovo contributo a fondo perduto figura l’appartenenza della propria attività a uno dei codici Ateco beneficiari della misura. La correlazione della propria attività a uno dei 27 codici Ateco destinatari degli aiuti deve essere in corso di validità alla data del 26 maggio 2021.

Nuovi contributi a fondo perduto, quali sono gli importi degli aiuti?

Differenti sono gli aiuti alle discoteche, sale da ballo, night club e simili. Identificati con il codice Ateco 93.29.10, le attività avranno come requisito della chiusura un lasso di tempo più lungo. Infatti, i 100 giorni di chiusura dovranno essere compresi tra il 1° gennaio e il 23 luglio 2021. Inoltre, l’importo erogato ai soggetti autonomi rientranti in questo codice Ateco può arrivare a 25 mila euro per una dotazione complessiva prevista di 20 milioni di euro.

Importi contributi a fondo perduto: importi da 3 mila a 12 mila euro

Le altre risorse per i contributi a fondo perduto sono ripartite tra gli altri codici Ateco in base agli importi seguenti:

  • aiuti per 3 mila euro per gli autonomi con ricavi e compensi fino a 400 mila euro. Il periodo di riferimento è il periodo d’imposta del 2019;
  • contributi per 7.500 euro per ricavi e compensi da 400 mila a un milione di euro;
  • aiuti di 12 mila euro per lo scaglione successivo, ovvero per ricavi nel 2019 superiori a 1 milione di euro.

Il contributo minimo è di 3 mila euro nel caso in cui le domande siano in eccesso rispetto alle risorse messe a disposizione. In questa situazione, si procedere con una rimodulazione degli aiuti.

I codici Ateco e le attività che possono richiedere il nuovo contributo a fondo perduto

Ecco dunque, a eccezione delle discoteche e simili di cui abbiamo indicato già il codice Ateco, le altre attività destinatarie dei contributi a fondo perduto. Nel dettaglio:

  • 47.78.31 relativo al commercio al dettaglio di oggetti d’arte (incluse le gallerie d’arte);
  • 49.39.01 sulle gestioni di funicolari, ski-lift e seggiovie se non parte dei sistemi di transito urbano o suburbano;
  • 56.21.00 per catering per eventi e banqueting;
  • 59.14.00 per attività di proiezione cinematografica.

Aiuti Covid ad attività di eventi,  corsi e artistiche

Tra le attività autonome che svolgono corsi ed eventi, destinatarie dei nuovi aiuti a fondo perduto, troviamo:

  • 79.90.11 per i servizi di biglietteria per eventi;
  • 82.30.00 relativo all’organizzazione di convegni e fiere;
  • 85.51.00 per i corsi sportivi e ricreativi;
  • 85.52.01 per i corsi di danza;
  • 90.01.01 per le attività nel campo della recitazione;
  • 90.01.09 per altre rappresentazioni artistiche;
  • 90.02.09 per le altre attività di supporto alle rappresentazioni artistiche.

Contributi a fondo perduto ad attività dello spettacolo, palestre e discoteche

Tra le attività destinatarie di aiuti Covid si ritrovano quelle addette alla gestione di teatri, settori dello spettacolo e di impianti sportivi. Nel dettaglio:

  • 90.04.00 per la gestione di teatri, sale da concerto e altre strutture artistiche;
  • 91.02.00 relativo alle attività di musei;
  • 91.03.00 sulla gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili;
  • 92.00.02 per la gestione di apparecchi che consentono vincite in denaro;
  • 92.00.09 per le altre attività connesse con le lotterie e le scommesse;
  • 93.11.10 sulla gestione di stadi;
  • 93.11.20 per la gestione di piscine;
  • 93.11.30 per la gestione di impianti sportivi polivalenti;
  • 93.11.90 per la gestione di altri impianti sportivi non altrimenti classificati;
  • 93.13 relativo alla gestione di palestre;
  • 93.21 inerente i parchi di divertimento e parchi tematici;
  • 93.29.10 le discoteche, sale da ballo night-club e simili;
  • 93.29.30 per le sale giochi e biliardi;
  • 93.29.90 per le altre attività di intrattenimento e di divertimento non altrimenti classificati;
  • 96.04 sui servizi dei centri per il benessere fisico;
  • 96.09.05 per le organizzazione di feste e cerimonie.

Fondo perduto: i contributi Covid vanno riportati nel quadro RS senza l’importo

I contributi ottenuti dallo Stato tramite l’Agenzia delle entrate per l’emergenza Covid come fondo perduto devono essere riportati nel quadro RS senza indicarne il relativo importo. Pertanto, la compilazione del prospetto “aiuti di Stato” del modello Redditi, ai righi RS 401 e RS 402 necessitano dei chiarimenti per non incorrere in errori.

Redditi dei professionisti e delle imprese: come vanno indicati gli ‘aiuti di Stato’ per Covid?

Le imprese e i professionisti, nei quadri della determinazione del reddito, possono anche non indicare i contributi ricevuti senza incorrere in sanzioni. Fanno eccezione i contribuenti in contabilità ordinaria che devono procedere con l’opportuna iscrizione nel quadro RF. L’iscrizione deve avvenire con apposita variazione in diminuzione per sterilizzare i proventi derivanti proprio dagli aiuti di Stato a bilancio.

Indicazione dei contributi a fondo perduto nel quadro RS del modello Unico 2021

Sui contributi a fondo perduto erogati dall’Agenzia delle entrate durante l’emergenza sanitaria, non si compilano i campi relativi agli importi. Sarà la stessa Agenzia delle entrate a recuperare le informazioni dai bonifici accreditati.  In questo caso, i codici del rigo RS 401 del modello Unico 2021 sono il 20, il 22, il 23, il 27 e il 28.

Modello Redditi, come si compila il rigo RS 401 per i contributi ricevuti durante l’emergenza Covid?

Inoltre, il codice 24 del rigo RS 401 e il codice 8 del rigo IS 201 del modello Irap sono diventati inutili ai sensi di quanto prevede l’articolo 1 bis del decreto legge numero 73 del 2021. Per quanto riguarda il quadro RS, le istruzioni richiedono l’indicazione dei contributi a fondo perduto ricevuti. Diversamente, le Faq ritengono che la compilazione debba avvenire “per cassa”. Di conseguenza, si ritiene che entrambe le interpretazioni siano valide, senza incorrere in conseguenze.

Contributi a fondo perduto erogati dall’Inps, come vanno dichiarati?

Durante la pandemia vari contributi a fondo perduto sono stati erogati sia dall’Inps che dalle Casse di previdenza. Per questi aiuti non è necessario riportarli nemmeno nel quadro RS. Lo stesso principio deve essere adottato per gli aiuti di natura non fiscale: rientrano in questa categoria gli sgravi contri e le garanzie sui finanziamenti.

Crediti di imposta Covid, indicazioni sui quadri RU e RE

I crediti di imposta erogati durante l’emergenza Covid, devono essere riportati in diversi quadri:

  • nel quadro RU;
  • in quello RF in decremento dal reddito;
  • nel quadro RS con l’indicazione dell’importo ricevuto;
  • in quello RS o nel quadro IQ se riferito all’Irap.

Non devono invece essere indicati i bonus sanificazione e quelli riguardanti “botteghe e negozi” previsti dal decreto legge “Cura Italia”. Entrambi, infatti, non riguardano il Quadro temporaneo.

Detassazione dei contributi a fondo perduto: cosa dice il decreto legge 137 del 2020

Infine, è necessario ricordare che gli aiuti a fondo perduto beneficiano della detassazione, ancorché generalizzata. La detassazione fa capo all’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020 in tema di “Detassazione di contributi, di indennità e di ogni altra misura a favore di imprese e lavoratori autonomi, relativi all’emergenza Covid-19” in vigore dal 25 luglio 2021.

Detassazione dei contributi e delle indennità a fondo perduto

Nel dettaglio, la norma specifica che “I contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP)”. Inoltre, “non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917”.

 

 

Coefficienti di trasformazione, come influiscono sull’assegno di pensione?

Il calcolo delle pensioni del meccanismo contributivo implica un equilibrio tra il montante dei contributi che si sono versati durante la vita lavorativa e l’importo della pensione attesa. Questa equivalenza necessita, dunque, dell’applicazione di coefficienti di trasformazione, cioè di parametri che, moltiplicati per il montante dei contributi rivalutati, determinano l’assegno di pensione maturato in corrispondenza dell’età dell’uscita da lavoro.

Prestazione pensionistica e assegno futuro di pensione legato alla speranza di vita

Il coefficiente di trasformazione delle pensioni implica anche una componente aleatoria, dipendente dalla speranza di vita attesa all’età di uscita da lavoro. L’aumento della speranza di vita, e dunque il numero di anni sul quale spalmare la futura pensione, determina una conseguente riduzione della prestazione pensionistica. Viceversa, una speranza di vita in diminuzione implica (come sta avvenendo a causa della Covid) un assegno pensionistico più elevato.

Sistema pensionistico ed equilibrio dei coefficienti di trasformazione

Il sistema previdenziale contributivo si basa essenzialmente sul coefficiente di trasformazione per determinare, in maniera equa, il futuro assegno di pensione. Un aumento o una diminuzione accentuati della speranza di vita determinerebbe uno squilibrio finanziario direttamente proporzionale al numero, rispettivamente maggiore o minore, di assegni mensili. In linea di massima, il sistema previdenziale si può equilibrare agendo su tre fattori:

  • innalzando il valore dei contributi;
  • aumentando l’età di uscita per il pensionamento;
  • diminuendo i coefficienti di trasformazioni e quindi riducendo il valore del mensile di pensione.

Riequilibrio del sistema previdenziale

L’aumento del valore dei contributi è una soluzione impraticabile data la pressione alla quale è sottoposta, al giorno d’oggi, la previdenza italiana. Pertanto, la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione, oltre ad agire sull’età del pensionamento, rappresenta il meccanismo tramite il quale il sistema previdenziale provvede al riequilibrio. Ovvero all’equilibrio tra i contributi versati, l’età di uscita per il pensionamento e la rata della prestazione previdenziale.

Coefficienti di trasformazione, più si anticipa la pensione più sono bassi

Analizzando i coefficienti di trasformazione si può notare che, fin dalla loro introduzione nel 1995, i parametri sono più bassi quanto più bassa è l’età di uscita per il pensionamento. Contrariamente, più si esce a un’età avanzata, più i coefficienti sono elevati. Dunque, una prima osservazione porta a concludere che più si beneficia di meccanismi di pensione che fanno abbandonare prima il lavoro e minore sarà l’assegno futuro di pensione. Ciò dipende sia dal minor numero di anni di contributi versati (ad esempio 38 anni, quanti ne richiede la quota 100 rispetto ai circa 43 della pensione anticipata), ma anche dal coefficiente di trasformazione. Che, all’età di 62 anni, quella minima della quota 100, fa corrispondere un indice più basso dei 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia.

Coefficienti di trasformazione, diminuiscono a ogni aggiornamento

La seconda considerazione che si può fare sui coefficienti di trasformazione è quella secondo la quale gli indici sono decrescenti nel tempo. Ovvero, i valori dei coefficienti diminuiscono a ogni revisione che, attualmente, si fa ogni due anni. Considerando l’età di uscita dei 67 anni, quella per la pensione di vecchiaia, nel periodo dal 1995 al 2009 il coefficiente di trasformazione era pari a 6,136%. Da notare che fino al 2009, il coefficiente di trasformazione dai 65 anni in su era sempre lo stesso. Attualmente, l’Inps determina il coefficiente sulla base dei dati demografici Istat dai 57 ai 71 anni di età.

Qual è l’attuale coefficiente di trasformazione per le pensioni di vecchiaia?

Con i valori in vigore dal 1° gennaio 2021, chi va in pensione a 67 anni ha un coefficiente pari a 5,575%, ancora più basso del 5,604% del biennio precedente, ovvero il 2019-2020. Considerando l’età minima per la quota 100, i 62 anni, l’attuale coefficiente è pari a 4,770%, meno del precedente aggiornamento (4,790% del 2019-2020) e infinitamente inferiore a quello del 1995-2009 pari a 5,514%.

Coefficienti di trasformazione, aggiornamento periodico

La costante diminuzione dei coefficienti di trasformazione a ogni aggiornamento può portare i contribuenti a uscire da lavoro alla prima data utile possibile. Da un lato, infatti, è vero che più si esce tardi e più il coefficiente di trasformazione è alto. Ma, dall’altro lato, è altrettanto vero che il coefficiente diminuisce ogni due anni, cioè ad ogni aggiornamento. per ciascuna età di uscita. E i requisiti di uscita, ovvero l’età minima richiesta o i contributi minimi versati, sono sempre più in aumento. La riforma delle pensioni di Elsa Fornero del 2011 aveva previsto il ricalcolo dei coefficienti dapprima ogni tre anni e poi, dal 2019, ogni due. E, di conseguenza, anche una diminuzione del mensile di pensione a una rotazione più elevata.

Esempio di calcolo dei coefficienti di trasformazione

La relazione tra coefficienti di trasformazione, aspettativa di vita e montante contributivo può essere spiegata con un esempio. Ammettiamo un contribuente che, nella vita lavorativa, abbia accumulato 280 mila euro di montante contributivo. È interessante verificare di quanto è diminuita la pensione del contribuente nel tempo a parità di età di uscita, ovvero a 67 anni. Innanzitutto, è indispensabile verificare le variazioni della speranza di vita, mediamente di 77,88 anni nel periodo 1995-2009 e di 83,25 nel 2019-2020 (calcolo pre-Covid). Per continuare a crescere, secondo le stime demografiche, a quasi 86 anni nel 2040 e a quasi 88 anni nel 2060.

Coefficienti di trasformazione, come influiscono sul mensile di pensione

In costante diminuzione risulta il coefficiente di trasformazione a 67 anni per i quattro periodi considerati. Nel 1995-2009 risulta pari a 6,136%, nel 2019-2020 è del 5,604%, nel 2040 corrispondente a 5,202% e nel 2060 pari a 4,994%. Considerando le 13 rate annuali di pensione e il montante di contributi di 280 mila euro per tutti e quattro i periodi considerati, a una pensione di 1.332 euro del 1995-2009 corrisponde un assegno mensile di 1.207 euro del periodo 2019-2020. Nell’esempio, il montante contributivo di 280 mila euro deve essere moltiplicato per il coefficiente di trasformazione corrispondente all’anno e all’età di uscita (6,136% del 1995-2209). Il risultato va diviso per 13 mensilità per ottenere il mensile di pensione (1.332 euro). Ulteriormente in diminuzione la pensione mensile nel 2040 (pari a 1.120 euro) e nel 2060 (1.076 euro).

Quanto incide la speranza di vita sulle pensioni?

Come si può notare dall’esempio, dunque, le pensioni sono mediamente più basse a parità di montante contributivo versato. E, come facilmente intuibile, questo dipende da più fattori. In primo luogo da una speranza di vita sempre crescente e quindi su un numero di anni più elevato per spalmare la vita da pensionato. L’attuale situazione di alta mortalità tra i pensionati per la Covid rappresenta, statisticamente, un evento eccezionale che ha ridotto la speranza di vita anche di anni. Ad esempio, in alcune zone della Lombardia, si sono persi mediamente cinque anni di aspettativa di vita. E nelle altre parti d’Italia, in attesa di dati più aggiornati, la perdita si attesta su uno, due o anche tre anni. Ma, passata l’emergenza, la speranza di vita tornerà a crescere e a ristabilirsi a livelli pre-Covid presumibilmente a partire dal 2025-2026.

Con la speranza di vita in calo si bloccherà l’età di uscita per la pensione?

In secondo luogo, la diminuzione della speranza di vita potrebbe incidere, nei prossimi anni, anche sul mancato aggiornamento dell’età di uscita per la pensione. Presumibilmente, l’età dei 67 anni per la pensione di vecchiaia potrebbe non subire variazioni anche nel prossimo biennio, nel 2022-2023. Anziché aumentare di 3 mesi come avrebbe dovuto essere seguendo le stime demografiche prima della Covid.

Perché le pensioni diminuiscono sempre?

Quanto è presumibile possa avvenire per l’età di uscita delle pensioni, con un blocco per almeno il prossimo biennio, potrebbe succedere anche ai coefficienti di trasformazione. Ovvero che la diminuzione della speranza di vita sulla quale si basa la determinazione dei coefficienti possa subire uno stop nei prossimi anni e per un periodo limitato, in conseguenza di quanto sta avvenendo per l’emergenza Covid. In ogni caso, con il tornare a crescere della speranza di vita anche i coefficienti di trasformazione torneranno a diminuire conseguentemente. E a determinare assegni di pensione sempre più ridotti a parità di anni di contributi versati e di età di uscita.

Nei modelli Redditi e Irap vanno indicati i contributi Covid?

Come vanno indicati i contributi ricevuti dalle imprese e dai lavoratori autonomi per l’emergenza Covid nei modelli dei Redditi e Irap? E’ importante rilevare che i contributi a fondo perduto vanno inseriti nella dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la mancata indicazione nel quadro RS dell’importo delle indennità percepite dai contribuenti non comporta alcuna sanzione. La motivazione risiede nel fatto che la omessa indicazione non va a creare alcun pregiudizio al controllo dell’Agenzia delle entrate. Inoltre, i contributi rivevuti non implicano cambiamenti nella determinazione della base imponibile e, quindi, dell’imposta.

Come indicare gli aiuti Covid nel modello Redditi 2021

Nel modello dei redditi 2021, le indennità e i contributi ricevuti devono essere iscritti nei diversi quadri. In particolare, i quadri RF, RG, LM e RE per quanto attiene ai redditi. Il quadro RU, invece, deve essere utilizzato per i crediti d’imposta. L’iscrizione degli importi delle indennità e dei contributi a fondo perduto nella dichiarazione dei redditi 2021 delle imprese e degli autonomi che ne hanno beneficiato, con l’indicazione dei relativi codici, permette di garantire la non tassazione degli aiuti stessi.

Operatori in contabilità ordinaria: il quadro RF

I soggetti economici che operano in regime di contabilità ordinaria sono tenuti a compilare il quadro RF. Nel quadro è necessario che le indennità ricevute, per non considerarle al pari dei ricavi, siano iscritte tra le varizioni in diminuzione. L’indicazione dei contributi a fondo perduto nel quadro RF non concorre, pertanto, alla formazione del reddito. E’ quanto prevedono gli articoli:

  • 25 del decreto legge numero 34 del 2020;
  • 59 del decreto legge numero 104 del 2020;
  • 1 del decreto legge numero 137 del 2020;
  • 2 del decreto legge numero 149 del 2020.

La variazione in diminuzione nel quadro RF degli aiuti ricevuti per l’emergenza sanitaria deve essere iscritta nel rigo RF 55 con il codice 83.

Contributi a fondo perduto per emergenza Covid: come indicarli nel modello RG?

Nel modello RG, che deve essere compilato dagli operatori commerciali che operano in contabilità semplificata, i contributi a fondo perduti devono essere indicati in due righi. Il primo è il rigo RG 10 mediante l’utilizzo del codice 27; il secondo è il rigo RG 22 e il codice da utilizzare è il 47.

Persone fisiche che svolgono attività autonoma e professionale: indicazione dei contributi a fondo perduto

Le persone fisiche che svolgono attività di lavoro autonomo, per i contributi ricevuti durante la fase di emergenza sanitaria, devono indicare gli importi nella colonna 1 del rigo RE 3. Tale indicazione non deve essere riportata nella colonna numero 2. In questo modo i contributi a fondo perduto, che non determinano la formazione del reddito, non vanno a intaccare gli altri proventi che risultano determinanti ai fini del reddito da lavoro autonomo e professionale.

Autonomi con partita Iva del regime forfettario: contributi Covid nella dichiarazione redditi 2021

I lavoratori autonomi ricadenti, invece, nel regime fiscale forfettario, insieme ai soggetti aderenti al regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e ai lavoratori in mobilità, devono iscrivere i contributi ricevuti nei seguenti righi:

  • nel rigo LM 2 della colonna 1;
  • nel rigo LM 33 della colonna 2.

Gli aiuti, infine, non devono essere indicati nella colonna numero 2.

Il modello Irap e le istruzione per la compilazione

Le modalità di compilazione del modello Irap in riferimento ai contributi ricevuti dalle imprese e dagli autonomi per l’emergenza sanitaria fanno capo all’articolo 1 bis del decreto legge numero 73 del 2021. Nell’articolo, convertito dalla legge numero 106 del 2021, si abroga il comma 2 dell’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020. Quest’ultimo articolo costituiva il punto di riferimento per la corretta registrazione degli aiuti ricevuti. Infatti, l’articolo prevedeva la non concorrenza alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini Irap delle indennità e dei contributi di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza Covid. L’abrogazione dell’articolo comporta la necessità che le indennità ricevute non siano più subordinate al rispetto dei limiti e delle condizioni contenute nella comunciazione della Commissione europea del 19 marzo 2020.

Corretta iscrizione dei contributi Covid ricevuti ai fini Irap

Pertanto, i soggetti esercenti impresa, arte o professione, e i lavoratori autonomi che abbiano beneficiato di contributi e indennità non devono indicare il relativo importo:

  • nei quadri di determinazione del reddito di impresa;
  • nei quadri di determinazione del lavoro autonomo;
  • sui modelli dei redditi;
  • nei quadi per la determinazione del valore della produzione;
  • nel modello Irap.

In quest’ultimo modello, invece, tutti i soggetti sopra indicati possono usare il codice variazione in diminuzione 99 al posto del codice 16. Tutti i soggetti non devono, infine, compilare il prospetto relativo agli “Aiuti di Stato”.

I contributi regionali Covid a imprese e autonomi non sono soggetti a tassazione

I contributi per l’emergenza Covid-19, erogati dalle Regioni a imprese e autonomi, non sono soggetti a tassazione. A tal proposito, come per gli aiuti concessi dai governi Conte e Draghi, può essere applicato quanto previsto dall’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020. La conseguenza è quella della non tassabilità dei contributi ricevuti.

Applicazione dell’articolo 10 bis del Dl 137 del 2020 per indennità e contributi

L’articolo 10 del decreto legge del 28 ottobre 2020, numero 137, recante ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19, poi convertito dalla legge numero 176 del 2020, ha precisato che “le indennità e i contributi di qualsiasi natura, riconosciuti in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini Irpef e Ires e non rilevano, ai fini della deducibilità, degli interessi passivi”.

Indennità e contributi a imprese e autonomi: aiuti in via eccezionale

L’articolo è dunque chiaro riguardo alla detassazione di qualsiasi aiuto a carattere nazionale o locale. Tuttavia, l’erogazione degli aiuti alle imprese e ai lavoratori autonomi deve essere effettuata in via eccezionale, proprio a seguito dell’emergenza sanitaria ed economica da coronavirus. I contributi e le indennità inoltre, specifica la norma, devono essere diversi da quelli esistenti precedentemente all’emergenza sanitaria stessa.

Indenntà autonomi, imprese, arte e professione: non vanno indicate nel modello Aiuti di Stato

Rispetto a una prima interpretazione basata proprio sull’articolo 10 bis del Dl 137 del 2020, lavoratori autonomi, esercenti di attività d’impresa, arte o professione, che abbiano ricevuto indennità e contributi legati all’emergenza sanitiaria, non devono indicare il relativo importo nel modello dei redditi e nemmeno nella dichiarazione Irap. La novità è contenuta nell’articolo 1 bis del decreto legge numero 73 del 2021, introdotto dalla legge di conversione numero 106 del 2021. Tale articolo ha abrogato proprio il comma 2 dell’articolo 10 bis del decreto legge numero 137 del 2020. Nella norma era contenuta la necessità di indicare le indennità ricevute nel modello Aiuti di Stato.

Modello dei redditi, come va indicato il credito di imposta sulla sanificazione ambienti

Ulteriori indicazioni, pubblicate anche dall’Agenzia delle entrate in merito ai contributi ricevuti dalle imprese e dagli autonomi, riguardano il credito di imposta legato alla sanificazione degli ambienti di lavoro. Insieme al bonus locazioni previsto dal decreto “Rilancio”, questi crediti e indennità non devono essere riportati nel quadro RE del modello dei redditi. Non devono essere riportati, altresì, neppure nella dichiarazione Irap. L’unica indicazione prevista è nel quadro RU e nel prospetto Aiuti di Stato del quadro RS.

Bonus erogati dall’Inps non vanno nel prospetto ‘Aiuti di Stato’

In tema di indennità per l’emergenza Covid e dichiarazione dei redditi, l’Agenzia delle entrate è intervenuta anche sui contributi a fondo perduto. Per le indennità ricevute dalle Casse di previdenza private e dall’Inps, infatti, i beneficiari non devono procedere all’iscrizione nel prospetto “Aiuti di Stato”. In particolare, le somme versate come il bonus di 600 euro erogato dall’Inps agli iscritti alla previdenza di commercianti ed artigianti, non devono essere indicati nel prospetto degli “Aiuti di Stato”. La motivazione dell’Agenzia delle entrate risiede nel fatto che queste indennità non rappresentino aiuti fiscali automatici secondo quanto dispone l’articolo 10 del decreto ministeriale numero 115 del 31 maggio 2017.

Aiuti Covid, reddito di ultima istanza fuori dalla base imponibile del professionista

Il reddito di ultima istanza, misura adottata per gli aiuti nell’emergenza Covid, non rientra nella formazione della base imponibile ai fini fiscali. Il caso più comune che può presentarsi è quello del libero professionista, con partita Iva a regime forfettario, che ha ricevuto l’indennità del mese di marzo del 2020 dalla propria Cassa previdenziale.

Il reddito di ultima istanza a favore dei professionisti del mese di marzo 2020

E’ importante rilevare che il reddito di ultima istanza, differentemente dalle indennità corrisposte dall’Inps, non comporta, da parte della Cassa previdenziele che l’ha corrisposto, l’obbligo di rilasciare la certificazione unica (Cu). Ciò implica l’insorgenza di due dubbi in sede di dichiarazione dei redditi 2021: il primo riguarda proprio la formazione del reddito ai fini fiscali. Il secondo è inerente a dove devono essere indicati gli aiuti ricevuti nel modello Reddti Pf 2021.

Indennità di 600 euro ai professionisti iscritti alle Casse previdenziali

Innanzitutto, per capire come funziona il “Fondo per il reddito di ultima istanza” è necessario risalire al decreto legge numero 18 del 2020 che l’ha istituto. Secondo quanto prevede l’articolo 44 del provvedimento, l’indennità prevista una tantum dal decreto per il mese di marzo 2020 ammontava a 600 euro e andava a favore dei liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali. I beneficiari, per rientrare nei requisiti previsti, dovevano essere iscritti alla Cassa di appartenenza alla data della richista o al 23 febbraio 2020, data a partire dalla quale i provvedimenti restrittivi per la pandemia da coronavirus sono stati attivati.

Requisiti delle partite Iva per il bonus 600 euro di ultima istanza

I requisiti richiesti ai professionisti per poter beneficiare dei 600 euro del reddito di ultima istanza erano:

  • aver maturato, nel 2018, un reddito complessivo non superiore ai 35mila euro. Era altresì necessario che l’attività fosse stata limitata dai provvedimenti restrittivi anti-coronavirus;
  • un reddito complessivo nel 2018 tra i 35mila e i 50mila euro. In tal caso era richiesa la cessazione, la riduzione o la sospensione dell’attività autonoma o da libero professionista in conseguenza dell’emergenza sanitaria.

Riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per Covid

Conseguentemente alle misure restrittive dovute all’emergenza sanitaria, per cessazione dell’attività il provvedimento intendeva la chiusura della partita Iva. Tale chiusura doveva essere avvenuta tra il 23 febbraio 2020 e il 31 marzo 2020. Per riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, invece, il decreto fissata nel 33% la percentuale di abbassamento del reddito. La perdita doveva essere comprovata dal raffronto tra il primo trimestre del 2020 con lo stesso periodo del 2019.

Indennità agli autonomi dell’emergenza Covid non concorrono alla base imponibile

I professionisti che hanno ricevuto l’indennità di 600 euro come reddito di ultima istanza devono considerare che il sussidio non concorre alla frmazione del reddito ai fini fiscali. In generale, i contributi di qualsiasi natura, ricevuti come indennizzo durante l’emergenza da coronavirus a chi svolge attività di impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, costituiscono un aiuto economico eccezionale. Dunque, indennità e bonus percepiti non concorrono a formare la base imponibile.

L’interpello dell’Agenzia delle entrate sulla tassazione dei contributi Covid

L’Agenzia delle entrate ha recentemente confermato questo principio nell’interpello numero 84 del 2021. Le indennità, si legge nell’interpello, non formano il reddito imponibile ai fini Irpef. L’Agenzia, nel suo intervento, si rifà all’articolo 10-bis del decreto legge numero 137 del 28 ottobre 2020, cosiddetto “decreto Ristori“.

Il decreto Ristori sulla detassazione dei contributi ricevuti per il coronavirus

L’articolo, ribricato in “Detassazione dei contributi, delle indennità e di ogni altra misura a favore delle imprese e dei lavoratori autonomi, relativi all’emergenza Covid-19”, prevede infatti che “i contributi e le indennità di qualsiasi natura per la Covid-19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonché ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917″.

Dichiarazione dei redditi 2021, dove si devono indicare le indennità ricevute per il Covid?

In sede di dichiarazione dei redditi 2021, i titolari di reddito di impresa o di lavoro autonomo devono trascrivere nella dichiarazione gli aiuti ricevuti. Tale trascrizione deve essere fatta nel quadro di pertinenza individuato in base al proprio regime di  fiscalità di appartenenza. Pertanto, si procede con:

  • il quadro RG per le imprese in regime di contabilità semplificata;
  • il quadro RF per le imprese in regime di contabilità ordinaria;
  • quadro LM per i contribuenti in regime forfettario;
  • quadro RE per i professionisti e per gli autonomi.

 

Tax credit vacanze ad agenzie e tour operator fino al 31 dicembre 2021

Il decreto Sostegni bis ha aperto ad agenzie di viaggio e a tour operato per la tax credit sulle vacanze. In particolare, si tratta dei pacchetti con destinazione delle vacanze in Italia. Il maggior numero dei beneficiari della tax credit è assicurato dal comma 3, dell’articolo 7, del decreto legge numero 73 del 2021. Il decreto Sostegni bis va dunque a modificare il comma 1 dell’articolo 176 del decreto legge numero 34 del 2020.

Agenzie di viaggi e tour operator si aggiungono alle strutture per l’utilizzo del bonus vacanze

Con la variazione introdotta dal decreto Sostegni bis, il governo ha inteso dare un “maggiore contributo all’obiettivo di rivitalizzare la domanda dei viaggi“. Infatti, le misure limitative introdotte per l’emergenza Covid hanno determinato un impatto al ribasso su tutto il turismo. Il settore comprende, da quanto si legge nella Relazione illustrative, oltre alle strutture ricettive, agli agriturismi e ai bed and breakfast, anche i tour operator e le agenzie di viaggio. Queste ultime due categorie hanno registrato riduzioni di oltre l’80% dei ricavi dall’inizio dell’emergenza Covid.

Bonus vacanze: da chi è stato richiesto dall’introduzione del Dl 34 del 2020

Nei numeri, alla fine del 2020 sono state 1.886.000 le famiglie che hanno prenotato il bonus vacanze per un impiego complessivo delle risorse pari a 820 milioni di euro. Ma meno della metà lo hanno effettivamente usato, per un numero di famiglie pari a 788mila.

Risorse del bonus vacanze nel 2020 e 2021: ancora 500 milioni da utilizzare

Le famiglie che non hanno ancora utilizzato il bonus vacanze (pari a circa 1,1 milioni) sono attese per l’utilizzo delle risorse pari a circa 500 milioni di euro. Potranno farlo entro il 31 dicembre 2021. In totale, i fondi stanziati dal decreto legge numero 34 del 2020 sono pari a 2,5 miliardi di euro, dei quali 1,67 miliardi per il 2020 e 733,8 per l’anno in corso. L’estensione della tax credit ai tour operator e alle agenzie di viaggi mira, pertanto, ad agevolare l’utilizzo delle risorse stanziate.

Chi può richiedere il bonus vacanze e con quali requisiti?

La domanda per l’utilizzo del bonus vacanze doveva essere presentata entro il 31 dicembre 2020. Il bonus, invece, può essere utilizzabile fino al 31 dicembre prossimo. L’inizio dell’utilizzo del bonus da parte di chi ha presentato domanda era fissato al  1° luglio del 2020. È necessario, per usufruire dello sconto, che almeno un giorno delle vacanze rientri tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2021: ciò in vista delle vacanze natalizie con le quali si concluderà la possibilità di utilizzare il bonus. Il credito,  utilizzabile da uno solo dei componenti di un nucleo familiare, è determinato in:

  • 500 euro per ogni famiglia con un figlio a carico;
  • 300 euro per le famiglie composte da 2 persone;
  • 150 euro per le famiglie di una sola persona.

Chi paga deve essere lo stesso soggetto che utilizza il bonus vacanze?

È importante sottolineare che il componente del nucleo familiare Isee che paga può anche non coincidere con chi intende utilizzare il bonus vacanze. Il codice fiscale dell’utilizzatore, in ogni modo, deve essere riportato sulla fattura, sul documento commerciale, sullo scontrino o sulla ricevuta fiscale. Per la presentazione della domanda del bonus vacanze, scaduta a fine 2020 il valore dell’Isee non doveva superare i 40mila euro. La domanda si presentava in modalità telematica, utilizzando le credenziali Spid o Cie (Carta d’identità elettronica).

Detrazione del bonus vacanze nella dichiarazione dei redditi

La tax credit del bonus vacanze va utilizzato nella misura dell’80% come sconto e, per il restante 20%, come detrazione d’imposta nella dichiarazione dei redditi. La detrazione vale per il periodo d’imposta 2020 o 2021 a seconda dell’anno di utilizzo del bonus. Ciò significa che, per la detrazione da indicare nella dichiarazione dei redditi da parte della persona fisica che ha utilizzato il bonus vacanze (pari al 20% del bonus massimo), è necessario far riferimento alla data del pagamento. Se questa non supera il 31 dicembre 2020, la detrazione va effettuata nella dichiarazione dei redditi da presentare nel 2021 per l’anno di imposta 2020. Per i soggiorni pagati a partire dal 1° gennaio 2021, la detrazione d’imposta dovrà essere indicata nella dichiarazione dei redditi del 2022 per l’anno di imposta 2021.

Utilizzo del bonus vacanze: cosa c’è da sapere

Il bonus è utilizzabile dalle sole persone fisiche per il pagamento dei servizi di turistici usufruiti in Italia. I servizi devono essere resi da imprese del turismo e ricettive, da agriturismi, da bed and breakfast e, da ultimo, da tour operator e agenzie di viaggio.

Bonus vacanze, cosa deve fare l’esercente

Il fornitore del servizio turistico, che può essere la struttura ricettiva, l’agenzia di viaggio o il tour operator, per applicare lo sconto al momento dell’incasso, deve accedere all’area riservata del sito dell’Agenzia delle entrate con le credenziali di Fisconline o Entratel, oppure con lo Spid, Carta di identità elettronica o la Carta nazionale dei servizi. Il fornitore dovrà inserire:

  • il Qr Code o il codice univoco associato al bonus vacanze che viene fornito dal cliente;
  • il codice fiscale del beneficiario (cliente) che deve essere indicato anche nella fattura, nel documento commerciale, nello scontrino o nella ricevuta fiscale;
  • l’importo totale del corrispettivo dovuto al lordo dello sconto da applicare.

Bonus affitti, il quadro RU per indicare gli aiuti ricevuti nel 2020

Con l’emergenza sanitaria, il legislatore ha previsto delle agevolazioni per sostenere autonomi e imprese dai danni causati dalla crisi. Una delle varie misure è stata il credito di imposta per i canoni di locazione pagati nell’esercizio dell’attività. Anche per il bonus affitti, dunque, è necessario indicare gli aiuti ricevuti nel quadro RU del modello.

Affitti, il primo bonus del 2020 da dichiarare nel quadro RU: il credito d’imposta per botteghe e negozi

Un primo aiuto sugli affitti, all’inizio della pandemia, è stato previsto dall’articolo 65 del decreto legge numero 18 del 2020. Il credito d’imposta per i canoni di locazione delle botteghe e dei negozi, è stato utilizzato dalle attività a partire dal 25 marzo 2020. Ai beneficiari è stato garantito un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al solo mese di marzo 2020. Da segnalare che il credito d’imposta era ammesso limitatamente agli immobili rientranti nella categoria catastale C/1.

Attività che hanno beneficiato del credito di imposta sugli affitti a marzo 2020

Più nel dettaglio, il credito d’imposta è stato riconosciuto alle imprese che hanno dovuto chiudere l’attività per l’aggravarsi della situazione sanitaria in Italia. Il bonus, dunque, collegato al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, aveva sospeso le attività:

  • commerciali al dettaglio, a eccezione di quelle di generi alimentari;
  • ristorative;
  • dei servizi alla persona, come barbieri, parrucchieri, estetisti.

Il collegamento con il D.P.C.M. spiega anche l’esclusione di immobili di categoria catastale diversa dalla C/1, e dunque delle relative attività, al credito d’imposta sugli affitti.

Come si indica nel quadro RU il credito imposta affitti di marzo 2020

Chi ha percepito il credito d’imposta sugli affitti del mese di marzo 2020 adesso dovrà indicarlo nel quadro RU con il codice 11. L’importo da indicare nel rigo RU 5, alla colonna numero 3, è quello inerente alle spese sostenute nel corso del 2020. La compensazione si deve indicare nel rigo RU 6. Se è sopraggiunta la cessione del credito, va indicata nel rigo RU 9: in tal caso il cessionario non ha l’obbligo di compilare il quadro RU.

Bonus affitti 2020, il credito d’imposta istituito con il Dl 34 del 2020

I beneficiari del credito d’imposta istituito con il decreto legge numero 34 del 2020 sono stati sicuramente in numero più elevato. Il comma 1 dell’articolo 28 del provvedimento specifica che, al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza da Covid, ai soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione, con volume di ricavi o di compensi non oltre i 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto, è previsto un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili a uso non abitativo. L’immobile deve essere destinato allo svolgimento di attività industriali, commerciali, artigianali, agricole, turistiche oppure all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo.

Bonus affitti Dl 34, i periodi da considerare sono marzo, aprile e maggio 2020

Il credito d’imposta dell’articolo 28 del Dl 34/2020 spetta, altresì, alle strutture alberghiere e agrituristiche a prescindere dal volume di ricavi o compensi registrati nel periodo di imposta precedente. Ulteriori beneficiari del credito di imposta sono gli enti non commerciali e del terzo settore. Inoltre, rientrano anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti. Il periodo di imposta previsto dal Dl 34 del 2020 deve essere considerato in riferimento ai mesi di marzo, aprile e maggio. Le strutture turistiche ricettive con attività stagionali devono far riferimento ai mesi di aprile, maggio e giugno 2020.

Come si registra il bonus affitti 2020 nel quadro RU

Attività e autonomi che hanno beneficiato del bonus affitti di marzo, aprile e maggio 2020 devono indicarlo nel quadro Ru. Il rigo di riferimento è Ru 5 alla colonna 3: qui si deve indicare l’ammontare del credito d’imposta spettante in riferimento ai canoni di locazione o di affitto relativi al periodo d’imposta oggetto della dichiarazione. In caso di cessione del credito d’imposta si deve indicare, invece, il rigo RU 9. In tale ipotesi, deve essere riportato nella colonna l’importo ceduto e comunicato all’Agenzia delle entrate tramite la procedura prevista. Non si deve compilare, in caso di cessione del credito d’imposta, la sezione VI B.

Credito di imposta nel rigo RU 5 per bonus affitti 2020: prospetto Aiuti di Stato

A differenza del primo bonus relativo a “botteghe e negozi”, il credito d’imposta previsto dal decreto legge 34 deve rispettare i limiti e le condizioni previste dal “Quadro temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid”. Quindi, l’ammontare del credito indicato nel rigo RU 5 deve essere anche inserito nel prospetto “Aiuti di Stato” che si trova nel quadro RS. In questo caso, è necessario andare al rigo RS 401 e utilizzare il codice 60.