Forfettario, superbonus, detrazioni, patrimoniale, le critiche dell’Ocse

L’OCSE critica l’Italia, eliminare il regime forfettario, limitare l’uso del contante e ritornare al Superbonus, ridurre detrazioni e deduzioni fiscali questi i rilievi.

Deduzioni, detrazioni limiti all’uso del contante: la strada segnata dall’Ocse

Si sa, i conti pubblici italiani sono sempre sotto la lente di ingrandimento e questa volta a dire la sua è l’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

L’obiettivo per l’organizzazione è ridurre la pressione sui conti pubblici, in poche parole ridurre il debito pubblico italiano, problema ormai pluri-decennale. La strada per fare questo è segnata, la lotta all’evasione fiscale è il primo punto e tra i consigli vi è quello di limitare l’uso del contante e favorire i pagamenti digitali. Ricordiamo che con la manovra di bilancio del 2023 è stato eliminato il limite di 1000 euro all’uso del contante, innalzato a 5.000 euro.

L’altro consiglio è lavorare sulla base imponibile, in questo caso si propone di ridurre il ricorso a deduzioni e detrazioni fiscali che riducono la base imponibile e le imposte dovute e di superare i regimi fiscali speciali. Il riferimento è al regime forfettario che prevede una flat tax al 15% e in alcuni casi al 5%. Si ricorda che proprio con la legge di bilancio 2023 è stata estesa la platea di coloro che possono ricorrere a tale regime fiscale semplificato.

Il consiglio è “eliminare gradualmente le onerose agevolazioni fiscali prive di giustificazione economica o distributiva”

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La critica al regime forfettario è abbastanza pesante in quanto oltre a ridurre, secondo l’Ocse le entrate fiscali, va ad impattare sulla progressività del sistema, prevista dalla Costituzione.

Arriva la patrimoniale?

Arriva poi un altro consiglio, cioè spostare l’imposizione fiscale dal lavoro al patrimonio, o meglio alle successioni e ai beni immobili.

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L’ultima stoccata è sul Superbonus, il consiglio in questo caso è spostare le agevolazioni fiscali agli immobili meno efficienti dal unto di vista energetico. Il nuovo superbonus dovrebbe inoltre essere integrato con nuove misure, come finanziamenti agevolati.

Regime forfettario, addio semplificazioni. Cosa cambia dal 2024

Addio alle semplificazione per i contribuenti che hanno scelto il regime forfettario, a partire dal prossimo anno di imposta sarà necessario rilevare i costi di gestione. Ecco cosa cambia dal 2024.

Semplificazioni del regime forfettario

Il regime forfettario è caratterizzato dalla semplificazione degli obblighi tributari/fiscali. La semplificazione principale riguarda l’indicazione dei costi, infatti il reddito si calcola avendo come punto di riferimento l’ammontare di ricavi e compensi a cui si applica un coefficiente di redditività individuato per codici Ateco. Il coefficiente di redditività è stato calcolato avendo come riferimento la media dei costi sostenuti dalle imprese del settore.

Non applicandosi la deduzione dei costi con il metodo analitico, ma forfettario, chi è in regime semplificato forfettario fino ad ora non ha avuto obbligo di registrazione e di tenuta delle scritture contabili.

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Regime forfettario e concordato preventivo biennale, nuovi obblighi

Le nuove regole prendono il via dalle norme dettate per il concordato preventivo biennale, questo infatti prevede che Fisco e contribuente si accordino sulle tasse da pagare per due anni, prendendo come punto di riferimento le dichiarazioni presentate negli anni passati.

Il concordato preventivo biennale si articola in diverse fasi, la prima prevede che l’Amministrazione finanziaria metta a disposizione del contribuente una piattaforma attraverso la quale il contribuente deve fornire informazioni utili all’elaborazione di una proposta di tassazione da parte del Fisco. Molto probabilmente il questionario proposto è simile per imprese e professionisti in regime ordinario e forfetario e di conseguenza anche questi ultimi devono fornire informazioni inerenti i costi sostenuti. Ovviamente di queste spese deve esservi una traccia controllabile da parte dell’Agenzia.

Avendo presente queste basilari informazioni sul concordato preventivo biennale, emerge che con molta probabilità chi vuole aderire dovrà tenere traccia dei costi sostenuti.

Forfettario, si perdono gran parte delle semplificazioni fiscali

Questa non è l’unica semplificazione che si perde, infatti dal 1° gennaio 2024 ci sarà l’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica anche per i forfettari. A ciò si aggiunge che già è stato introdotto l’obbligo di compilazione del Quadro RS nella dichiarazione dei redditi 2023.

Infine, si ricorda che a partire dal mese di aprile 2024 (negli anni successivi, marzo) l’Amministrazione Finanziaria dovrà mettere a disposizione del contribuente la piattaforma per fornire i dati. I contribuenti dovranno quindi provvedere a inviarli e successivamente sarà formulata una proposta di concordato, ma se il contribuente non aderisce o decade, saranno effettuati controlli.

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Regime forfettario, i trucchi per non perdere le agevolazioni

Il regime forfettario piace molto a varie partite Iva, ma in base alle novità introdotte, ecco alcuni trucchetti per non perdere le agevolazioni previste.

Regime forfettario, le regole per il 2023

Il regime forfettario è un regime fiscale agevolato, destinato alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni. Possono accedere al regime i contribuenti che nell’anno precedente hanno:

  • conseguiti ricavi o percepito compensi non superiori a 85 mila anni. Si ricorda che prima della Legge di Bilancio 2023 l’importo massimo previsto era 65 mila euro;
  • sostenuto spese per un importo complessivo, non superiore a 20 mila euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati con apporto costitutivo da solo lavoro e quelle corrisposte per le prestazioni di lavoro rese dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Regime forfettario, la tassazione prevista

Il regime forfettario prevede l’attuazione di una tassazione agevolata del 15% oppure del 5% per le giovani partite Iva. In particolare si può usufruire del 5% per i primi cinque anni dell’attività individuale. Tuttavia sono state introdotte delle nuove regole. Infatti è stato introdotto un tetto di 100 mila euro quando viene superata l’uscita immediata già per l’anno in corso.

Per la determinazione della tassazione della partita Iva, si applica il criterio di cassa. Prevede che per stabilire se si è superato il limite previsto, occorre guardare i compensi incassati e non la data di emissione della fattura. Quindi il lavoratore può avere emesso fatture anticipate rispetto a quando sono incassate e quindi si ha avuto il guadagno che non deve superare 85 mila euro. Se si supera il limite si perdono i vantaggi del regime agevolato. Mentre per incassi che non superano tale soglia, si rimane nel regime forfettario anche nell’anno seguente, se rimangono validi tutti gli altri requisiti.

Invece, chi nel 2022 ricadeva nel regime ordinario, deve calcolare i ricavi tramite il cd. principio di competenza. Quest’ultimo prevede che si debbano analizzare le fatture, indipendentemente dal guadagno effettivo.

Un chiarimento sul funzionamento delle soglie

A questo punto è meglio fare un pò di chiarezza sulle soglie. Coloro che ricevono compensi fino a 85 mila euro possono usufruire del regime forfettario anche per il 2024. Mentre se i ricavi sono compresi tra 85 mila euro e 100 mila euro, non si potrà più rientrare nel regime a partire dall’anno prossimo. Infine coloro che hanno ricavi superiori a 100 mila euro escono immediatamente già dall’anno in corso. Quindi è sempre opportuno tenere sotto controllo l’ammontare dei ricavi conseguiti durante l’anno.

 

 

 

 

 

 

 

Regime forfettario al 5%, chiarimenti sulla partita iva inattiva

Il regime forfettario al 5% viene modificato dalla nuova legge di bilancio 2023, soprattutto in merito alla partita Iva inattiva, ma facciamo chiarezza.

Regime forfettario al 5%, alcuni dubbi dalla manovra

Il regime forfettario prevede una tassazione sul reddito pari al 15% come una normale flat tax. Mentre per i primi cinque anni di attività questa percentuale scende al 5%. In sede di nuova legge di bilancio 2023, sono state riviste le cause di esclusione dal regime forfettario. Ad esempio il superamento della soglia e ed passaggio in corso d’anno da soggetto “non Iva” a soggetto “Iva” non solo gli unici requisiti su cui occorrono dei chiarimenti. Si ricorda che la soglia massima per perdere il beneficio del regime forfettario è innalzata a 85 mila euro.

Per accedere al regime forfettario è necessario non avere svolto un’attività nei tre anni e nemmeno come prosecuzione di una già avviata. Ma cosa succede se si ha una partita Iva aperta ma inattiva? Si può aprire una nuova attività ed accedere lo stesso al regime forfettario con l’agevolazione per i primi cinque anni con un’imposta pari al 5%?

Regime forfettario al 5% cosa fare se la partita Iva è inattiva?

Una partita Iva inattiva è una partita Iva che non può essere utilizzata per svolgere l’attività economica, ma il suo titolare non ha formalmente chiuso l’attività e non ha comunicato all‘Agenzia delle Entrate la cessazione dell’attività. Pertanto se un soggetto ha aperto una partita Iva, poi ad esempio è stato assunto e ha dimenticato di chiudere la sua attività, può riaprire una nuova attività usufruendo del regime forfettario?

Non c’è una risposta univoca dell’Agenzia delle entrate, ma ragionando la risposta potrebbe essere affermativa. Ma come dice la stessa norma per la determinazione dei tre anni bisogna tener conto non del periodo d’imposta, ma della data a partire da cui si vuole accedere al regime forfettario. Inoltre la semplice apertura della partita iva, oggi inattiva, non è causa di esclusione dal regime forfettario agevolato per le Start Up. Quindi occorre valutare se l’attività ha funzionato davvero o meno e se la nuova azienda non deve essere una prosecuzione della vecchia.

Si può accedere annullando la causa ostativa

Il contribuente che si trova in questa situazione può accedere lo stesso al regime forfettario solo a condizione che provveda a rimuovere la causa ostativa entro la fine dell’anno. Inoltre, il Decreto Legge 193/2016 ha previsto la chiusura d’ufficio da parte dell’Agenzia delle Entrate di tutte le partite IVA considerate inattive. Pertanto non c’è motivo affinché il contribuente non possa godere delle agevolazioni previste dal regime forfettario al 5% utile per le start up.

Regime forfetario al 5%: è ancora possibile aderire? A chi si rivolge?

Il regime forfetario è un regime fiscale agevolato che prevede per i titolari di partita Iva con ricavi e compensi non superiori a 85.000 euro (soglia innalzata con la legge di bilancio 2023) la possibilità di scegliere tra il regime ordinario e il regime opzionale, scontando nel secondo caso una tassazione al 15%. Questa è la regola generale, ma è bene ricordare che per alcune categorie di soggetti vi è la possibilità di avere un’ulteriore agevolazione cioè il regime forfetario al 5%. Ecco di chi si tratta.

Regime forfetario al 5%: a chi si applica?

La normativa prevede che per i soggetti che aprono una nuova partita Iva vi è la possibilità per 5 anni di veder applicata una tassazione onnicomprensiva al 5%. Sebbene la legge di bilancio 2023 sia intervenuta sul regime forfetario, questa parte della disciplina non ha avuto interventi e di conseguenza è ancora vigente, anche se non se ne parla molto.

Leggi anche: Flat Tax incrementale 2023: un esempio pratico per l’applicazione

Affinché sia applicata la tassazione al 5% è necessario che si verifichino determinati requisiti e in particolare:

Il soggetto che apre la partita Iva nei tre anni precedenti non deve aver esercitato attività di impresa, artistica o professionale in forma singola o associata. In questo caso dal punto di vista temporale è necessario fare riferimento alla data a partire dalla quale si vuole accedere al nuovo regime e non semplicemente calcolando i tre periodi di imposta antecedenti, quindi eventuali altre attività devono essere cessate da almeno tre anni al momenti di iniziare la nuova attività.

Regime forfetario al 5%: non si applica in caso di prosecuzione di attività svolta come lavoratore dipendente

La start up non deve essere la prosecuzione di altro lavoro effettuato in qualità di lavoratore dipendente o autonomo, salva la possibilità di prosecuzione nel caso in cui la precedenza attività era esercitata come periodo di pratica obbligatoria per l’accesso alla professione. Per quanto riguarda la prosecuzione dell’attività, sottolinea l’Agenzia delle Entrate che viene considerata tale la mera prosecuzione di un’attività già svolta tenendo in considerazione non l’aspetto formale, ma l’aspetto sostanziale. Ciò si verifica ad esempio nel caso in cui siano utilizzati gli stessi strumenti o locali in cui veniva esercitata la precedente attività.

Se si prosegue l’attività svolta da un altro soggetto, è necessario che tale attività non abbia generato nell’anno antecedente ricavi o compensi per un ammontare superiore alla soglia prevista per l’applicazione del regime forfetario.

L’Agenzia delle Entrate ha inoltre precisato che non si esclude la possibilità di aderire al regime forfetario al 5% nel caso in cui il soggetto in precedenza abbia svolto la medesima attività con contratto di collaborazione o a tempo determinato che siano caratterizzati da marginalità economica.

Ricordiamo che il regime forfetario al 5% non consente la detrazione delle spese con metodo analitico, ma con metodo forfetario in base ai coefficienti di redditità.

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Regime Forfettario, si va avanti dopo il periodo di moratoria, le novità

Per il regime forfettario è appena finito il periodo di moratoria rispetto all’emissione delle fatture elettroniche, ecco le novità

Regime forfettario, cosa è cambiato da qualche giorno

A partire dal primo ottobre 2022 sono cambiate le regola per la fatturazione elettronica per coloro che operano nel regime forfettario. Si tratta del regime fiscale agevolato in quanto le aliquote non sono quelle dell’Irpef classico, ma si applica un’unica aliquota. Al 5% per i primi cinque anni di attività, al 15% per tutti gli altri casi. Diciamo che per i forfettari la flat tax è già una realtà.

Tuttavia nel regime forfettario ci sono anche dei limiti di fatturazione, previsti e che vanno rispettati, oltre al fatto che l’Iva non è scaricabile. Anche per i forfettari esiste l’obbligo della fattura elettronica. Infatti, i contribuenti dovranno emettere la fattura elettronica entro 12 giorni dall’operazione e non più entro il mese successivo. Sono previste anche sanzioni per i trasgressori di questa importante regola.

Regime forfettario, le sanzioni per i trasgressori

I termini stabiliti dall’Agenzia delle entrate sono obbligatori, entro 12 giorni. Tuttavia qualora la trasmissione della fattura elettronica al Sistema di Interscambio, avvenga oltre tali termini si applica una sanzione (dall’art. 6 del D. Lgs. 471/97). La sanzione è pari a un importo:

  • tra il 90% e l’80% dell’Iva relativa all’imponibile non correttamente documentato con un minimo di 500 euro;
  • da 250 a 2.000 euro se la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione;
  • tra il 5% e il 10% dei corrispettivi non documentati in caso di operazioni non imponibili, esenti, non soggette o soggetto a inversione contabile

Le riduzioni sulla sanzione minima

Inoltre l’articolo 13 del decreto legislativo numero 472/1997 prevede le seguenti riduzioni della sanzione minima a:

  • 1/9: entro 90 giorni dalla data di omissione o dell’errore;
  • 1/8: entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui è commessa la violazione;
  • 1/7: entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno successivo in cui è commessa la violazione;
  • 1/6: oltre il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno successivo in cui è commessa la violazione.

Quindi, la sanzione in caso di ritardata emissione della fattura elettronica emessa entro la liquidazione periodica Iva, è pari a 27,77 euro, in caso di regolarizzazione nei 90 giorni (1/9 di 250). Infine si ricorda che dal primo ottobre sono entrati in funzione anche le specifiche tecniche per la fatturazione B2B, B22c e B2G.

 

Flat tax: gli scenari possibili nel prossimo futuro. A chi gioverebbe?

In questi giorni sentiamo spesso parlare di flat tax, tassa piatta, fa parte dei programmi elettorali e dovrebbe essere al 15% o al 23%. Ma è fattibile? Sono molti gli economisti che ritengono che non si possa fare, mentre qualcuno dice che è necessario saper disegnare la flat tax, ma perché se ne parla tanto?

Cos’è la flat tax?

La flat tax è la tassa piatta, essa permette di evitare l’applicazione delle aliquote Irpef a scaglioni che salgono all’aumentare del reddito. Attualmente l’Irpef prevede anche una no tax area che aiuta i redditi più bassi.

La flat tax è già applicata a coloro che scelgono il regime forfettario, circa 2 milioni di partita Iva. Lo stesso però è applicabile fino ai 65.000 euro di ricavi e prevede la determinazione forfettaria della base imponibile attraverso l’applicazione dei coefficienti di redditività che variano in base al settore in cui si opera. Questo implica che i costi, voce negativa nella determinazione della base imponibile, non sono dedotti con il metodo analitico, ma attraverso una media fatta per il settore di appartenenza. Già questo può essere un primo deterrente.

Studi sulla flat tax

Siccome della flat tax si parla da molti anni, sono disponibili studi fatti già in passato sulla stessa. Da questi emerge che per una flat tax al 15% vi sarebbe una perdita per l’erario di 50 miliardi di euro. Nel caso in cui invece la flat tax fosse al 23%, sarebbe invece necessario recuperare circa 30 miliardi.

Il principio su cui si basa la proposta della flat tax è che se le aliquote sono ridotte le persone sono più propense a pagare le tasse e questo porterebbe quindi a una minore evasione fiscale. La prima cosa da sottolineare è che la flat tax andrebbe ad agire solo sulle imposte sui redditi e non su altre tipologie, l’evasione però deriva da diverse imposte tra cui gran parte dall’evasione Iva. L’evasione Irpef si aggira intorno a 37 miliardi di euro. Questo implica che con aliquota al 23% si dovrebbe sperare che all’improvviso tutti smettano di evadere per essere in pari. In caso contrario, sarà necessario aumentare altre imposte, oppure ridurre i servizi. Con l’aliquota al 15%, c’è una perdita rilevante di entrate.

A chi conviene la flat tax?

C’è un altro elemento da valutare: a chi conviene di più l’applicazione di una flat tax al 15% o al 23%? La risposta è semplice: di fatto conviene a chi ha redditi più alti che di conseguenza vede ridotta l’aliquota prima applicata e ha un deciso risparmio di imposta. Dai calcoli fatti in passato emerge addirittura che senza correttivi importanti ( che porterebbero comunque a un’ulteriore riduzione delle entrate per lo Stato), coloro che percepiscono redditi più bassi potrebbero pagare anche più imposte del passato e cioè con l’applicazione del criterio progressivo e non del criterio proporzionale (articolo 53 Costituzione).

I redditi più bassi potrebbero pagare più tasse

D’altronde il criterio progressivo, fortemente voluto dall’Assemblea Costituente, nasce proprio con l’obiettivo di aiutare le classi più deboli facendo pagare imposte più elevate alle classi più agiate e redistribuendo in servizi. UIL ha effettuato dei colcoli. Coloro che hanno un reddito di circa 10.990 euro l’anno dovrebbero pagare 1.819 euro in più l’anno, coloro che invece hanno un reddito di 17.640 euro pagherebbero in più 1.500 euro; con un reddito di 22.830 euro si pagherebbero in più 985 euro. Solo i redditi più alti risparmiano.

Da quanto emerge dalla prime indiscrezioni, per attuare un simile sistema potrebbe essere ritoccato il sistema delle deduzioni e detrazioni che ad oggi costituiscono un modo per scontare meno imposte. Ad esempio le detrazioni per le spese sanitarie, per l’acquisto di cane guida, per il trasporto pubblico, oppure per le spese di istruzione e tanto altro. Anche in questo caso a pagare di più questa flat tax sarebbero le classi meno agiate che non potrebbero più avvalersi neanche delle detrazioni su spese comunque importanti che chi invece risparmierà sull’imposta da pagare già può permettersi.

L’ostacolo della Costituzione

Inoltre si è visto che un’aliquota unica al 15% è praticamente improponibile, se non con un netto taglio di servizi, mentre l’aliquota al 23% potrebbe anche essere fattibile, ammesso che si riesca a recuperare tutta l’evasione, ma di fatto già oggi il primo scaglione Irpef è al 23%, quindi i redditi più bassi non avrebbero assolutamente alcun vantaggio, se non il rischio di avere meno deduzioni e detrazioni.

Deve infine essere aggiunto che il criterio della progressività su cui deve essere informato il nostro sistema fiscale è previsto nell’articolo 53 della Costituzione, è quindi necessaria una preliminare modifica della Costituzione con procedimento aggravato per poter passare alla flat tax. Oggi infatti l’unica imposta progressiva è l’Irpef e quindi applicando ad essa l’aliquota proporzionale il sistema fiscale andrebbe ad impattare con la Costituzione.

Quale regime fiscale per una partita IVA, dal forfettario all’ordinario

Quando in Italia un soggetto apre una partita IVA, dietro può esserci un libero professionista, un artigiano, un piccolo imprenditore o un lavoratore autonomo. Così come la partita IVA può essere associata anche ad una media impresa e ad una grande impresa.

In base alla caratteristica dell’attività imprenditoriale, ed anche in ragione delle sue dimensioni, in Italia a fronte dell’apertura della partita IVA scatta pure il regime fiscale applicabile. Al riguardo c’è da dire che attualmente una partita IVA è associabile a tre possibili regimi fiscali. Vediamo allora quali sono i regimi fiscali per una partita IVA, e pure quali sono anche le condizioni per rientrarci.

Ecco quali sono in Italia i 3 regimi fiscali per una partita IVA

Nel dettaglio, attualmente in Italia i tre regimi fiscali possibili, per i titolari di partita IVA, sono tre. Ovverosia il regime fiscale forfettario, il regime fiscale semplificato ed il regime fiscale ordinario. Con il regime fiscale forfettario che, di fatto, è attualmente in Italia l’unico regime agevolato che permette, nel rispetto dei requisiti di accesso previsti, il pagamento di una tassa piatta al 15% sul reddito imponibile.

Con un limite di ricavi annui al di sotto della soglia dei 400.000 euro, invece, è possibile accedere al regime fiscale semplificato che, tra l’altro, non prevede l’obbligo di redigere il bilancio aziendale. Il regime fiscale ordinario è invece quello naturale, nel senso che, per le partite IVA, è quello che impone il rispetto, per un’azienda, di tutti gli obblighi che sono previsti e imposti dal codice civile.

Da cosa dipende la scelta del regime fiscale per un’impresa

Per la scelta del regime fiscale, quindi, ci sono tanti fattori da valutare. Dal tipo di impresa al volume dei compensi e dei ricavi annui. Passando anche per i costi da sostenere. Per esempio, il regime forfettario è favorevole perché sui ricavi o sui compensi, fino alla soglia dei 65.000 euro annui, si paga una tassa piatta.

Pur tuttavia, questo regime potrebbe anche non essere conveniente nel caso in cui l’attività imprenditoriale preveda rilevanti costi detraibili e/o deducibili per i quali il regime forfettario prevede invece delle forti limitazioni. Inoltre, il regime fiscale forfettario, per rientrarci, fissa pure dei paletti anche quel che che riguarda il costo del lavoro.

Fattura elettronica per tutti, cosa cambia dal 1° luglio: la guida

Cosa cambia nel regime di fattura elettronica a partire dal 1° luglio 2022? In primo luogo l’estensione della fattura elettronica è a quasi tutti i soggetti economici che finora ne erano esonerati dall’utilizzo. Infatti, da luglio saranno obbligati all’adempimento attraverso il Sistema di interscambio (Sdi) dell’Agenzia delle entrate i soggetti passivi dell’Iva fino a questo momento esonerati. Ovvero le partite Iva a regime forfettario, quelle a regime di vantaggio e gli enti rientranti nella legge 398 del 1991. L’obbligo scatta a chi ha conseguito un volume di compensi o di ricavi nel 2021 eccedente ai 25 mila euro. Al di sotto di questa soglia, l’obbligo scatterà solo a partire dal 1° gennaio del 2024.

Fattura elettronica: le partite Iva che fuoriescano dal regime forfettario sono obbligate dal 1° gennaio 2023

Sarà, dunque, a decorrere dal 1° gennaio 2024 che l’obbligo di adottare la fattura elettronica scatterà nei confronti di proprio tutti, indipendentemente dal volume di ricavi o di compensi conseguiti nel 2022. A meno che non vengano a decadere i presupposti favorevoli all’esonero. Ad esempio, una partita Iva che fuoriesca dal regime forfettario e che adotti il regime ordinario è obbligata a utilizzare la fattura elettronica dal 1° gennaio 2023.

Chi è obbligato ad adottare la fattura elettronica da subito?

Pertanto, rientrano tra gli obbligati ad adottare la fattura elettronica dal prossimo 1° luglio i soggetti in regime di:

  • vantaggio, secondo l’articolo 227 del decreto legge numero 98 del 2011;
  • forfettari, secondo l’articolo 1 della legge numero 190 del 2014;
  • speciale come previsto dalla legge numero 398 del 1991. Si tratta delle associazioni senza fini di lucro, ad esempio. Per questi soggetti l’obbligo scatta purché nel periodo di imposta precedente abbiano conseguito dei proventi dall’attività commerciale per un tetto non eccedente i 65 mila euro.

A disciplinare l’obbligo di adozione della fattura elettronica è il comma 2, dell’articolo 18, del decreto legge numero 36 del 2022 (il cosiddetto decreto “Pnrr 2”). Il provvedimento modifica il comma 3, dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015.

Quali altri requisiti bisogna possedere per l’adozione della fattura elettronica?

Pertanto, sono obbligati a passare al regime di fattura elettronica tutti i soggetti:

  • passivi Iva;
  • con residenza in Italia o stabili in Italia;
  • per la cessione dei beni o per la prestazione di servizi effettuati riguardo a un soggetto anch’esso residente o stabile in Italia.

I soggetti del reparto sanitario e i produttori agricoli devono emettere fattura elettronica?

In merito ai soggetti appartenenti al comparto sanitario, al momento non vi è ancora l’obbligo di adozione della fattura elettronica. Al contrario, i produttori agricoli – sia nelle vesti di cessionari che di committenti – che si trovino in regime di esonero dagli adempimenti dell’Iva il decreto dell’Agenzia delle entrate datato 30 aprile 2018 estende la possibilità di utilizzare il Sistema di interscambio, accessibile dalla propria area riservato del portale on line dell’Agenzia stessa.

Da quando decorre l’obbligo di fattura elettronica?

L’obbligo dell’adozione della fattura elettronica decorre dal 1° luglio 2022 per le partite Iva e i soggetti finora esonerati che nel precedente anno abbiano conseguito un volume di compensi o di ricavi di almeno 25 mila euro. La decorrenza per tutti gli altri soggetti è dal 1° gennaio 2024. A prevederlo è il comma 3 dell’articolo 18 del decreto legge numero 36 del 2022 (“Pnrr 2”). Pertanto, ai fini dell’obbligo di fatturazione elettronica bisogna far riferimento ai compensi e ai ricavi realizzati durante l’anno di imposta 2021. Nel caso in cui l’attività non sia stata svolta durante tutto l’anno scorso (ad esempio, gli operatori che abbiano aperto partita Iva a metà 2021), l’ammontare dei ricavi deve essere ragguagliato all’intero anno.

Chi ha aperto la partita Iva forfettaria nel 2022, deve adottare la fattura elettronica?

Cosa avviene per gli operatori economici che hanno aperto la partita Iva a regime forfettario nell’anno 2022 ai fini dell’obbligo di fattura elettronica? In questo caso, si ritiene che risulti irrilevante l’ammontare dei compensi e dei ricavi conseguiti nel corso di quest’anno. Dunque, chi ha aperto la partita Iva durante il 2022, adottando il regime forfettario o gli altri regimi speciali, è tenuto all’obbligo di fattura elettronica solo a decorrere dal 1° gennaio 2024. Tale decorrenza permane se sussistono i presupposti per l’adozione dei regimi di vantaggio fiscale anche nell’anno 2023. Ovvero, quelli previsti dal comma 3, dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015 per l’esonero della fatturazione dei regimi speciali; e quelli del decreto 398 del 1991 per quanto riguarda i proventi delle attività commerciali svolte nel 2022 dagli enti (il tetto dei 65 mila euro).

Estensione della fattura elettronica dal 1° luglio 2022: cosa avviene nel primo periodo di applicazione?

Nel primo periodo di adozione a decorrere dal prossimo 1° luglio, la normativa non prevede l’applicazione nell’immediato delle sanzioni in caso di mancato utilizzo della fattura elettronica. Si tratta delle sanzioni previste dal comma 2, dell’articolo 6, del decreto legislativo numero 471 del 1997. Infatti, il comma 3, dell’articolo 18 del decreto legge numero 36 del 2022 prevede che per tutto il terzo trimestre del 2022 (luglio, agosto e settembre), le sanzioni non sono applicate nel caso in cui la fattura elettronica dovesse essere emessa entro il mese successivo rispetto a quello nel quale si sia effettuata l’operazione. Pertanto, nel terzo trimestre dell’anno, chi entra a far parte dei nuovi obbligati all’adozione della fattura elettronica, non riceverà la sanzione nel caso in cui emetta il documento entro il mese successivo, diversamente dai termini previsti dal decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972.

Adozione della fattura elettronica, cosa avviene per l’esterometro?

Infine, l’obbligo di fattura elettronica per i nuovi soggetti comporta anche l’obbligo di comunicare, in via telematica all’Agenzia delle entrate, le operazioni effettuate nei riguardi di soggetti residenti all’estero. La relativa normativa prevista dal comma 3 bis dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015, esclude le sole operazioni per le quali sia stata emessa la fattura elettronica. Oppure per la quale sia stata emessa la bolletta doganale. Pertanto, la comunicazione prevista dall’esterometro potrà essere effettuata, già a partire dal terzo trimestre del 2022, mediante l’espletamento della fattura elettronica. I tempi sono quelli indicati dalle lettere a) e b), del comma 3 bis, dell’articolo 1, del decreto legislativo 127 del 2015.

Partite Iva forfettarie, due anni di scivolo: che cos’è l’exit tax?

Due anni di scivolo per le partite Iva a regime forfettario che dovessero superare la soglia di ricavi e di compensi di 65 mila euro. Il disegno di legge delega fiscale riscrive, dunque, le regole del sistema di flat tax applicato alle partite Iva con imposta fissa del 15% (o del 5% per le partite Iva attive nei primi cinque anni). Il tetto dei 65 mila euro è attualmente invalicabile se si voglia mantenere il regime fiscale di vantaggio. Tuttavia, il provvedimento in arrivo dovrà contenere regole e limiti per evitare che i contribuenti possano adottare dei comportamenti ‘elusivi’.

Partite Iva a regime forfettario, che cos’è l’exit tax di due anni?

Nel testo della legge delega fiscale è prevista l’introduzione della “exit tax”. Si tratta di un percorso specifico per le partite Iva affinché possano non perdere i vantaggi fiscali legati al regime agevolato del forfettario. Si tratterebbe, dunque, di un paracadute di due anni collegato al ritorno al regime ordinario di partita Iva per i forfettari che dovessero superare il tetto dei 65 mila euro di ricavi e di compensi durante l’anno. Nei due anni di sforamento del tetto, i contribuenti applicherebbero un’aliquota Irpef di certo superiore a quella del 15%, purché il superamento avvenga entro determinati limiti. Nel dettaglio:

  • non è stata ancora determinata l’aliquota al di sopra del 15% da applicare;
  • il tetto di ricavi al di sopra dei 65 mila euro per beneficiare dei due anni di exit tax non è stato ancora stabilito.

Quali vantaggi dai due anni di scivolo per le partite Iva forfettarie che superano i 65 mila euro di ricavi e compensi annuali?

L’attuale disciplina stabilisce che le partite Iva a regime forfettario che superino il tetto dei 65 mila euro di ricavi e di compensi annuali debbano perdere completamente i vantaggi del regime fiscale di favore. La perdita si concretizza nell’anno susseguente a quello nel quale si sfori il tetto dei ricavi. Il vantaggio delineato dalla legge di delega fiscale è quello di permettere al contribuente di non uscire in automatico dal regime forfettario e di beneficiare dei due anni di scivolo. Questo meccanismo sarebbe a discrezione del contribuente stesso che potrebbe, in ogni modo, optare per il regime ordinario.

Regime di exit tax per le partite Iva forfettarie: come funzionerebbero i due anni di scivolo?

E, dunque, l’adozione del nuovo scivolo di due anni permetterebbe alle partite Iva che dovessero superare il tetto dei 65 mila euro di poter valutare se nel successivo anno le previsioni sono per una riduzione dei compensi e dei ricavi stessi. Tali da rientrare nella soglia dei 65 mila euro. Si prevede che anche nei due anni di exit tax, il regime fiscale non cambi le regole. Ovvero, le partite Iva forfettarie dovrebbero continuare a calcolare la base imponibile sulla base dei coefficienti di redditività evitando la detrazione dei costi legati all’attività.

Partite Iva, quale scegliere tra lo scivolo dei due anni e il regime ordinario?

Quando scegliere lo scivolo dei due anni e quando invece conviene passare al regime ordinario? Ai fini della scelta è necessario verificare che il margine di attività sia relativamente basso. Dal punto di vita dei costi, è dunque necessario che questi ultimi si prevedano più alti rispetto alle percentuali di redditività che sono alla base del meccanismo forfettario della partita Iva.

Scivolo della partita Iva forfettaria: nella delega indicazioni per evitare comportamenti elusivi

Infine, nella legge di delega fiscale si fa chiaramente riferimento a fare in modo che il nuovo scivolo delle partite Iva a regime forfettario non favorisca comportamenti fiscali che possano ritenersi elusivi. Tra le possibili soluzioni, vi è quella che prevede che il contribuente manifesti la volontà di porre fine al regime forfettario di exit tax. Tale volontà potrebbe essere manifestata sia nella fattura elettronica che nella dichiarazione dei redditi.