Fattura falsa: quali rischi nell’emetterla?

E’ sempre un tempo di dubbi e rischi nelle attività commerciali ed è sempre vivo il dubbio nel corretto utilizzo della fatturazione. Oggi, andiamo a scoprire quindi cosa accade in caso di emissione di fattura falsa, quali rischi si possono incorrere.

Fattura falsa: cosa accade quando è emessa

Non tutti hanno chiara l’ idea di cosa sia una fattura falsa e cosa si rischia nel fare emissione di un documento fiscale a fronte di un’operazione che non esiste. Il motivo di base di emettere fatture false consiste nel poter scaricare dalle tasse dei costi mai sostenuti o giustificare un finanziamento ricevuto da qualche ente pubblico. Ma cosa si rischia?

A chiarire alcune questioni in merito, per quanti non conoscessero la legge fiscale, è stata la giurisprudenza e, in particolare, la Cassazione. Andiamo a vedere, cosa ci dice a riguardo.

Recentemente, la Cassazione ha, di fatto, spiegato cosa si rischia nell’emettere fatture false pure nel caso in cui colui che emette non consegue nessun utile. Cerchiamo allora di fare il punto della situazione per mettere in guardia chi dovesse compiere qualcosa di simile.

Si incorre nel reato, ad emettere fattura falsa?

Non tutti sono a conoscenza che non sempre l’evasione fiscale è un reato. Esso lo diventa solo se si superano determinate soglie di denaro sottratto all’Erario. Parliamo di soglie che possono variare a in base al tributo. Come si può andare nel penale per l’omesso versamento di Iva, quando non si dichiarano almeno 150mila euro in un anno mentre, per l’omesso versamento delle ritenute, si rischia perfino il carcere per somme da 100mila euro a salire. Per coloro che invece non presentano la dichiarazione dei redditi, scatta un reato perseguibile da 50mila euro in su.

Tuttavia, ciò non significa che chi non raggiunge tali tetti limite non venga punito. Anzi, costui riceverà comunque delle sanzioni tributarie e, qualora non le pagasse, si palesa la cartella esattoriale e il pignoramento dei beni. Tuttavia non si incorre nel reato penale che possa fare testo sulla fedina penale.

Per quanto concerne, in questo caso il problema dell’emissione di fatture false, le cose cambiano. Qui, infatti, non sono previste soglie minime che fanno da “salvagente” per non costituire il reato. In buona sostanza, l’illecito penale scatta già a partire da una singola operazione inesistente, pur essa dal valore modesto.

Sarà, dunque sufficiente che il soggetto che emette fattura falsa, agisca con l’intenzione di consentire ad un terzo di evadere le imposte, risultando del tutto irrilevante se quest’ultimo effettivamente consegua o tenti di conseguire l’indebito rimborso.

Cosa si rischia con una fattura falsa?

Per andarla a fare breve, senza troppi giri a largo, per chi compie reato di emissione di fatture false il rischio è quello della reclusione da 18 mesi a 6 anni.

La consumazione del reato, in tal caso, coincide con l’emissione o il rilascio del primo documento in ordine temporale, mentre il termine di prescrizione, invece, decorre al momento dall’emissione dell’ultimo documento.

Il dipendente di un’azienda che emette fatture false, utilizzate a scopo di truffa rischia di dover rispondere di concorso nel reato, a nulla rilevando la possibile difesa che eccepisce l’assenza del dolo specifico o la semplice esecuzione di ordini provenienti dal proprio datore di lavoro senza alcun intento evasivo. Quindi, nulla di buono, anche per il dipendente.

La condanna al reato vale anche per chi non trae vantaggio?

Fatto il reato trovata la condanna, ma quale è quella che andrà a punire colui che emette fatture false, è la domanda che ogni birbantello potrebbe porsi. Come detto sopra si rischiano guai seri. Ma tale rischio riguarda anche chi non trae profitto economico, oppure no? Stando a quanto rivela la Cassazione, la condanna la si rischia per fatture false o per chi emette documenti fittizi anche senza trarne un vantaggio economico.

Anche perché le operazioni di emissione di fatture inesistenti (o false) vedranno inevitabilmente coinvolti due soggetti, ovvero una ditta che emette le fatture e una ditta che le utilizza, quindi traendone vantaggio portandole in detrazione, inserendole nella propria contabilità.

Dunque, adesso che è tutto più chiaro, non resta che assicurarvi di emettere regolari fatture, non facendovi tentare o distrarre da eventuali emissioni di fatture false e vivrete serenamente. Così facendo, non correrete seri.

Leggi anche: Fattura elettronica errata: guida alle soluzione per gli errori più comuni

Lavoratori autonomi, quando vanno in pensione?

Ogni essere umano che abbia o meno un’attività lavorativa si chiede costantemente quando potrà andare in pensione. E, quelli che non hanno un lavoro si chiedono se mai ci andranno. Ma, oggi risponderemo ad una domanda ben più specifica, quando i lavoratori autonomi vanno in pensione? Scopriamolo insieme.

Pensione per lavoratori autonomi, quando arriva?

Come detto, molti si chiedono quando arrivi il proprio momento di riposarsi, di godersi il fruttuoso lavoro di anni e anni, nella propria mite vecchiaia. O, magari in una vecchiaia più arzilla, in cui potersi godere con le ultime residue vitalità i propri risparmi. Ma, i lavoratori autonomi se lo chiedono probabilmente con qualche dubbio in più. Precisiamo dunque che i lavoratori autonomi che hanno in possesso una contribuzione accreditata presso differenti casse possono ottenere la pensione di anzianità attraverso il regime di totalizzazione, qualora avranno raggiunto complessivamente 41 anni di contributi, previa finestra di attesa, dal tempo di maturazione dei requisiti, pari a 21 mesi.

Pensione anticipata, lavoratori autonomi

Cosa accade, invece se un lavoratore autonomo volesse anticipare il proprio pensionamento, è un’altra domanda che balza alle cronache dei contribuenti. La pensione anticipata rappresenta un trattamento previdenziale che va a sostituire la normale e consona pensione di anzianità, utile a partire dalla riforma delle pensioni Monti-Fornero avvenuta nel non troppo lontano 2011. Tale trattamento può essere conseguito dai lavoratori e dalle lavoratrici senza vincoli di età anagrafica quindi accessibile prima della pensione di vecchiaia, essendo vincolata al solo possesso di determinati requisiti contributivi, quali i seguenti:

  • 41 anni e 10 mesi per le donne;
  •  42 anni e 10 mesi per gli uomini.

Questi requisiti necessari per ottenere una pensione anticipata, valgono sia per i lavoratori autonomi che per i dipendenti, privati e pubblici che essi siano.

La differenza riguarda esclusivamente il genere di appartenenza. Per cui lavoratori/lavoratrici dipendenti, autonomi/autonome, in base al proprio sesso di appartenenza, in barba ai tentativi di eguaglianza dell’era moderna, vedranno differenziare il proprio diritto. Quindi se trattasi di un lavoratore dipendente sarà necessaria la cessazione del rapporto con il datore di lavoro mentre se si tratta di un lavoratore autonomo l’interruzione dell’attività non è necessariamente richiesta.

A chi spetta la pensione anticipata?

Diciamoci la verità, la tanto agognata pensione anticipata, questa chimera dell’epica lavorativa, spetta a questi soggetti lavoratori la cui pensione è liquidata:

  • dall’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
  • dalla Gestione Separata INPS.

Nei suddetti casi, non si applica il ricalcolo contributivo, ma andrà ad applicarsi il sistema di calcolo della pensione previsto dall’ordinamento della gestione. Va inoltre evidenziato che dal 1° gennaio dell’ anno 2019 al si sarebbe dovuto applicare al requisito di contribuzione l’adeguamento alla speranza di vita, applicando ad esso un incremento di cinque mesi, ma l’articolo 15 del DL 4/2019 ha sospeso gli adeguamenti fino al futuro 31 dicembre 2026.

Tutto ciò per quanto concerne la maturazione dei requisiti. Ma, per poter poi effettivamente andare in pensione anticipata standard, i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi devono attendere la cosiddetta finestra mobile di tre mesi, attiva dalla maturazione dei requisiti. E’ in fine, necessario ed oltremodo utile ricordare che durante il periodo di differimento previsto dalle sopra citate finestre mobili si può continuare a lavorare, ma che non è obbligatorio farlo. La pensione anticipata avrà decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda.

Dunque ora che avete saputo il necessario sui tempi di pensionamento, che siate lavoratori o lavoratrici autonomi/e non vi resta che mettervi a braccia conserte, con un sorriso beato, ad occhi chiusi, iniziando ad assaporare quella romantica, picaresca, gioiosità della pensione, anticipata o meno che sia. Si, ma non dimenticatevi di continuare a lavorare nell’attesa che il sogno desiderato si avveri.

DURC, ecco come scaricarlo dal sito dell’INPS

Oggi entreremo nel mondo del DURC, alla scoperta di cosa esso sia e come scaricarlo dal sito dell’INPS. Un rapido e sensazionale viaggio per comprendere se siete soggetti tenuti a richiederlo e come svolgere la procedura di verifica di regolarità.

DURC, cosa è e a cosa serve

Innanzitutto, è bene sapere che con DURC si intende un Documento Unico di Regolarità Contributiva, ottenibile previa richiesta nel portale dell’ INPS o dell’ INAIL. In pratica, parliamo di un certificato che attesta la regolarità del soggetto che ne fa richiesta nei confronti di Inps, Inail o le casse edili, qualora si trattasse di aziende che applichino i contratti dell’edilizia. Il DURC è quindi una dichiarazione di conformità riguardo a obblighi contrattuali come quelli dei contributi e della previdenza.

La richiesta di tale documento è fatta per lavorare con la pubblica amministrazione, in taluni casi anche in ambito privato. I casi più specifici in cui è strettamente necessario ottenere il DURC sono i seguenti:

  • Partecipare a gare per aggiudicarsi appalti pubblici
  • Per poter godere di subappalti nel settore pubblico
  • Per ottenere il rilascio delle attestazioni SOA
  • Per lavori in ambito privato che sono sottoposti a concessione edilizia o a DIA
  • Per potere erogare sussidi e sovvenzioni.

Sarà, pertanto effettuare verifica di regolarità, quindi richiedere il DURC, per i sopra elencati casi. Inoltre, hanno possibilità di effettuare la verifica di regolarità le imprese, i lavoratori autonomi e sue eventuale propria delega chiunque abbia interesse nel farlo, ma anche altri enti, come ad esempio le banche e gli intermediari delegati dal soggetto titolare del credito. Tale verifica di regolarità sarà svolta nei confronti di coloro ai quali è richiesto il possesso del Durc, cioè il datore di lavoro, in relazione a tutti i rapporti di lavoro, sia subordinato che autonomo.

Come scaricare il DURC da INPS o INAIL

Dal 2015 è possibile effettuare la verifica della regolarità contributiva esclusivamente online. Si otterrà un esito immediato, sia esso negativo che positivo. Qualora la verifica ha esito positivo viene generato il Durc online che avrà validità di 120 giorni dal momento in cui lo si richiede. Se invece si avrà esito negativo, gli enti preposti trasmetteranno via Pec all’interessato la notifica a mettersi in regola entro un tempo massimo di 15 giorni.

Come detto, è possibile effettuare tale richiesta del DURC sia tramite portale INPS che attraverso il sito INAIL. Al momento dell’ accesso bisognerà registrare un indirizzo Pec, col quale successivamente sarà notificato l’esito. Al termine della suddetta verifica verrà prodotto un documento in Pdf, il quale riporterà alcuni dati essenziali. Trattasi dei dati del soggetto su cui si è stata effettuata la verifica, ovvero denominazione o ragione sociale, la sede legale, il suo codice fiscale ed anche l’iscrizione a Inps, Inail o Casse.

Sarà inoltre, tra i dati, riportata la dichiarazione di regolarità vera e propria ed il numero identificativo, con anche la data di scadenza del documento appena rilasciato in Pdf.

Vediamo, rapidamente, i passaggi per il DURC sul sito INPS e INAIL

Come abbiamo poco sopra detto, è possibile richiedere il Durc online attraverso i servizi Inps Online, accedendo al sito dell’Istituto previdenziale. In questo caso una volta acceduto alla home page del portale Inps si dovrà fare clic su Prestazioni e servizi, successivamente sulla dicitura Durc online. Quindi, a tal punto di dovrà solo scegliere il profilo corrispondente, se si è utenti con Pin code o se Stazioni appaltanti o Soa.

Cambia poco, nel caso del sito Inail. Una volta nel sito, dalla home page si dovrà fare clic su “Servizi per te” nel menù principale. A quel punto si deve selezionare “Datore di lavoro” e nel menù a tendina “Gestione azienda”. Tra le numerose caselle che appariranno troveremo anche “Durc online – Verifica la regolarità contributiva”. Quindi avrete la schermata di login.

Ma cosa accade qualora vi fosse esito negativo nella verifica di regolarità?

Qualora dovreste avere un esito negativo, il documento risultante dalla procedura sarà reso disponibile entro trenta giorni dalla prima interrogazione ai soggetti che hanno svolto la procedura di richiesta. Nel caso in questione, il documento prodotto al termine della procedura di verifica avrà riportato indicati tutti gli importi che risultano essere a debito e avrà cura di specificare anche tutti i relativi motivi di irregolarità riscontrati.

Dunque, questo è tutto quanto era necessario sapere sulla richiesta e la verifica per poter scaricare il DURC online, non vi resta che procedere.

Sono protestato, posso aprire partita Iva?

E’ una annosa questione quella che andremo a sviscerare in questo essenziale articolo. Molti si chiedono se posso aprire una partita iVA, essendo protestato. Quindi, come rimettersi in sesto con una nuova attività. Scopriamolo assieme.

Come avviare nuova attività se si è protestati

Partiamo col dire che nel momento in cui si decide di avviare una nuova attività, si deve prestare una adeguata attenzione ad eventuali debiti pregressi accumulati o vi siano state precedentemente situazioni di insolvenze e mancati pagamenti di cui abbiamolasciato traccia nei registri pubblici.

E’ ad ogni modo possibile avviare l’attività, ma sarà bene prestare attenzione a seconda che ci si trovi in una delle seguenti situazioni: cattivi pagatori o protestati o se si è stati dichiarati falliti. 

Andiamo a vedere, però nel caso specifico cosa accade nel caso in cui si è protestati

Come si finisce per essere “protestato”?

Innanzitutto, dunque, chiariamo cosa si intende per “protestato” e come lo si diventa.

La condizione di protestato potremmo definirla più grave di quella di un “cattivo pagatore”, sebbene le due condizioni non siano necessariamente separate. Quindi, specifichiamo che si diventa protestati in determinate occasioni:

  • Quando non si è stati in grado di onorare un pagamento sotto forma di titolo di credito.
  • Quando viene emesso un assegno o una cambiale a favore di un terzo, al momento della scadenza il terzo presenta il titolo per incassarlo. Qualora il pagamento dovesse essere rifiutato, il creditore è autorizzato a procedere nei confronti del debitore con l’atto di protesto, indipendentemente dal motivo per il quale il pagamento è stato rifiutato

Sostanzialmente, con l’atto di protesto si intende un atto pubblico, ed esso comporta lo stesso valore di un decreto ingiuntivo. Tale atto viene registrato nel registro informatico dei protesti alla Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura.

E’ possibile cancellare un atto di protesto? E in che modo?

Sarà possibile eliminare un protesto nel caso in cui l’iscrizione è illegittima o sia conseguenza di un errore o se si è ottenuta la riabilitazione dal giudice.

Come fare richiesta di annullamento è presto detto. La tale domanda si deve presentare presso il Registro informatico della Camera di Commercio allegando, a differenza dei vari casi le seguenti informazioni:

  • Decreto di riabilitazione, copia conforme all’originale rilasciato dal Tribunale, nel caso di assegno protestato poi onorato con conseguente richiesta di decreto di riabilitazione;
  • Documentazione che comprovi l’erroneità o l’illegittimità, nel caso di un protesto illegittimo;
  • La ricevuta del pagamento effettuato per la cambiale protestata, nel caso in cui vi fosse in nuce una cambiale protestata o comunque altri titoli che non richiedono specificamente il decreto di riabilitazione.

Molti si chiedono se per cancellare un protesto occorre pagare qualcosa o meno. Ci sono, ma sono praticamente minimi.

I costi per la cancellazione di un protesto, potranno essere i seguenti:

  • 2 euro per la visura protesto
  • 5 euro per il costo del certificato di esistenza in vita del protesto
  • 8 euro inerenti ai diritti di segreteria
  • 16 euro di imposta di bollo
  • 16 euro di ulteriore bollo per il certificato esistenza in vita

E, dunque, in ultimo ma non ultimo veniamo alla questione più attesa per chi ha ottenuto un fastidioso protesto.

Come aprire nuova attività per protestati: Conti correnti per le aziende protestate

Diciamo che il primo fastidio per coloro che hanno ricevuto un protesto, sarà certamente con le banche. Dunque, chi è protestato e ha intenzione di aprire un nuovo conto corrente, dal primo gennaio 2020 può aprire in banca e Poste Italiane un conto corrente. Tale tipo di conto corrente offrirà un numero di operazioni sufficiente a coprire l’uso personale da parte del cliente consumatore. Una sorta di conto corrente apposito per i “protestati”. Le operazioni e i servizi che si potranno trovare inclusi nei conti correnti per le aziende protestate comprenderanno le seguenti funzioni:

  • Naturale apertura, gestione e chiusura del conto corrente;
  • Accreditamento di fondi sul conto corrente compreso accredito di stipendio e pensione);
  • prelievo di contante all’interno dell’Unione europea;
  • Possibilità di addebiti diretti, da usufruire anche online nell’ambito dell’Unione europea;
  • Ed ovviamente i bonifici.

Non sarà invece possibile emettere assegni.

Tuttavia, sarà opzionabile per la banca o per Poste italiane rifiutare la richiesta di apertura di un conto di base che comprenda i servizi elencati poco sopra, qualora il consumatore (protestato) sia già titolare in Italia di un conto corrente che gli consenta di utilizzare le operazioni e i servizi inclusi nel conto corrente di base.

Questo è quanto c’era da sapere sulla labile condizione di protestato. Come visto, nulla è perduto e per ogni protestato c’è possibilità di rinascita con una nuova attività. Non chi è protestato, ma chi si ferma è perduto.

 

Chi ha partita Iva può chiedere il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è per molti un quesito per il richiedente e gli aventi diritto. Oggi andremo a vedere se sia possibile o meno richiedere il reddito di cittadinanza per chi è possessore di Partita IVA.

Reddito di cittadinanza e partita IVA: possono coesistere?

Come detto, in questa breve ma esaustiva guida andremo a vedere una questione piuttosto frequente. C’è chi si domanda, frequentemente, se sia possibile richiedere il reddito di cittadinanza con la Partita IVA o se esso sia invece compatibile con altri strumenti di welfare, come ad esempio la Naspi. Innanzitutto, è bene fare chiarezza sulle basi della questione, partendo dal precisare cosa sia il reddito di cittadinanza.

Il reddito di cittadinanza non è altro che una forma di sostegno, per costituire un minimo reddito. Ovvero, un sussidio statale rivolto a quelle fasce economicamente deboli della popolazione. L’erogazione dello stesso avviene attraverso una card, mentre la somma assegnata a ciascun richiedente varia in base a diversi fattori, quali il numero di componenti del nucleo familiare, la presenza di figli minorenni, il possesso di beni immobiliari ed il calcolo di eventuali entrate extra, come lavori occasionali.

Reddito di cittadinanza, associato alla Naspi

Per coloro che percepiscono altre forme di sostegno, come la Naspi, è possibile accedere al reddito di cittadinanza.  La normativa tiene a specificare di fatto, la possibile compatibilità tra i due strumenti, tenendo naturalmente sempre in conto il reddito dato dall’Indennità di Disoccupazione. Quindi, anche in suddetto caso, l’erogazione del reddito di cittadinanza potrà essere in forma ridotta, in base anche all’ISEE ed alle dimensioni del proprio nucleo familiare.

Dunque, come funziona invece per chi volesse associare partita IVA e reddito di cittadinanza?

Sembrerebbe non esserci alcun divieto per i lavoratori autonomi, che possa impedir loro l’accesso al reddito di cittadinanza. Quindi, l’essere possessori di Partita IVA non costituisce, di per sé, un problema per ottenere il reddito.

La procedura per la richiedere il reddito è la seguente:

  • Qualora l’attività l’aveste iniziata a partire dal 2017, sarà necessario compilare il modello Rdc/Pdc – Com Ridotto e consegnare direttamente ad un CAF convenzionato il protocollo rilasciato dall’INPS, entro un massimo di 30 giorni, specificando annesso il Codice Fiscale del richiedente. Se la persona percepisce redditi di lavoro autonomo (sia con Partita IVA, ma anche in via occasionale), l’erogazione potrebbe avvenire, tuttavia, in misura ridotta.
  • Qualora, invece, l’apertura della Partita IVA avvenisse dopo la richiesta del reddito di cittadinanza, sarà necessario comunicare tempestivamente l’avvenuta variazione, in modo che l’INPS possa provvedere a verificare la validità effettiva dei requisiti.

E se invece volessimo aprire una partita IVA, successivamente alla percezione del reddito di cittadinanza?

Se si percepisce già il reddito di cittadinanza e si vuole approfittare di questo sostegno statale per potersi mettere in proprio, costituendo quindi lavoro autonomo, lo si può fare tranquillamente. Come detto poco sopra, di fatto, il sussidio ed eventuali redditi da lavoro autonomo sono compatibili, pur controllando i limiti delle soglie indicate. Sarà, quindi obbligatorio comunicarlo all’INPS, compreso il reddito che si percepisce, al fine di verificare se permangono le necessarie condizioni per ottenere il sussidio.

Reddito di cittadinanza e lavoro autonomo: cosa cambia?

E’ bene appurare un ultimo dato inerente alla questione. Per quanto riguarda il livello documentale e di tassazione non cambia nulla per IVA e IRPEF se il lavoratore autonomo percepisce anche il Reddito. Inoltre, a differenza dei compensi percepiti, il sussidio è al 100% esente da contributi e tasse.

All’interno della specifica categoria “lavoro autonomo” la normativa sul Reddito non vede distinzioni in caso in cui l’attività in corso o appena intrapresa sia semplicemente lavoro autonomo o una libera professione.

Dunque, questo è quanto di necessario ci fosse da sapere per quanto riguarda l’accostamento tra reddito di cittadinanza e apertura o possesso di Partita IVA.

Certificazione per compensi corrisposti a Minimi e Forfettari

Oggi andremo insieme, allegramente, a sfoderare le cose da sapere inerenti alla Certificazione Unica. Una piccola guida, insomma, utile al contribuente, per scoprire i compensi corrisposti ai contribuenti minimi e forfettari.

Certificazione unica: una guida per i minimi e forfettari

E’ il caso di ricordare che i sostituti di imposta sono tenuti a consegnare e compilare la Certificazione Unica anche ai titolari di partita IVA che si adoperano in regime forfettario e in regime dei minimi, sebbene tali redditi non siano soggetti a ritenuta d’acconto. Andiamo a vedere approfonditamente come includere nella dichiarazione le somme corrisposte in tali regimi. Innanzitutto, va chiarito che tale adempimento permette al Fisco di effettuare i relativi controlli fiscali atti anche a verificare eventuali incongruenze dei ricavi/compensi indicati nella certificazione UNICO PF.

Obbligo di CU e 770: a chi spetta

Precisiamo che nello specifico ci sono due categorie soggette ad obbligo di Certificazione Unica e di compilazione del modello 770. Ci riferiamo ai soggetti ordinari che fatturano ad un soggetto ordinario ed agli ordinari che fatturano ad un soggetto minimo. Ci sono, tuttavia, anche obblighi di Certificazione Unica, ma senza obbligo di 770. Ed è il caso dei soggetti ordinari che ricevono fattura da soggetto in regime minimo o forfettario. Ma tale situazione riguarda anche i minimi che ricevono una fattura da un minimo o forfettario. Infine, sono inclusi i forfettari che ricevono una fattura da un minimo o forfettario.

Come funziona la compilazione del CU per forfettari e minimi

Molti si chiedono come avviene la compilazione della Certificazione Unica, per forfettari e minimi. Dunque, se una Partita IVA eroga compensi ad un minimo o ad un forfettario dovrà compilare il punto 4 della Certificazione Unica, ovvero alla dicitura “ammontare lordo corrisposto” ed il punto 7 che recita “altre somme non soggette a ritenuta”.

Se un soggetto ordinario, forfettario, o minimo emette fattura ad un forfettario, non essendo quest’ultimo un sostituto d’imposta, compilerà semplicemente il quadro RS nel modello Redditi Persone fisiche. In caso contrario, invece, ove vi siano i professionisti operanti in regime dei minimi o forfettario ad erogare compensi a professionisti in regime ordinario, le regole da seguire saranno diverse a seconda dei casi.

Aggiungiamo, inoltre che i titolari di partita IVA che operano nel Regime dei minimi sono ritenuti sostituti d’imposta, diversamente dai forfettari. Tale cosa comporta l’obbligo di versare la ritenuta d’acconto entro il giorno 16 del mese seguente a quello del pagamento e di effettuare certificazione del compenso, tramite compilazione di Certificazione Unica e modello 770.

Ma quali somme vanno riportate nella Certificazione Unica?

Alla annosa e legittima domanda dei contribuenti, la risposta è semplice. Nella Certificazione Unica andrà riportato il totale dei compensi e delle eventuali provvigioni corrisposti agli autonomi nel periodo d’imposta 2019.

Pure per quanto riguarda l’eventuale rivalsa INPS del 4% andrà riportata nella Certificazione Unica, poiché contribuisce alla formazione del compenso. Il contributo integrativo, invece, relativo alle casse professionali non rientra nella formazione del compenso, pertanto non andrà riportato nella compilazione.

In ultimo, ma non ultimo sarà bene tenere a mente altri piccoli particolari. Ad esempio, nel caso in cui non vi sia obbligo di Certificazione Unica e/o del modello 770, il forfettario sarà comunque tenuto a compilare il quadro RS nel modello Redditi Persone Fisiche.

Scadenze per il CU

Ovviamente, molti si chiederanno quali sono le scadenze per inviare la Certificazione Unica e quali rischi si incorrono per errato o mancato invio dello stesso CU. Per coloro che sono soggetti obbligati alla compilazione del CU, la scadenza ultima per l’invio dello stesso, all’Agenzia delle Entrate è prevista per il 16 marzo, stessa data per la consegna al lavoratore autonomo, anche nel caso in cui si è in regime dei Minimi o in regime forfettario. Non va sottovalutato il rischio e pericolo di sanzioni.

Le sanzioni per il mancato o errato invio della CU per i contribuenti minimi è pari alla somma di 100 euro per ognuna delle Certificazioni errate, omesse o tardive.

Tuttavia, c’è un modo per sopperire all’errore. Qualora l’errore venisse corretto entro un limite di 5 giorni successivi alla scadenza, all’errata trasmissione della CU non viene applicata alcuna sanzione. Quindi, un tempo di 5 giorni per rimediare al misfatto.

Pensioni ed estratto conto contributivo: come leggerlo e verificarlo

In un mare generale di preoccupazione per i lavoratori e per coloro che presto dovranno accedere alla pensione, andiamo a scoprire, per questi ultimi cosa vuol dire quando ci sono contributi da verificare. Una rapida guida per capire come leggere l’estratto conto contributivo, prima di accedere alla desiderata pensione.

Cos’è l’estratto conto contributivo

Prima di accingerci ad un essenziale guida sul controllo del suddetto, partiamo col dire che, quando parliamo di estratto conto contributivo parliamo di un documento che viene inviato dall’Inps ai lavoratori, periodicamente, tenendoli aggiornati sulla propria storia assicurativa e contributiva. Consultando l’estratto il lavoratore potrà verificare la presenza di tutti i contributi versati autonomamente o versati dai propri datori di lavoro, per poter segnalare per tempo eventuali errori o inesattezze. Quindi un quadro utile per la propria posizione previdenziale.

Come leggere e verificare l’estratto conto

In linea di massima, la lettura dell’estratto conto non risulta molto difficile, in quanto i dati sono esposti in maniera abbastanza comprensibile per la lettura finale dell’utente. Tuttavia è importante avere chiari alcuni parametri. Vediamo dunque quali sono le principali voci dell’estratto conto e quali sono i principali punti da tenere sotto osservazione.

In alto a destra, nell’estratto conto, troviamo i dati anagrafici dell’interessato, mentre troveremo inseriti nella tabella i dati relativi ai versamenti previdenziali. Troveremo anche un campo relativo al Periodo di riferimento. Inoltre, un campo in cui è indicata la tipologia di contribuzione. Ed un altro campo in cui sono individuati i Contributi utili che saranno annoverati in giorni, mesi o settimane.

Inoltre, vi troveremo la retribuzione o reddito percepito durante il periodo di riferimento ed anche l’azienda presso cui il lavoratore ha prestato servizio e le eventuali Note che vengono poi riepilogate alla fine dell’estratto. Insomma, un quadro completo.

Ma, a cosa serve verificare l’estratto conto?

Controllare l’estratto conto è decisamente importante, poiché per poter accedere alla pensione bisogna aver versato un certo numero di contributi che sono espressi in giorni, settimane, mesi o anni, in base al tipo di lavoro svolto dal richiedente. E permette, quindi, all’iscritto di verificare se il datore di lavoro ha provveduto o meno al versamento dei contributi. Nel caso in cui vengano riscontrate delle anomalie è possibile inoltrare una segnalazione utilizzando la procedura attivabile dal percorso sul sito dell’INPS. Accedendo ai Servizi online quindi cliccando sui Servizi per il cittadino, poi inserendo codice identificativo PIN e accedendo al Fascicolo Previdenziale del Cittadino dal menu a sinistra, quindi andando su Posizione Assicurativa e andando nella sezione Segnalazioni contributive.

Tipo di contribuzione e numero dei contributi utili

Nel campo in cui troverete la dicitura “Tipo di contribuzione” nell’estratto conto, sarà descritta in chiaro il tipo di attività o il tipo di evento che ha dato luogo alla registrazione della contribuzione. Mentre, per quanto riguarda il Numero dei contributi utili per il diritto alla pensione si fa riferimento al valore centrale dell’estratto conto, rappresentante il numero delle giornate o delle settimane o dei mesi (indicazione specificata prima del numero di riferimento) compresi nel periodo in questione. La contribuzione la troveremo espressa in un periodo settimanale per quanto riguarda la generalità dei lavoratori dipendenti, in mesi per quanto concerne i periodi di lavoro autonomo ed in giorni per coloro iscritti nel fondo spettacolo o per i professionisti del settore dello sport.

Retribuzione e reddito da verificare

Andiamo, in ultimo a controllare come verificare il calcolo della retribuzione e del reddito nell’estratto conto. Con le voci apposite potremmo verificare la retribuzione percepita dai lavoratori per i periodi di lavoro svolto in qualità di dipendenti o il reddito percepito dal titolare d’impresa, ovvero commercianti e artigiani. Od anche il reddito percepito dagli iscritti alla gestione separata. Il parametro del reddito è importante per verificare innanzitutto il rispetto del minimale contributivo nel periodo di riferimento. Non a caso, se la retribuzione o il reddito percepito risultasse inferiore al minimo previsto dalla legge per l’accredito di un anno intero di versamenti, i contributi riportati in tale periodo dovranno essere rapportati alla retribuzione percepita effettivamente.

Dunque, potremmo dire che questo era quanto di più necessario da sapere per poter verificare i contributi e la funzionalità dell’estratto conto per poter accedere alla pensione. Ora, non vi resta che prepararvi a godere la tanto agognata meta pensionistica, con i conti alla mano.

Pensione: come si calcolano le settimane di contributi INPS?

Nel grande ballo delle pensioni e dei lavori sempre più altalenanti, molti si chiedono come calcolare i contributi INPS e capre il futuro che li attende. Andiamo, quindi oggi a scoprire come si calcolano le settimane di contributi INPS.

Il calcolo dei contributi INPS: una nuova frontiera della pensione

Cominciamo con riassumere in breve il quadro della situazione. Va ricordato che di recente, la legge sulla Quota 100 ha riportato inevitabilmente il tema delle pensioni al centro del dibattito pubblico. La legislazione sull’accesso al pensionamento è cambiata, di fatto, nel corso degli anni per poter affrontare le esigenze della riduzione della spesa pubblica e del cosiddetto debito pubblico. Ciò non ha fatto altro che comportarevisto sia l’allungamento del periodo lavorativo utile ad accedere al pensionamento e sia la possibilità di ridursi l’assegno pensionistico, per via dell’introduzione del metodo di calcolo contributivo.

Quindi qualvolta arriva una legge nuova sulle pensioni, il dipendente finisce per affannarsi di dover capire quando potrà finalmente conquistare la tanto attesa pensione. Molto spesso si fa riferimento al concetto di settimana contributiva. Quindi sarà utile conoscere, per i lavoratori come si calcolano le settimane contributive Inps.

Come calcolare le settimane contributive INPS

Sostanzialmente il calcolo delle settimane contributive Inps potrebbe apparire come un qualcosa di banale e di scontato, però non è così semplice come si potrebbe a primo impatto pensare. Per fare suddetto calcolo, di fatto bisogna verificare quando un dipendente può andare in pensione, oppure la possibilità di prendere un sussidio fondamentale per chi perde il lavoro come la Naspi. Facendo fronte alla lontana legge varata nel 2012, dalla cosiddetta forma Monti-Fornero, è previsto che tale pensionamento sia possibile solo se si raggiunge una soglia minima.

Quindi, facendo riferimento al calcolo dell’assegno, la suddetta riforma prevede che la cifra accreditata mensilmente dall’Inps sia calcolata sulla base dei contributi effettivamente versati da quel dipendente. Un calcolo che viene definito metodo contributivo pro rata. Più recentemente, l’attuale governo ha varato, invece, una riforma parziale delle pensioni, ossia la cosiddetta Quota 100. Ovvero, per farla breve si potrà andare in pensione quando la somma di anni di età e anni di contributi farà 100.

Ma quindi come calcolare praticamente le settimane contributive INPS

Va presto detto che, al momento del pensionamento, l’intera somma versata dal dipendente all’Inps nel periodo della sua vita lavorativa viene tramutata in un assegno mensile, sulla base di un calcolo matematico eseguito apportando un coefficiente dipeso da diversi fattori, tra cui l’età del dipendente e le sue aspettative di vita. Coefficient che verranno adeguati e modificati ogni tre anni, in seguito ai cambiamenti delle aspettative di vita mede.

Detto ciò, per poter calcolare il numero di settimane contributive che sono state pagate prima del 1995 (ovvero la data in cui è stata varata la riforma del metodo di calcolo contributivo) e quante dopo, è importane perché da ciò deriva anche quanto sarà pesante l’assegno pensionistico che verrà riconosciuto dall’Inps. Dunque sarà necessario il calcolo dell’anzianità contributiva, utile a stabilire se si ha diritto ad accedere alla pensione o ad ulteriori provvidenze pubbliche, attraverso l’ammontare delle prestazioni pensionistiche stesse.

Andando a fare un piccolo esempio, oggi per accedere alla pensione di vecchiaia, bisogna considerare che saranno necessari perlomeno 20 anni di contributi ed un’età anagrafica di 67 anni. Facendo riferimento ad altre situazioni sarà necessario, invece, il solo requisito contributivo senza una minima età anagrafica. Come nel caso della pensione anticipata erogabile quando si è maturata una certa anzianità di periodo contributivo, senza tener conto dell’età anagrafica.

La cosiddetta anzianità contributiva viene determinata, dunque, per la generalità dei lavoratori dipendenti in settimane contributive. Ovvero, in un numero di 52 settimane annuali. Ciò sta a voler dire che per ogni anno di lavoro del dipendente e di relativi contributi versati all’Inps, dovranno essere conteggiate 52 settimane contributive. Quindi, qualora occorrano 40 anni di contributi, bisognerà calcolare i 40 anni di contributi per le settimane annuali, ovvero 40×52 settimane. Avremo, quindi un totale di 2080 settimane contributive accreditate presso l’Inps.

Il Naspi e le settimane contributive

Ovviamente, bisogna tener conto che tale calcolo delle settimane contributive sarà necessario anche per verificare altre tipologie di provvidenze INPS. Come ad esempio il Naspi, meglio noto come indennità di disoccupazione. Per poter accedere alla Naspi il lavoratore dovrà accumulare almeno 13 settimane di contribuzione contro la disoccupazione, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Le settimane contributive, peraltro vanno ad incidere anche sul periodo di durata del beneficio. La Naspi è corrisposta dall’Inps al suddetto lavoratore disoccupato previa mensile, per un numero di settimane che deve essere pari alla metà delle stesse settimane contributive presenti negli ultimi quattro anni.

Finanziamenti UE: come si scrive un progetto?

Andiamo a scoprire come si può, al giorno d’oggi, scrivere un progetto per i finanziamenti UE, in soli dieci semplici passi.

Come si scrive un progetto per finanziamenti UE

Partiamo col dire, senza voler scoraggiare nessuno, che scrivere un progetto europeo non è un’impresa semplice e leggera. Spesso si rivela piuttosto complesso comprendere come compilare il formulario in maniera corretta. I criteri di valutazione che il bando definisce ci aiutano senza dubbio ad orientarci, ma alla base dell’attività di stesura devono essere ben chiare le caratteristiche che non possono mancare per rendere il progetto funzionale e valido. Andiamo, pertanto ad analizzare dieci step per poter scrivere un progetto ed ottenere finanziamenti UE.

  • Un abstract efficace ed immediato

Molti si chiederanno cosa è un abstract. L’abstract non è altro che il biglietto da visita del progetto europeo che andremo a scrivere. Per essere ritenuto efficace ai fini della valutazione, dovrà evidenziare in maniera chiara ed immediata obiettivi generali e specifici del progetto, quindi richiamare il bando di riferimento e in ultimo ben definire quali competenze sono utili per la realizzazione delle attività.

  • Un solido partenariato

Sarà molto importante la scelta del partner o di più partner all’interno del progetto europeo. La parola d’ordine sarà, sunque “complementarietà” che dovrà assicurarci che il partenariato garantisca la copertura di tutte le competenze utili alla realizzazione del progetto.

  • Lo stato delle cose

La nascita di un progetto deve partire sempre da una necessità concreta a cui si vuole dare risposta. Occorre, dunque dimostrare di essere aggiornati sulla situazione di partenza se sullo stato attuale delle cose su cui il progetto vuole intervenire, descrivendo il problema reale che si rileva all’interno del contesto di riferimento o del gruppo specifico del target.

  • Una coerenza all’interno del progetto

Sarà bene legare ad un unico filo conduttore gli obiettivi, la strategia e l’attività del progetto europeo che si andrà a scrivere e presentare. Definendo le finalità e declinandole in obiettivo generale e obiettivi specifici.

  • Coerenza tra programma di finanziamento e progetto scritto

Gl obiettivi, l’attività e i risultati del progetto dovranno dimostrare di essere in linea con le priorità di intervento e le finalità sancite dal bando e dal programma, facendo ben chiaro riferimento all’interno del progetto che sarà proposto.

  • Un budget adeguato alla richiesta e sostenibile

Sarà necessario che il budget di un progetto europeo venga elaborato in maniera analitica e dettagliata, rendendo chiaro per ciascuna attività di progetto allocate risorse dedicate, utili a garantirne l’efficacia.

  • Misurabilità degli impatti

Sarà necessario e utile che il progetto europeo possa produrre impatti a lungo termine.

  • Un efficace piano di comunicazione

Sarà utile definire un piano di comunicazione che garantisca massima visibilità al progetto.

  • Qualità nel management

Per ottenere una buona qualità di manegement, occorre che il progetto europeo debba prevedere e definire in maniera chiara un piano di coordinamento tra partner di progetto e risorse coinvolte, di gestione amministrativa e finanziaria e quindi, una sorta di sicurezza della qualità delle attività e dei risultati.

  • Chiarezza e comprensibilità nella terminologia

In ultimo, ma non ultimo bisogna aiutare o agevolare il valutatore a comprendere chiaramente gli obiettivi, le attività e le strategie del progetto. Quindi meno tecnicismi ed una terminologia più diretta ed essenziale.

Dunque, ora che avrete assorbito questi 10 piccoli ma necessari step, potrete iniziare a scrivere il vostro progetto per finanziamenti UE, incrociare le dita e attendere che la proposta progettuale vada a buon fine.

Invitalia: cos’è e come partecipare ai bandi

Trovare fondi e capitali da investire nell’apertura di una nuova azienda o startup è sempre più complesso, ma a tal proposito si inserisce Invitalia. Scopriamo, insieme di cosa si tratta e come partecipare ai bandi per questo sistema di crescita del paese.

Invitalia: di cosa si tratta

Partiamo col dire che il principale punto focale di Invitalia è la crescita economica del “sistema Paese”. Invitalia, infatti, gestisce gli incentivi nazionali per favorire la nascita di nuove imprese e startup innovative, aiuta le aziende presenti in aree in crisi, inoltre permette alla Pubblica Amministrazione di spendere i fondi comunitari e nazionali ed è anche Centrale di Committenza e Stazione Appaltante per realizzare progetti fondamentali per il territorio nazionale. Ma, ancora a molti non è molto noto il funzionamento di tale agenzia. Negli ultimi tempi è stata di grande ausilio soprattutto nella nascita di piccole imprese, gestite soprattutto da uomini e donne di età under 35.

Che cosa fa nello specifico Invitalia

L’Agenzia Invitalia, creata per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa è una società partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia che è dedita alla crescita economica del nostro bel paese, attraverso finanziamenti a nuove imprese e all’attrazione di investimenti provenienti dall’estero. In sostanza, Invitalia si attiva nel gestire fondi nazionali che poi metterà a disposizione delle aziende che ne vogliono fare richiesta. Molto spesso si tratta di bandi appositi per la nascita di nuove aziende e per favorire la ripresa economica in zone monetariamente depresse. Tra i principali obiettivi di Invitalia c’è il sostegno all’occupazione, promozione dell’innovazione e sostegno alle piccole e medie imprese, nello specifico se gestite da uomini e donne under 35.

Come funzionano i bandi e come richiedere gli incentivi

Partiamo col dire che per poter richiedere i fondi dei suddetti bandi instaurati da Invitalia sarà necessario innanzitutto registrarsi all’area riservata “Invitalia per te”. Tale area riservata sarà utile anche per chiedere chiarimenti sulle tipologie di agevolazioni gestite dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa. Nello specifico, per ottenere gli incentivi da parte di Invitalia sarà necessario conoscere, come detto, gli appositi bandi gestiti da Invitalia. I finanziamenti messi a disposizione dai bandi, si dividono in macro-categorie realizzate appositamente per la creazione di nuove aziende o per il rafforzamento delle stesse già esistenti.

Vediamo alcuni dei principali bandi indetti da Invitalia:

  • Cultura Crea: Con questo bando, Invitalia tende a favorire la nascita e la crescita di attività imprenditoriali e no profit nel settore dell’industria culturale e turistica. Nello specifico, il bando è dedicato alle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. La sua dotazione finanziaria è pari a 114 milioni di euro
  • Nuove imprese a tasso zero: Questo bando è dedicato agli uomini e alle donne di età inferiore ai 35 anni che non riescono a trovare finanziamenti per la loro nuova attività imprenditoriale. Nello specifico, rivolto ad attività che producono beni per l’industria, artigianato, trasformazione dei prodotti agricoli o che fornisce servizi alle imprese.
  • Sistema Invitalia Startup: L’agenzia di Invitalia ha pure a disposizione una rete di incubatori, di acceleratori e di business angels che aiutano giovani talenti nel dar forma alla propria azienda. A tal proposito si pone tale bando.
  • Fondo Nazionale per l’Efficienza Nazionale. Questo incentivo è invece finalizzato alla realizzazione di interventi per migliorare l’efficienza energetica delle imprese italiane. Il fondo è rivolto a tutte le imprese, le ESCO e le Pubbliche Amministrazioni presenti sul nostro bel territorio italico. La sua copertura arriva fino ad un massimo dell’80% delle spese ammissibili. Tetto massimo di 4 milioni di euro.

Queste erano solo alcune delle tipologie di bandi, ma ce ne sono ancora altri, un po’ per tutti i gusti, che Invitalia mette a disposizione per avviare nuove attività.

Come poter partecipare ai bandi di Invitalia

Alla fine, è necessario conoscere come sarà fattibile la partecipazione ad uno dei bandi messi a disposizione da Invitalia. Come detto poco sopra, sarà necessario registrarsi all’area riservata del servizio di Invitalia. Dopodiché, attraverso la apposita area riservata sarà possibile scaricare i moduli per richiedere i fondi e inviarli direttamente all’agenzia. Inoltre, sarà possibile pure prendere partecipazione ai webinair e poter vedere le video pillole che spiegano il funzionamento delle agevolazioni. Un modo più completo per addentrarsi nel mondo e nel funzionamento di Invitalia, per una migliore riuscita della propria nascita o ripresa economica aziendale.