Partite Iva forfettarie e a regime ordinario: come si calcola l’imposta su acquisti e vendite?

Come si calcola l’imposta dovuta dalle partite Iva a seconda che aderiscano al regime forfettario o a quello ordinario? Il regime forfettario è, ad oggi, quello più gettonato per decidere di aprire un’attività autonoma o da libero professionista. Sono infatti notevoli i vantaggi, in termini di imposte e di semplificazioni fiscali, a favore del sistema di favore delle partite Iva. Secondo le ultime rilevazioni effettuate dall’Osservatorio sulle partite Iva, nello scorso anno sono state 239 mila le posizioni aperte aderenti al regime forfettario. L’aumento è stato dell’11% rispetto al 2020. Il che significa che circa il 43% delle nuove aperture di partite Iva è stata effettuata verso il regime di flat tax che assicura un’aliquota d’imposta del 15% (del 5% per i primi cinque anni di nuova attività).

Vantaggi nella scelta della partita Iva a regime di flat tax: semplicità di contabilità

Tra i vantaggi riscontrabili nell’apertura della partita Iva a regime forfettario (o di flat tax) rispetto a quella a regime ordinario c’è la semplicità della contabilità.  Le partite Iva a regime forfettario, infatti, hanno una gestione dell’Iva di molto differente rispetto ai lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Gli autonomi in regime di flat tax non addebitano l’Iva nella fattura alla propria clientela nel momento in cui vendono una prestazione o un bene.

Partita Iva flat tax, non c’è bisogno di liquidazioni periodiche o dichiarazioni dell’Iva

Inoltre, nel caso di acquisto di un bene o di una prestazione, i forfettari non devono detrarre l’Iva pagata in fattura, come avviene nel regime ordinario. Ciò, dunque, dal punto di vista operativo e contabile rappresenta un vantaggio non di poco conto nella gestione della partita Iva. Infatti, non è necessario effettuare le liquidazioni periodiche dell’Iva. Inoltre, il professionista o l’autonomo forfettario non devono presentare la dichiarazione Iva per i contribuenti.

Tassazione a confronto partite Iva flat tax e ordinarie: il vantaggio del forfettari

Un vantaggio consistente della partita Iva a regime forfettario risiede nel confronto di tassazione a proprio favore rispetto al regime ordinario. In primis la tassazione è più bassa per alcune tipologie di contribuenti forfettari come gli artigiani e i commercianti. Le due categorie possono godere di uno sconto opzionale del 35% sui contributi versati all’Inps annualmente. Le altre categorie rientranti nella flat tax non hanno lo stesso sconto contributivo ma una percentuale che per il 2022 è pari al 25,72% calcolata sull’imponibile ottenuto forfettariamente, e dunque non su tutti i ricavi percepiti. Inoltre, la tassazione è esclusa dalle aliquote Irpef e si applica al 15% o al 5% nei primi cinque anni di attività.

Gestione dell’Iva nel regime ordinario e semplificato: quali vantaggi?

Rispetto alla partita Iva a regime forfettario, gli autonomi del regime ordinario e semplificato devono applicare l’Iva sulla cessione dei beni o sulla prestazione dei servizi. Dunque, autonomi e professionisti devono addebitare l’Iva verso il cliente che sta acquistando il bene o il servizio e poi versarla allo Stato ogni tre mesi od ogni mese. Allo stesso tempo, sugli acquisti di beni e di servizi le partite Iva ordinarie devono detrarre l’Iva pagata dal totale dell’Iva dovuto sulle vendite. Il che significa che ogni bene venduto o servizio reso genera un’Iva a debito il cui importo viene detratto dall’Iva pagata sugli acquisti dai fornitori. E pertanto, almeno parte dell’Iva pagata ai fornitori può essere recuperata.

Partite Iva a regime ordinario, il meccanismo dell’Iva a debito e a credito

Quest’ultimo passaggio dell’Iva a debito e a credito rappresenta una valutazione di non poco conto nella scelta tra partita Iva a regime forfettario o a regime ordinario. Infatti, la partita Iva forfettaria può convenire ai lavoratori autonomi che non hanno tanta Iva da detrarre. A maggior ragione che, in questa situazione, hanno una più ampia semplificazione nella gestione dell’Iva, non dovendo procedere con il versamento mensile (o trimestrale) e con la dichiarazione Iva. Tale regime, tuttavia, può non produrre gli stessi vantaggi nel caso in cui il lavoratore autonomo procede con investimenti e acquisti che generano un notevole quantitativo di Iva a credito. Con il regime di flat tax questo credito verrebbe perduto. Al meccanismo dell’Iva a credito e a debito, si aggiunge la tassazione del regime ordinario che deve essere calcolata secondo le normali aliquote Irpef.

Partite Iva a regime forfettario e ordinario: quale scegliere?

Al contrario, la partita Iva a regime forfettario è certamente non vantaggiosa se gli investimenti e gli acquisti per svolgere l’attività sono notevoli. In questi casi, sarebbe meglio scegliere un altro regime di partita Iva. Ma nella scelta deve certamente essere fatta una valutazione dell’imposta, di sicuro più alta nel regime ordinario. E dunque chiedersi se il recupero dell’Iva compensa la maggiore imposizione fiscale del regime ordinario.

Esenzioni IVA per piccole imprese, quando sono previste e quali sono tutti i vantaggi

Tra le tasse da dichiarare e da versare, per le imprese che operano in Italia, c’è pure l’Imposta sul valore aggiunto (IVA). Questo in linea generale in quanto, nel rispetto di opportuni requisiti, pure per l’IVA ci sono delle esenzioni.

Precisamente, a favore delle piccole imprese che, nel rispetto di opportuni requisiti, possono aderire ad un regime fiscale agevolato che è IVA esente, e che permette di pagare le tasse sul reddito d’impresa in maniera piatta, ovverosia con un’aliquota che è fissa. Vediamo allora nel dettaglio quando le esenzioni IVA per le piccole imprese sono previste, e quali sono tutti i vantaggi.

Quando sono previste le esenzioni IVA per le piccole imprese

Nel dettaglio, le esenzioni IVA per le piccole imprese sono previste per le persone fisiche che rientrano nel regime fiscale agevolato che è definito come forfettario. In particolare, possono aderire al regime forfettario, nel rispetto dei requisiti previsti, le persone fisiche che sono residenti in Italia e che esercitano un’attività d’impresa, un’arte oppure una professione così come riporta il sito Internet dell’Agenzia delle Entrate.

Tra le esenzioni per i forfettari ci sono proprio quelle relative all’IVA. Ovverosia, con il regime forfettario il contribuente nelle fatture non addebita l’IVA ai propri clienti, così come non può detrarre fiscalmente l’IVA sugli acquisti. Di conseguenza, con il regime forfettario l’IVA non si dichiara perché non viene versata e liquidata. E quindi c’è pure l’esonero della presentazione della comunicazione annuale relativa proprio all’Imposta sul valore aggiunto.

Quali sono tutti i vantaggi delle esenzioni IVA per le piccole imprese, e quando scattano

Le esenzioni IVA per le piccole imprese sono per molti ma non per tutti. Ovverosia, sono solo per coloro che aderiscono al regime forfettario rispettando, prima di tutto, il limite dei ricavi o dei compensi annui che è pari a 65.000 euro.

Inoltre, sempre su base annua, il contribuente a partita IVA per rientrare nel regime fiscale agevolato del forfettario deve sostenere spese per lavoro non superiore alla soglia annua di 20.000 euro lordi. Con i costi del lavoro che includono non solo quelli per eventuali lavoratori dipendenti, ma anche per il lavoro accessorio e per le collaborazioni anche a progetto.

Porte aperte al forfettario pure ai non residenti, ecco quando

Il regime fiscale agevolato del forfettario, inoltre, è accessibile pure da parte dei contribuenti che rientrano tra i soggetti residenti in un altro stato Ue. Oppure residenti in uno stato aderente allo spazio economico europeo. Ma a patto che il 75% del reddito complessivo venga prodotto in Italia.

Accise mobili: la novità per calmierare il prezzo dei carburanti

Il ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha dichiarato che il Governo sta lavorando all’ipotesi delle accise mobili sul carburante. Cosa sono e come potrebbero funzionare?

I costi del carburante: leggere flessioni del prezzo fanno sperare

Dopo le dichiarazioni del ministro Giorgetti sugli aumenti ingiustificati dei prezzi dei carburanti ci sono le prime reazioni.  Si registrano leggere variazioni al ribasso dei prezzi di diesel e benzina, ma le riduzioni sono appena percepibili. I prezzi sono stati ridotti da Eni, Tamoil, IP e Q8 e variano da 5 centesimi a 8 centesimi.

Nel frattempo ci sono segnali distensivi tra Ucraina e Russia, l’ipotesi è che l’Ucraina accetti la neutralità e quindi di non fare il suo ingresso nella NATO. Questo naturalmente potrebbe portare gli scenari economico-politici a mutare in modo repentino. Naturalmente sono tutte ipotesi che si spera possano avverarsi, ma per aiutare famiglie e imprese il Governo sta comunque cercando una strada e cioè applicare le accise mobili sui carburanti. Il ministro Cingolani ha sottolineato che gli aumenti attuali sono dovuti all’aumento del prezzo del Brent e alla scarsa disponibilità di gasolio. Per quanto riguarda invece la benzina non vi sono difficoltà di approvvigionamento, proprio questa differente disponibilità ha portato i prezzi di gasolio e benzina quasi ad allinearsi, mentre in passato il diesel aveva un costo nettamente inferiore alla benzina.

Cosa sono le accise mobili e quale impatto possono avere sulle tasche degli italiani?

Le accise mobili sono una misura volta a contenere l’aumento dei prezzi di benzina e gasolio attraverso un meccanismo che le adegua automaticamente in base all’andamento dei prezzi. In questo modo si ottiene un prezzo calmierato per i carburanti e allo stesso tempo si contiene la perdita per l’erario che potrebbe essere determinata da un semplice e lineare taglio delle accise.

Attualmente le accise sui carburanti hanno un valore di 73 centesimi al litro. L’ipotesi allo studio è quella di creare un meccanismo per il quale il maggiore gettito IVA determinato dall’aumento dei costi della benzina e del gasolio dovrebbe essere automaticamente annullato per effetto della diminuzione delle accise.

Lo stesso Ministro Cingolani però sottolinea che il meccanismo potrebbe essere abbastanza complesso e portare per i consumatori a un risparmio che oscillerebbe tra i 10 e i 15 centesimi a litro. Poco percepibile perché in compenso vi sarebbe comunque un aumento dell’IVA. Secondo i calcoli fatti, il prezzo finale dovrebbe essere calmierato intorno alla soglia psicologica dei 2 euro. Un prezzo comunque alto rispetto a quanto costava anche solo un mese fa. Naturalmente le associazioni dei consumatori chiedono un provvedimento più incisivo con un taglio delle accise di almeno 50 centesimi. Lo stesso dovrebbe essere mantenuto nel tempo visto che le accise si sono accumulate nel tempo fino a raggiungere una soglia particolarmente elevata.

Modello di dichiarazione Iva base 2022, quando può essere utilizzato e quando no

Per la trasmissione all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione annuale Iva, oltre al modello tradizionale, c’è pure quello base. In particolare, per la dichiarazione annuale Iva, le modalità ed i termini per la presentazione del modello base Iva sono gli stessi del modello tradizionale.

Pur tuttavia, il modello di dichiarazione Iva base presenta la caratteristica di essere semplificato rispetto al modello tradizionale. Vediamo allora, nel dettaglio, proprio per il modello di dichiarazione Iva base 2022, quando questo può essere utilizzato dai contribuenti, e quando invece no.

Quando può essere utilizzato il modello di dichiarazione annuale Iva base 2022

I soggetti Iva, persone fisiche e non, possono optare per l’invio della dichiarazione annuale Iva con il modello 2022 base, rispetto a quello tradizionale, quando rispettano dei criteri e delle regole ben precise.

Nel dettaglio, il modello di dichiarazione Iva base 2022 può essere utilizzato quando il contribuente non ha effettuato operazioni con l’estero, e quando l’imposta è stata determinata secondo quelle che sono le regole generali che sono previste dalla disciplina sull’imposta sul valore aggiunto. In altre parole, il modello di dichiarazione Iva base 2022 può essere utilizzato quando per il calcolo dell’imposta non sono stati applicati ai fini Iva dei regimi speciali.

Inoltre, possono presentare il modello di dichiarazione base 2022, rispetto a quello Iva tradizionale, pure coloro che non hanno partecipato ad operazioni straordinarie oppure a trasformazioni sostanziali soggettive. E pure coloro che non hanno effettuato acquisti e importazioni senza applicazione dell’imposta avvalendosi dell’istituto del plafond così come si legge sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate.

Ammessi alla trasmissione modello di dichiarazione annuale Iva base 2022, inoltre, pure coloro che, in via occasionale, hanno effettuato cessioni di beni usati e/o che hanno effettuato operazioni per le quali è stato applicato il regime per le attività agricole connesse.

Modello di dichiarazione Iva base 2022 in formato PDF disponibile anche in sloveno e tedesco

Per  quel che riguarda la trasmissione della dichiarazione Iva con il modello base 2022, questo è visionabile e scaricabile dal sito Internet dell’Agenzia delle Entrate insieme alle istruzioni per la compilazione. Inoltre, il modello di dichiarazione Iva base 2022, sempre sul sito Internet istituzionale del Fisco, è visionabile e scaricabile non solo in lingua italiana, ma anche in sloveno ed in tedesco.

Mentre per l’approvazione dei modelli di dichiarazione IVA/2022 relativi all’anno di imposta 2021, con le relative istruzioni, da presentare nell’anno in corso ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, a far fede è il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate riportante la data del 14 gennaio del 2022.

Decreto bollette 2022: 8 miliardi per famiglie e imprese per il caro energia

In conferenza stampa è stato presentato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi il Decreto Bollette 2022, lo stesso, una volta licenziato, dovrà essere convertito in legge, ma di fatto sarà immediatamente applicabile. Ecco le più importanti novità che ci aspettano.

Decreto Bollette 2022 per le famiglie

Il decreto indicante “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali” è più semplicemente conosciuto come Decreto Bollette.  Prevede diverse misure volte a contenere gli aumenti che stanno mettendo in crisi gli italiani.

Il Decreto Bollette, presentato da Mario Draghi insieme ai ministri Giorgetti (Sviluppo Economico), Daniele Franco (MISE), Roberto Cingolani (ministro della Transizione Ecologica), Marta Cartabia (Giustizia) ed Enrico Giovannini (Mobilità Sostenibile), prevede uno stanziamento di 8,8 miliardi di euro, di questi 5,5 miliardi saranno destinati a contrastare il caro bollette. La rimanente parte prevede altre misure e agevolazioni per famiglie e imprese.

La prima novità importante è l’azzeramento degli oneri di sistema anche per il secondo trimestre del 2022, quindi anche per i mesi di aprile, maggio e giugno, questa importante voce non sarà presente in bolletta. A questa misura sono destinati circa 3 miliardi di euro.

Inoltre ci sarà la riduzione dell’IVA al 5% e degli oneri generali nel settore gas (poco più di 500 milioni di euro).

Il Decreto Bollette 2022 prevede il potenziamento del bonus sociale, cioè la riduzione della bolletta energetica per coloro che hanno un reddito ISEE basso. Per questa misura lo stanziamento è di circa 500 milioni di euro. Il Bonus Sociale è previsto in favore di famiglie con reddito ISEE inferiore a 8.000 euro, soglia che sale a 20.000 euro per le famiglie numerose.

Il decreto Bollette per le imprese

L’attenzione del decreto bollette non è rivolta solo alle famiglie, ma anche alle imprese. Sono stati previsti interventi in favore delle imprese energivore cioè che consumano molta energia. Queste potranno ricevere un credito di imposta pari al 20% delle spese per l’energia sostenute nel secondo trimestre del 2022. Questo beneficio è però riconosciuto solo nel caso in cui abbiano avuto un incremento del costo dell’energia del 30% rispetto al 2019.

Una misura simile è prevista anche per le imprese che invece hanno un elevato consumo di gas, in questo caso però il credito di imposta è del 15%. Anche in questo caso deve essere dimostrato un incremento dei costi sostenuti rispetto al 2019 del 30%.

Per le imprese viene costituito anche il Fondo Rinnovabili PMI (267 milioni di euro) che consente di concedere alle aziende contributi in conto capitale per la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili da 200 kW.

Per le Regioni del Sud questo aiuto si arricchisce anche con il credito di imposta nella misura massima consentita dal regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, utilizzabile esclusivamente in compensazione. Potranno beneficiare di questo aiuto le imprese che si trovano in Campania, Basilicata, Molise, Calabria, Puglia, Abruzzo, Sardegna e Sicilia. L’obiettivo è migliorare l’efficienza energetica. La misura prevede uno stanziamento di 145 milioni di euro.  Il credito di imposta è cumulabile con altre agevolazioni relative agli stessi interventi.

Al fine di favorire il settore industriale, che sta avendo notevoli problemi e fermi a causa della crisi dei microchip, il decreto bollette prevede anche fondi fino al 2030 per la produzione nazionale di microchip.

Se vuoi conoscere i dettagli della crisi dei microchip leggi l’articolo: La crisi dei microchip: difficoltà per le imprese di tutti i settori e prospettive

Al fine di incentivare l’installazione del fotovoltaico sono previste semplificazioni per l’installazione sui tetti di edifici pubblici e privati e in aree agricole e industriali.

Incentivi per l’acquisto delle auto

Nasce un fondo da 1 miliardo per il settore Automotive. Gli incentivi saranno destinati all’acquisto di auto poco inquinanti come le elettriche e ibride. In questo caso si tratterà di un intervento strutturale destinato a produrre effetti fino al 2030.

Per migliorare l’autosufficienza energetica dell’Italia, il Decreto Bollette prevede anche l’incremento della produzione nazionale di gas in modo da ridurre le importazioni. Ciò è possibile anche grazie a un pacchetto di norme per l’aumento e l’ottimizzazione dello stoccaggio del gas.

Tra le misure previste vi sono anche aiuti per le famiglie dei familiari dei sanitari deceduti a causa dell’emergenza Covid (anche in modo indiretto a causa di Covid). Venti milioni di euro sono invece destinati al settore dello Sport con contributi in favore di associazioni sportive e società sportive dilettantistiche che gestiscono impianti sportivi e piscine.

In Conferenza Stampa, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha sottolineato che il Decreto Bollette non prevede scostamenti di bilancio, quindi non va ad impattare sul debito pubblico. Gli interventi saranno realizzati attraverso i margini che derivano dalla crescita della finanza pubblica.

Occorre ricordare che il Decreto Bollette presentato sarà in vigore dal momento della Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e da quel momento ci saranno 30 giorni di tempo per l’emanazione dei decreti attuativi da parte dei Ministeri di competenza.

Bonus prima casa under 36 per tutto il 2022, Iva ridotta su gas e altri prodotti

L’Agenzia delle entrate ha chiarito come utilizzare il bonus prima casa degli under 36 per tutto il 2022 e fornito indicazioni sul pagamento dell’Iva su determinati prodotti, primo tra i quali la somministrazione del gas domestico e industriale. Gli atti di acquisto della prima casa stipulati entro il 30 giugno 2022 beneficeranno delle agevolazioni per i giovani entro i 35 anni di età fino al 31 dicembre 2022. Tutte le indicazioni sono contenute nella circolare dell’Agenzia delle entrate del 4 febbraio 2022.

Acquisto prima casa under 36, le novità sulle agevolazioni valide per tutto il 2022

Nella circolare dell’Agenzia delle entrate sono illustrati i chiarimenti in merito all’acquisto della prima casa dei giovani under 36. Soprattutto per quanto riguarda il calendario delle scadenze per usufruire delle agevolazioni. Il documento contiene le interpretazioni sulle novità della legge di Bilancio 2022. Tra gli argomenti chiariti, la corretta applicazione dell’Iva sul gas metano, sulle imposte sulla casa (di registro, catastali, di bollo e ipotecarie), sugli acquisti di prodotti per l’igiene intima femminile e sui versamenti degli enti sportivi entro la data del 30 aprile 2022.

Bonus prima casa giovani under 36: sconto prolungato per tutto il 2022

Il bonus per l’acquisto della prima casa dei giovani under 36 è prolungato per tutto il 2022. Ciò significa che, in base alla modifica operata dalla legge di Bilancio di quest’anno, si potrà usufruire dell’agevolazione per i contratti di compravendita immobiliare fino al 30 giugno 2022. Entro quella data dovranno stipulati i contratti di acquisto per poter beneficiare delle agevolazioni fino al 31 dicembre 2022. Confermato il tetto dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) a 40 mila euro della famiglia dell’acquirente.

Bonus prima casa under 36, quali sono le agevolazioni previste per il 2022?

Il bonus sull’acquisto della prima casa degli under 36 permette di ottenere diverse agevolazioni, quali:

  • l’esenzione del pagamento delle imposte ipotecarie, di registro e catastali;
  • l’ottenimento del credito di imposta pari all’Iva, nel caso in cui si tratti di acquisto da soggetti soggetti all’Imposta sul valore aggiunto.

Legge di Bilancio 2022, Iva più bassa sul gas metano

Iva più bassa sul gas metano. L’aliquota per i primi tre mesi del 2022 è stata confermata al 5% per i mesi di gennaio, febbraio e marzo. L’Iva ridotta deriva dal decreto “Energia” (decreto legge numero 130 del 2021) che aveva previsto l’imposta più bassa per il quarto trimestre dello scorso anno. L’applicazione dell’Iva al 5% riguarda il gas metano destinato agli utilizzi di combustione civili e industriali.

Altre misure di riduzione dell’Iva nel 2022: prodotti intimi femminili ed enti sportivi

L’Agenzia delle entrate ha confermato, per tutto il 2022, la riduzione dell’Iva applicata ai prodotti di igiene intima femminile. Inoltre, viene confermata per tutto l’anno anche l’esenzione dell’imposta di bollo per tutti i certificati che vengano rilasciati in via telematica. Fino al 30 aprile prossimo, invece, gli enti sportivi saranno esonerati di alcuni versamenti fiscali.

Terzo Settore: rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024

Il terzo settore negli ultimi anni è stato oggetto di numerosi interventi volti a uniformare la disciplina, particolare rilevanza hanno il codice del Terzo Settore e il Registro Unico Nazionale Terzo Settore RUNTS. Una delle riforme che più ha destato clamore è stata introdotta con il decreto legge 146/2021, questo prevedeva che dal primo gennaio 2022 le Associazioni di Promozione Sociale e le Associazioni di Volontariato, pur non svolgendo alcuna attività commerciale fossero, assoggettate ad IVA. Con la legge di bilancio 2022 c’è invece stato il rinvio dell’entrata in vigore dell’IVA fino al 2024. Vediamo i vari passaggi che hanno portato al rinvio.

Normativa su obbligo di applicazione IVA per gli Enti del Terzo Settore

La disciplina dell’applicazione dell’IVA anche alle operazioni compiute da OdV e APS deriva dalla normativa comunitaria, quindi l’Italia in un certo senso ha dovuto adottare queste misure. Infatti è in corso una procedura d’infrazione a carico dell’Italia, n° 2008 del 2010, proprio per non aver provveduto ad adeguare la disciplina del Terzo Settore e per violazione degli obblighi imposti dagli artt. 2, 9 della direttiva IVA (2006/112/CE).

In base alla disciplina dettata dal decreto fiscale le operazioni esentate ( ma da dichiarare ai fini IVA) sono per i servizi prestati e i beni ceduti dagli enti nei confronti dei propri soci, ad esempio corsi di formazione in favore degli associati. Questo naturalmente comporta sia un maggiore esborso a fronte di attività considerate socialmente utili, sia un aggravio dei costi di gestione con obbligo di tenuta dei registri IVA

La normativa prevede delle semplificazioni per le Organizzazioni di Volontariato (OdV) e per le Associazioni di Promozione Sociale (APS) che al permanere dei requisiti previsti dalla legge decidono di aderire al regime forfettario.

Naturalmente vista la situazione pandemica e le difficoltà a cui devono fare fronte gli Enti del Terzo Settore, i partiti hanno presentato diversi emendamenti volti a far slittare l’entrata in vigore dell’obbligo di pagare l’IVA per gli Enti del Terzo Settore.

Perplessità sul regime IVA per Enti del Terzo Settore

La portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Vanessa Pallucchi ha espresso molte perplessità. Ha sottolineato come in realtà questa norma introdotta con il decreto fiscale 146/2021 non solo arreca un ingiusto danno alle associazioni, in particolare a quelle più piccole, ma non porta alcun vantaggio reale alle Casse dello Stato. Il regime IVA prevede, ad esempio, che debba essere applicata l’IVA sulla somministrazione di bevande e alimenti, ma se questa è in favore di indigenti, le operazioni sono esenti da IVA. Nonostante questo possa sembrare un vantaggio in realtà non lo è, infatti se le Associazioni sono escluse dal regime IVA non devono compiere adempimenti, ma nel momento in cui si parla di esenzione e non di esclusione, le operazioni devono essere dichiarate e quindi occorre comunque dotarsi di partita IVA e la tenuta dei Registri che comunque rappresentano costi.

Inoltre la portavoce critica il momento di introduzione dell’IVA che arriva nel corso dell’esecuzione degli adempimenti per l’iscrizione nel RUNTS con tutti gli oneri relativi ad eventuali cambi di Statuti da raccordare alla nuova disciplina. Ciò che molti contestano alla disciplina prevista dal decreto fiscale è il fatto che la norma non differenzia il regime IVA in base alla tipologia di prestazioni e alla tipologia di associazioni, o meglio in base allo scopo. Trattando in modo indifferenziato diverse realtà, da un lato si va oltre le richieste dell’Unione Europea creando un danno agli Enti del Terzo Settore e dall’altro si realizza un’ingiustizia sostanziale. Della disciplina del decreto fiscale sono inoltre contestati i tempi brevi tra l’approvazione di questa novità e i tempi di entrata in vigore, cioè già dal 1° gennaio 2022.

Rinvio dell’entrata in vigore dell’ IVA per il Terzo Settore fino al 2024

Con la legge di bilancio 2022 si è quindi provveduto a posticipare l’entrata in vigore dell’obbligo di dichiarazione IVA, tenuta dei registri e pagamento delle relative imposte fino al 2024. In realtà si spera nella scrittura di una nuova normativa che possa coinvolgere anche i diretti interessati.

Per saperne di più sulle nuove norme relative al Terzo Settore, puoi leggere:

Codice del Terzo Settore: cosa cambia per le associazioni culturali 

Registro Unico del Terzo Settore diventa operativo dal 23 novembre 2021

 

Comprare un terreno agricolo, quali tasse sono da pagare?

Quali imposte e tasse sono da pagare nel caso in cui si acquisti un terreno agricolo? Per rispondere a questa domanda è necessario distinguere il soggetto che vende il terreno agricolo. Può essere un soggetto qualsiasi oppure una banca o una società di leasing. Chi compra il terreno agricolo, invece, può ricadere in più soggetti.

Chi può comprare un terreno agricolo?

Infatti, il compratore di un terreno agricolo nel caso in cui il venditore sia un soggetto qualsiasi, può essere un imprenditore agricolo professionale, oppure un coltivatore diretto iscritto alla gestione assistenziale o previdenziale. In alternativa, la trattazione delle tasse e imposte dovute sull’acquisto di un terreno agricolo varia se si tratta di un soggetto qualsiasi diverso dalle tipologie di acquirente viste in precedenza. Nel caso in cui il venditore sia una banca o una società di leasing, la trattazione delle tasse e imposte dovute non varia a seconda del soggetto acquirente.

Acquisto di un terreno agricolo da parte di un imprenditore agricolo o coltivatore diretto: quali tasse?

In tutti i casi di acquisto e di vendita di un terreno agricolo non è mai dovuta l’Iva. Se ad acquistare il terreno agricolo da un qualsiasi soggetto che non sia una banca o una società di leasing è un imprenditore agricolo o un coltivatore diretto, sono dovute cinque tasse e imposte. Nel dettaglio:

  • l’imposta di registro per 200 euro, secondo quanto dispone il comma 4 bis dell’articolo 2, del decreto legge numero 194 del 2009, convertito nella legge numero 25 del 26 febbraio 2010;
  • imposta ipotecaria pari a 200 euro per la stessa norma precedente;
  • l’imposta catastale corrispondente all’1%, sempre per il decreto legge numero 194;
  • imposta di bollo di 230 euro seguendo quanto prevede il comma 1 bis, numero 1), dell’articolo 1, della Tariffa all’Allegato A al decreto del Presidente della Repubblica numero 642 del 26 ottobre 1972;
  • la tassa ipotecaria pari a 90 euro ai sensi dei punti 1.1 e 1.2 dell’articolo 1, della Tabella delle Tasse Ipotecarie allegata al decreto legislativo numero 347 del 31 ottobre 1990.

Acquisto di terreno agricolo di soggetto non imprenditore agricolo e nemmeno coltivatore diretto: quali tasse?

Nel caso in cui l’acquisto sia effettuato da un soggetto qualsiasi, ad eccezione del caso precedente, ovvero di imprenditore agricolo o coltivatore diretto, e il venditore è un soggetto qualsiasi ad eccezione di una banca o una società di leasing, la compravendita è esente sia dall’imposta di bollo che dalla tassa ipotecaria. L’esenzione è prevista dal comma 3 dell’articolo 10, del decreto  legislativo numero 23 del 14 marzo 2011.  Sono invece da pagarsi:

  • l’imposta di registro del 12%, secondo quanto prevede il terzo periodo dell’articolo 1, del Tp 1;
  • imposta ipotecaria e imposta catastale, per 50 euro ciascuno, ai sensi di quanto prevede il decreto legislativo numero 23 del 2011.

Acquisto di un terreno agricolo da una banca o da una società di leasing

La disciplina sulle tasse e sulle imposte è valida per qualunque soggetto acquirente (imprenditore agricolo, coltivatore diretto o qualsiasi altro soggetto) se il venditore è una banca o una società di leasing. Quest’ultima trova la propria disciplina nel comma 10 ter 1, dell’articolo 35 del decreto legge numero 223 del 4 luglio 2006. Nel dettaglio, la norma chiarisce che deve trattarsi di cessioni effettuate per riscatto di contratti di leasing o di cessioni di immobili già oggetti di contratti di leasing risolti per inadempimento dell’utilizzatore.

Quali tasse e imposte sono dovute per l’acquisto di un terreno agricolo da una banca o società di leasing?

Nel caso di acquisto di un terreno agricolo da una banca o da una società di leasing sono dovute le seguenti tasse e imposte:

  • imposta di registro, imposta ipotecaria e imposta catastale, tutte e tre pari a 200 euro, ai sensi di quanto prevede il comma 10 ter 1, dell’articolo 35, del decreto legge numero 223 del 4 luglio 2006, poi convertito nella legge numero 248 del 4 agosto 2006;
  • l’imposta di bollo corrispondente a 230 euro ai sensi del comma 1 bis, numero 1), dell’articolo 1, della Tariffa all’Allegato A al decreto del Presidente della Repubblica numero 642 del 26 ottobre 1972;
  • la tassa ipotecaria corrispondente a 90 euro secondo quanto prevedono i punti 1.1 e 1.2 dell’articolo 1, della Tabella delle Tasse Ipotecarie allegata al decreto legislativo numero 347 del 31 ottobre 1990.

Acquisto di un terreno non agricolo e non edificabile: quali tasse sono da pagare?

Quali imposte e tasse devono essere pagate nel caso in cui si acquisti un terreno non agricolo e non edificabile? In questa tipologia di compravendita deve essere distinto il caso in cui il soggetto venditore sia un soggetto qualsiasi da quello in cui la vendita viene effettuata da una banca o da una società di leasing. Riguardo al compratore, invece, non fa alcuna distinzione di chi si tratti in qualunque caso.

Acquisto da un soggetto qualsiasi di un terreno non agricolo e non edificabile: è dovuta l’Iva?

Nel caso in cui l’acquisto del terreno non agricolo e non edificabile sia effettuato da un soggetto qualsiasi, e a venderlo sia un altrettanto soggetto qualsiasi, diverso da una banca o da una società di leasing, l’operazione di compravendita non è soggetta a Iva. Sono altresì dovute tutte le altre imposte e tasse.

Quali tasse e imposte sono dovute per l’acquisto di un terreno non agricolo e non edificabile?

Per l’acquisto di un terreno non agricolo e non edificabile, esclusa la compravendita da banche o società di leasing, l’operazione è esente sia dalla tassa ipotecaria che dall’imposta di bollo. Lo disciplina, per entrambi i casi, il comma 3 dell’articolo 10, del decreto legislativo numero 23 del 14 marzo 2011. Sono dovute però altre tre imposte, ovvero:

  • l’imposta di registro del 9%, ai sensi del primo periodo dell’articolo 1, del Tp1;
  • imposta ipotecaria pari a 50 euro, secondo quanto dispone il comma 3 dell’articolo 10, del decreto legislativo numero 23 del 14 marzo 2011;
  • l’imposta catastale di 50 euro, ugualmente prevista dal decreto legislativo numero 23.

Acquisto di terreno non agricolo e non edificabile da banca o da società di leasing

Diverso è il caso in cui il venditore del terreno non agricolo e non edificabile sia una banca o una società di leasing. Quest’ultima è definita dal comma 10 ter 1, dell’articolo 35 del decreto legge numero 223 del 4 luglio 2006. In particolare, la norma stabilisce che si deve trattare di cessioni effettuate per riscatto di contratti di leasing o di cessioni di immobili già oggetti di contratti di leasing risolti per inadempimento dell’utilizzatore.

Se il terreno non agricolo e non edificabile è venduto da una banca o da una società di leasing è dovuta l’Iva?

La compravendita del terreno non agricolo e non edificabile fatta da una banca o da una società di leasing risulta non soggetta a Iva. Sono però dovute le altre tasse e imposte, senza l’esenzione della tassa ipotecaria e dell’imposta di bollo. Infatti, l’importo della tassa ipotecaria è di 90 euro, secondo quanto prevedono i punti 1.1 e 1.2 dell’articolo 1, della Tabella delle tasse ipotecarie che è allegata al decreto legislativo numero 347 del 31 ottobre 1990. L’imposta di bollo, invece, è pari a 230 euro. Lo disciplina il comma 1 bis numero 1) dell’articolo 1, della Tariffa all’Allegato A del decreto del Presidente della Repubblica numero 642 del 26 ottobre 1972.

Quali altre imposte sono dovute per l’acquisto da una banca di un terreno non edificabile e non agricolo?

Le altre imposte da pagare nel caso in cui la compravendita veda come venditore una banca o una società di leasing sono l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale. Tutte e tre le imposte sono dovute per 200 euro ciascuna. Lo prevede il comma 10 ter 1, dell’articolo 35, del decreto legge numero 223 del 4 luglio 2006, poi convertito nella legge numero 248 del 4 agosto 2006.

Esportatori abituali: chi sono e come funziona il regime IVA

L’esportatore abituale è un soggetto passivo IVA che ha realizzato nei 12 mesi precedenti operazioni di esportazione per un valore d’affari superiore al 10% del volume totale di affari. Tale soggetto è autorizzato a costituire un plafond il cui valore corrisponde a operazioni esonerate dall’applicazione IVA, si tratta quindi di un regime agevolato. Il plafond corrisponde all’ammontare del valore delle operazioni fuori campo IVA effettuate.

Ratio del regime IVA per esportatori abituali

Per capire la ratio della disciplina dell’IVA agevolata per gli esportatori abituali (articolo 8, comma 1, lettera c, DPR n 633/72) dobbiamo fare una premessa. I vari ordinamenti giuridici hanno imposizioni fiscali differenti, di fatto i soggetti IVA, ad esempio il negoziante sotto casa, devono applicare ai prodotti in vendita l’IVA che riscuotono dai clienti finali applicando l’aliquota rispettiva al prezzo, recuperando così anche quella che loro stessi hanno versato al fornitore come IVA. A questo punto versano all’erario quanto riscosso. Nel caso di esportazioni però non possono applicare l’IVA sul cliente finale e quindi se pagassero l’IVA ai fornitori, poi si ritroverebbero un credito nei confronti dell’erario difficile da recuperare.

Per evitare questo effetto per gli esportatori abituali, quindi quelli che fanno molte operazioni nell’arco di un anno solare, la legge prevede un regime agevolato. Nasce così il plafond relativo alle operazioni compiute con l’estero nell’anno solare precedente e nel limite di tale plafond gli esportatori sono esonerati dal pagare l’IVA al loro fornitore. Vediamo ora come funziona questa agevolazione.

La dichiarazione di intenti all’Agenzia delle Entrate

Per poter ottenere l’agevolazione l’esportatore abituale ogni anno deve comunicare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione di intenti in cui si indica l’ammontare del plafond che si vuole utilizzare. Fino al 2020 tale dichiarazione doveva poi essere presentata ai fornitori al momento di compiere le operazioni per le quali si voleva applicare il regime per l’esenzione IVA. Dal 1° gennaio 2020 viene meno tale obbligo, ma naturalmente è necessario palesare la volontà di avvalersi dell’esenzione IVA. Al momento in cui viene compiuta l’operazione è comunque necessario indicare al fornitore il numero di protocollo della dichiarazione in fattura.

Per evitare di commettere errori è bene fare delle precisazioni inerenti il momento in cui si deve palesare al fornitore di volersi avvalere del regime per gli esportatori abituali. Per le operazioni inerenti la cessione dei beni il momento in cui si ritiene compiuta l’operazione è quello della data di consegna o spedizione. La fattura in questo caso può anche essere differita al 15 del mese successivo rispetto all’operazione, ma l’esportatore deve comunicare al fornitore l’intenzione di utilizzare il plafond già prima, cioè al momento della consegna/spedizione. Mentre per la prestazione di servizi il momento impositivo si verifica al momento del pagamento e quindi dell’emissione della fattura.

Come si calcola il plafond per le operazioni esenti da IVA degli esportatori abituali

La prima cosa da sottolineare è che il plafond può essere calcolato con il criterio fisso o con il criterio mobile. Il plafond fisso prevede che il calcolo avvenga sulla base dell’anno solare e quindi dal 1° gennaio al 31 dicembre di ogni anno. Il plafond mobile richiede molte più attenzioni nel calcolo. Esso prevede che l’esportatore calcoli mese per mese il plafond disponibile tenendo in considerazione gli ultimi 12 mesi precedenti. Il metodo di calcolo del plafond mobile diventa conveniente nel caso in cui si preveda un andamento in crescita delle esportazioni, in questo modo infatti di mese in mese si vede crescere il totale delle operazioni che possono essere effettuate con il regime IVA degli esportatori abituali e vi è un rischio minore che alcune operazioni restino scoperte.

Non tutte le operazioni con l’estero sono coperte dal regime agevolato IVA previsto per gli esportatori abituali. In particolare non sono coperte: le operazioni che hanno ad oggetto dei beni immobili, ad esempio compravendita di aree fabbricabili, fabbricati, contratti di leasing o altre operazioni aventi ad oggetto tali beni. Inoltre sono esenti da tali agevolazioni le operazioni aventi ad oggetto beni e servizi per i quali l’IVA è indetraibile.

Cosa succede in caso di splafondamento?

Si ha questo “fenomeno” quando l’esportatore nelle varie operazioni esenti IVA supera il limite del plafond a sua disposizione. Diciamo fin da subito che ciò non dovrbebe verificarsi, ma nel caso ci sono tre possibili soluzioni che l’esportatore abituale può applicare per sanare la posizione.

In primo luogo può chiedere ai fornitori di emettere un nota di variazione in aumento dell’IVA non caricata con la fattura originale, spetterà poi all’esportatore fare il dovuto versamento. In questo caso l’IVA viene versata la fornitore che poi provvederà a versare all’erario.

Una seconda soluzione è un’autofattura in duplice copia con le operazioni che dovevano essere compiute pagando normalmente l’IVA e che invece sono state compiute utilizzando il plafond ormai esaurito. Anche in questo caso è naturalmente necessario versare l’IVA non pagata in precedenza. Il pagamento avviene con il modello F24 e comprende sia l’ammontare inizialmente non pagato, sia una sanzione con il codice tributo 8904 e infine gli interessi con codice tributo 1991. In questo caso siamo nel campo del ravvedimento operoso e ricordiamo che questo si può effettuare solo fino a quando non si riceve la notifica di un provvedimento da parte dell’ente che dovrebbe riscuotere.

Infine, il terzo modo per riparare all’errore commesso è un’autofattura da emettere entro il 31 dicembre e contenente solo le maggiori imposte IVA da versare, mentre interessi e sanzioni possono essere regolarizzate con una seconda operazione specifica per il ravvedimento operoso.

Legge di bilancio 2021

La legge di bilancio 2021 ha provveduto a rafforzare i controlli sulle attività e sulle operazioni poste in essere dagli esportatori abituali attraverso un’intensificazione delle verifiche sulle dichiarazioni di intenti. L’obiettivo è contrastare il falso plafond IVA e a verificare che sia rispettato il rapporto del 10% tra il totale delle operazioni compiute e quelle effettivamente compiute con l’estero da colui che vuole avvalersi della qualifica di esportatore abituale. Nel caso in cui l’esito del controllo sia negativo, non solo si perde la possibilità di avvalersi del plafond dichiarato, ma viene meno anche la possibilità di presentare un’ulteriore dichiarazione di intento per avvalersi del regime agevolato. Le eventuali operazioni compiute saranno automaticamente scartate dal Sistema di Interscambio.

Resta da notare che in base all’articolo 8 comma 1 del decreto legislativo 633 del 1972 tra le operazioni che possono essere ricomprese nel regime delle esportazioni, vi sono anche quelle effettuate nei confronti di soggetti che si trovano presso Stato della Città del Vaticano e con la Repubblica di San Marino.