Conversione decreto Riaperture: proroga smart working e formazione a distanza

La legge 52 del 19 maggio 2022 conferma la conversione decreto Riaperture.  Molte le conferme tra cui la possibilità dei lavoratori agili di continuare a lavorare in smart working e la possibilità di erogare la formazione obbligatoria in modalità da remoto. Ecco nel dettaglio cosa succede nei prossimi mesi.

Conversione decreto Riaperture: confermata la formazione obbligatoria a distanza

La prima cosa da sottolineare è che a questo punto le norme hanno un’efficacia temporanea, infatti si va verso il definitivo superamento delle restrizioni anti-covid.

Sappiamo che i lavoratori in base alle mansioni e al settore in cui operano devono sottoporsi a corsi di formazione in materia di sicurezza e salute sul lavoro. La legge 52 del 2022 prevede che la formazione possa essere erogata anche a distanza, questo fino al 30 giugno 2022 data entro la quale la Conferenza Stato-Regioni dovrebbe adottare il relativo accordo sulle modalità di somministrazione della formazione.

Nell’accordo devono essere comprese norme:

  • su durata, contenuti minimi e modalità in cui deve essere somministrata la formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro;
  • modalità di controllo/verifica sui contenuti appresi durante il corso.

Deve essere sottolineato che fino al 30 giugno 2022 i corsi possono essere somministrati alternativamente da remoto o in presenza, ma caso in cui la formazione preveda addestramento e prove pratiche, deve essere svolto esclusivamente in presenza.

Proroga smart working

La legge 52 prevede anche la proroga dello smart working fino al 30 giugno 2022 per i lavoratori fragili. Si tratta di soggetti che hanno patologie gravi certificate. Per costoro il periodo di assenza viene ancora parificato al ricovero ospedaliero.

I datori di lavoro del settore privato in caso di assenza dei lavoratori fragili possono chiedere il rimborso forfettario dei contributi corrisposti per questo periodo.

Fino al 31 luglio viene prorogato invece lo smart working per i lavoratori che hanno figli di età inferiore ai 14 anni. Per poter accedere a questo beneficio è però necessario che nel nucleo non sia presente un genitore che non lavora o che riceve prestazioni reddituali legate alla cessazione di attività o sospensione della stessa.

Fino al 30 giugno 2022 le aziende che utilizzano lo smart working devono continuare ad utilizzare la procedura di comunicazione semplificata attraverso l’applicazione presente sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Non occorre quindi allegare alcun accordo con il lavoratore.

Conversione decreto Riaperture: proroga al 31 luglio della sorveglianza sanitaria obbligatoria

Le norme sulla sorveglianza sanitaria restano in vigore fino al 31 luglio 2022, si tratta dell’articolo 83 commi 1,2 e 3 del decreto legge 34 del 2022.

Questo stabilisce che il datore di lavoro i cui dipendenti siano ad elevato contatto con il pubblico debbano eseguire la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente a rischio. I datori di lavoro che non sono obbligati dalla normativa a nominare un medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria, possono comunque nominarne uno per il periodo emergenziale. In caso contrario possono chiedere lo svolgimento della sorveglianza sanitaria eccezionale in oggetto ai servizi territoriali dell’INAIL. In caso inidoneità alla mansione accertata non possono comunque sciogliere il rapporto di lavoro.

Smart working anche dopo lo stato di emergenza, ecco come funzionerà

Forse non c’è nessuna misura collegata strettamente all’emergenza Covid rispetto al lavoro agile o Smart working che dir si voglia. Il lavoro a distanza, quello da casa, è stata la soluzione che molte aziende hanno utilizzato, dove possibile, per contenere i problemi dei lockdown e delle chiusure dovute allo scatenarsi della pandemia.

Una tipologia di lavoro che noi in Italia non eravamo abituati ad usare, e che adesso dovremo imparare ad usare ancora di più. Infatti nonostante il 31 marzo scadrà, forse,  lo stato di emergenza per il Covid (resta aperto quello per il conflitto Russia-Ucraina), lo Smart working resterà ancora vivo e vegeto.

Cosa accade allo Smart working dal primo aprile 2022

A dire il vero non è che il lavoro agile è nato con la pandemia. L’emergenza sanitaria ha contribuito a renderlo di dominio pubblico, ma non lo ha certo inventato lei. Sono diventate più facili le procedure da usare per attivare lo Smart working. E le procedure semplificate sono le cose che resteranno attive anche alla fine delo stato di emergenza.

Dal primo aprile 2022 si torna allo Smart working con procedura individuale tra lavoratore e datore di lavoro. Tutto come previsto dalla legge n°81 del 2017. Ma una norma semplifica ciò che questa legge prevedeva.

Si tratta, come spiega il quotidiano “Il Sole 24 Ore”, di una semplificazione sulle modalità di comunicazione dello Smart working. In pratica, restano attive le norme utilizzate durante l’emergenza epidemiologica e non quelle da cui tutto parte, cioè la legge n°81 del 2017.

È tramite un emendamento al nuovo decreto Sostegni che il Ministero del lavoro, ha confermato la soluzione semplificata.

La procedura è snella e prevede che in capo al datore di lavoro ricade l’onere di provvedere a comunicare, sempre al Ministero del Lavoro ed in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di inizio e di fine delle prestazioni di lavoro agile.

Solo i nominativi quindi e non tutta la documentazione relativa alle modalità originarie previste dalla legge del 2017. Niente inoltro dei documenti relativi ad ogni singolo accordo individuale sottoscritto con ogni singolo lavoratore.

Ciò non vuol dire che gli accordi non servono e che la documentazione non sia necessaria. Infatti sempre dagli accordi si parte e i datori di lavoro sono tenuti lo stesso a conservare i documenti, per eventuali controlli.

Cosa cambia rispetto al 31 marzo dal giorno dopo

Lo Smart working che in genere deve passare da un accordo singolo con il lavoratore, resta identico come struttura. Si torna di fatto agli accordi come prima dello scoppio della pandemia. Accordi che durante l’emergenza e quindi fino al 31 marzo non erano necessari proprio per via del particolare momento storico. Dal primo aprile invece si torna in pieno a questo procedimento. Ma restano come in emergenza, le semplificazioni di comunicazione da parte dei datori di lavoro. Si passa da una decisione unilaterale (solo il datore di lavoro) ad una bilaterale (datore di lavoro e lavoratore). Ma nulla cambia  per la procedura che prevede la semplice comunicazione al Ministero del lavoro, comunicazione, questa si che resta unilaterale ed a carico del datore di lavoro.

Procedure fast sia per l’apertura del lavoro agile che per la chiusura, ovvero per il ritorno al lavoro in presenza. E resta anche la sanzione prevista per i datori di lavoro inadempienti. Chi non comunica i nominativi dei dipendenti da collocare in lavoro agile da casa, comprese le date di avvio dello Smart working e le date di chiusura, rischia una sanzione che va da 100 a 500 euro.

Adesso si attende il classico decreto attuativo del Ministero del lavoro

La conferma dovrà avvenire tramite decreto del Ministero. E dovrebbe essere una formalità dal momento che è statolo stesso Ministero a proporre l’emendamento che punta alla semplificazione delle procedure. Un emendamento che pare sia stato spinto con forza anche dai sindacati, che chiedevano appunto la semplificazione di tutto questo. I tempi tecnici sono ristretti. Il decreto Sostegni ter, che contiene l’emendamento di cui parliamo, sarà licenziato positivamente verso il 28 marzo. In tale data dovrebbe finire in Gazzetta Ufficiale per la sua definitiva entrata in vigore. Dopo si passerà al canonico decreto di attuazione che deve essere emanato sempre dal Ministero del lavoro come prassi vuole, nei 60 giorni successivi alla sua pubblicazione.

Solo dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dovrebbe essere messo in atto un modello unico da far utilizzare ai datori di lavoro tenuti ad espletare l’adempimento. Tempi ristretti quindi, ma da fonti vicine al dossier Smart working pare che non ci saranno particolari problematiche e ritardi.

Protocollo nazionale sul lavoro agile, che cosa prevede?

Il protocollo nazionale sul lavoro agile cerca di definire le regole che gestiscono lo smart working. Ecco cosa prevede il protocollo.

Protocollo nazionale sul lavoro agile, l’accordo tra le parti sociali

Il protocollo nazionale è un accordo tra il Ministero del Lavoro, le politiche sociali ed i sindacati dei lavoratori. Il lavoro agile o così detto smart working è cresciuto moltissimo durante questo ultimo periodo. Del resto la pandemia da Covid-19 ha permesso a molti lavorati di poter continuare la propria attività, anche senza recarsi in azienda. Una nuova realtà improvvisa e che lo Stato ha cercato di regolare nel più breve tempo possibile.

Tuttavia il protocollo è un primo documento che definisce le linee guida per la contrattazione collettiva nazionale, aziendale e territoriale. Tutto nel rispetto della disciplina di cui alla L. 22 maggio 2017, n.81 e degli accordi collettivi in essere, e affidando alla contrattazione collettiva quanto necessario all’attuazione nei diversi contesti produttivi. Dunque si tratta di linee guide che riguardano il settore privato, ma che sta trovando larga attuazione.

I punti cardini del Protocollo nazionale sul  lavoro agile

L’accordo prevede dei punti cardini che prevedono di regolare molti degli aspetti legati allo smart working. Così possiamo riassumere le parti essenziali:

  • adesione volontaria;
  • accordo individuale;
  • disconnessione;
  • luogo e strumenti di lavoro;
  • salute;
  • sicurezza;
  • infortuni e malattia;
  • formazione;
  • parità di trattamento e pari opportunità;
  • lavoratori fragili e disabili.

Si tratta di aspetti che devono essere analizzati e definiti prima tra le parti. Infatti il datore di lavoro e il lavoratore dipendente possono decidere molti degli aspetti del loro contratto. Ma vediamo in modo analitico questi aspetti.

L’adesione volontario e l’accordo individuale

L’adesione al lavoro agile avviene su base volontaria, cioè le parti scelgono di voler firmare un accordo tra di loro. Però è vero che se il lavoratore non vuole aderire a questo tipo di contratto, non si configurano gli estremi per il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo.

L’accordo individuale deve essere scritto tra le parti, ma deve contenere degli elementi precisi:

  • la durata, in termini di contratto a tempo determinato o indeterminato;
  • luoghi in cui si svolge la prestazione lavorativa, che in questo caso sono diversi dalla sede aziendale;
  • gli strumenti di lavoro;
  • l’alternanza dei periodi di lavoro all’interno e all’esterno dell’azienda;
  • tempi di riposo del lavoratore;
  • le forme pe l’esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e le condotte in merito alle sanzioni disciplinari nel rispetto degli accordi contrattuali generali;
  • le modalità di controllo della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, nel rispetto di quanto previsto sia dall’art. 4 della L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), sia dalla normativa in materia di protezione dei dati personali;
  • le modalità di esercizio dei diritti sindacali;
  • l’attività formativa necessaria per poter svolgere al meglio la proprio prestazione lavorativa.

Disconnessione, luogo e strumenti di lavoro

L’attività lavorativa si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro. Ma altro elemento importante è anche l’autonomia nello svolgimento della prestazione. Dunque la prestazione in smart working può essere articolata in fasce orarie, la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non lavora, e quelle in cui invece il lavoratore presta la sua attività. Tuttavia il lavoratore può richiedere permessi orari, come da accordi, ma non è previsto il lavoro straordinario.

In merito al luogo, il lavoratore è libro di indicare il posto in cui svolgere la propria prestazione in modalità agile. Salvo diversi accordi, il datore di lavoro di norma fornisce la strumentazione tecnologica e informativa necessaria allo svolgimento dell’attività lavorativa. Tuttavia, se le parti concordano l’utilizzo di strumenti tecnologici e informatici propri del lavoratore, provvedono a stabilire i criteri e i requisiti minimi di sicurezza e possono essere previste eventuali forme di indennizzo per le spese.

Salute, sicurezza, malattie, infortuni e formazione

Anche il lavoro agile deve essere svolto nel rispetto della salute e della sicurezza. La prestazione di lavoro deve essere eseguita in ambiti dignitosi, ai sensi della normativa vigente in tema di sicurezza e salute sul lavoro. Peraltro, il lavoratore agile ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; a tal fine, il datore di lavoro garantisce la copertura assicurativa INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche derivanti dall’uso dei videoterminali, nonché la tutela contro l’infortunio in itinere, secondo quanto previsto dalla legge.

In merito alla formazione è opportuno dire che esistono dei percorsi formativi finalizzati a migliorare le competenze di ogni singolo lavoratore. I corsi formativi possono coinvolgere tutti i lavoratori a tutti i livelli, quindi ad ogni gruppo di lavoro ed eventuali responsabili d’azienda.

Ultimi chiarimenti sul protocollo nazionale sul lavoro agile

Altro punto importante del protocollo nazionale sul lavoro agile è il trattamento, le pari opportunità, lavoratori fragili e disabili. Ciascun lavoratore ha diritto allo stesso trattamento economico e normativo, anche se si lavora in smart working. Soprattutto le parti sociali promuovono lo svolgimento del lavoro in modalità agile, garantendo le parità tra i generi.

Inoltre, le Parti sociali si impegnano a facilitare l’accesso al lavoro agile per i lavoratori in condizioni di fragilità e di disabilità, anche nella prospettiva di utilizzare tale modalità di lavoro come misura di accomodamento ragionevoleQuindi ciò che è importante è avere una normativa capace di regolare lo smart working, proprio perché è il modo di lavorare più in uso in questi ultimi anni. E lo Stato deve essere in grado di garantire anche questa tipologia di lavoro, come qualsiasi altro lavoratore del settore privato.

Smart working quest’anno, cosa c’è da aspettarsi per il 2022

Lo smart working sta sempre più diffondendosi nel nostro sistema lavoro italiano. Quali sono le nuove regole per il lavoro agile?

Smart working quest’anno, viene ancora scelto dalle aziende

Lo smart working è sempre una scelta più scelta da imprese e lavoratori in Italia. Ciò che ci si aspetta per quest’anno è avere una normativa univoca che possa regolare il lavoro agile per le imprese nel nostro paese. Se si considera che circa 7 milioni di lavoratori lo scorso anno hanno lavorato così, si può valutare l’importanza del cambiamento nel modo di lavorare.

Anche perché questo dato non tiene conto di tutti coloro che non possono lavorare in smart working perché obbligati ad andare in sede.  E’ il caso di coloro che lavorano in fabbrica, nella produzione diretta, in cui il lavoro è più legato alla manualità e a macchinari presenti solo nei locali aziendal. Discorso molto diverso per chi lavora d’ingegno o di tipo manageriale e decisionale, che può quindi lavorare da qualsiasi posto. A volte basta un pc connesso ad internet per poter eseguire facilmente i proprio compiti.

Il Protocollo Nazionale sul lavoro agile nel settore privato

Il cambiamento nel modo di lavorare ha trovato un primo approccio di regolamentazione nel Protocollo Nazionale sul lavoro agile nel settore privato. Un documento redatto dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Si tratta di un accordo con le Parti sociali. Hanno aderito Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Confsal, Cisal, Usb, Confindustria, Confapi, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Alleanza cooperative, Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Copagri, Abi, Ania, Confprofessioni, Confservizi, Federdistribuzione, Confimi e Confetra.

L’accordo si basa su alcuni punti chiave:

  • adesione volontaria e subordinata ad un accordo privato voluto dalle parti;
  • accordo individuale, tra datore di lavoro e lavoratore dipendente come definito dagli articoli 19 e 21 della L. n. 81/2017 e secondo quanto eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva;
  • disconnessione, proprio perché non vi è un orario univoco di lavoro;
  • luogo e strumenti di lavoro che possono anche non essere definiti;
  • sicurezza, malattia ed infortuni che devono essere rispettati come qualsiasi lavoratore;
  • formazione;
  • parità di trattamento, lavoratori fragile e disabili. 

Le regole per la pubblica amministrazione

Anche nella pubblica amministrazione,  nel 2021, ha cercato di definire e regolare il lavoro agile. Infatti il 9 dicembre 2021 ha emanato il decreto sulle “Linee guida sul Piano organizzativo del lavoro Agile e gli indicatori di performance”. Un documento che intende fornire delle direttive per l’applicazione dello smart working all’interno della pubblica amministrazione.

Tuttavia entro ogni 31 gennaio deve essere redatto al fine di accompagnare l’evoluzione di questo nuovo approccio al lavoro anche nel settore pubblico. Questo documento si basa:

  • sul livello di attuazione e di sviluppo del lavoro agile;
  • sulle modalità attuative del lavoro agile;
  • i soggetti, i processi e gli strumenti del lavoro agile;
  • ed il programma di sviluppo.

Dunque per il 2022 c’è da aspettarsi un anno di assestamento, per l’introduzione e la regolamentazione in via definitiva dello smart working sia nel settore privato che nella pubblica amministrazione.

 

 

 

 

Bonus lavoratori fragili 2022: a chi spetta e come ottenerlo

La legge di bilancio 2022 contiene molte novità e alcune conferme, tra queste vi è il Bonus lavoratori fragili 2022 che prevede un assegno una tantum di 1.000 euro per i lavoratori considerati “fragili”, cioè che potrebbero avere gravi conseguenze in caso di contagio con Covid 19.

Cos’è il Bonus lavoratori fragili 2022

La legge di bilancio 2022, legge 30 dicembre 2021 n. 234, prevede che i lavoratori che abbiano raggiunto il limite massimo di malattia indennizzabile e che si siano assentati dal lavoro per almeno un mese nel corso del 2021 possano richiedere questo importo. Il fondo stanziato per il Bonus lavoratori fragili 2022 è di 5 milioni di euro. Fin da ora è bene ricordare che il Bonus una tantum non concorre alla determinazione del reddito imponibile e non porta al riconoscimento di contribuzione figurativa.

Beneficiari del Bonus lavoratori fragili 2022

A stabilire la platea dei soggetti che possono accedere a questo particolare aiuto è il comma 969 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2022. Ormai siamo abituati ad avere leggi con un unico articolo e numerosi commi. Questo precisa che per poter presentare la domanda occorre essere:

  • lavoratori dipendenti del settore privato;
  • disabili gravi;
  • lavoratori in possesso di una certificazione medico legale attestante una condizione di rischio derivante dalla compromissione del sistema immunitario;
  • sottoposti a terapie oncologiche;
  • sottoposti a terapie salvavita;
  • essere stati nel 2021 destinatari del Bonus lavoratori fragili previsto dal Decreto Cura Italia (articolo 26 comma 2 decreto legge 18 del 2020, convertito in legge 27/2020;
  • essere stati assenti dal lavoro almeno per un mese nel 2021 per fatti connessi alla propria fragilità;
  • non avere più la possibilità di utilizzare permessi indennizzabili;
  • non poter prestare lavoro in modalità agile ( o smart working).

La scelta di questi soggetti non è casuale, infatti il Decreto Cura Italia che ha introdotto i requisiti per la prima volta ha inteso tutelare tutti quei lavoratori fragili ( con invalidità) che in caso di infezione da Coronavirus avrebbero potuto rischiare seriamente la vita e che allo stesso tempo per le mansioni svolte e la tipologia di azienda in cui lavorano non possono svolgere il lavoro attraverso lo smart working. Queste persone hanno dovuto infatti assentarsi dal lavoro usufruendo dell’indennità di malattia e di conseguenza meritano un riconoscimento ulteriore nel momento in cui non possono più usufruire di permessi indennizzabili.

Come richiedere il Bonus lavoratori fragili 2022

Sarà l’INPS a dover gestire ed erogare il Bonus lavoratori fragili 2022, attualmente ancora non abbiamo le linee guida per poter presentare la domanda e non si conoscono le tempistiche. Le uniche cose certe sono che la richiesta dovrà essere fatta attraverso il sito INPS, quindi accedendo con le proprie credenziali (SPID, CIE e CNS). Il soggetto richiedente dovrà autocertificare di trovarsi nelle condizioni delineate nel comma 969 già citato. Le domande saranno verificate e accettate in ordine di presentazione fino alla copertura del budget previsto, questo vuol dire che superato il budget non saranno più erogati Bonus lavoratori fragili 2022. Si prospetta quindi una sorta di click day. L’INPS sarà tenuta al monitoraggio delle risorse.

Restiamo in attesa dei vari decreti attuativi per ulteriori informazioni sulle tempistiche per richiedere il Bonus una tantum.

Lo smart working attrae i professionisti: 1 su 4 continua dopo la pandemia

Lo smart working è stato un regime ordinario in tempo di pandemia, ma ora che molti sono ritornati in ufficio c’è chi borbotta e vorrebbe proseguire l’esperienza del lavoro da casa e a manifestare interesse sono anche i professionisti e i dipendenti di piccoli studi professionali.

Lo smart working tra pubblico e privato

La necessità di ridurre il contagio, evitare assembramenti e restare “isolati” ha portato nel 2020 a una massiccia adozione dello smart working. Pian piano le cose sono poi tornate alla normalità e mentre il ministro Brunetta ritiene che non sia necessario ora continuare a far lavorare i dipendenti pubblici da casa, sebbene ormai molte funzioni siano state digitalizzate e ad esempio i cittadini possono scaricare gratuitamente molti certificati prima richiesti agli uffici pubblici, nel settore privato le cose vanno un po’ diversamente, infatti dopo aver sperimentato lo smart working, sono in molti a voler proseguire questa esperienza. Almeno uno studio professionale su 4 pensa di continuare a lavorare in smart working anche dopo la pandemia.

Lo smart working attrae i professionisti

Confprofessioni (organizzazione che rappresenta i liberi professionisti) ha pensato di intervistare i professionisti per capire come valutano l’esperienza con lo smart working. L’indagine ha coinvolto i professionisti, ma anche i dipendenti degli studi professionali. Il 40% dei professionisti intervistati ha dichiarato di voler proseguire questa esperienza, la percentuale sale al 50% se si considerano solo gli avvocati. Nell’82% dei casi gli intervistati hanno dichiarato di aver dovuto utilizzare per lo smart working soprattutto strumenti di loro proprietà, quindi il datore di lavoro non ha fornito computer o altri dispositivi per poter lavorare da casa o connessioni. In realtà questa soluzione può essere molto pericolosa e cioè espone maggiormente ad attacchi cibernetici in quanto gli stessi dispositivi sono utilizzati sia per lavoro sia per motivi personali e quindi i software aziendali e le piattaforme di lavoro diventano più vulnerabili.

Per saperne di più sulle strategie per aumentare la sicurezza, leggi l’articolo: Cyber Security: l’importanza per le aziende e i professionisti del settore

Tra i professionisti solo 1 su 4 è riuscito ad ottenere aiuti economici da parte dello Stato per poter organizzare il lavoro da casa. Nonostante questo, l’esperienza ottiene un giudizio positivo.

A mettere in atto lo smartworking sono stati il 58% degli studi professionali, di questi 1 su 3 ha preferito sperimentarlo solo durante il periodo emergenziale, mentre 1 su 4 dichiara di continuare su questa strada e pensa di introdurlo in maniera strutturale come modalità di lavoro.

Cosa pensano dello smart working i dipendenti degli studi professionali?

Naturalmente le opinioni non sono tutte positive, molti hanno apprezzato la possibilità di poter lavorare da casa e la maggiore facilità di conciliare i tempi di lavoro e di famiglia, anche considerando che i ragazzi sono stati in DaD e quindi vi era l’esigenza di “monitorare” i piccoli di casa. Per i dipendenti e per i professionisti un altro elemento da salvare è la riduzione dei tempi dedicati agli spostamenti, cioè il tempo dedicato al tragitto casa-ufficio che in molti casi doveva essere fatto anche 4 volte al giorno. A questo si aggiunge la possibilità di avere orari più flessibili.

Un dato particolare è dato dal fatto che il 43,5% dei dipendenti degli studi professionali apprezza la maggiore responsabilizzazione derivata dal non dover lavorare tutti i giorni a stretto contatto e sotto il controllo del datore di lavoro. Non mancano però criticità, alcuni hanno lamentato il senso di isolamento che si vive lavorando da casa, lamentato da circa 2 dipendenti su 3, mentre la metà dei professionisti ha notato un calo di produttività.

La pandemia falcidia gli studi professionali

Purtroppo dalla relazione di Conprofessionisti emerge anche che durante la pandemia sono stati persi 38.000 studi di professionisti, con una perdita di lavoratori di circa 194.000 unità, un aumento delle chiusure del 2,7% rispetto al 2019. Anche se può sembrare strano, la percentuale più alta di chiusure si è registrata al Nord.

Smart working: il controllo del datore di lavoro è lecito?

In epoca di smart working sempre più frequente, per motivi pandemici, andiamo a scoprire alcune perplessità in merito a questa modalità di lavoro. La questione che andremo ad esaminare nello specifico è se il datore di lavoro può controllare in maniera lecita il proprio dipendente in smart working. Scopriamolo assieme nei seguenti paragrafi.

Smart working: il controllo del datore di lavoro

Anche quando lavoriamo da casa, la reperibilità del dipendente deve essere sempre attiva nelle ore di lavoro previsto, ma il modo in cui si possono gestire il tempo, le pause, ed anche le distrazioni domestiche quando si è a casa, non è lo stesso di quello in ufficio.

Cosa può o non può essere lecito, dunque per il datore di lavoro nel controllare il proprio dipendente?

Partendo un po’ da “lontano”, nel 2015, va detto che è stato modificato lo Statuto dei lavoratori nella parte in cui prevedeva l’utilizzo di strumenti per il controllo a distanza dell’attività dei dipendenti. Prima di tale data, l’uso di apparecchiature per questo scopo era vietato, tranne nei casi richiesti «da esigenze organizzative o per la sicurezza sul lavoro». Ad ogni caso, anche per questo fine era necessario un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.

Dopo quella data, è stato eliminato l’obbligo di accordo. Resta però vietato l’uso del controllo intenzionato sul lavoratore.

In parole povere, possiamo dire che ancora oggi, i sistemi di videosorveglianza a distanza devono avere soltanto lo scopo di controllo per esigenze organizzative e produttive, ovvero per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.

A cosa serve per il datore di lavoro che viene visionato o registrato da quelle telecamere? Il materiale può essere utilizzato a ogni scopo legato al rapporto, anche a fini disciplinari. Ma i lavoratori devono essere previamente informati delle modalità d’uso degli impianti di videosorveglianza e dell’effettuazione dei controlli.

Come va fatto il controllo in smart working?

Dunque, ciò che è stato detto sopra vale, specialmente, per chi lavora in azienda. Coloro che invece svolgono la propria attività in smart working da casa propria, da un hub messo a disposizione dall’azienda o dalla seconda casa sul mare, può essere controllato a distanza? E, eventualmente, come?

Stando alla Cassazione, è legittimo controllare la posta elettronica aziendale di un lavoratore solo se costui ha inviato dei messaggi impropri attraverso questo mezzo al rappresentante legale dell’azienda. Basti pensare a chi si mette ad insultare i superiori via e-mail o a chi contesta in modo volgare certe decisioni organizzative.

Allo stesso modo in cui è legittimo accedere al computer aziendale per verificare se il dipendente lo stia realmente utilizzando per lavorare oppure sta usando il pc per giocare al solitario o per navigare sui social senza alcuna attinenza alla sua attività lavorativa ed al lavoro che appunto dovrebbe svolgere.

Ad ogni modo, va precisato che in ogni caso, il dipendente dovrà essere informato delle modalità dei controlli a distanza previsti dall’azienda. Se ciò non accade, quindi in caso contrario, il datore di lavoro può essere accusato di violazione della privacy.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario da sapere in merito alla possibilità di controllo in smart working da parte del datore di lavoro, sul proprio dipendente. Indicazioni da tenere ben presenti, in un periodo come quello che stiamo attraversando.

Nuovi lavori: come diventare moderatore o operatore di chat

La disoccupazione è sicuramente un male molto diffuso in Italia, ma per chi ha una certa flessibilità e si adatta a nuovi lavori, ci possono essere delle occasioni davvero interessanti, tra queste vi è il moderatore/operatore di chat: un lavoro per il quale è possibile anche lavorare da casa, o meglio in smartworking, con tutti i vantaggi che questo comporta.

Chi è il moderatore/operatore di chat

Tutti abbiamo notato che in rete sono spesso presenti delle chat che assumono toni decisamente poco pacati, si tratta di chat di gruppo, ma anche conversazioni scambiate sui social network, ad esempio nelle pagine pubbliche di politici, personaggi dello spettacolo, persone abbastanza in vista, ma anche pagine di grandi aziende impegnate in diversi settori. Spesso le conversazioni arrivano a sfiorare il reato, per evitare questo molte aziende e molti personaggi noti, ma anche siti internet e giornali vari, assumono dei moderatori di chat. Il ruolo essenziale dei moderatori di chat, o semplicemente Mod, è quello di tenere la discussione in un perimetro di civiltà.

Una figura affine è quella dell’operatore di chat che ha caratteristiche professionali simili anche se il suo ruolo è diverso e per alcuni aspetti più semplice. Si occupa di fornire assistenza online, ad esempio rispondere ai clienti che chiedono informazioni sui prodotti dell’azienda. Hai presente la chat che si apre al lato di alcuni siti in cui ti viene chiesto se hai bisogno di aiuto? Dietro c’è un operatore di chat che si occupa delle pubbliche relazioni dell’azienda. Naturalmente per poter svolgere questo lavoro è necessario conoscere bene i servizi e i prodotti offerti dal’azienda.

Cosa è necessario moderare?

I siti e le chat si dividono  in due categorie, cioè le chat in cui i commenti vengono pubblicati solo dopo il vaglio del revisore (il ruolo del Moderatore in questo caso è più semplice), quindi con un filtro preventivo, e quelle in cui il controllo è solo successivo, in questo caso avere molta calma e sangue freddo è davvero essenziale.

In linea di massima è necessario fare in modo che i toni della conversazione online restino moderati e che quindi non ci siano profili di reato, tra cui diffamazione, violenze, minacce, messaggi blasfemi, commenti razzisti. Ogni azienda però determina un proprio codice e il moderatore di chat deve studiare bene tale regolamento in modo da eliminare ciò che l’azienda o il personaggio, che funge comune da datore di lavoro e quindi in seguito sarà individuato come “azienda” ritiene non debba essere presente.

Naturalmente un unico soggetto non può essere presente h24 a moderare conversazioni in cui non c’è un filtro preventivo, questo vuol dire che il lavoro si organizza su turni, molto dipende anche dalla disponibilità economica dell’azienda e nelle ore di disponibilità è necessario essere presenti, vigili, concentrati e pronti ad affrontare ogni sfida.

Il ruolo del moderatore per un’azienda è essenziale perché questo ha il compito di proteggere la nomea dell’azienda, del marchio eliminando tutto ciò che può danneggiarla. Proprio per questo non bisogna sottovalutare l’importanza del proprio lavoro.

Percorso di studi per diventare moderatore di chat o operatore di chat

Non c’è un corso di studi per diventare moderatore, questo anche perché in Italia si è piuttosto restii ad accogliere le novità, molti non conoscono neanche tale posizione, inoltre spesso le aziende tendono ad affidare questo ruolo al Social Media Manager, sebbene non si tratti di una scelta tecnicamente valida in quanto le due figure professionali sono diverse.

Per svolgere il ruolo di moderatore è necessario avere una buona conoscenza degli strumenti informatici, naturalmente si deve avere la capacità di usare un computer visto che si lavorerà con questo strumento. E’ essenziale una buona conoscenza della lingua italiana e delle tecniche di comunicazione online, insomma un moderatore che inciampa nell’italiano non è il massimo per un’azienda.

Il moderatore non si vede, il pubblico percepisce solo l’azienda quindi se un moderatore di chat svolge male il suo lavoro, non scrive in un italiano corretto e di facile comprensione ad un pubblico ampio ed eterogeneo, tali errori saranno imputati direttamente all’azienda.

Inserirsi in questo mondo non è semplice, ma sul web si trovano molti annunci, è bene porre attenzione perché in alcuni casi l’annuncio parla di moderatore di chat e nella pratica si richiede di intrattenere “conversazioni tra adulti” che per alcuni sono anche piacevoli, oltre che remunerative, ma è bene sempre essere consapevoli fin dall’inizio. Difficilmente vengono forniti locali, si lavora da casa o da qualunque altro luogo si desideri in piena autonomia. Naturalmente per poter lavorare da casa occorre avere un computer personale e una buona connessione internet.

Quanto guadagna un moderatore/operatore di chat?

La retribuzione varia, questa figura professionale infatti non è tutelata in modo omogeneo, cioè non c’è un contratto collettivo nazionale di riferimento quindi è un po’ una jungla, ma variano da 500 euro circa mensili a 1000 euro per impegni orari che possono essere più o meno ampi. La retribuzione oraria oscilla comunque intorno ai 5 euro, non è molto ma può essere un modo per iniziare una professione e poi magari migliorare nel tempo la propria condizione lavorativa.

Per l’operatore di chat spesso la retribuzione non è oraria, ma in base al numero di risposte che fornisce ai clienti (potenziali o reali), in questo caso la retribuzione oscilla tra i 9 cents e i 14 a messaggio, ma se il volume di visite del sito è elevato è comunque possibile avere molti contatti e quindi dei guadagni interessanti.

Come viene configurato il contratto?

Ci sono diverse possibilità, ma spesso le aziende cercano freelance, questa scelta offre l’opportunità di lavorare con più aziende e quindi di gestire i propri guadagni. Raramente le aziende decidono di assumere con contratto di lavoro subordinato un moderatore/operatore di chat, questa scelta è spesso preferita dalle grandi aziende che hanno bisogno di avere un costante servizio di assistenza di qualità per la gestione dei rapporti con la clientela.

Pensi di avere le caratteristiche giuste per diventare un moderatore/operatore di chat? Il consiglio è di cercare in rete degli annunci, si trovano facilmente, candidarti e sperare che qualcuno ti selezioni.

Smart working nel 2022, le interpretazioni dopo la pandemia

Smart working nel 2022 sarà mantenuto? E’ una modalità di lavoro che ha preso piede a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia da Covid-19.

Smart working nel 2022, le proposte tra imprese e sindacati

Smart working nel 2022 è stato per tanto tempo ignorato dalle imprese. Ma le cose sono molto cambiate durante la pandemia da Covid-19. Le restrizioni imposte hanno fatto si che molti lavoratori spostassero la propria sede di lavoro dall’azienda alla propria abitazione.

Tuttavia a breve dovrebbe essere pronto un Protocollo condiviso tra aziende, sindacati e governo su quelle che saranno le sorti di questo nuovo modo di prestare la propria opera. Tra i temi caldi della discussione oltre alla tutela della privacy, si è discusso di come affrontare il tema dello smart working proprio adesso che le aziende hanno riaperto le porte, per i lavoratori muniti di green pass.

Perché l’importanza di un protocollo d’intesa

In base all’ultimo Decreto Riaperture, il 31 dicembre 2021 sarà la data di scadenza dello smart working semplificato. Ci si chiede cosa accadrà dopo? E da questo nasce l’esigenza di gestire al meglio questa tipologia di lavoro che ha permesso di mandare avanti il paese mentre tutto era in lock down.

Dal primo gennaio 2022 i datori di lavoro privati non potranno più utilizzare i lavoratori in Smart working nel 2022. Pertanto il primo accordo tra gli esponenti sindacali e del governo deve mettere a fuoco tantissimi aspetti. Tra questi ad esempio le nuove regole che permetteranno di gestire l’orario di lavoro. Ma non solo vanno da chiarire anche la posizione retributiva, il diritto alla disconnessione, la sicurezza dei dati, la protezione del lavoratore stesso.

Smart working nel 2022, al via la contrattazione

Il protocollo è la scelta ottimale per siglare un accordo che permetta di avere una legge che regolarizzi lo smart working dal 2022 in poi. “Il Protocollo dovrà valorizzare il ruolo della contrattazione collettiva nell’indicazione di ambiti, perimetri e materie per la definizione degli accordi individuali”- dichiara Tania Scacchetti, la segretaria confederale della CGIL.

Mentre la segretaria Generale della UIL Tiziana Bocchi dichiara che:”il futuro del lavoro agile è nella Contrattazione Collettiva”. Pertanto siamo tutti d’accordo sull’importanza di questo strumento per garantire un corretto funzionamento dello smart wrking, ma nel rispetto del lavoratore e delle aziende che hanno la possibilità di applicarlo.

 

Smart working? Molte aziende ancora lo ignorano

La flessibilità sul lavoro è stata passata al setaccio da parte dell’Osservatorio Smart Working della School of management del Politecnico di Milano e ciò che è emerso è che, se da una parte il numero degli smart workers è cresciuto di 60 punti percentuali rispetto al 2013, dall’altra sono ancora tante le imprese che non dimostrano di essere interessate e, addirittura, neanche sanno di cosa si tratti.

Ad oggi, ad esempio, ci sono 305 mila lavoratori che possono decidere liberamente luogo e tempi di lavoro, e rappresentano in tutto l’8% del Paese.

Più attente a questo fenomeno sono le grandi imprese, presso le quali lo smart working è arrivato al 36%, contro il 30% dello scorso anno e, tra quelle che finora non l’hanno ancora sperimentato, una su due starebbe per farlo.
Ma buoni risultati si vedono anche nelle imprese di dimensioni più piccole: nel 22% dei casi le pmi hanno avviato progetti informale e nel 7% si parla invece di progetti ben strutturati.
Anche se il 7% delle piccole e medie imprese non conoscono il significato di smart working, e il 40% non è interessato ad applicarlo ai propri dipendenti. Occorre ricordare, in questo caso, che spesso le pmi operano in settori in cui è difficile, se non impossibile, applicare flessibilità lavorativa.

L’esempio potrebbero darlo anche le aziende pubbliche, che sono decisamente indietro rispetto a quelle private: solo il 5% delle amministrazioni pubbliche italiane ha avviato progetti legati allo smartworking, mentre ben il 32% ammette di non essere minimamente interessato.

Vera MORETTI