Come aprire un conto corrente postale

Cosa fare per poter aprire un conto corrente postale? Ecco i semplici passi, spiegati in modo essenziale, per vedere come aprire un conto corrente postale. Scopriamolo assieme di seguito.

Conto corrente postale, cosa è

Come aprire un conto corrente postale? Tantissimi si pongono questa domanda.

Ma, innanzitutto, cosa si intende quando si parla di conto corrente postale?

La risposta a tale quesito è molto semplice. Il conto corrente postale è un prodotto, in un certo senso innovativo, offerto da Poste Italiane che si pone in netta concorrenza con il noto conto corrente bancario.
Il conto corrente delle Poste si chiama BancoPosta e sembrerebbe essere il conto corrente più diffuso nel nostro paese.

Dunque, per aprire il conto BancoPosta si dovranno seguire dei semplici passaggi, naturalmente in primo luogo recarsi presso un qualsiasi ufficio postale. Si dovrà necessariamente portare con sé il proprio documento di riconoscimento ed il proprio codice fiscale.

Il conto BancoPosta si compone di differenti opzioni, ovvero quella start, medium e start giovani e lo si potrà aprire anche mediante l’app BancoPosta che si può scaricare in modo semplice e gratuito. Andiamo, di seguito a vedere ulteriori informazioni ed opzioni da conoscere in merito alla apertura di un conto corrente postale.

Conto corrente postale, cos’altro c’è da sapere

Stando a quanto detto poco sopra, offriamo un riepilogo approfondito della questione su come aprire un conto corrente postale.

Dunque, come detto, per poter aprire un conto BancoPosta ci si dovrà recare presso un ufficio postale muniti di carta di identità e di codice fiscale.

Per ottenere e sottoscrivere una tra le opzioni start, medium e giovani si potrà usare anche l’applicazione BancoPosta. La prima opzione sarà disponibile per chi ha meno di 30 anni, potrà essere intestato ad una sola persona e ha un costo di 2 euro che si possono azzerare del tutto. Questo perché si ridurrà di 1 euro con accredito stipendio e sempre di 1 euro se si avrà una carta Postepay Evolution.

Quanto al costo del canone, per l’opzione Start sarà invece di 6 euro ma si potrà ridurre fino a 3 euro al mese. Esattamente di 1 euro se si accrediterà stipendio/pensione sul conto e di 2 euro se si manterrà giacenza media uguale o superiore a tremila euro.

Per quanto riguarda, invece l’opzione Medium il costo del canone sarà di 7 euro che si potranno ridurre fino a 3 euro seguendo gli stessi passaggi di quello Start. Troviamo in ultimo il conto Plus il cui costo sarà di 9 euro al mese. Anche nel caso in questione si potrà ottenere una riduzione di 3 euro totali se si accrediterà stipendio o pensione (di 1 euro) e se si terrà giacenza media mensile uguale o superiore a 3000 euro (di 2 euro).

Conto base di Poste italiane, come aprirlo

In ultimo, ma non ultimo, andiamo in breve a vedere come aprire un conto base di poste italiane.

Vediamo come rispondere al quesito come aprire un conto corrente postale base?

Dunque, innanzitutto recandosi presso un ufficio postale. L’opzione standard per aprire il conto avrà un canone annuo di 30 euro, mentre quello per i pensionati avrà un costo pari a zero euro. Quindi, se siete pensionati avrete un conto base a titolo gratuito.

Nella versione standard, invece il canone è gratuito anche per chi ha un Isee inferiore a 11.600 euro ed inoltre non verrà applicata l’imposta di bollo. Il conto di base per pensionati, invece, sarà gratuito solo per chi avrà un importo lordo annuo di 18 mila euro.

Questo, dunque è quanto di più necessario ed utile da sapere se volete aprire un conto corrente postale in poche semplici mosse.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti Pnrr, prorogata la domanda al 31 maggio

È stato prorogato il termine per la presentazione delle domande dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). La nuova scadenza delle istanze di finanziamento è fisata al 31 maggio 2022. In particolare, risultano ancora ampiamente disponibili le risorse destinate ai nuovi strumenti del Fondo 394 per le tre tipologie di aiuti alle piccole e medie imprese (Pmi).

Contributi a fondo perduto e finanziamenti per le piccole e medie imprese: per cosa si possono richiedere?

Nell’ambito della concessione di contributi a fondo perduto e finanziamenti del Pnrr, sono previste tre tipologie di strumenti dedicati in via esclusiva alle piccole e medie imprese:

  • transizione ecologica e digitale delle Pmi a vocazione internazionale;
  • partecipazione delle piccole e medie imprese alle fiere e alle mostre internazionali, svolte anche in Italia, e le missioni di sistema;
  • sviluppo dell’e-commerce delle Pmi nei paesi esteri (commercio elettronico).

Le piccole e medie imprese interessate possono presentare una sola istanza per la richiesta dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti con i fondi del Pnrr.

Contributi e finanziamenti per la transizione digitale ed economica delle Pmi: come funziona?

I contributi a fondo perduto e i finanziamenti rientranti nella transizione ecologica e digitale sono destinati a investimenti nelle tecnologie e nelle produzioni sostenibili delle Pmi. Si possono finanziare progetti fino a 300 mila euro con durata di 6 anni e 2 di pre-ammortamento purché l’importo non superi il 25% dei ricavi risultanti dagli ultimi due bilanci approvati. La quota massima del contributo a fondo perduto è fissato al 40% per le piccole e medie imprese con sede nel Sud Italia e del 25% per le restanti Pmi.

Contributi e finanziamenti per la partecipazione delle Pmi a fiere e mostre: in cosa consistono?

I contributi a fondo perduto e i finanziamenti per la partecipazione delle Pmi a fiere e mostre internazionali, anche in Italia, permettono:

  • il tasso agevolato per progetti relativi a ogni singolo evento fino a 150 mila euro, con durata di 4 anni di cui uno di pre-ammortamento;
  • la quota del contributo a fondo perduto del 40% (Pmi del Sud Italia) o del 25% (le restanti imprese) purché l’importo del progetto non superi il 15% dei ricavi dell’ultimo bilancio approvato e depositato dall’impresa.

Finanziamenti e contributi per lo sviluppo del commercio elettronico delle Pmi: quali aiuti alle imprese?

Per i finanziamenti e i contributi a fondo perduto delle Pmi relativi allo sviluppo del commercio elettronico si aiutano le imprese nei progetti della creazione o miglioramento delle piattaforme di e-commerce (anche sviluppate da terzi). Le condizioni degli aiuti prevedono:

  • contributi a fondo perduto fino al 40% (imprese del Sud Italia) o del 25% per le restanti imprese;
  • finanziamenti a tasso agevolato rimborsabili in 4 ani di cui 1 di pre-ammortamento.

L’importo minimo dei progetti delle Pmi è di 10 mila euro, i massimali sono invece fissati in:

  • 300 mila euro per una piattaforma e-commerce propria (e fino a non più del 15% dei ricavi degli ultimi due bilanci);
  • 200 mila euro per una piattaforma e-commerce di terzi (nel limite del 15% dei ricavi medi degli ultimi due bilanci approvati).

Contributi a fondo perduto Pmi transizione ecologica e digitale: come si presenta la domanda?

Per la presentazione della domanda di contributi a fondo perduto o di finanziamento è necessario consultare l’area personale del portale Simest. Ciascuna piccola e media impresa può presentare una sola domanda di finanziamento. Sul portale sono presenti tre fac simile di istanza, una per ogni ambito di richiesta di contributo a fondo perduto e finanziamento. Dall’area personale è possibile verificare il possesso dei requisiti richiesti.

Bonus 2022 lavoratori part-time, cosa prevede?

Fake news o realtà? La domanda è sempre lecita quando di parla di incentivi, indennità, indennizzi e bonus. Stavolta parliamo di un bonus 2022 per i lavoratori part-time. Si tratta di lavoratori che sono sotto contratto con il part-time ciclico verticale.

Nessuna fake news, nessuna notizia falsa, perché il bonus è davvero realtà, anche se non è ancora attivo e ci vorrà un atto del tutto nuovo e indipendente per avviarlo.

Ma è quanto prevede uno dei tanti punti e provvedimenti della legge di Bilancio appena introdotta.

Bonus 2022 ai lavoratori part-time, di cosa si tratta?

La legge n°  234 del 2021, cioè la legge di Bilancio 2022, introduce un nuovo bonus, destinato ai lavoratori con contratti part-time, non certo pochi viste le situazioni del lavoro in Italia. In pratica, tra i vari interventi in materia previdenziale, lavorativa ed assistenziale che il governo Draghi ha deciso di introdurre con la recente manovra finanziaria, c’è pure il sostengo economico per questi lavoratori.

Nella manovra c’è sostanzialmente solo la previsione di questo bonus, in uno dei tanti commi dei tanti articoli di cui la manovra consta. Servirà attendere il classico decreto di attuazione per vedere nello specifico di cosa si tratta e per capire cosa potrebbero ricevere determinati lavoratori.

Al momento la manovra instaura un fondo ad hoc per la misura. Nel dettaglio si tratta del “Fondo per il sostegno dei lavoratori con contratto a part-time ciclico verticale”. Un provvedimento ufficiale quindi, con tanto di dotazioni economiche. Infatti per questo bonus 2022 per i lavoratori part-time vengono messi a bilancio ben 30 milioni di euro per un biennio, cioè per l’anno in corso e per il 2023.

Perché questo bonus?

Come si evince dal nome di questo Fondo, il bonus che dovrebbe andare a prevedere riguarda i lavoratori part-time con contratto di lavoro verticale. In pratica, chi svolge una attività lavorativa non per tutta la settimana lavorativa, ma solo in alcuni giorni. Niente quindi per chi svolge lavoro part-time per tutta la settimana ma solo per poche ore al giorno,quelli che rientrano nel cosiddetto part-time ciclico orizzontale.

Il bonus è orientato a dare sostegno economico a questi lavoratori nei giorni in cui non prestano attività proprio alla luce della loro modalità di attività sviluppata sul part-time ciclico verticale. Il Fondo è istituito direttamente al Ministero del Lavoro. Se la prassi sarà quella di qualsiasi altro bonus del Ministero del Lavoro, sarà l’Inps a provvedere a tutta la procedura attuativa, dalle richieste alle erogazioni materiali del beneficio.

Nuove risorse per gli investimenti industriali con il Green New deal

Il green new deal italiano prevede la possibilità di ottenere risorse per gli investimenti industriali destinati ad alcuni settori.

Green new deal, cos’è?

Sul sito del Mise è ampliemte specificato il concetto di Green new deal. Si tratta di interventi del Fondo per la crescita sostenibile definito dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia. Tuttavia prevede la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno dei progetti di ricerca, innovazione, sviluppo per la transizione ecologica e circolare a sostegno delel finalità green.

Infine le risorse messe a disposizione sono pari a 750 milioni. A valere sul Fondo per la crescita sostenibile (FCS) e sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca (FRI), gestito da Cassa Depositi e Prestiti.

In cosa consiste il contributo?

I progetti devono prevedere spese e costi ammissibili non inferiori a 3 milioni e non superiori a 40 milioni di euro. Inoltre i progetti devono essere realizzati all’interno del territorio italiano. Infine la durata della realizzazione delle nuove idee deve essere non inferiore a 12 mesi e non superiore a 36 mesi.

Quali sono i progetti finanziabili per il Green new deal?

Secondo il Mise possono richiede il contributo a fondo perduto le imprese che operano a livello industriale, agroindustriali, servizi, artigianali e cerchi di ricerca. Occorre presentare un progetto, anche in forma congiunta, volta a realizzare nuovi prodotti, servizi, attività in particolari ambiti:

  • economia circolare;
  • riduzione dell’us della plastica;
  • turismo sostenibile;
  • adattamento e mitigazione dei rischi sul territorio derivanti dal cambiamento climatico;
  • sostituzione della plastica con materiali alternativi;
  • rigenerazione urbana.

Le parole del ministro Giorgetti a sostegno dei progetti green

“La sostenibilità ambientale è decisiva per il nostro futuro ed è un obiettivo da perseguire e raggiungere. Ma dobbiamo essere consapevoli che la rivoluzione verde ha un prezzo e nostro compito è fare in modo che la transizione non lasci per strada morti e feriti in termini sociali ed economici. Per questo ho più volte sottolineato che la sostenibilità ambientale deve essere in equilibrio con quella economica e sociale.

Da ministro dello Sviluppo economico mio dovere è tutelare il sistema delle imprese ad attraversare questa transizione in maniera costruttiva”, dichiara Giorgetti. “Per queste ragioni, in questa delicata fase di transizione – prosegue il ministro – dobbiamo sostenere le imprese italiane con tutti gli strumenti e le risorse, nazionali ed europee, che abbiamo a disposizione per favorire la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative, i processi di riconversione industriale e gli investimenti per la decarbonizzazione in settori strategici come quelli della siderurgia e dell’automotive”.

Assenza per malattia: quando non è obbligatorio per l’ammalato inviare il certificato e conseguenze

Quando un lavoratore si ammala e di conseguenza, si assenta dal lavoro, l’istituto normativo che va utilizzato è quello della malattia. Ma il certificato medico di malattia deve sempre essere inviato al datore di lavoro da parte del dipendente ammalato ed assente? Vediamo cosa prevede la normativa vigente alla luce delle recenti novità ed alla luce del  certificato telematico che ormai ha preso piede per l’istituto della malattia.

Malattia e adempimenti, il datore di lavoro deve essere informato

Il datore di lavoro deve necessariamente essere informato della motivazione relativa ad una assenza di un suo dipendente. Questo è sia un comportamento ineccepibile dal punto di vista morale, che un obbligo stabilito dalla legge.

E deve essere il lavoratore a comunicare l’assenza per malattia ad un datore di lavoro, perché non basta ciò che fa il medico di base. Infatti per la malattia, deve essere il medico di base a certificarla inviando tramite certificato telematico, la comunicazione direttamente all’Inps. Ma nonostante questo, per permettere al datore di lavoro una adeguata sostituzione del lavoratore o una adeguata organizzazione delle attività senza il lavoratore ammalato, informarlo è necessario.

Ciò non vuol dire che occorre spedire il certificato medico per posta, tramite Pec o via email. Per assolvere a questo obbligo di informare il datore di lavoro può essere utilizzato pure un metodo informale. Infatti anche una semplice telefonata on un messaggio può andare bene.  Questo è l’orientamento che tutti i Contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono.

E non potrebbe essere altrimenti se si pensa ai tempi tecnici con cui una raccomandata postale arriva al destinatario. Verrebbe meno il fattore della tempestività con cui un datore di lavoro dovrebbe essere avvisato per tutto ciò che abbiamo detto prima in relazione al proseguo dell’attività produttiva.

La malattia: cosa va fatto in sintesi

La comunicazione di malattia è obbligatoria sia per il datore di lavoro che per l’Inps.  Il lavoratore deve innanzi tutto recarsi dal suo medico di base che deve emettere il cosiddetto certificato di malattia. Sarà il medico di base a trasmetterlo all’Inps in formato digitale. A questo punto sarà l’Inps a trasmetterlo al datore di lavoro. Una operazione che non può certo essere in tempo reale quest’ultima. Per questo l’obbligo morale da parte del lavoratore di rendere edotto il datore di lavoro è sacrosanto. E diventa pure legale dal momento che pur non essendone obbligato immediatamente, la sua mancanza può esporre a rischi.

In assenza del certificato telematico, qualora il medico di base fosse impossibilitato, si adotta la vecchia maniera, quella del certificato cartaceo con il lavoratore che deve inviarlo al datore di lavoro e all’Inps, di norma entro due giorni dal suo rilascio. Infatti per ogni giorno di ritardo nell’invio, si perde un giorno di indennità.

Come si orientano i giudici chiamati a sancire su ricorsi e reclami

Non avvisare il datore di lavoro può essere pericoloso. In effetti l’orientamento dei Tribunali, a cui molto spesso i lavoratori o i datori di lavoro si appoggiano per dirimere questioni legate ai rapporti di lavoro, è verso l’assenza ingiustificata. In pratica la mancata comunicazione tempestiva della malattia, a prescindere dal certificato telematico del proprio medico, può far scattare le sanzioni per assenza ingiustificata.

E come si sa, se l’assenza ingiustificata si protrae per più tempo o se viene effettuata più volte, non è raro arrivare a eventi come il licenziamento o la risoluzione del contratto di lavoro.

Certo, può capitare che il lavoratore si trovi nell’impossibilità di fornire questa informazione al datore di lavoro. In questo caso, sempre in base all’orientamento degli ermellini, deve essere il lavoratore a fornire prova della sopraggiunta impossibilità ad adempiere.

In definitiva, siamo di fronte a casi di violazioni disciplinari.

A rischio l’indennità?

Se il non avvisare l’azienda può essere pericoloso e può esporre a sanzioni disciplinari, il certificato medico inviato all’Inps correttamente dal medico non mette a rischio l’indennità. Infatti il lavoratore in malattia ha diritto a percepire una indennità, che spesso è variabile da CCNL a CCNL.

Per grandi linee però, l’indennità di malattia segue determinati parametri. I primi 3 giorni di malattia sono a carico completo del datore di lavoro. I successivi 20 (dal quarto al ventitreesimo) invece prevedono una indennità pari al 50% delle retribuzione media giornaliera del lavoratore. Per quelli ancora successivi e fino ai 180 giorni complessivi, si passa al 66,6% della retribuzione media giornaliera. Ma si tratta di grandi linee, basti pensare al lavoro statale che durante la malattia da diritto ad una fruizione di una indennità fissa e per tutto il periodo, pari all’80% della retribuzione media.

Pensione in anticipo con riscatto dei contributi, la guida

Riscattare i periodi di vuoto contributivo per renderli utili alle pensione è più di una opzione. Infatti, in una fase dove il mondo del lavoro lamenta l’assenza di misure che permettono uscite anticipate, non è da sottovalutare la possibilità di riscattare alcuni periodi per arrivare alle soglie utili per le uscite.

Va ricordato infatti che la stragrande maggioranza delle misure previdenziali oggi esistenti, prevedono carriere talmente lunghe che spesso risultano inarrivabili per molti lavoratori.

Raschiare il fondo del barile, pur spendendo qualcosa, può consentire il vantaggio in termini di età di pensionamento.

Pensione anticipata con riscatto, come funziona

Non è raro che in una carriera lavorativa, tra un rapporto di lavoro e l’altro, ci sono periodi di vuoto contributivo. Ma la normativa previdenziale vigente offre la possibilità di riscatto, cioè di coprire i buchi contributivi. Naturalmente non sempre è possibile, perché dipende dai periodi che si vogliono riscattare e anche dalla loro collocazione temporale.

Nella storia lavorativa di un soggetto i periodi di assenza di contributi possono essere coperti pagando un corrispettivo.

In pratica, uno strumento che permette di andare a ritroso nella carriera per coprire i vuoti. Si chiamano contributi da riscatto.

Lo strumento, che non è l’unico che riguarda il riscatto dei contributi, nasce nel 1996 con il decreto legislativo n° 564 e riguarda i periodi di assenza di contribuzione a qualsiasi titolo versata, solo se successivi al 31 dicembre 1996.

Se questi vuoti sono antecedenti quella data, nessun riscatto è possibile.

Perché il riscatto è utile per la pensione

La misura nasce per venire incontro a soggetti che hanno avuto difficoltà, storicamente, a trovare lavoro continuo e duraturo. E sono soggetti che in passato hanno avuto difficoltà a trovare lavoro duraturo e che dopo hanno difficoltà a centrare le pensioni. Lo dimostra un altro paletto della misura. Infatti occorre che i vuoti contributivi si collochino tra due rapporti di lavoro non a tempo indeterminato.

Tipici esempi sono i lavori stagionali o in genere, quelli a termine o a tempo determinato.

Va sottolineato che i contributi di questo tipo sono assolutamente validi sia per il diritto alla pensione che per la misura. Infatti servono per completare una determinata soglia di contributi utili a una altrettanto determinata misura, ma anche per permettere una pensione di importo più alto.

I contributi da riscatto, tutte le possibilità

Detto di questa prima tipologia di contribuiti da riscatto, va sottolineato che l’Inps e la normativa vigente ne prevedono molti altri. Infatti sono davvero molti i periodi in cui non si sono versati i contributi, che un lavoratore può far tornare utili alle quiescenze, a volte solo per il diritto, altre volte sia per il diritto che per la misura.

I contributi da riscatto sono sempre onerosi. In questo si differenziano dai contributi figurativi. Inoltre non vanno confusi coi contributi volontari, altra possibilità di completamento di una carriera appannaggio di determinati lavoratori. I contributi da riscatto, come già detto, operano a ritroso, cioè riguardano periodi già passati. Quelli volontari invece valgono per il futuro.

Come l’Inps spiega sul suo sito ufficiale nella scheda dedicata al riscatto, tale facoltà è concessa a:

  • Lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
  • Iscritti a una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi;
  • Agli iscritti alla Gestione Separata dei lavoratori parasubordinati;
  • Agli iscritti ai fondi speciali, sostitutivi, esclusivi gestiti dall’INPS.

 

Nello specifico i periodi scoperti da contribuzione che possono essere riscattati e resi validi ai fini pensionistici sono:

  • I periodi dedicati ai corsi di studio;
  • Periodi relativi a contribuzioni omesse o a contribuzioni prescritte con il riscatto per costituzione di rendita vitalizia;
  • I periodi di lavoro instaurato  con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa fino al primo aprile 1996;
  • Periodi di interruzione o sospensione del rapporto di lavoro;
  • Periodi intercorrenti tra un rapporto di lavoro e l’altro nel caso di lavori discontinui, stagionali, temporanei;
  • I periodi intercorrenti tra attività lavorative organizzate con contratto a part-time;
  • Periodi di attività svolte nei lavori socialmente utili;
  • Il periodo del servizio civile;
  • Periodi di aspettativa per gravi motivi familiari;
  • Periodi di astensione facoltativa per maternità se collocati al di fuori del rapporto di lavoro;
  • Pace contributiva.

Cosa accade se la domanda di riscatto va a buon fine

La domanda per il riscatto segue le regole di qualsiasi altra tipologia di istanza da presentare all’Inps territorialmente competente in base alla residenza dell’interessato. Con l’accoglimento della domanda viene reso noto al richiedente, anche l’onere del riscatto, che è il corrispettivo da pagare per trasformare i periodi di vuoto contributivo in periodi utili alle pensioni.

I vari modi di pagare il riscatto per la pensione

Il pagamento degli oneri da riscatto può essere effettuato anche on line sullo stesso portale Inps nell’area “servizi di pagamento”. Sullo stesso portale e nella stessa area si possono stampare le disposizioni di pagamento utili per chi vuole scegliere un altro canale per saldare il dovuto.

Infatti è possibile pagare, oltre che on line sul sito Inps, anche:

  • Banca;
  • Sistemi di Home Banking che aderiscono al sistema pagoPA;
  • Sportelli bancomat  abilitati (ATM);
  • Bar, edicole, ricevitorie, tabaccherie, supermercati e tutte le strutture in convenzione e abilitate ai pagamenti di pagoPa;
  • Presso Poste Italiane.

Il pagamento va effettuato entro 60 giorni dalla data in cui l’Inps ha comunicato l’accettazione della richiesta. Alternativa al pagamento in soluzione unica c’è il rateale. Va ricordato che la dilazione non sempre è ammissibile, perché occorre rispettare alcune condizioni. Infatti,  il pagamento rateale può riguardare solo chi non è ancora andato in pensione e non intende usare subito i contributi da riscatto per accedere ad una qualsiasi misura previdenziale.

SRLs, quanti amministratori può avere

In questa rapida guida ci addentreremo nel novero delle SRL e nella sua forma semplificata, ovvero la SRLs per scoprire quanti amministratori possono esserci nella gestione della stessa. Nei prossimi paragrafi le dovute risposte, a questa e ad altre domande in merito alla gestione di una SRLs.

SRLs di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo dalla base della questione, ovvero specificare cosa si intende quando si parla di una SRLs.

Per definire, in breve cosa sia una SRLs, ovvero una società a responsabilità limitata semplificata, possiamo dire che nel diritto commerciale italiano con la S.r.l.s. si fa riferimento ad un tipo di società di capitali introdotta dall’art. 2463-bis del Codice Civile.

La SRL semplificata gode in sede di costituzione di diverse agevolazioni a fronte dell’utilizzo obbligatorio di un modello standard di atto costitutivo.

Nello specifico, va detto che è esente dal pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria (imposta di registro e diritti camerali sono invece da versare), e non è dovuto alcun onorario al notaio che stipula l’atto.

Quanti amministratori può avere una SRLs

Nel novero della gestione di una Società a Responsabilità Limitata semplificata (quindi una SRLs) vediamo cosa accade e quanti amministratori si possono avere.

Va subito detto che la SRL è la forma più diffusa tra le società di capitali. Essa si caratterizza dalla responsabilità limitata dei soci: questo significa che ciascuno dei soci risponde delle obbligazioni della società, ovvero dei debiti, solo con la quota di capitale sottoscritta, quindi corre il rischio soltanto di perdere i soldi che ha versato (o si è impegnato a versare), mentre il resto del suo patrimonio resta al sicuro.

Mentre la SRL può essere anche unipersonale, ovvero costituita da un unico socio, i soci di una SRLS possono essere solo persone fisiche. Non sono ammesse le società in questo tipo societario. In una società semplificata, invece, i soci partecipano possono conferire soltanto denaro.

Andando a rispondere alla domanda chiave della questione, ovvero quanti amministratori può avere una SRLs la risposta è presto data.

Possiamo, dunque dire che la Srl (anche qualora essa sia una SRL semplificata) può decidere liberamente di avere un amministratore unico oppure più amministratori. Nel secondo caso, sarà formato un consiglio di amministrazione. Chi amministra una Srl ha il diritto e il dovere di gestire la società.

SRL cos’altro possiamo sapere

La responsabilità limitata del socio in una SRL o SRLs è la caratteristica principale delle società di capitali (s.r.l. e s.p.a.). La SRL è la forma più semplice di società di capitali, e quindi è preferita alla s.p.a. nella maggior parte dei casi, almeno per  quanto riguarda le piccole e medie imprese. Tra l’altro, attualmente una SRL può essere costituita con un capitale minimo di 1 euro (e non più di 10.000 euro), mentre per la s.p.a. ne occorrono almeno 120.000.

Per concludere il nostro viaggio, va aggiunto che l’art. 2463 bis, comma 2, n. 3 c.c. prevede che l’ammontare del capitale sociale della s.r.l.s. non solo deve essere pari ad € 1,00 ed inferiore all’importo di € 10.000,00 (cioè la soglia è compresa tra € 1 ed € 9.999,99), ma deve esser altresì interamente versato e sottoscritto alla data della costituzione della società. È altresì necessario che nell’atto costitutivo della società venga indicata la quota di partecipazione al capitale di ciascun socio, così come previsto dal combinato disposto ex art. 2463 bis, comma 2, n. 4, c.c. e dall’art. 2463 comma 2, n. 6, c.c.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla questione legata alla gestione amministrativa di una SRLs.

Cos’è la green economy e quali politiche sono state adottate?

A chi non è mai capitato di sentire parlare di Green Economy? Molto probabilmente tutti almeno una volta abbiamo sentito questa espressione e di fatto, vista che ad essa sono collegati anche incentivi, ci siamo chiesti di cosa si tratta esattamente. Cercheremo quindi di capire di cosa si tratta e quali vantaggi può portare.

Le definizioni di green economy

Dalla definizione data da Oxford Languages emerge che si tratta di un: modello di economia che mira alla riduzione dell’impatto ambientale mediante provvedimenti in favore dello sviluppo sostenibile, come l’uso di energie rinnovabili, la riduzione dei consumi, il riciclaggio dei rifiuti.

L’enciclopedia Treccani ci dice qualcosa di più: “ In particolare la green economy è una forma economica in cui gli investimenti pubblici e privati ​​mirano a ridurre le emissioni di carbonio e l’inquinamento, ad aumentare l’efficienza energetica e delle risorse, a evitare la perdita di biodiversità e conservare l’ecosistema. Tali investimenti devono essere supportati dalla spesa pubblica, da riforme politiche e da cambiamenti delle regole miranti a mantenere, migliorare e, se necessario, ricostruire il capitale naturale come un bene economico di importanza critica.”

Come si nota dalla definizione Treccani, vi è un coinvolgimento pubblico e privato volto a migliorare le condizioni ambientali e conservare l’ecosistema attraverso una serie di attenzioni a numerosi fattori. La green economy richiede un cambiamento radicale del modo in cui ognuno di noi immagina il mondo produttivo e la vita quotidiana, attraverso un ripensamento globale della produzione e dello stile di vita che deve diventare sempre più sostenibile, teso a proteggere l’ambiente in cui si vive e la biodiversità.

Come sono adottate le politiche di  economia verde?

Per poter adottare politiche di green economy è quindi necessario, prima di fare investimenti, capire l’impatto ambientale che questi possono avere e come invece modificare l’impianto iniziale dei propri progetti al fine di ridurre l’inquinamento che si potrebbe produrre. Ad esempio utilizzando fonti energetiche alternative e rinnovabili, oppure riducendo il packaging dei prodotti, utilizzando materiali riciclati e simili iniziative che possono contribuire a ridurre le emissioni inquinanti.

Abbiamo però visto in precedenza che l’impegno verso la green economy deve essere dei privati, ma vi deve essere anche un impegno pubblico e non è detto che debba essere solo economico, infatti vi sono diverse norme che mirano ad incentivare comportamenti consapevoli e ridurre l’inquinamento, come il divieto di vendita di prodotti in plastica monouso previsto dal decreto legislativo 196 del 2021 .

Ulteriori misure di green economy sono quelle previste dal piano di transizione 4.0.

I vantaggi della green economy

Riduzione dei costi

I vantaggi della green economy sono numerosi e di diversa natura, proprio per questo nel breve periodo una conversione dell’economia può sembrare un costo, ma in realtà nel lungo periodo i vantaggi sono davvero maggiori rispetto ai costi.  La green economy può convertirsi in risparmio: riciclare vuol dire avere comunque un minore bisogno di materie prime e quindi allo stesso tempo una maggiore disponibilità a fronte di una domanda più bassa, questo si traduce anche in un costo minore delle materie prime, infatti lo stesso è determinato dall’equilibrio/squilibrio tra offerta e domanda di un determinato prodotto.

Sprecare meno vuol dire anche che diminuisce il costo della gestione dei rifiuti, infatti la green economy tende a ridurre la produzione di scarti, anche questo naturalmente si traduce in risparmio.

Crescita di posti di lavoro

La green economy porta anche alla nascita di nuovi posti di lavoro, anche denominati green jobs, si tratta di lavori connessi alle attività principali, ad esempio: addetti al recupero di rifiuti speciali, come possono essere i metalli presenti in molti dispositivi elettronici; lavoratori impegnati nel riciclo, in agricoltura. Molteplici figure professionali sono richieste nel settore delle energie rinnovabili. Tra i professionisti sempre più ricercati ci sono gli esperti in bioarchitettura, cioè specializzati nella progettazione basata sull’uso esclusivo di materiali di costruzioni e arredi “verdi” in quanto realizzati con materiali naturali (lana, legno, sughero, paglia) e in grado di ridurre i consumi energetici andando quindi a ridurre l’impatto energetico del fabbricato.

Tutela della salute

La green economy è in grado di migliorare la vita di ognuno di noi, infatti, non vi sono solo vantaggi economici legati a nuove professioni e al risparmio energetico, ma anche e soprattutto un miglioramento delle condizioni di vita e di salute. L’inquinamento si traduce in problemi alla salute, sia sotto forma di problemi all’apparato respiratorio dovuti alla presenza di polveri sottili nell’aria, sia problemi all’apparato gastro-intestinale messo a dura prova dall’uso di pesticidi in agricoltura, dalle piogge acide dovute all’inquinamento e dalla scarsa qualità in genere del cibo che mangiamo che viene in vari modi contaminato dall’inquinamento.

Bonus bici: ecco come ottenere 750 euro

Stanno per partire gli strumenti utili ad ottenere un bonus di cui si parla da tempo ma che era fermo alle solite questioni burocratiche. Parliamo del bonus bici e monopattini, o meglio, il bonus mobilità sostenibile.

Si tratta di un provvedimento abbastanza discusso e nato con il decreto Rilancio, uno dei tanti atti emergenziali che il governo ha deciso di avviare in questi lunghi mesi di pandemia.

Con la firma del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, il bonus previsto dal decreto Rilancio, precisamente all’articolo n° 44 comma 1 è ufficialmente approvato. Ecco le date, le informazioni e le notizie utili per chi è interessato a ricevere questo bonus per la mobilità sostenibile.

Domande al via da aprile, solo un mese di tempo per le istanze

Parte finalmente il bonus bici e monopattini, come previsto dall’articolo n° 44 del decreto Rilancio e come confermato dalla sottoscrizione del provvedimento di attuazione da parte del numero uno del Fisco italiano, Ernesto Maria Ruffini.

Si potrà provvedere ad effettuare la comunicazione a partire dal 13 aprile prossimo e fino al 13 maggio 2021. Il modello di richiesta del bonus, che ricordiamo è da 750 euro, va inviato all’Agenzia delle Entrate.

Il bonus mobilità sostenibile è strutturato con la modalità  credito di imposta. Il benefit riguarda tutti i soggetti che hanno provveduto ad acquistare  sia i mezzi di trasporto a zero emissioni che eventualmente servizi di questo genere.  Il bonus vale per l’acquisto di:

  • Biciclette;
  • Monopattini elettrici;
  • E-bike;
  • Abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico;
  • Servizi di mobilità elettrica in condivisione.

Come funziona il bonus nel dettaglio

Il bonus sotto forma di credito di imposta è fino alla soglia massima di 750 euro. Va ricordato che l’acquisto a cui fa riferimento il bonus è quello effettuato nel periodo compreso tra il 1° agosto 2020 ed il 31 dicembre 2020. Ma non basta solo l’acquisto. Infatti, come si legge anche sul Corriere della Sera, serve aver rottamato, sempre nel periodo compreso tra il 1°agosto ed il 31 dicembre 2020, un veicolo di categoria M1. Il bonus invece riguarda veicoli con emissioni di CO2 comprese tra 0 e 110 g/km.

Il credito di imposta verrà sfruttato dal richiedente e beneficiario, in sede di dichiarazione dei redditi. La domanda da presentare altro non è che una comunicazione del totale delle spese sostenute  e del credito di imposta richiesto. Comunicazione che come detto deve essere inviata all’Agenzia delle Entrate.

Questo benefit  potrà essere utilizzato solo nelle dichiarazioni dei redditi 2022. Il bonus verrà erogato in ordine di arrivo delle domande e va ricordato che per il provvedimento sono state stanziate risorse pari a 5 milioni di euro. Il bonus funziona fino ad esaurimento risorse.

L’istanza o la comunicazione che dir si voglia, potrà essere inoltrata alle Entrate con i canonici strumenti telematici. Basterà autenticarsi all’area riservata del sito ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, con i classici Spid, Cns o Cie. Il servizio on line sarà presto disponibile proprio nell’area riservata del sito ufficiale delle Entrate.

La percentuale di credito di imposta assegnato verrà comunicato al richiedente entro 10 giorni dalla produzione dell’istanza e come detto, in base alle risorse che resteranno disponibili.

Assegno unico universale, la guida completa per le famiglie

L’assegno unico universale è il contributo più richiesto dalla famiglie, ma anche quello che desta maggiori dubbi, proviamo a risolverli.

Assegno unico universale, può essere richiesto dai forfettari?

Non vi è nessuna incompatibilità tra l’assegno unico universale e i soggetti economici che hanno aderito al regime forfettario di tassazione. Pertanto se un genitore è un lavoratore autonomo, ed il suo regime di tassazione è quello di tipo forfettario, può presentare la domanda all’INPS. Per maggiori dettagli è possibile consultare questo approfondimento dedicato a queste categorie di lavoratori forfettari.

Assegno unico universale, c’è l’obbligo di ISEE?

Il contributo spetta a tutti i nuclei familiari in cui vi sono figli a carico di età compresa entro i 21 anni. L’importo mensile è legato all’indicatore della situazione economica equivalente, ed ha un valore minimo di 50 euro. Tuttavia è possibile richiederlo anche se il contribuente non ha presentato l’Isee entro il mese di marzo, previsto per l’inizio dei versamenti per i beneficiari. Se non si è presentato l’Isee, ecco cosa fare: Assegno unico con o senza ISEE è richiedibile all’INPS?

Genitori separati o divorziati, possono chiedere l’assegno?

I genitori separati o divorziati possono anche loro richiedere il contributo per ogni figlio della coppia. I genitori però possono chiedere l’importo pari al 100% o al 50%, cioè diviso a metà tra le parti. Tutto dipende dall’accordo che hanno fatto gli ex coniugi sia dinnanzi al giudice o anche in separata sede, ad esempio in una fase successiva. Ecco la procedura che devono seguire i genitori separati o divorziati per richiedere l’assegno.

Come chiedere l’assegno se si è in gravidanza

L’assegno unico si può chiedere anche se si è in stato interessante. Lo Stato ha cancellato il Bonus nascita, e quindi l’Inps non erogherà il contributo per le famiglie. Tuttavia la mamma potrà chiedere l’assegno unico universale dal settimo mese di gravidanza. Anche se il riconoscimento verrà assegnato al momento della nascita del bambino, ma non si perderanno gli arretrati. Ecco come procedere e tutte le regole da seguire per richiedere l’assegno e si è in gravidanza.

Assegno universale unico, come richiedere l’accredito

L’assegno unico universale viene accreditato direttamente sul conto corrente del soggetto che ne ha fatto richiesta. Infatti proprio nella domanda che viene presentata va indicato l’IBAN per l’eventuale accredito. Tuttavia il bonifico può essere riscosso e accreditato su conto corrente bancario, postale, carta di credito o altri strumenti, così come indicato in questo articolo di approfondimento.

Famiglie affidatarie, possono richiedere il contributo?

L’assegno unico spetta anche alle famiglie affidatarie che accolgono un minore all’interno della propria casa. Infatti per molti il dubbio è a quale Isee ci si riferisce? Ecco l’Inps è venuto incontro specificando cosa fare in questo caso specifico. Ebbene il parametro di riferimento è sempre quello dell’ISEE, ma attenzione deve essere quello in cui è inserito il minore. E questo vale indipendentemente dal motivo che ha portato alla richiesta dell’assegno per i minori in affidamento.

Cosa succede se l’importo non è corretto?

Come detto l’erogazione dell’assegno sarà marzo 2022. Ma le famiglie hanno la possibilità di verificare l’importo dell’assegno attraverso il simulatore dell’INPS. Basta accedere al sito dell’ente e dopo aver inserito i dati, verificare l’ipotetico importo. Ma cosa fare se l’assegno non soddisfa quanto previsto? Ci sono dei rimedi da fare come ad esempio utilizzare l’Isee corrente invece che quello ordinario, se ha un valore più basso, e qui vi spieghiamo come fare per aumentare il valore dell’assegno unico figli.

E se si vive all’estero può essere preso il contributo?

Anche se si vive all’estero c’è la possibilità di richiedere l’assegno unico per i figli a carico. Ma non per tutti solo per chi è comunque residente in Italia, ho a qualche permesso per vivere fuori. Inoltre occorre anche che paghi le tasse nel nostro Paese e che i componenti all’estero facciano parte dello stesso nucleo famigliare, ecco l’approfondimento dei vari casi possibili.

Se due persone convivono, possono richiedere l’assegno?

L’assegno unico, come abbiamo detto, dipende sia dal numero dei componenti della famiglia, che dal valore dell’ISEE. Ma ci sono dei casi in cui all’interno della famiglia, ci sono due persone conviventi, cioè non sposate. Quando questo si verifica occorre valutare il valore dell’Isee minorenni. Ci sono tante ipotesi da considerare che sono prese in esame all’interno di questo articolo riservato proprio ai conviventi che formano il nucleo familiare.

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