Pellet | Cartelle esattoriali | Pensioni: tutte le novità della settimana

La preoccupazione degli italiani, ormai si focalizza sull’arrivo del prossimo freddo e sull’impatto che gli aumenti delle materie prime avranno sull’economia domestica con l’accensione dei riscaldamenti. A questo si aggiunge anche la ripresa dell’invio delle lettere di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate dopo la pausa estiva.

Senza contare che l’argomento caldo fino a fine anno sarà sicuramente quello legato alle pensioni. Il cambio di governo con le elezioni del 25 settembre, infatti, preoccupa non poco visto che non è possibile prevedere cosa accadrà senza sapere chi governerà il Paese. E ovviamente la riforma pensioni e rimandata all’anno prossimo mentre per quest’anno l’unica cosa che ci possiamo aspettare è un intervento “tappabuchi” nella Legga di Bilancio.

Pellet, metano o gasolio, con cosa ci scalderemo quest’inverno?

Fino allo scorso anno il modo più economico per riscaldare la casa era senza dubbio con il pellet: con 5 euro si comprava un sacchetto da 15 kg che permetteva di riscaldarsi per diversi giorni. Ma l’aumento delle materie prima ha portato il prezzo di questo combustibile a salire in modo vertiginoso e a raddoppiare addirittura.  In questo articolo Pellet, metano e gasolio: quanto ci costerà in più il riscaldamento quest’anno? abbiamo esaminato proprio l’aumento dei prezzi per le diverse tipologie di alimentazione del riscaldamento.

Per approfondire, in ogni caso, consigliamo la lettura dei seguenti articoli che trattano a fondo il problema riscaldamenti:

Pellet: perché il prezzo è così alto? Speculazione o aumento dei costi?

Pellet: quanto costa? Conviene o è preferibile il metano?

Stufe a pellet a rischio: mancano componenti per la produzione

Cartelle esattoriali, quando non si pagano?

Da settembre l’Agenzia delle Entrate riprenderà l’invio degli avvisi bonari e delle lettere di accertamento. Gli italiani, quindi, in attesa di una eventuale Rottamazione quarter , devono fare i conti anche con il pagamento delle cartelle esattoriali.

In questo articolo Cartelle esattoriali: quali non si pagano più? abbiamo spiegato quando è possibile non pagarle più esaminando a fondo la normativa. Inoltre abbiamo approfondito anche il tema degli obblighi degli eredi per le cartelle esattoriali del defunto nell’articolo: Cartelle esattoriali non pagate dal defunto: ricadono su vedova ed eredi?

Pensioni 2023 ed anticipo

Il tema che suscita, però, maggior preoccupazione per i lavoratori è quello legato alla previdenza. La riforma delle pensioni è ferma al palo e ormai sono diversi anni che si rimanda una decisione strutturale che possa modificare e attenuare le rigidità della riforma Monti Fornero. Si procede, anno dopo anno, con proroghe e misure sperimentali destinate a scadere dopo poco tempo. Quello che occorre, invece, è una misura strutturale che permetta ai lavoratori di accedere alla pensione e di programmare l’uscita dal lavoro con un certo anticipo.

Una delle misure che certamente non verrà mutata dall’intervento di fine anno è sicuramente la RITA di cui abbiamo parlato nell’articolo: Pensione a 57 e 62 anni anche nel 2023, la misura non è a rischio.

 

 

Quali lavori danno una pensione più alta

In un mondo che prigioniero è di pensioni sempre meno facili da raggiungere, tra aumenti di età lavorativa e posti di lavoro meno stabili, cerchiamo di scoprire in che modo si può ottenere una pensione più alta.

Pensione più alta, vi sono lavori specifici?

Molti si chiedono se ci siano lavori specifici con i quali si possano maturare pensioni più redditizie.

In realtà, l’incremento della nostra pensione non può prescindere da un periodo specifico di anni di lavoro e quindi dalla modalità dei contributi versati.

Un metodo molto importante, ad esempio è la ricongiunzione dei contributi.

La ricongiunzione dei contributi permette di riunire tutta la contribuzione accreditata in gestioni previdenziali differenti verso una sola cassa.

In questo modo si può ottenere, nella maggior parte dei casi una pensione più alta: fanno eccezione le ipotesi in cui vi sia una quota retributiva della pensione ed i periodi ricongiunti, risultando con un reddito medio imponibile esiguo, abbassino la retribuzione pensionabile.

Lavori usuranti, quali sono

Esistono, tuttavia i cosiddetti lavori usuranti che consentono di andare in pensione in anticipo erano i unicamente i seguenti prima della riforma delle pensioni 2022.

In pratica, coloro che hanno svolto un lavoro usurante e gravoso potranno andare in pensione con Quota 97, quindi:

  • con un’età minima di 61 anni e 7 mesi;
  • con 35 anni di contributi versati.

Vi è tuttavia un modo per ottenere una pensione più alta che andremo a vedere nel prossimo paragrafo.

Ottenere una pensione più alta: vediamo come

Vi è, come detto, un altra modalità per ottenere una pensione più alta ovvero andando a riscattare determinati periodi non lavorati, non utili ai fini della pensione.

Sarà necessario, nello specifico effettuare il riscatto dei contributi dei periodi seguenti:

  • i corsi di studio universitari (talvolta, è possibile accedere al riscatto agevolato degli anni di laurea);
  • tramite costituzione di rendita vitalizia, i contributi omessi e caduti in prescrizione;
  • i periodi di attività svolta con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa prima dell’obbligo contributivo presso la gestione Separata, cioè anteriori al 1° aprile 1996;
  • i periodi di interruzione o sospensione del rapporto di lavoro (per cause di interruzione e sospensione previste dalla legge, per periodi posteriori al 31 dicembre 1996 e per un massimo di 3 anni);
  • i periodi intercorrenti tra un rapporto di lavoro e l’altro nel caso di lavori discontinui, stagionali, temporanei successivi al 31 dicembre 1996;
  • i periodi di congedo per motivi famigliari
  • i periodi di inattività connessi a rapporti di lavoro part-time successivi al 31 dicembre 1996;
  • i periodi di occupazione in lavori socialmente utili ai fini della misura delle pensioni;
  • gli anni di praticantato effettuati dai promotori finanziari;
  • i periodi di servizio civile su base volontaria, dal periodo seguente al gennaio 2009;
  • i periodi di aspettativa per motivi gravi di stampo famigliare;

Pensione supplementare e supplemento di pensione

Vediamo, inoltre le opzioni di supplemento alla pensione.

Modalità, quindi ulteriori per implementare la propria pensione.

Il supplemento di pensione può essere richiesto dopo un tempo di 5 anni dalla data di decorrenza della pensione o di un precedente supplemento. Qualora, invece, l’interessato abbia già compiuto l’età per la pensione di vecchiaia, può richiedere il supplemento dopo 2 anni, ma soltanto per una volta.

Tale supplemento è calcolato con gli stessi criteri previsti per le pensioni, pigliando considerazione la retribuzione e i contributi accreditati tra la data di decorrenza del trattamento e quella del supplemento da liquidare.

La pensione supplementare, invece è diversa.

Questa non è altro che una prestazione che si ottiene nel momento in cui il lavoratore possiede contribuzione versata in diverse casse e non in una sola, e che non abbia potuto accedere al cumulo, alla totalizzazione o alla ricongiunzione, e non abbia diritto ad un’autonoma pensione in una o più gestioni.

In tali casi, l’INPS liquida una prestazione, detta appunto pensione supplementare, che va ad aggiungersi alla pensione principale in pagamento, rendendo così l’assegno più alto.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere per poter ottenere una pensione possibilmente più alta.

Maggiorazioni sociali alle pensioni: a chi spettano?

Le maggiorazioni sociali alle pensioni sono degli incrementi degli importi versati in favore dei pensionati e in alcuni casi percettori di assegni di invalidità civile, ciechi civili, sordo muti e assegno sociale che percepiscono redditi bassi. Il requisito essenziale per poter percepire le maggiorazioni sociali alle pensioni è il reddito che non deve superare un determinato limite. Ecco in quali casi spettano le maggiorazioni sociali alle pensioni.

Maggiorazioni sociali alle pensioni: a chi spettano?

In Italia sono vigenti almeno 3 diverse maggiorazioni sociali alla pensione. Vediamo quali sono e da quali norme sono disciplinate.

L’articolo 1 della legge 544 del 1988 prevede una maggiorazione in favore dei titolari di assegno di pensione appartenenti alle varie gestioni per lavoratori privati, pubblici, dipendenti e autonomi. La normativa prevede che il beneficio possa essere riconosciuto al compimento del 70° anno di età. Inoltre può essere riconosciuto in base alla contribuzione fatta valere dal beneficiario (sconto di un anno di età ogni 5 anni di contribuzione) fino al limite del compimento del 65° anno di età. Il limite subisce un’ulteriore riduzione fino al 60 anni di età in caso di soggetti con invalidità riconosciuta o titolari di pensione di inabilità.

L’incremento previsto è a 516, 46 euro mensili per chi ha compiuto 70 anni di età. Per chi invece ha diritto all’integrazione senza avere compiuto 70 anni, la maggiorazione sociale è di minore importo. Dal primo gennaio 2008 l’incremento per gli ultra-settantenni è calcolato in modo che lo stesso possa raggiungere la somma di 580 euro mensili.

Affinché si abbia diritto a tali maggiorazioni è necessario che il reddito personale annuo per il 2022 non sia superiore a 6.816,42 euro annui, cioè 524,35 euro mensili.

Nel caso in cui il pensionato sia coniugato cambiano i limiti, in questo caso il reddito coniugale non deve essere superiore a 12.901,72 euro annui.

Il riconoscimento delle maggiorazioni non è mai automatico, è l’avente diritto che deve proporre domanda.

A chi spetta l’importo aggiuntivo a dicembre?

Articolo 70 comma 6 della legge 388 del 2000, istituisce un importo aggiuntivo di 154,94 euro in favore di titolari di pensioni erogate dall’INPS, a differenza degli importi precedentemente visti, in questo caso sono escluse le prestazioni assistenziali. L’importo aggiuntivo spetta nel caso in cui il reddito personale nell’arco dell’anno non superi 10.043,87 euro. L’importo viene però modulato, infatti se la somma complessiva della pensione non è superiore al minimo, si riceve il massimo. In caso contrario si ottiene un importo inferiore (6.816,42 euro per il 2022). Questo importo solitamente viene attribuito d’ufficio nel mese di dicembre, ma nel caso in cui lo stesso non sia erogato e si ritenga di averne diritto, è possibile proporre istanza attraverso la domanda di ricostituzione della pensione che può essere presentata autonomamente accedendo al sito Inps con le proprie credenziali.

Tra le maggiorazioni sociali deve essere considerata anche la quattordicesima mensilità. Per conoscere a chi spetta, leggi l’articolo:

Quattordicesima 2022 pensionati: chi potrà percepirla e a quanto ammonta?

Pensioni, anche per i giornalisti arriva l’Ape sociale con uscita a 63 anni

Tra le novità del passaggio della previdenza dei giornalisti dall’Inpgi all’Inps vi è anche quella della possibilità di pensione anticipata con uscita a partire dai 63 anni di età. È quanto prevede lo stesso Istituto previdenziale che ha confermato la possibilità di agganciare, per i giornalisti in uscita dal lavoro a partire dal 1° luglio 2022, l’anticipo pensionistico sociale (Ape sociale). Sono ammessi alla pensione di accompagnamento alla vecchiaia dai 63 anni di età i giornalisti professionisti, i pubblicisti e i praticanti titolari di un rapporto alle dipendenze. Ecco, nel dettaglio, di cosa si tratta.

Pensioni giornalisti, il passaggio dell’Inpgi all’Inps dal 1° luglio 2022

Il passaggio del regime pensionistico dei giornalisti dall’Inpgi all’Inps comporta, a decorrere dal 1° luglio 2022, la possibilità di trasferire all’Istituto Previdenziale tutte le operazioni di pensione che erano state gestite dall’Inpgi fino al 30 giugno scorso. Il passaggio di consegne dalla Cassa previdenziale dei giornalisti all’Inps comporta, innanzitutto, il cambio dei contributi previdenziali e degli obblighi contributivi. I datori di lavoro dei giornalisti professionisti, dei pubblicisti e dei praticanti che abbiano un rapporto di lavoro alle dipendenze dal mese di luglio 2022 seguono le regole dettate dal Fondo pensione dei lavoratori dipendenti (Fpld). Nel dettaglio i datori di lavoro, a decorrere dal mese di luglio 2022, devono presentare la dichiarazione dei contributi dei giornalisti mediante i flussi Uniemens. L’operazione è del tutto simile a quella che svolgono le imprese nel trasferimento dei contributi dei propri lavoratori alle dipendenze.

Inps, istruzioni su come andare in pensione a 63 anni per i giornalisti con l’Ape sociale

La circolare dell’Inps numero 92 del 2022 di qualche giorno fa ha stabilito le regole affinché anche i giornalisti possano andare in pensione con l’Ape sociale a decorrere dai 63 anni di età. Per le uscite dal lavoro da luglio scorso, i giornalisti possono dunque beneficiare dell’Ape sociale purché abbiano compiuto l’età minima e in attesa che l’assegno di accompagnamento diventi pensione a partire dai 67 anni di età con la vecchiaia. Il sussidio mensile per gli anni dai 63 ai 67 anni può arrivare all’importo massimo di 1.500 euro.

Quali sono le condizioni affinché anche i giornalisti possano andare in pensione con l’Ape sociale?

Per la richiesta delle pensioni con Ape sociale sono necessari determinati requisiti. Innanzitutto l’età, di almeno 63 anni, ma anche la situazione economica e sociale del richiedente dell’indennità. In particolare, la richiesta può essere fatta dai giornalisti che:

  • hanno cessato l’attività di lavoro;
  • non sono già titolari altre pensioni dirette;
  • hanno un montante di contributi di almeno 30 anni (36 anni per i lavoratori che abbiano svolto attività gravose);
  • avere una pensione futura di almeno 1,4 volte la pensione minima, il cui importo è stabilito annualmente dall’Inps. Conti alla mano, il minimo di assegno mensile previsto deve essere di almeno 734 euro;
  • essere disoccupati;
  • avere una situazione di inabilità al lavoro di almeno il 74%;
  • prestare cura per un familiare o per un parente convivente da almeno 6 mesi (caregiver).

Quale pensione possono richiedere i giornalisti?

Con il passaggio dall’Inpgi all’Inps della gestione previdenziale dal 1° luglio 2022, le possibilità di pensione dei giornalisti possono riassumersi in due situazioni. La prima riguarda i giornalisti che abbiano maturato i requisiti per la pensione entro il 30 giugno 2022. In questo caso, specifica l’Inps, i giornalisti possono conseguire qualunque pensione prevista dalla Cassa previdenziale Inpgi, andando in quiescenza anche in un momento successivo alla data del 30 giugno 2022. Le regole pensionistiche da seguire sono quelle dell’Inpgi vigenti fino al termine dello scorso giugno. Non si possono ottenere eventuali formule pensionistiche in vigore per i lavoratori a carico del Fondo pensione dei lavoratori dipendenti (Fpld) a decorrere dal 1° luglio 2022. Eventuali contributi versati dal 1° luglio 2022 incrementano il montante in gestione dell’Inpgi.

Giornalisti in pensione dal 1° luglio 2022, quali regole di uscita?

Per i giornalisti che, invece, maturino i requisiti di pensione a decorrere dal 1° luglio 2022 (non avendoli maturati entro il 30 giugno 2022), vige il regime pensionistico dei lavoratori iscritti alla gestione Fpld dell’Inps. Di conseguenza, le regole di pensione da seguire sono quelle dei lavoratori dipendenti iscritti alla gestione previdenziale dell’Inps, con i relativi requisiti richiesti. Fanno eccezione, per i giornalisti, le formule di pensionamento anticipato dell’opzione donna e della quota 100, i cui requisiti andavano maturati entro la fine dell’anno 2021. Per il calcolo del regime di appartenenza (retributivo, misto o contributivo), è necessario far riferimento ai contributi versati entro la data del 31 dicembre 1995.

 

Agricoltori, esonero contributi per due anni conservando la pensione

Esonero contributi per i lavoratori impiegati nel settore agricolo di due anni conservando la pensione. I giovani agricoltori, che non hanno ancora compiuto i 40 anni di età, hanno 120 giorni dall’inizio dell’attività per richiedere l’esonero contributivo. A chiarirlo è una circolare dell’Inps che fissa i termini per gli sgravi contributivi a vantaggio degli agricoltori under 40.

Coltivatori diretti, qual è la scadenza per presentare domanda di sgravio contributi 2022?

La domanda degli sgravi contributivi per due anni degli agricoltori che non hanno ancora compiuto i 40 anni di età va inoltrata all’Inps. Il termine per la presentazione dell’istanza è fissato in 120 giorni a partire dalla data di inizio dell’attività. Al 31 luglio è fissata la prima scadenza di chi abbia incominciato l’attività agricola a decorrere dal 1° gennaio 2022. I termini di scadenza della domanda sono fissati dalla circolare dell’Inps numero 75 del 2022.

Agricoli, chi può presentare domanda di sgravio contributi?

La domanda di sgravio dei contributi può essere presentata dai lavoratori agricoli che non hanno compiuto ancora i 40 anni di età. In particolare:

  • i coltivatori diretti, i coloni e i mezzadri;
  • gli imprenditori agricoli professionali.

Contributi lavoratori agricoli: calcolo del reddito medio convenzionale giornaliero e dell’aliquota spettante

Il calcolo dei contributi spettanti si basa sul reddito convenzionale delle quattro fasce previste. Ciascuna delle fasce di reddito si determina mediante il prodotto del reddito medio convenzionale giornaliero con le giornate lavorative stabilite dalla legge. Il reddito convenzionale giornaliero è fissato per ciascun anno dal decreto. Per il 2022, tale reddito è stabilito in 60,26 euro. L’aliquota dei contributi da versare è pari al 24%: la percentuale include già il contributo addizionale pari al 2%.

Contributo addizionale per i versamenti Inps in agricoltura: come si determina?

Al risultato ottenuto dalla moltiplicazione del reddito medio convenzionale giornaliero con le giornate lavorative, moltiplicato per il 24%, va aggiunto anche il contributo addizionale di ciascuna giornata lavorativa annuale fino al limite delle 156 annuali. Per l’anno in corso, il contributo addizionale è fissato in 0,69 centesimi per ciascuna giornata lavorata. Infine, i lavoratori agricoli devono aggiungere anche 7,49 euro a titolo di contributo di maternità.

Lavoratori agricoli under 40, come non versare contributi per due anni?

Pertanto, l’esonero contributivo dei lavoratori agricoli consente di non versare i contributi previdenziali per due anni, ma mantenendo il lavoro svolto ai fini della futura pensione. Tale esonero è allargato anche ai propri familiari. Rientrano nel beneficio i lavoratori agricoli che non hanno ancora compiuto i 40 anni di età e che si sono iscritti per la prima volta all’Inps nel corso del 2022. Per beneficiare dello sgravio contributivo è necessario presentare domanda all’Inps entro 120 giorni dal data di comunicazione di inizio dell’attività. Considerando che la comunicazione dell’inizio dell’attività può essere presentata entro 90 giorni, il termine complessivo per la presentazione della domanda di sgravio contributi è fissato in 210 giorni.

Contributi Inail 2022: qual è l’importo da versare per i coltivatori diretti?

Oltre ai contributi previdenziali, i coltivatori diretti sono tenuti a versare anche i contributi Inail. Si tratta di contributi contro le malattie professionali e gli infortuni durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Per l’anno 2022 i contributi Inail annuali sono pari a:

  • 768,50 euro per le zone normali;
  • 532,18 euro per le zone montane e svantaggiate.

Contributi lavoratori agricoli: come e quando pagarli?

Per il pagamento dei contributi, gli agricoltori devono utilizzare il modello F 24 da presentare per le quattro scadenze corrispondenti alle rate da versare. La prima è fissata al 18 luglio 2022 perché il 16 luglio quest’anno capita di sabato; la seconda è il 16 settembre; la terza scadenza è fissata al 16 novembre; infine, l’ultima scadenza del 2022 è al 16 gennaio 2023.

La nuova frontiera delle pensioni, tre ipotesi di riforma

Anche se tutto è fermo da tempo, il governo nella sua agenda ha sempre il capitolo pensioni in evidenza. Il sistema previdenziale italiano infatti necessità di una profonda revisione. Una vera riforma delle pensioni che da tempo fa discutere. Infatti una riforma manca nel sistema previdenziale nostrano dai tempi della Riforma di Elsa Fornero. Erano i tempi del governo tecnico di Mario Monti, con la Professoressa Elsa Fornero Ministro del Lavoro. E fu allora che il governo varò una riforma passata alla storia come quella delle lacrime e del sangue. Tutti ricordano le lacrime in diretta TV dell’allora Ministro Fornero. È proprio da quella riforma scaturirebbe la necessità di prevederne un’altra.

Nel 2023 spariranno diverse misure oggi in vigore

Oggi le misure previdenziali tramite le quali è possibile andare in pensione sono sostanzialmente due. Parliamo della pensione anticipata ordinaria e della pensione di vecchiaia ordinaria. Poi esistono numerosi altri scivoli, Tutte possibilità concrete di anticipare la pensione rispetto alle due misure pilastro del sistema italiano. C’è lo scivolo usuranti, c’è opzione donna, e ci sono l’Ape sociale e la quota 102. E poi ancora, la pensione anticipata contributiva, la pensione di vecchiaia con invalidità al 80%, la quota 41 per i precoci e così via.

Non tutte le misure alternative scadono

Alcuni di questi scivoli, come per esempio la pensione anticipata per gli usuranti o la quota 41 per i precoci, sono ormai misure strutturali del sistema. Significa che sono misure che anche l’anno prossimo continueranno ad essere fruibili. Si tratta di strumenti che non hanno scadenza e sono presenti ormai in maniera radicale nel sistema. Ce ne sono altre però che vanno a scadenza a fine 2022. In pratica misure che l’anno prossimo non verranno più utilizzate. Questo tranne eventuali proroghe o decisioni diverse da parte dell’esecutivo da qui a fine anno, quando sarà il momento di varare la nuova Legge di Bilancio per il 2023.

Cosa succederà alle pensioni nel 2023

Ad oggi, o almeno, in base a ciò che è stato fatto e si dice, il 31 dicembre prossimo scadono sicuramente sia opzione donna che l’Ape sociale. E naturalmente scade anche la quota 102. Senza questi tre scivoli evidente che c’è una elevata probabilità che si ritornerà come alternativa alle pensioni ordinarie, alle rigide regole della Fornero. Per questo si ragiona su alcune ipotesi di riforma più o meno attendibili è più o meno fattibili. Un tipico esempio è la pensione anticipata a 64 anni per tutti. Estendere a tutti i benefici che la pensione anticipata contributiva offre a chi non ha versamenti prima del 1996. È una delle alternative in campo e probabilmente quella che ha più possibilità di diventare realtà.

La pensione a 64 anni per tutti e con 20 anni di contributi versati

In pratica chiunque si trova con 62 anni di età e 20 anni di contributi potrebbe  andare in pensione. In pratica quello che oggi accade hai contributivi puri. Resta il fatto che c’è un vincolo non secondario per quanto riguarda la pensione per i contributivi puri. Infatti occorre che l’assegno liquidato sia pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Per la versione estesa a tutti e che è sul tavolo che l’esecutivo, si potrebbe optare per una riduzione di questo limite di importo della pensione. Da 2,4 volte l’assegno sociale si potrebbe passare ad 1,5 volte l’assegno sociale. Un modo per estendere la platea dei potenziali beneficiari davvero a tutti.

Le altre ipotesi sul tavolo delle trattative

Un’altra ipotesi invece sarebbe una pensione a 64 anni per tutti sulla falsariga della nuova quota 102. In questo caso però si ridurrebbe a 20 anni il limite minimo di contributi che per quota 102 è rimasto lo stesso della quota 100 e cioè a 38 anni punto ci sarebbe però per questa misura il vincolo non certo secondario dell’obbligo di ricalcolo contributivo della prestazione. In pratica chi potrebbe sfruttare questo canale di uscita, dovrebbe accettare un taglio dell’assegno.

La proposta di Pasquale Tridico numero uno dell’Inps

Un’altra ipotesi di cui si parla tanto richiama ad una vecchia proposta del presidente dell’INPS Pasquale Tridico. E sarebbe una pensione spacchettata in due, con prima la liquidazione della sola parte contributiva magari a 63 anni per poi una volta raggiunti i 67 anni si passerebbe alla pensione vera e propria anche con la parte retributiva. In pratica gli interessati ci metterebbero tagli soltanto per 4 anni. Nettamente migliore quindi rispetto alle proposte che prevedono tagli lineari e soprattutto ricalcoli esclusivamente contributivi della prestazione.

La quota 41 per tutti, tra sogno e realtà

Infine, una misura che torna sempre per qualità ogni qualvolta si parla di riforma delle pensioni è quella che prende i numeri quota 41 per tutti. Si tratta dell’estensione di questa misura a tutti i lavoratori non soltanto i precoci come funziona oggi. Lavora 41 per tutti diventerebbe una misura capace di sostituire praticamente del tutto, la pensione anticipata ordinaria. Di colpo la carriera contributiva necessaria per la pensione scenderebbe per gli uomini da 42 anni 10 mesi a 41 anni per le donne risparmio inferiore ma pur sempre risparmio. Infatti si passerebbe da 41 anni 10 mesi ha 41 anni di contributi. La misura di cui tutti parlano non prevedrebbe tagli, e quindi non andrebbe calcolata tutta col sistema contributivo. Su questo però le parti, cioè governo e sindacati, sono piuttosto divisi dal momento che il governo non verrebbe di cattivo occhio il fatto che la pensione debba essere liquidata solo con il sistema contributivo e quindi sonoramente tagliata.

Deducibilità dei contributi previdenziali anche per i familiari a carico e fondo pensione: come procedere?

Come procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore di familiari a carico nel modello 730 della dichiarazione dei redditi? Ci si riferisce sia ai contributi obbligatori che a quelli volontari. Tra questi ultimi sono inclusi anche i contributi di adesione ai fondi pensione che si possono dedurre dal reddito totale ai fini dell’Irpef. Leggiamo dunque quali sono le regole da seguire in sede di dichiarazione dei redditi, quali sono i limiti della deducibilità dei contributi e le condizioni affinché possano essere dedotti da quanto versato a favore dei familiari a carico.

Contributi previdenziali per i familiari a carico: come riportarli nel modello 730 per la dichiarazione dei redditi?

Per la deducibilità dei contributi previdenziali versati per se stessi o a favore dei familiari a carico si utilizza la Sezione II del quota E del modello 730, ai fini della dichiarazione dei redditi. In questa sezione, infatti, si possono iscrivere le spese e gli oneri ai quali si è fatto fronte durante l’anno di imposta. La condizione essenziale per la detraibilità è quella che prevede che i contributi non siano già stati inseriti dal datore di lavoro per determinare il reddito da lavoro dipendente o il reddito assimilato.

Quando è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali?

In quest’ultimo caso, è il datore di lavoro a procedere con la deducibilità dei contributi previdenziali dal reddito imponibile. Le informazioni sulla deducibilità si possono leggere sulla Certificazione unica. Spetta, dunque, al contribuente procedere con una verifica della correttezza degli importi portati a deduzione rispetto agli ammontari riportati nel modello 730.

Contributi della previdenza obbligatoria e deducibilità nella dichiarazione dei redditi

Se si tratta di contributi della previdenza obbligatoria, si procede con la sottrazione dal reddito complessivo dell’importo dei contributi previdenziali obbligatori oppure volontari, versati alle varie gestioni previdenziali. La sottrazione può essere fatta fino alla concorrenza del reddito totale e anche a favore dei familiari a carico.

Familiari a carico, qual è il limite del reddito per procedere con la deduzione dei contributi?

Peraltro, sono considerati a carico (e dunque si può procedere alla deduzione dei contributi previdenziali versati a loro favore) i familiari che abbiano:

  • un reddito che non eccede i 2.840,51 euro;
  • i figli entro l’età di 24 anni che non abbiano un reddito eccedente i 4 mila euro.

Come si procede con la deduzione nel modello 730 di dichiarazione dei redditi dei contributi obbligatori versati per i familiari a carico?

Per procedere con la deduzione dei contributi obbligatori versati a favore dei familiari a carico si deve far riferimento alla Sezione II del modello 730, nel quadro E e al rigo 21. Anche in questo caso, è necessario che i contributi, volontari od obbligatori, non siano stati già dedotti dal datore di lavoro. In tale situazione, la verifica deve essere fatta confrontando quanto riportato nel modello 730 con il punto 431 della Certificazione unica. La verifica, pertanto, deve mirare a confrontare gli importi relativi a questa tipologia di oneri e ai corrispondenti importi.

Contributi volontari versati alla gestione previdenziale: quali sono e come procedere con la deducibilità?

Accanto ai contributi obbligatori versati alla gestione previdenziale, si possono dedurre anche quelli volontari. Si tratta, in particolare, dei contributi versati in via facoltativa alla gestione alla quale si appartiene e in ottica di ricongiunzione di periodi contributivi. Ma si applicano le stesse regole anche per i versamenti occorrenti per il riscatto della laurea, sia ai fini delle future pensioni che per la buonuscita. E, inoltre, nel caso di contributi versati per scelta volontaria. Rientrano tra i versamenti facoltativi anche i contributi versati dal coniuge superstite e intestati al coniuge defunto. In questo caso, si provvede a proseguire nella contribuzione a favore di eredi che possano beneficiare di trattamenti di pensione.

Quali sono i contributi previdenziali che non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi?

Non possono essere dedotti dalla dichiarazione dei redditi i seguenti contributi previdenziali:

  • importi versati all’Inps per richiedere l’abolizione del divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensioni di anzianità (ad esempio, quota 100 o quota 102);
  • somme versate all’Inps per regolarizzare periodi contributivi pregressi;
  • importi versati all’Inps per le sanzioni e i relativi interessi moratori dovuti per aver violato il versamento dei contributi.

Come dedurre i contributi versati al fondo pensione nella dichiarazione dei redditi?

Analogamente ai contributi obbligatori e facoltativi ai fini previdenziali, dalla dichiarazione dei redditi si possono dedurre anche i contributi versati al fondo pensione in vista della previdenza complementare. Relativamente a questa tipologia di contributi, e a differenza dei contributi obbligatori e facoltativi, il contribuente può non compilare il quadro E del modello 730 nel caso in cui non abbia contribuzione da far valere ai fini della dichiarazione dei redditi. Questa situazione si può verificare nel caso in cui mancano ulteriori contributi o premi non dedotti inerenti la previdenza complementare. In questo caso, nella Certificazione unica, al punto 413, non è riportato alcun importo.

Previdenza complementare, qual è il limite di deduzione dei contributi?

Invece, nel caso in cui il contribuente abbia pagato dei contributi alla previdenza complementare senza l’intermediazione del sostituto di imposta, risulta necessario compilare i campi del modello 730 relativi al quadro E. Il limite della deducibilità dei contributi versati al fondo pensione è di 5.174,57 euro. Nel caso in cui i contributi sono versati al fondo pensione per il tramite del sostituto di imposta, i relativi importi si ritrovano nel quadro E al rigo E 27. Il confronto si può fare con gli importi inseriti nella Certificazione unica, ai punti 412 e 413. In questo caso, i due campi si popolano se è stato riportato il codice “1” al punto 411. Infine, nel caso in cui i contributi sono stati pagati al fondo pensione senza ricorrere al sostituto di imposta, è il contribuente stesso a dover indicare l’importo dei versamenti e la relativa deducibilità.

Pensioni, come uscire prima con cumulo e ricongiunzione dei contributi?

Come si può andare in pensione prima procedendo con il cumulo o la ricongiunzione dei contributi? Alcuni casi aiutano a valutare i due istituti previdenziali per arrivare alla scelta migliore. Ad esempio, un lavoratore che abbia superato di qualche anno i 60 anni e che abbia maturato contributi presso più gestioni (25 anni da lavoratore dipendente, contributi presso la gestione ex Enpals e anche qualche mese alla Gestione separata dell’Inps), può valutare di unire i versamenti per arrivare prima alla pensione.

Ricongiunzione dei contributi ai fini della pensione, di cosa si tratta?

Ai fini della pensione, con la ricongiunzione dei contributi versati presso differenti gestioni previdenziali si permette di:

  • accentrare i versamenti tutti in una delle gestioni presso la quale siano stati versati contributi;
  • ottenere la pensione dalla gestione previdenziale prescelta;
  • rateizzare e dedurre fiscalmente il costo dell’operazione che ammonta al 50% della differenza tra l’onere teorico di ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi.

Pensioni anticipate, come procedere con il cumulo gratuito dei contributi?

Con il cumulo dei contributi versati, disciplinato dalla legge di Bilancio 2017, il lavoratore può unire i versamenti effettuati nella vita lavorativa presso più gestioni previdenziali, sia private che pubbliche. Il cumulo dei contributi si può richiedere per ottenere i seguenti trattamenti previdenziali:

  • la pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • le pensioni di vecchiaia;
  • l’inabilità;
  • le pensione dei superstiti.

Pensioni, quale è più conveniente tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Quale scelta è più conveniente per i lavoratori prossimi alla pensione, il cumulo dei contributi o la ricongiunzione? In entrambi i casi, l’assegno delle pensioni saranno determinate dall’unione di almeno due gestioni previdenziali. In linea di massima, si può affermare che, pur non comportando degli oneri, il cumulo pensionistico produce minori vantaggi in termini di pensione rispetto alla ricongiunzione.

Come andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni unendo i contributi?

Nel caso del lavoratore sopra descritto, se il contribuente proviene dal sistema previdenziale misto (quindi con una parte dei contributi versati entro il 31 dicembre 1995) si può pensare di andare in pensione anticipata a 64 anni di età. Tale possibilità vige nel caso in cui il lavoratore abbia almeno un contributo versato entro il 1996. Facendo il computo nella gestione separata e riunendo le varie gestioni previdenziali, il lavoratore può andare in pensione a 64 anni:

  • se accetta il ricalcolo della pensione con il solo meccanismo previdenziale misto;
  • rispettando uno dei requisiti legati all’assegno di pensione. Ovvero, l’importo del futuro trattamento previdenziale deve essere pari ad almeno 2,8 volte quello della pensione sociale. Per il 2022, dunque, tale importo è fissato in 1.310,68 euro.

Pensione anticipata contributiva, chi può andare uscire prima?

In ogni modo, se il lavoratore ha iniziato a versare i contributi in data successiva al 31 dicembre 1995, la possibilità di andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni è sempre riconosciuta. Tuttavia, i contributi versati alla Gestione separata dell’Inps daranno diritto a una parte della pensione a decorrere dalla vecchiaia. Dunque, a decorrere dai 67 anni di età. Procedendo, invece, con il cumulo di tutte e tre le gestioni previdenziali presso le quali il lavoratore abbia versato i contributi, il richiedente potrebbe godere contemporaneamente di tutte e tre le quote di pensione.

Lavoratore con contributi in due gestioni previdenziali differenti: la possibilità di procedere con il cumulo o la ricongiunzione

Nel caso in cui un lavoratore, appartenente al sistema previdenziale misto, abbia contributi versati in due gestioni, si può pensare a quale convenga di più tra ricongiunzione e cumulo. Ad esempio, se un lavoratore ha iniziato a contribuire dal 1990 e per 20 anni ha versato contributi al fondo telefonici e successivamente come dipendente di un’impresa privata, le alternative sono due. La prima consisterebbe nel  trasferire i contributi presso una sola delle due gestioni (ricongiunzione). Con tale istituto, la scelta del lavoratore non andrebbe a incidere con l’uscita anticipata, ma direttamente sull’assegno di pensione. La scelta sarebbe valida anche per accedere a specifiche formule di pensione che non sono consentite con il cumulo dei contributi.

Pensioni anticipate con il cumulo gratuito dei contributi: possibilità anche per i liberi professionisti

Con il cumulo dei contributi, invece, il lavoratore può ricongiungere gratuitamente i versamenti effettuati presso più gestioni. Il contribuente raggiungerebbe la pensione sulla base delle quote di assegno spettanti da ciascuna delle gestioni previdenziali. Peraltro il cumulo gratuito dei contributi è previsto anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali. Nel caso in cui il professionista abbia contributi versati anche da lavoratore dipendente, si possono unire i periodi di lavoro e di versamenti non coincidenti per arrivare prima:

  • alla pensione di vecchiaia;
  • a quella anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41 anni e 10 mesi).

Uscita da lavoro per i liberi professionisti con il cumulo dei contributi

Peraltro, per i contributi versati alla Cassa previdenziale è necessario che il libero professionista presti attenzione ai requisiti richiesti dalla gestione previdenziale stessa. Ad esempio, per la pensione di vecchiaia degli ingegneri iscritti a Inarcassa, il requisito da maturare è pari a 34 anni e sei mesi di contributi. Si tratta di un requisito ben più gravoso rispetto a quello previsto dall’Inps che per la pensione di vecchiaia richiede venti anni di contributi versati.

La ricongiunzione può essere richiesta per i lavoratori autonomi iscritti alle Casse previdenziali?

I liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali non possono richiedere la ricongiunzione dei contributi. Pertanto, chi volesse arrivare alla pensione mediante ricongiunzione onerosa dei contributi versati alle Casse previdenziali e alla gestione dell’Inps come lavoratore alle dipendenze, può semplicemente attendere l’età della vecchiaia per ottenere un supplemento di pensione.

Pensioni, conviene di più la ricongiunzione o il cumulo dei contributi?

Ai fini della pensione, quale conviene di più, la ricongiunzione o il cumulo dei contributi? Per rispondere alla domanda è necessario sapere che la ricongiunzione può comportare delle spese, ma un maggiore vantaggio in termini di assegno di pensione. Il cumulo, invece, è sempre gratuito ma assicura minori vantaggi per la futura pensione. L’esigenza di procedere con la ricongiunzione dei contributi o con il cumulo può presentarsi al superamento dei 60 anni per valorizzare gli anni di contributi versati in rapporto alla propria carriera lavorativa. E, inoltre, si possono unire le contribuzioni versate in differenti gestioni previdenziali.

Ricongiunzione dei contributi, che cos’è e come incide sulle pensioni?

Con la ricongiunzione dei contributi ai fini delle pensioni si procede ad accentrare in una sola gestione pensionistica i contributi versati presso diverse previdenze. Esercitando questa opzione, i contributi maturati vengono trasferiti nel fondo che accentra tutte le previdenze. L’operazione consente, dunque, di presentare domanda di pensione al fondo accentratore. La legge numero 29 del 1979 prevede la possibilità di concentrare i contributi tra le varie gestioni Inps in 2 modalità.

Come può avvenire la ricongiunzione dei contributi?

La prima direzione del ricongiungimento dei contributi ai fini delle pensioni è quella prevista dall’articolo 1 della legge numero 29 del 1979. Ovvero, il trasferimento dei contributi versati può avvenire per accentrarli dai fondi di gestione sostitutiva e alternativa all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago) al fondo lavoratori del settore privato. Nei fondi alternativi rientrano, a titolo di esempio, anche i lavoratori ex Inpdap. La seconda modalità di trasferimento consente di spostare i contributi verso i fondi differenti dal fondo pensioni dei contribuenti del settore privato.

Ricongiunzione dei contributi, quanto costa?

Le due operazioni di ricongiunzione dei contributi hanno un costo. L’onere che il contribuente deve sostenere corrisponde al 50% della differenza tra l’onere teorico della ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi inerenti trasferiti nel fondo accentrante. Tale meccanismo è disciplinato dalla circolare dell’Inps numero 142 del 2010.

Deducibilità dei costi sostenuti per la ricongiunzione dei contributi: come avviene?

L’operazione, in ogni modo, può avere un quale vantaggio per l’aspetto della deducibilità dei costi sostenuti per il trasferimento dei contributi. La deducibilità degli oneri dal reddito è disciplinata dalla lettera e), del comma 1, dell’articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi. Si può procedere con la rateizzazione senza l’applicazione di interessi. Il numero delle rate è calcolato in tante mensilità quanto è il periodo di tempo della ricongiunzione. Pertanto, la ricongiunzione può essere richiesta anche quando il lavoratore è attivo sul lavoro.

Cumulo dei contributi ai fini delle pensioni, quando si può fare?

Il cumulo dei contributi era stato introdotto dalla legge numero 228 del 2012 e poi modificato integralmente dalla legge numero 232 del 2016 (legge di Bilancio 2017). La possibilità di procedere con il cumulo dei contributi è prevista per le seguenti tipologie di pensione:

  • pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • pensioni di vecchiaia;
  • inabilità;
  • pensione dei superstiti.

Il cumulo può essere esercitato per i contributi versati in tutte le gestioni previdenziali. Dunque, sia quelle private che quelle pubbliche e non vi è un prerequisito dei contributi stessi.

Cumulo dei contributi, si può utilizzare anche per le Casse previdenziali?

Il cumulo dei contributi può essere utilizzato anche per i versamenti effettuati presso le Casse professionali. In tal caso, il cumulo opera per i periodi lavorativi e contributi che non coincidono con altre gestioni previdenziali. L’obiettivo dello strumento è quello di permettere il raggiungimento dei requisiti richiesti per le pensioni anticipate, di vecchiaia, per la quota 102 (come previsto dalla legge di Bilancio 2022), per le pensioni ai superstiti e di inabilità. Devono essere, dunque, rispettati i requisiti fissati dalla legge Fornero (legge numero 214 del 2011) per le pensioni anticipate ordinarie e di vecchiaia. In merito alla pensione di inabilità, i requisiti sono fissati dalla legge numero 222 del 1984.

Quale differenza c’è tra ricongiungimento dei contributi e cumulo?

Rispetto a quanto abbiamo visto per il ricongiungimento dei contributi, con il cumulo non si ha il trasferimento dei contributi da una gestione previdenziale a un’altra. La pensione spettante viene calcolata per quote secondo i meccanismi previdenziali di ciascuna gestione previdenziale. La distinzione è stabilita dalla circolare dell’Inps numero 140 del 2017. Se un contribuente ha maturato anni di contributi entro il 31 dicembre 1995, l’assegno di pensione viene calcolato con il metodo retributivo ma secondo le regole fissate da ciascuna gestione previdenziale (ad esempio, Inps ed  ex Inpdap).

Pensione, quale conviene di più tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Il trattamento pensionistico, dunque, sarà il risultato delle pensioni calcolate dalle due gestioni previdenziali. Inoltre, pur essendo gratuito, il cumulo pensionistico comporta minori vantaggi rispetto alla ricongiunzione in termini di assegno pensionistico.

Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?

Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.

Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata

Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.

Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?

Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.

Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni  dall’inflazione

Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.

Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104

La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.

Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’

Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.

Pensioni, per Antonio Tajani ‘quota 104 è meglio di quota 41’

Quella di Antonio Tajani sarebbe una proposta di riforma delle pensioni che andrebbe ad assicurare l’uscita a chi ha parecchi anni di contributi e, probabilmente, accontenterebbe Bruxelles sui requisiti minimi dal momento che nei giorni scorsi è arrivata dall’Europa la bocciatura sia per la quota 102 che per la quota 100. Per il coordinatore di Forza Italia è occorrente “dare vita ad una nuova riforma che tuteli i contribuenti di oltre 60 anni di età, ma anche i giovani lavoratori”.

Riforma pensioni 2023, probabili tavoli delle trattative con i sindacati in autunno

La bocciatura di Bruxelles, peraltro, ha reso ancora più difficoltosa una riforma delle pensioni che riesca a mettere d’accordo partiti politici, sindacati, lavoratori e imprese. Dopo aver lavorato sui dossier ritenuti più urgenti e dettati dall’emergenza in Ucraina, Mario Draghi potrebbe sedersi al tavolo delle trattative per le nuove pensioni in autunno, quando la riforma dovrà trovare collocazione legislativa nella Manovra di Bilancio 2022.

Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché

Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:

  • dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
  • dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.

Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale

A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:

  • la situazione di disoccupazione;
  • lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
  • lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
  • l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.

Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?

Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:

  • quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
  • valori elevati per tutta la durata;
  • 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.

Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno

Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.