Quattordicesima mensilità e pensioni: a chi spetta?

Per molti pensionati luglio è un mese molto importante perché arriva la quattordicesima mensilità, ma a chi tocca e a quanto ammonta?

Cos’è la quattordicesima mensilità

La quattordicesima mensilità viene erogata dall’INPS, fa il suo ingresso in Italia con l’articolo 5 del  decreto legge n° 81 del 2007, da allora questa misura economica è sempre stata in vigore.  Nel 2017, con la legge di bilancio, è stata ulteriormente rafforzata andando ad ampliare la platea di coloro che ne hanno diritto. Si tratta di una somma di denaro aggiuntiva corrisposta nel mese di luglio e in alcuni casi nel mese di dicembre (ad esempio nel caso in cui i requisiti anagrafici siano maturati dopo il 31 luglio dell’anno in corso). Non tutti però hanno diritto a questo bonus, infatti occorrono requisiti anagrafici e requisiti economici.

I requisiti per ottenerla

Per quanto riguarda il requisito anagrafico, per poter ottenere la quattordicesima mensilità occorre aver compiuto 64 anni di età entro il 31 luglio dell’anno in corso. Se il requisito viene maturato successivamente gli importi sono erogati nel mese di dicembre.

Per poterne usufruire occorre essere titolari di trattamenti pensionistici INPS, si può trattare di pensione maturata nel settore pubblico o privato, di vecchiaia, anzianità, anticipata, reversibilità (superstiti), titolari di assegni di invalidità e assegni di inabilità. Non dà diritto a tale corresponsione il riconoscimento dell’invalidità civile e di tutte le altre prestazioni di natura assistenziale. Possono avere questa mensilità aggiuntiva sia  i lavoratori dipendenti, sia coloro che hanno maturato altre forme pensionistiche INPS (artigiani, commercianti).

Non bastano tali requisiti, infatti occorre anche avere requisiti reddituali. In particolare fino al 2016 avevano diritto alla quattordicesima mensilità coloro che percepivano un reddito inferiore a 1,5 volte l’assegno minimo mensile, pari a 515,58 euro. Dal 2017 come detto la platea è stata ampliata e quindi ne hanno diritto coloro che hanno un reddito personale non superiore a due volte il minimo previsto per l’assegno sociale, per il 2021 la soglia è di 13.405 euro annui. Si tratta sempre di reddito personale quindi non deve essere cumulato con quello del coniuge.

Come ottenere la quattordicesima mensilità?

Per avere la quattordicesima mensilità non occorre fare nulla, infatti tale prestazione viene riconosciuta automaticamente dall’INPS tenendo come riferimento i redditi percepiti nell’anno antecedente. Un’altra domanda che molti si pongono è quanto viene effettivamente erogato. Anche in questo caso è bene fare delle precisazioni, infatti dipende dagli anni di contributi versati e dal reddito.

Ci sono due fasce di reddito.

La prima è di 10.053,71 euro. Per coloro che rientrano in tale fascia se hanno versato:

  • fino a 15 anni di contributi, l’importo è di 436,80 euro
  • dai 15 anni ai 25 anni di contributi, l’importo è di 546 euro;
  • oltre 25 anni di contributi si percepisce un bonus di 655,20 euro

La seconda fascia include coloro che hanno un reddito in un range tra 10.053 euro e 13.405,08 euro, in questo caso i contribuenti se hanno versato:

  • fino a 15 anni di contributi percepiscono l’importo di 366 euro;
  • da 15 anni a 25 anni di contributi percepiscono 420 euro;
  • oltre i 25 anni di contributi 504 euro.

I requisiti visti sono per i pensionati da lavoro dipendente, nel caso in cui si tratti di lavoratori autonomi  cambiano esclusivamente le fasce contributive che sono la prima fino a 18, la seconda da 18 anni a 28 anni e la terza oltre 28 anni.

 

Ultime precisazioni: cosa fare se non si riceve la quattordicesima?

Si è detto in precedenza che il diritto alla quattordicesima mensilità viene riconosciuto automaticamente dall’INPS, può però capitare che vi siano dei disguidi. Di conseguenza se si rientra tra coloro che avrebbero diritto ad ottenere tale somma di denaro, ma la stessa non viene corrisposta, è possibile richiedere assistenza a un CAF o patronato, oppure compilando online la domanda presente sul sito dell’INPS. Per accedere occorre avere lo SPID oppure il PIN.

Infine, è bene ricordare che la quattordicesima mensilità non concorre a determinare la base imponibile IRPEF quindi è esentasse.

Pensione, cosa fare in caso di morte?

La morte di una persona cara, oltre a rappresentare un momento critico e doloroso, impone anche di affrontare questioni pratiche, fiscali e legali. In merito alla pensione, se il defunto era titolare in vita di una prestazione previdenziale Inps, la legge prevede che la pensione non venga più erogata automaticamente. Ciò avviene non appena gli eredi o chi è delegato alla riscossione, comunicano l’avvenuto decesso all’Istituto previdenziale. In generale, questa comunicazione deve avvenire entro le 48 ore successive al decesso.

Comunicazione all’Inps avvenuto decesso del pensionato

Proprio sulla morte del pensionato, è previsto l’invio telematico della comunicazione del decesso, come stabilisce l’articolo 1, comma 303 e seguenti, della legge numero 190 del 2014, ovvero la legge di Stabilità 2015. Le novità ricorrono a partire dal 1° gennaio 2015 e riguardano proprio il modo di comunicare all’Inps l’avvenuta morte del titolare della pensione. Le novità introdotte dalla norma hanno ripercussioni sulle modalità di pagamento dell’Istituto previdenziale delle prestazioni. Infatti, come spiega la legge di Stabilità 2015, “il medico necroscopo trasmette all’Inps, entro 48 ore dall’evento, il certificato di accertamento del decesso”.

Invio telematico della comunicazione del decesso: chi deve farla

La comunicazione avviene in via telematica seguendo le normali procedure online già utilizzate per gli altri servizi Inps. In particolare, i soggetti che sono autorizzati, possono utilizzare il pin on line del defunto oppure rivolgersi a un patronato autorizzato per adempiere a tutte le pratiche burocratiche necessarie. Gli eredi potranno anche predisporre un’autocertificazione di decesso per non dover attendere che il comune di residenza del defunto rilasci il certificato di morte. La mancata comunicazione del decesso del titolare di pensione e il continuare a riscuotere la prestazione previdenziale rappresenta un reato punibile per legge. A tal proposito, la comunicazione all’Inps segue quanto previsto dall’articolo 46 del decreto legge numero 269 del 30 settembre 2003, poi convertito nella legge numero 326 del 24 novembre 2003.

Pensione accreditata dopo la morte dell’avente diritto: pagamento con riserva, cosa significa?

Secondo quanto prevede il comma 304 della legge 190 del 2014, le prestazioni in denaro versate dall’Inps nel periodo successivo alla morte dell’avente diritto su un conto corrente bancario o postale, sono pagate con riserva. Ciò significa che la banca o la società Poste Italiane Spa che abbiano ricevuto le somme erogate, sono tenute alla restituzione all’Istituto previdenziale nel caso in cui tali somme venissero accreditate senza che il beneficiario ne avesse diritto.

Si deve restituire la pensione dopo la morte del beneficiario?

Più nel dettaglio, se accade di ricevere la pensione dopo la morte dell’avente diritto perché l’Inps aveva provveduto a emetterla prima del decesso, la pensione va restituita. Dunque, generalmente la somma va restituita se il decesso avviene prima dell’accredito. Se, invece, il decesso avviene a metà di una mensilità, l’Istituto previdenziale deve erogare la prestazione pensionistica solo parzialmente, ovvero per la parte del mese in cui l’avente diritto era ancora in vita. In generale, se la morte del pensionato avviene in data posteriore all’accredito, la prestazione pensionistica non dovrà essere restituita e, contestualmente, l’Inps non procederà allo storno.

Obbligo di restituzione di somme accreditate sul conto corrente dopo la morte del pensionato

Se dovessero esserci accrediti non dovuti di pensione su conto corretto o sul libretto postale dopo la morte del titolare della prestazione pensionistica, gli eredi devono darne comunicazione alla posta o alla banca titolare del conto. Saranno gli stessi eredi a restituirla all’Inps. A tal proposito, specifica il comma 304, l’obbligo di restituzione sussiste nei limiti della disponibilità esistente sul conto corrente. Inoltre, la banca o la posta non può utilizzare gli importi accreditati e non dovuti per l’estinzione dei propri crediti.

Reintegro a favore dell’Inps per somme ricevute o a disposizione nel caso di morte del pensionato

Sempre secondo quanto prevede la legge di Stabilità 2015 al comma 304, nei casi in cui nei periodi precedenti i soggetti abbiano ricevuto direttamente le prestazioni in contanti per delega sono obbligati a reintegrare le somme a favore dell’Inps. Lo stesso obbligo sussiste quando gli stessi soggetti abbiano avuto disponibilità sul conto corrente postale o bancario, o ancora abbiano svolto o autorizzato operazioni di pagamento con addebito sul conto corrente del disponente. L’istituto bancario o postale che rifiutino la richiesta di reintegro per impossibilità sopravvenuta o per qualunque altro motivo sono tenuti a darne comunicazione all’Inps. Nella comunicazione devono essere rese note le generalità del destinatario o del disponente e l’eventuale nuovo titolare del conto corrente.

Indennità di accompagnamento e pensione dopo la morte dell’avente diritto

Diverse è il caso delle indennità di accompagnamento post morte. Può accadere, infatti, che un familiare muoia prima di aver potuto incassare una pensione o una prestazione di assistenza, quale può essere l’accompagnamento. In questo caso, gli eredi hanno diritto a fare richiesta degli arretrati non riscossi, anche se non sono beneficiari di reversibilità. La legge sancisce, infatti, che gli arretrati spettanti al defunto, senza tener conto del tipo di prestazione, debbano essere liquidati dall’Istituto previdenziale agli eredi. La liquidazione avviene in proporzione alla quota di eredita spettante da ciascuno.

Come vengono pagati gli arretrati non riscossi per assegno di accompagnamento agli eredi?

In merito, la legge prevede che siano tutti gli eredi a percepire le indennità di accompagnamento eventualmente non riscosse dall’avente diritto e non solo da chi si sia fatto carico dell’assistenza dell’invalido. Gli eredi dell’invalido hanno diritto, pertanto, alle quote della pensione di invalidità e delle indennità di accompagnamento maturate dalla presentazione della domanda fino al giorno della morte dell’invalido. Sempre che la morte sia sopraggiunta in epoca anteriore all’accertamento dell’inabilità effettuata dalla commissione provinciale di competenza.

Lavorare dopo la pensione: è possibile? Alcune precisazioni.

Lavorare dopo la pensione o se sia vietato è una domanda che spesso capita di fare. Essendo il sistema pensionistico vario ed eterogeneo, non esiste una risposta univoca.

Lavorare dopo la pensione: è possibile e quali lavori fare?

Molti sognano la tanto agoniata pensione per potersi riposare un pò. O magari qualcuno pensa di poter comunciare a viaggiare ed andare lontano. Altri invece non la pensano per nulla così. Nasce così la classica domanda: si può lavorare dopo  la pensione? Si può lavorare dopo la pensione, ma ci sono dei limiti da dover rispettare e delle precisazioni da fare. Essendo che vi sono diversi trattamenti contributivi, viene da se che ci sono diverse limitazioni.A questo punto è bene capire per singoli casi, se si può o non si può andare a lavorare dopo la pensione. Anche se nella maggior parte dei trattamenti pensionistici sono previsti alcuni lavori possibili. Tra questi rientrano:

  • prestazione occasionale;
  • part-time;
  • lavori a termine;
  • cariche pubbliche elettive;
  • attività d’impresa.

Lavorare dopo la pensione: è possibile con quella anticipata contributiva?

Dal 2009 non esiste alcun vincolo cumulativo tra il reddito derivante dalla pensione e quello proveniente da attività lavorativa. Questo principio vale solo per i trattamenti previdenziali diretti. In altre parole rientrano in questa categoria la pensione anticipata di vecchiaia e quella contributiva. Se il contribuente-pensionato gode di questo regime, ha la possibilità di lavoro, purchè sussista uno dei seguenti elementi:

  • almeno 35 anni di contributi e 61 di età;
  • ha alle spalle almeno 40 anni di contributi versati;
  • ha almeno 65 anni di età se uomo;
  • almeno 60 anni di età se donna.

Inoltre per chi va in pensione con il sistema contributivo prima dei 63 anni ed chi inizia a lavorare come dipendente, perde il diritto all’assegno previdenziale. Se invece inizia un’attività lavorativa autonoma perde il 50% del valore dell’assegno.

Cosa succede in caso di pensione di invalidità?

La pensione viene soppressa quando il lavoratore (già pensionato) riceve un guadagno che supera di tre volte l’ammontare della pensione minima, quindi superiore a 1.539 euro. Invece per chi lavora, ma non ha un reddito come dipendente inferiore a questo limite non viene soppressa. Però si applica una trattenuta del 50% sulla differenza tra l’importo lordo della prestazione e la pensione minima INPS. Invece, se il lavoro è di tipo autonomo, la ritenuta è pari al 30% calcolabile allo stesso modo. Infine se si è possessori di un assegno di invalidità, continuino a fare l’attività che facevano prima del pensionamento, perdono:

  • il 25% della pensione se il reddito è superiore a 2.052,04 euro;
  • il 505 se il reddito è inferiore a 2.565,05 euro.

Opzione donna, i limiti ed i vincoli

L’opzione donna permette alla lavoratrici di poter andare in pensione al verificarsi di alcuni requisiti:

  • per le lavoratrici autonome aver raggiunto 59 anni alla data del 31 dicembre 2019 e possedere 35 anni contributivi;
  • per le lavoratrici dipendenti aver raggiunto 58 anni alla data del 31 dicembre 2019 ed avere 35 anni di contributi  versati.

Come abbiamo detto il divieto di cumulo reddituale non interessa l’opzione donna. Per cui la pensione con questo sistema è cumulabile con redditi da lavoro. E questo consente alla lavoratrice, dopo la decorrenza del trattamento di riprendere l’attività lavorativa senza riduzioni sull’assegno. Pertanto si può tranquillamente continuare a lavorare sia nel settore privato che pubblico.

Lavorare dopo la pensione: anche in caso di vecchiaia?

Non esistono limiti di cumulo tra la pensione ed il lavoro. Pertanto, possiamo riassume così le varie pensioni:

  • ordinaria (con 67 anni di età e 20 anni di contributi) si applica il calcolo contributivo, si deve superare la soglia minima di trattamento pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale);
  • anticipata (56 anni per la donne e 61 per gli uomini) la pensione di vecchiaia è destinata a lavoratori dipendenti del settore privato con il riconoscimento di un’invalidità dell’80%;
  • contributiva (71 anni di età e 5 di contributi)
  • regime di totalizzazione con 66 anni, 20 di contributi e 18 mesi di finestra.

Cosa succede in caso di Ape sociale?

Se si è percettori di assegno relativa all’Ape sociale è possibile lavorare a patto che non vengano superati:

  • 4800 euro lordi l’anno di redditi derivanti da lavoro autonomo;
  • 8 mila euro lordi per i redditi derivanti da lavoro dipendente.

Si ricorda che l’Ape sociale è un sostegno al reddito fino all’accompagnamento all’età pensionabile. Tuttavia, l’importo si calcola sulla base del futuro trattamento pensionistico. Il limite massimo previsto è di 1500 euro lordi per 12 mensilità. E comunque Vige la tassazione ordinaria.

E’ possibile lavorare con la pensione quota 100?

Con la quota 100 viene reintrodotto il principio di divieto di cumulo nel periodo che intercorre tra la decorrenza della pensione e il raggiungimento del requisito anagrafico richiesto per la pensione di vecchiaiaQuindi l’assegno viene sospeso:

  • fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia;
  • fino al termine dell’attività lavorativa.

La sola eccezione viene fatta però per i lavori autonomi occasionali, che non comportano la sospensione, se hanno un limite massimo di ricavi pari a 5 mila euro lordi l’anno.

Si può lavorare in caso di pensione di reversibilità ed inabilità?

Anche in questo caso è possibile lavorare ma con delle riduzione. Infatti, l’assegno sarà ridotto del:

  • 25% se il reddito supera 3 volte il trattamento minimo;
  • 40% se lo supera di 4 volte;
  • 50% se lo supera di 5 volte.

Nel caso di inabilità specifica le riduzioni sono applicabili se si supera la soglia minima. In altre parole le riduzioni sono pari:

  • al 50% della quota eccedente, se il reddito percepito è di lavoro dipendente o assimilato;
  • al 30% della quota eccedente, se il reddito è di lavoro autonomo.

Solo se si tratta di inabilità da lavoro non si può lavorare in nessun caso. Non è nemmeno consentita l’iscrizione ad albi, elenchi di professionisti o affini. Diverso è quando si parta di inabilità civile. Infatti, è possibile lavorare ma con le seguenti restrizioni:

  • il reddito annuo percepito non deve superare 4923 euro;
  • occorre essere disoccupati.

Questo è possibile perchè l’invalidità civile non è da configurarsi come pensione. Ma come una prestazione di assistenza erogata per gli invalidi in caso di bisogno economico. Infine se si è possessori di un’invalidità pari al 100% si può lavorare ma senza superare 16.982,49 euro annui di reddito complessivo per il 2020. Pertanto a conclusione di può affermare che prima di tornare a lavoro è meglio calcolarne la convenienza.

 

 

Pensione, quale mi spetta se non ho versato contributi?

In un mondo in cui la pensione è un’eterna battaglia ed un’eterna incognita, andiamo a scoprire le risposte ad una delle domande più frequenti. Quale pensione spetta se non ho versato i contributi? Scopriamolo insieme in questa rapida essenziale spiegazione.

Pensione senza contributi: cosa mi spetta?

Partiamo subito col dire che non esiste pensione senza contributi. Tuttavia, in questo caso parliamo di una pensione assistenziale e non previdenziale. Un sostegno erogato dal servizio INPS.

In tal caso, di fatto, l’Inps eroga prestazioni assistenziali a chi non ha mai lavorato se vengono rispettati determinati requisiti.

Dunque, esistono delle prestazioni di assistenza che permettono di ricevere dei soldi ogni mese anche se nella vostra vita non avete mai lavorato, oppure lo avete fatto sibillinamente in nero il che, naturalmente, non sarebbe propriamente legale.

Come funziona il pensionamento senza contributi?

Coloro che al raggiungimento dell’età pensionabile (al momento ammonta all’età di 67 anni) non avrà maturato i contributi necessari all’accesso alla pensione, o quindi non ha lavorato per gli anni necessari a rispettare i requisiti previsti dalla normativa, non ha diritto ad alcun trattamento previdenziale. Quindi, non ha diritto alla comune pensione.

Tuttavia, coloro che hanno sempre lavorato in nero, oppure coloro che non hanno avuto un impiego stabile e sono riusciti a mantenersi facendo qualche lavoretto saltuario ed occasionale, se la pensione non si può ottenere senza aver versato i contributi necessari, come faranno a mantenersi una volta che diventeranno anziani? A questa domanda esistenziale e previdenziale daremo risposta.

Esistono, infatti dei trattamenti che l’INPS riconosce alle persone anziane che non hanno maturato abbastanza contributi per la pensione. Una sorta di pensione assistenziale e non previdenziale. Per ottenere la quale non occorre versare contributi. Come ad esempio, l’assegno sociale. Attualmente, nel 2021 l’importo dell’assegno sociale è di 460,28€ versato per ben 13 mensilità, corrispondenti dunque a 5,983,64€ annui. Vi sono casi, tuttavia, in cui l’importo dell’assegno sociale è soggetto ad una maggiorazione, con un valore che a seconda dei casi può raggiungere anche i 651,51 euro.

Ma vi sono anche casi in cui l’assegno sociale non spetta affatto. Il beneficio, infatti, è legato al reddito non solo del richiedente ma anche dell’eventuale coniuge. Chiariamo subito, in ogni caso, che l’assegno sociale ad importo intero spetta solo quando il richiedente ha reddito pari a zero e l’eventuale reddito del partner è nei limiti stabiliti dalla legge.

Per reddito personale fino 5.983,64 euro annui e 11.967,28 euro, se il soggetto è coniugato, spetta invece l’assegno sociale in misura parziale.

Quanti contributi occorrono per maturare la pensione?

L’età pensionabile, come detto ammonta attualmente ai 67 anni, mentre per quanto riguarda la maturazione dei contributi ne occorrono 20 di anni di attività, per potere ottenere la pensione ordinaria. Poi abbiamo la pensione anticipata, quella che non dipende dall’età di pensionamento del contribuente ma dai contributi versati in anni di lavoro. A questa forma di pensione possono accedere, infatti, solo i lavoratori che pur non avendo ancora raggiunto l’età pensionabile hanno lavorato per tanti anni. Per la pensione anticipata sono necessari 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.

Dunque, ricapitolando, andando a chiudere il quesito iniziale, se non avrete in vita vostra mai versato dei contributi non siete esattamente una botte di ferro. La pensione non è altro che un fondo dal quale attingere, dai vostri stessi versamenti, nel corso degli anni del vostro lavoro. Se non versate, non potrete attingere. Ad ogni modo, come visto vi verrà incontro un servizio assistenziale, dalla paga minima mensile, erogata dall’INPS, al compimento dei 67 anni (che un tempo era invece fissata ai 65 anni). Questa è la piaga del lavoro in nero, una piccola boccata d’ossigeno (spesso sottopagata) per costruire il presente ma che non costituisce costruzione per il futuro. In pratica non vi garantisce una vecchiaia serena, anzi quasi tutt’altro.

 

Fondo pensione: quando conviene anche per le spese sanitarie e acquisto prima casa

Aderire a un fondo pensione non è una scelta solo previdenziale. L’obiettivo principale di integrare la pensione futura che si riceverà una volta che si uscirà dal mondo del lavoro e, dunque, di mantenere un buon tenore di vita, può essere solo uno dei motivi che possono spingere i lavoratori ad aderire alla previdenza complementare. Infatti, è possibile individuare anche prestazioni non pensionistiche che integrano la prestazione finale, riconducibili a vantaggi di tipo sanitario o di acquisto della prima casa dell’iscritto o dei figli.

Fondo pensione, quanto conviene aderire alla previdenza complementare come scelta di pensione integrativa?

Uno dei motivi più ricorrenti nella scelta di un fondo pensione è quello della fiscalità vantaggiosa all’atto della pensione. Infatti, nel momento in cui matura l’accesso alla pensione, la prestazione subirà una tassazione dettata da un’aliquota più bassa rispetto ad altre formule di accumulo, come il Trattamento di fine rapporto. Nel caso del fondo pensione l’aliquota va da un massimo del 15% a un minimo del 9%: il tasso decresce di 0,3 punti percentuali per ogni anno susseguente al quindicesimo di iscrizione al fondo, con una riduzione massima di sei punti percentuali. 

Perché il fondo pensione conviene più del Trattamento di fine rapporto?

Si tratta, dunque, di un meccanismo inverso a quello del Trattamento di fine rapporto: mentre nel fondo pensione il maggior numero di anni di iscrizione determina la riduzione progressiva della fiscalità, nel caso del Tfr mantenuto in azienda l’aliquota applicata è quella corrispondente all’Irpef. E dunque, nei casi di fine carriera, di licenziamento o di dimissioni, il Tfr verrà tassato di un’aliquota maggiore che sarà anche più elevata perché negli ultimi anni della carriera lavorativa si percepiscono anche i redditi più alti. Mediamente, con il Tfr in azienda l’aliquota media applicata per gli ultimi cinque anni di attività lavorativa varia tra il 23 e il 43%.

Fondi pensione: tra le prestazioni non pensionistiche le spese sanitarie

Tra le prestazioni non pensionistiche le spese sanitarie rappresentano la soluzione a copertura di situazioni nei quali possono trovarsi sia l’iscritto che il coniuge o i figli e che necessitino di interventi sanitari o di terapie. È possibile richiedere un’anticipazione – in qualunque momento e quindi senza un numero minimo di anni di permanenza al fondo – per un importo che non può superare il 75% della posizione previdenziale maturata fino al momento della necessità sanitaria. L’importo può comprendere anche il Trattamento di fine rapporto versato al fondo. L’importo erogato sarà al netto della ritenuta a titolo definitivo del 15%, aliquota ridotta dello 0,30% per ogni anno di iscrizione al fondo a partire dal quindicesimo. La riduzione della percentuale può avvenire fino al limite del 9% per un massimo di sei punti percentuali. 

Anticipazione fondi pensione per acquisto prima casa o ristrutturazione

Un’anticipazione di quanto maturato nel fondo pensione può essere richiesto anche per l’acquisto della prima casa dell’iscritto o anche dei figli. L’importo anticipato, come per le spese sanitarie, può arrivare al 75% della posizione previdenziale maturata fino al momento della domanda. L’anticipazione può essere richiesta anche per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, per restauri o risanamenti conservativi, per ristrutturazioni edilizie. La domanda necessita l’iscrizione da almeno otto anni al fondo pensione e, sull’importo riconosciuto, viene applicata la ritenuta a titolo di imposta pari al 23%.

Come rientrare delle somme versate alla previdenza complementare e reintegro

L’anticipazione fino al 30% può essere richiesta anche per ulteriori necessità degli iscritti al fondo pensione purché siano trascorsi, come per il caso dell’acquisto della prima casa, almeno otto anni di permanenza al fondo stesso. La tassazione, anche in questo caso, è del 23% ed è applicata a titolo di imposta. L’iscritto, inoltre, ha la possibilità di reintegrare il fondo pensione delle anticipazioni godute in qualsiasi momento: i contributi annuali possono eccedere il plafond di 5.164,57 euro e le somme a reintegro sono esenti da imposta. 

Lavoratori autonomi, quando vanno in pensione?

Ogni essere umano che abbia o meno un’attività lavorativa si chiede costantemente quando potrà andare in pensione. E, quelli che non hanno un lavoro si chiedono se mai ci andranno. Ma, oggi risponderemo ad una domanda ben più specifica, quando i lavoratori autonomi vanno in pensione? Scopriamolo insieme.

Pensione per lavoratori autonomi, quando arriva?

Come detto, molti si chiedono quando arrivi il proprio momento di riposarsi, di godersi il fruttuoso lavoro di anni e anni, nella propria mite vecchiaia. O, magari in una vecchiaia più arzilla, in cui potersi godere con le ultime residue vitalità i propri risparmi. Ma, i lavoratori autonomi se lo chiedono probabilmente con qualche dubbio in più. Precisiamo dunque che i lavoratori autonomi che hanno in possesso una contribuzione accreditata presso differenti casse possono ottenere la pensione di anzianità attraverso il regime di totalizzazione, qualora avranno raggiunto complessivamente 41 anni di contributi, previa finestra di attesa, dal tempo di maturazione dei requisiti, pari a 21 mesi.

Pensione anticipata, lavoratori autonomi

Cosa accade, invece se un lavoratore autonomo volesse anticipare il proprio pensionamento, è un’altra domanda che balza alle cronache dei contribuenti. La pensione anticipata rappresenta un trattamento previdenziale che va a sostituire la normale e consona pensione di anzianità, utile a partire dalla riforma delle pensioni Monti-Fornero avvenuta nel non troppo lontano 2011. Tale trattamento può essere conseguito dai lavoratori e dalle lavoratrici senza vincoli di età anagrafica quindi accessibile prima della pensione di vecchiaia, essendo vincolata al solo possesso di determinati requisiti contributivi, quali i seguenti:

  • 41 anni e 10 mesi per le donne;
  •  42 anni e 10 mesi per gli uomini.

Questi requisiti necessari per ottenere una pensione anticipata, valgono sia per i lavoratori autonomi che per i dipendenti, privati e pubblici che essi siano.

La differenza riguarda esclusivamente il genere di appartenenza. Per cui lavoratori/lavoratrici dipendenti, autonomi/autonome, in base al proprio sesso di appartenenza, in barba ai tentativi di eguaglianza dell’era moderna, vedranno differenziare il proprio diritto. Quindi se trattasi di un lavoratore dipendente sarà necessaria la cessazione del rapporto con il datore di lavoro mentre se si tratta di un lavoratore autonomo l’interruzione dell’attività non è necessariamente richiesta.

A chi spetta la pensione anticipata?

Diciamoci la verità, la tanto agognata pensione anticipata, questa chimera dell’epica lavorativa, spetta a questi soggetti lavoratori la cui pensione è liquidata:

  • dall’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
  • dalla Gestione Separata INPS.

Nei suddetti casi, non si applica il ricalcolo contributivo, ma andrà ad applicarsi il sistema di calcolo della pensione previsto dall’ordinamento della gestione. Va inoltre evidenziato che dal 1° gennaio dell’ anno 2019 al si sarebbe dovuto applicare al requisito di contribuzione l’adeguamento alla speranza di vita, applicando ad esso un incremento di cinque mesi, ma l’articolo 15 del DL 4/2019 ha sospeso gli adeguamenti fino al futuro 31 dicembre 2026.

Tutto ciò per quanto concerne la maturazione dei requisiti. Ma, per poter poi effettivamente andare in pensione anticipata standard, i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi devono attendere la cosiddetta finestra mobile di tre mesi, attiva dalla maturazione dei requisiti. E’ in fine, necessario ed oltremodo utile ricordare che durante il periodo di differimento previsto dalle sopra citate finestre mobili si può continuare a lavorare, ma che non è obbligatorio farlo. La pensione anticipata avrà decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.

Dunque ora che avete saputo il necessario sui tempi di pensionamento, che siate lavoratori o lavoratrici autonomi/e non vi resta che mettervi a braccia conserte, con un sorriso beato, ad occhi chiusi, iniziando ad assaporare quella romantica, picaresca, gioiosità della pensione, anticipata o meno che sia. Si, ma non dimenticatevi di continuare a lavorare nell’attesa che il sogno desiderato si avveri.

Chi sono i lavoratoti autonomi iscritti all’Ago?

AGO è l’acronimo dell’Assicurazione Generale Obbligatoria. Tutte le risposte in merito all’istituto, ai lavoratori che ne fanno parte ed alla pensione di vecchiaia.

AGO: cos’è e come funziona?

L’Ago è l’Assicurazione Generale Obbligatoria. Si tratta di un istituto giuridico che prevede, per i suoi associati, forme di tutela sociale, tra cui la pensione di vecchiaia. Questo è possibile attraverso delle assicurazioni sottoscritte dagli iscritti. E’ stata istituita con Regio decreto legge n. 636 del 14 aprile 1939. Ed infine pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 105 del 3 maggio 1939 e confermata dalla Legge 6 luglio 1939, n. 1272 e dalle successive leggi di modifica ed integrazione. Lo scopo dell’Istituto è quello di garantire la pensione di vecchiaia e di invalidità ai suoi iscritti. L’AGO è obbligatoria per tutti i lavoratori dipendenti. Anche se è gestita dall’Inps, Istituto Nazionale di previdenza sociale, ma possono, se vogliono anche iscriversi i lavoratori autonomi. Di seguito, alcuni campi di applicazione, in merito alle pensioni di vecchiaia erogate.

Ma chi sono i lavoratori autonomi iscritti all’Ago?

L’Ago è prevista principalmente per i lavoratori dipendenti del settore privato, compresi elettricisti, autoferrotranvieri, telefonici, dirigenti d’azienda (EX Inpdai) che fanno riferimento al Fondo pensione lavoratori dipendenti (Fpld). Tuttavia, rientrano anche alcuni i lavoratori autonomi tra questi: artigiani, commercianti, coltivatori diretti, mezzadri e coloni. Si tratta quindi di soggetti autonomi, ma che rientrano in categorie ben definite. Inoltre all’ago è iscritta la generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato, nonché i lavoratori autonomi e professionisti “senza cassa”. Anche se tutti comunque fanno sempre e comunque capo all’INPS. Ma vediamo nel dettaglio le singole categorie di lavoratori.

Ago: cosa si intende per lavoratori dipendenti del settore privato?

Sono definiti lavoratori dipendenti tutti coloro che si impegnano, per effetto di un contratto, a prestare la propria opera intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione di un altro soggetto, detto “Datore di lavoro“. Il corrispettivo è rappresentato dallo stipendio, cioè un pagamento mensile in proporzione alle ore di lavoro prestate ed al tipo di lavoro. Il contratto di lavoro subordinato è quindi l’elemento chiave del rapporto tra i due soggetti e di conseguenza, contiene tutte le “regole del gioco” tra le parti. Ma nello specifico, l’Ago tratta i dipendenti del settore privato. In altre parole, quei lavoratori che NON sono impiegati nella pubblica amministrazione, lavori statali o affini. Quindi il settore privato è formato da tutte quelle aziende di piccole, medie e grandi dimensioni che fanno parte del nostro sistema economico.

Quali sono le caratteristiche dell’artigiano?

Altra categoria di lavoratori iscritti all’Ago è quella degli artigiani. Per artigiano si intende un lavoratore autonomo di un’impresa artigiana. Un’impresa in cui vengono svolte le attività di prestazione di servizi, facchinaggio, barbieri, tintorie, parrucchieri. Quindi possiamo definire artigiano chi svolge un’attività produttiva, ad eccezione per le attività agricole, commerciali e di intermediazione. L’artigiano è quindi un lavoratore esperto che utilizza per la sua produzione mezzi, macchinari, e materie prime per la realizzazione di determinati manufatti. Ogni artigiano è un imprenditore e che come tutti per dover operare ha bisogno di aprire una partita IVA, iscriversi al relativo albo, ed adempiere alle all’iscrizione presso l’INPS e l’INAIL.

La figura del commerciante iscritto all’Ago

Il commerciante è colui che esercita un commercio, chi si dedica ad un’attività commerciale e svolge un’attività intermediaria nella circolazione dei beni. Anche se nella gergo, quando si parla di commercianti viene sempre in mente colui che sta dietro al bancone, pronto a vendere un prodotto oppure un servizio. Ma allora qual’é la differenza con l’artigiano? Si è artigiani se si svolge un’attività manuale o professionale in modo artigianale. Ne sono esempio: idraulici, muratori, pasticcieri, meccanici. Mentre il commerciante è più legato alla figura di colui che acquista e rivende merci. Il commerciante pertanto ha si costituisce come imprenditore, proprio perché ha bisogno di una gestione più complessa della propria attività. Infine, può essere costituito sotto forma di qualsiasi tipo di società.

Le altre figure iscritte

Tra le altre figure iscritte all’Ago troviamo i coltivatori diretti. Si intende l’imprenditore agricolo, che si dedica abitualmente e manualmente alla coltivazione dei campi. Non deve per forza esserne proprietario, perché può essere affittuario, usufruttuario, enfiteuta dei terreni di cui si prendere cura. Per essere definito coltivatore diretto occorre contribuire con il proprio lavoro, o della propria famiglia, ad almeno un terzo del fabbisogno lavorativo in azienda. Ed inoltre le giornate dedicate a questo lavoro non possono essere inferiori a 104 in riferimento all’anno solare. Diversa è la figura del mezzadro. La mezzadria (da un termine derivante dal latino tardo che indica “colui che divide a metà”) è un contratto agrario d’associazione con il quale un proprietario di terreni (chiamato concedente) e un coltivatore (mezzadro), si dividono (normalmente a metà) i prodotti e gli utili di un’azienda agricola (podere). Infine, possono iscriversi all’Ago anche i coloni. Si tratta di persone che si occupano solo della cultura del fondo, più associato alla figura del contadino. L’Ago abbraccia molte categorie, ma per qunato riguarda le pensioni di vecchiaia, invalidità o affini, è gestita del’Inps.

Gestione Separata INPS: chi deve iscriversi?

Il mondo del lavoro nel tempo è stato profondamente modificato e sono emerse forme contrattuali che possono essere definite atipiche, per tutte costoro c’è comunque l’esigenza di avere una previdenza sociale. Sopperisce a tale necessità la Riforma Dini del 1995  che istituisce la Gestione Separata INPS, ma di cosa si tratta e chi deve iscriversi?

Cos’è la gestione Separata INPS?

La Gestione Separata INPS è un fondo previdenziale istituito con la Legge 335 del 1995, “Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare“, anche conosciuta come Riforma Dini. Il fondo è alimentato con i contributi versati dai lavoratori assicurati. L’obiettivo è far in modo che lavoratori non iscritti in altre casse possano comunque avere delle tutele per la vecchiaia, pensione, in caso di malattia o in maternità.

Chi deve iscriversi alla Gestione Separata INPS?

I lavoratori che hanno l’obbligo di iscriversi alla Gestione Separata INPS sono una categoria piuttosto eterogenea e le norme applicate sono diverse. Fin da ora è bene sottolineare che in alcuni casi il versamento dei contributi ricade completamente sul lavoratore, del tutto assimilato quindi a un professionista, mentre in altri casi ricade sul datore di lavoro in quanto il rapporto può essere iscritto comunque nella categoria del lavoro dipendente. Deve anche essere detto che i contributi raccolti in questo fondo sono solitamente di piccola entità, proprio per questo vi è una certa difficoltà da parte del fondo stesso ad erogare delle prestazioni sociali che possano assicurare una buona qualità della vita.

In linea generale devono iscriversi alla Gestione Separata INPS coloro che non sono iscritti in altre casse previdenziali, si tratta quindi di lavoratori autonomi, persone con contratto di collaborazione o lavoro autonomo occasionale. Possono essere tenuti all’iscrizione a tale cassa previdenziale anche i pensionati e coloro che esercitano abitualmente altre attività e occasionalmente svolgono lavoro autonomo.

Collaborazione continuata e continuativa (co.co.co)

Si è anticipato che non tutti coloro che si iscrivono alla Gestione Separata INPS sono sottoposti allo stesso trattamento, un caso particolare è quello dei co.co.co.. Le collaborazioni coordinate e continuative sono infatti assimilate a lavoro dipendente, affinché si configuri questo tipo di trattato devono però verificarsi determinate condizioni:

  •  il lavoratore decide autonomamente orari e tempi di lavoro;
  •  il committente esercita un potere di coordinamento che rappresenta comunque un limite all’autonomia del lavoratore;
  •  continuità nelle prestazioni tale da far nascere un vincolo continuativo tra le parti;
  •  retribuzione in forma periodica  prestabilita.

Come detto, la collaborazione coordinata e continuativa viene assimilata a lavoro dipendente, proprio per tale motivo gli oneri contributivi per il fondo Gestione Separata INPS devono essere versati da entrambe le parti. Le quote sono così stabilite: 2/3 a carico del committente e 1/3 a carico del lavoratore, ma sotto forma di ritenuta dal compenso, proprio per questo motivo il versamento è tutto a carico del committente in qualità di sostituto d’imposta.

Lavoratore con contratti di prestazioni occasionali e Gestione Separata INPS

Nelle collaborazioni meramente occasionali manca la coordinazione del lavoro da parte del committente. Il lavoratore che ha contratti di prestazioni occasionali nella maggior parte dei casi lavora in favore di più soggetti, in tal caso, nel momento in cui supera la soglia dei 5.000 euro annui è tenuto a comunicare a tutti i committenti il superamento della soglia. Costoro devono provvedere alla iscrizione del lavoratore alla Gestione Separata INPS e di conseguenza a versare gli importi dovuti tenendo in considerazione le aliquote stabilite con circolare INPS per l’anno in corso. Anche in questo caso la misura da applicare è di 2/3 a carico del committente, 1/3 a carico del lavoratore, ma trattenuto dal compenso.

Lavoratori autonomi

I lavoratori autonomi non iscritti ad alcuna cassa previdenziale e non ascrivibili nel campo del collaboratori coordinati e continuativi e nei contratti di prestazione occasionale devono iscriversi autonomamente alla Gestione Separata INPS. La procedura si svolge attraverso il sito dell’INPS, nella sezione “servizi per il cittadino” a cui si accede con il PIN o con lo SPID. Una volta iscritti si possono versare gli importi in relazione ai redditi da lavoro autonomo. La normativa prevede il versamento con le stesse scadenze previste per le imposte sul reddito, quindi entro il 30 giugno si versa il saldo per l’anno precedente e contestualmente si versa l’acconto per l’anno in corso, entro il 30 novembre viene invece versato il secondo acconto per l’anno in corso.

Riepilogo: chi deve iscriversi alla gestione Separata INPS?

Tra i lavoratori che devono iscriversi alla Gestione Separata, in base alle indicazioni fornite dall’INPS, ci sono :

  • gli spedizionieri doganali non dipendenti;
  • coloro che usufruiscono di borse di studio per la frequenza di dottorati di ricerca, attività di tutorato, didattiche e di recupero;
  • i medici con contratti di formazione specialistica;
  • gli amministratori locali;
  • gli associati in partecipazione;
  • i volontari del Servizio Civile Nazionale, iscrizione e contributi devono essere versati dall’ente che usufruisce del servizio;
  • collaboratori occasionali;
  • titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa ( a questi sono assimilati i venditori porta a porta).

 

Riscatto laurea: convenienza a confronto con fondo pensione

Quanto è conveniente il riscatto della laurea in vista della futura pensione e quale scelta può essere più indicata rispetto al fondo pensione per il contribuente? Per rispondere a questa domanda, soprattutto in vista di un assegno di pensione più alto o di una via più breve per arrivare alla pensione, è necessario fare una prima generale considerazione.

Ovvero, di fronte alla scelta personale di riscattare gli anni universitari, a meno che non si è certi che il riscatto presso l’Inps possa portare ad anticipare la prima data utile per il pensionamento, l’opzione del fondo pensione appare, in genere, quella più conveniente.  Vediamo perché.

Riscatto della laurea ai fini della pensione, come si può richiederlo

Rispetto al fondo pensione, il riscatto della laurea si incrementa secondo l’andamento del Prodotto interno Lordo (Pil) e i contributi sono interamente deducibili dal reddito imponibile ai fini fiscali. La prestazione che comporta il riscatto della laurea, tuttavia, è differita al momento in cui il richiedente maturerà i requisiti richiesti per andare in pensione di vecchiaia o per quella anticipata.

Per questo motivo, stabilire con un certo numero di anni di anticipo quello che sarà il beneficio una volta che si andrà in pensione risulta non sempre agevole. La determinazione di quanto verranno rivalutati i contributi versati per il calcolo della futura pensione dipenderà, infatti, da molteplici fattori. Tra questi, il coefficiente di trasformazione (al quale concorre il Prodotto interno lordo), il costo della vita e l’aspettativa di vita. In definitiva, la sopravvivenza media della popolazione.

Riscatto della laurea, quanto costa? 

Pertanto, oltre al costo previsto per il riscatto della laurea, occorrerà tener presente la rivalutazione dei contributi che diventeranno pensione e della tassazione applicata. Nel sistema contributivo, nel quale il riscatto della laurea può avvenire in maniera agevolata secondo quanto prevede il decreto numero 4 del 2019 con il pagamento di poco più di 5.000 euro per ogni anno da riscattare, occorre tener presente della tassazione finale. Ad oggi, la tassazione prevista secondo le regole dei redditi da lavoro e assimilati è pari al 23%, a esclusione della tassazione regionale e comunale.

I fondi pensione, quali regole e convenienza 

I fondi pensione presentano un primo vantaggio della deducibilità dei contributi nei limiti di 5.165 euro all’anno sul reddito imponibile. È tuttavia possibile che i contribuenti che non raggiungano questo limite possano pianificare i versamenti in modo da arrivare alla completa deducibilità fiscale. Diversamente dal riscatto della laurea, la rivalutazione dei contributi versati dipenderà dal rendimento annuo che si genera sui mercati finanziari dagli investimenti effettuati dai fondi pensione. Mediamente, il tasso di rivalutazione dei fondi pensione è superiore a quello del Prodotto interno lordo.

Fondi pensioni, i vantaggi della Rita

Inoltre, anche se la prestazione dei fondi pensione viene erogata alla maturazione della pensione di vecchiaia o anticipata, nella sostanza la norma permette al contribuente una serie di possibilità per rientrare velocemente nella disponibilità, anche in parte, delle somme versate. È il caso della Rendita integrativa anticipata temporanea (Rita), strumento che negli ultimi anni ha permesso ai contribuenti di poter ricevere anticipatamente la rendita prevista a scadenza sotto forma di pensione. La conversione dei contributi versati avviene mediante con un coefficiente stabilito dalla compagnia erogatrice della prestazione.

Fondo pensione, quale rivalutazione futura? 

La rivalutazione futura del fondo pensione è soggetta al tasso annuo di rendimento ottenuto dalla compagnia di assicurazione. Di solito, il rendimento è più alto rispetto alla rivalutazione media applicata dall’Inps. All’atto del pensionamento, la metà della prestazione può essere richiesta in pagamento sotto forma di capitale. La tassazione del fondo pensione dipende dal periodo di iscrizione prevedendo un’aliquota massima del 15%, con un minimo del 9% dopo 35 anni di iscrizione.

Esempio di convenienza del fondo pensione rispetto al riscatto della laurea

La maggiore convenienza del fondo pensione rispetto al riscatto della laurea può essere dimostrata ricorrendo a un esempio concreto. Consideriamo un lavoratore nato nel 1981, iscritto per la prima volta all’Inps nel 2008 e dunque ricadente interamente nel meccanismo previdenziale contributivo, che decida di riscattare i quattro anni di laurea ottenuta con iscrizione universitaria tra il 2000 e il 2003. Sulla base della nuova normativa previdenziale, la prima data utile per la pensione del lavoratore ricadrebbe al compimento dei 64 anni di età con la pensione anticipata del sistema contributivo. Sono necessari altresì 20 anni di contributi e una pensione futura che sia di importo di almeno 2,8 volte la pensione minima.

Quanto rendono i fondi pensione?

Con il riscatto della laurea, applicando l’agevolazione prevista dal decreto 4 del 2019 e dunque con un pagamento di poco più di 5.000 euro per ogni anno universitario da riscattare, e un pensionamento con aliquota marginale del 27%, il futuro pensionato riceverebbe un incremento netto sull’assegno di pensione pari a 949 euro. Il rendimento è ottenuto mediante un tasso annuo dell’operazione pari all’1,4%. Nel caso in cui ci si trovasse di fronte a scegliere tra il riscatto della laurea e il fondo pensione, quest’ultimo potrebbe risultare più vantaggioso per rendimento. Infatti, nell’ipotesi del lavoratore, l’incremento della prestazione al netto sarebbe di 1.111 euro, con una rivalutazione che, all’atto della pensione, risulterà più elevata rispetto a quella ottenibile dall’Inps.

Pensione ENASARCO 2021: come funziona il fondo per gli agenti di commercio?

Il fondo ENASARCO è la cassa previdenziale privata per Agenti e Rappresentanti di commercio, ma anche per promotori finanziari che eroga trattamenti pensionistici integrativi ai servizi erogati dall’INPS, dove gli agenti versano la loro contribuzione presso la gestione artigiani e commercianti.

I suddetti lavoratori autonomi sono obbligati all’iscrizione e al versamento dei contributi presso entrambi gli enti previdenziali.

Sono tenuti ad iscriversi all’Enasarco i Rappresentanti e gli Agenti di Commercio che svolgono la loro attività in Italia per conto di aziende mandatarie italiane o di ditte mandatarie straniere che hanno sede in Italia o una qualsiasi dipendenza nel territorio nazionale. Sono obbligati all’iscrizione Enasarco anche gli Agenti che lavorano all’estero per preponenti italiane o quelli che svolgono la loro attività sia in forma individuale che societaria, a prescindere dalla forma giuridica, ma che siano illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali. Da precisare che i soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali ma che non svolgono attività di agenzia, non sono obbligati all’iscrizione ad Enasarco.

Pensione Enasarco 2021: requisiti

Gli uomini possono accedere alla pensione di vecchiaia con Quota 92, età minima 67 anni e contribuzione minima di 20 anni. Le donne potranno accedervi con Quota 91, età minima 65 anni e un minimo di 20 anni di contributi. Gli agenti si trovano attualmente in un regime transitorio che porterà alla parità dei requisiti pensionistici uomo/donna nel 2024.

Rappresentanti e agenti di commercio (uomo/donna) possono accedere anche alla pensione anticipata Enasarco di uno o due anni, al compimento del 65° anno d’età. In questo caso, l’importo dell’assegno pensionistico sarà ridotto del 5% per ogni anno anticipato rispetto all’età anagrafica richiesta per la pensione di vecchiaia. L’anzianità contributiva minima deve essere di 20 anni, quindi Quota 90. La domanda di pensione va inoltrata sul sito Enasarco.

Enasarco: le altre pensioni

Pensione di invalidità: l’accesso è consentito a coloro che hanno riportato un’invalidità a causa di infermità o difetto fisico o mentale, sopraggiunta o aggravatosi dopo l’iscrizione al Fondo, almeno del 67% della capacità lavorativa nell’attività d’agente effettivamente esercitata. Altro requisito necessario: aver maturato almeno cinque anni di contributi obbligatori, di cui almeno tre nei cinque anni precedenti la presentazione della domanda.

Pensione di inabilità: si può chiedere nel caso di una sopraggiunta assoluta e permanente incapacità nell’esercizio di qualsiasi attività lavorativa a causa di infermità, difetto fisico o mentale. Sono necessari cinque anni di anzianità contributiva obbligatoria, di cui un anno (non richiesto per inabilità sopraggiunta per aggravamento dello stato di salute del pensionato di invalidità) nei cinque precedenti la presentazione della domanda.

Pensione ai superstiti: le pensioni Enasarco sono reversibili in favore dei superstiti dell’avente diritto già pensionato al momento della dipartita. La pensione indiretta spetta ai superstiti dell’agente non pensionato, ma solo se quest’ultimo, al momento del decesso, abbia versato almeno 20 anni di contribuzione. Oppure, almeno cinque anni di cui uno nel quinquennio precedente la morte. I superstiti dell’agente in possesso dei requisiti possono chiedere il riconoscimento della rendita contributiva (decorrenza dal 2024) che prevede la riduzione del 2% per gli anni mancanti di anzianità contributiva.

Supplemento di pensione

Il fondo Enasarco consente l’accesso a un supplemento di pensione a coloro che hanno già acquisito le pensioni di invalidità, di inabilità; ai titolari di pensione ai superstiti reversibile o indiretta; ai titolari di rendita contributiva. E’ necessario avere almeno 72 anni d’età (esclusi i pensionati d’inabilità e i superstiti) ed essere pensionato da cinque anni o aver ricevuto la liquidazione del precedente supplemento da almeno cinque anni.

Rendita previdenziale integrativa

I lavoratori iscritti ad Enasarco non possono cumulare i contributi versati al Fondo con altra contribuzione versata presso altre forme della previdenza obbligatoria. La ricongiunzione dei contributi non è possibile in quanto le prestazioni erogate dall’Enasarco hanno natura integrativa e non sostitutiva dell’assicurazione generale.

Gli agenti già titolari di una prestazione a carico dell’AGO o dei fondi ad essa sostitutivi od esclusivi non possono chiedere una prestazione supplementare Enasarco, se non possiedono almeno 20 anni di contributi.

Per ovviare alle suddette limitazioni, l’Enasarco ha adottato la rendita previdenziale integrativa. Essa spetta agli iscritti che abbiano versato cinque anni di contributi e almeno 67 anni d’età. L’importo dell’assegno è calcolato in base alla contribuzione effettivamente versata con riduzione del 2% per ogni anno mancante al raggiungimento di Quota 92. La rendita è reversibile, quindi il coniuge sopravvissuto potrà avere una quota del contributo.