Ecco cosa accade alle Partite Iva che non versano i contributi all’Inps

Versare i contributi previdenziali è utile a tutti i lavoratori, sia dipendenti che autonomi. Ma se per i primi ci pensa il datore di lavoro, per i secondi occorre fare tutto da soli. I contributi servono per il futuro, per poter andare in pensione quando sarà il momento di lasciare l’attività lavorativa. Oltre che utile, versare i contributi è anche obbligatorio per legge. I contributi devono essere obbligatoriamente all’Inps, anche dal lavoratore autonomo e fin dall’avvio di una attività lavorativa. Non versarli oltre che dannoso per la pensione futura, può essere pericoloso dal punto di vista amministrativo.

I contributi previdenziali e la loro importanza

 

Trovarsi a 67 anni a provare ad andare in pensione, con la quiescenza di vecchiaia, ma verificare di non averne diritto. È ciò che spesso accade a chi non ha raggiunto il requisito minimo dei contributi da versare. Ma vale lo stesso per chi punta a prestazioni previdenziali anticipate quali la quota 100, la quota 102, la pensione anticipata ordinaria, la quota 41 e così via. In genere oltre ad una determinata età (ma a volte l’anagrafica non conta per misure di pensionamento anticipato),  è necessario raggiungere una determinata carriera contributiva. Per la pensione di vecchiaia servono 20 anni di contributi. CI sono poi 41 anni da raggiungere per la relativa quota 41, 42 anni e 10 mesi per le pensioni anticipate per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne. E poi, 38 anni per la quota 102 o la vecchia quota 100, 36 anni per i gravosi e l’ape sociale, 35 per opzione donna e lo scivolo usuranti, 15 anni per le deroghe Amato e perfino 5 anni per la pensione di vecchiaia contributiva.

Cosa succede se non si versano i contributi all’Inps

Fatta questa opportuna premessa, è evidente che versare i contributi sia assolutamente necessario. Basti pensare a chi si trova già a 67 anni di età ma senza aver completato i 20 anni di contributi. Questo lavoratore, nonostante l’età, non potrà accedere alla quiescenza. E se si tratta di un lavoratore autonomo che ha l’attività da oltre 20 anni, probabilmente dipende dal fatto che non ha provveduto, come regola vuole, a versare i contributi. Il primo effetto evidente del mancato versamento dei contributi anche se obbligatori, è il non poter andare in pensione. E non è cosa da poco già questa. La contribuzione previdenziale va interpretata come un autentico patrimonio. Ma per carenze economiche e mancanza di liquidità, spesso sono proprio i lavoratori autonomi a non adempiere questo obbligo.

Quando vanno versati i contributi dal lavoratore autonomo

I versamenti devono essere periodici, fatti cioè a cadenza trimestrale ogni anno di attività. Tutti devono versare, anche chi non è iscritto all’Inps ma ad un’altra cassa previdenziale come accade a determinati professionisti per esempio. I contributi per il lavoratore autonomo sono commisurati al reddito prodotto. E se il problema pensionistico futuro è già abbastanza rilevante, non è da meno il carattere sanzionatorio che la legge impone a chi non provvede a versare nei termini quanto dovuto.

Nel caso emergano mancanze o irregolarità nei versamenti contributivi, il lavoratore inadempiente deve versare oltre al corrispettivo dei contribuiti omessi, anche le relative sanzioni ed eventuali interessi.

La procedura a cui è assoggettato il lavoratore che non versa i contributi all’Inps

Che l’Inps non si renda conto che un lavoratore autonomo non ha versato i contributi è una speranza che resta vana visto ciò che accade oggi. L’incrocio delle banche dati consente all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale italiano di avere ben chiaro il quadro di ogni contribuente, lavoratore autonomo compreso. I altri termini, è assai facile che l’Inps noti subito il mancato arrivo del corrispettivo dovuto dal contribuente.

Ed in genere l’Istituto Previdenziale parte con l’avviso bonario, in cui si segnala la carenza e si intima il contribuente a provvedere a sanare la situazione. Già con l’avviso bonario l’Inps specifica all’inadempiente che deve versare quel trimestre di contribuzione omessa, con l’aggiunta di determinati e prima calcolati interessi e sanzioni. Naturalmente parliamo di sanzioni ed interessi in misura ridotta vista la celerità dell’avviso da parte dell’Inps. Non si arriva a superare il 10% di somme aggiuntive da versare.

Anche le rate possono aiutare, ma se si perde altro tempo le sanzioni e gli interessi aumentano a dismisura

Partendo da un presupposto fisso, e cioè che chi non ha versato è in difficoltà (ma ci sono casi di omessi versamenti per semplice dimenticanza), l’Inps concede la possibilità di rientro rateale. Il lavoratore autonomo inadempiente potrà ottenere dall’Inps la rateizzazione delle somme dovute. La mancata risposta all’avviso bonario, cioè il protrarsi dell’omesso pagamento, porta a conseguenze ben peggiori. Una volta che l’Inps ha compreso che chi era inadempiente resta tale, non potrà che passare il credito vantato all’Agente della Riscossione. In pratica, si passa alla cartella esattoriale. Il debito contributivo del contribuente passerà a ruolo, cioè finirà nelle mani di Agenzia delle Entrate Riscossione.

E gli importi dovuti salgono esponenzialmente e si passa da quel 10% dell’avviso bonario, al30% op più di somme aggiuntive da versare.

La cartella esattoriale è una cosa da prendere con le pinze

Le conseguenze diventano ben più gravi per il lavoratore che non ha regolarizzato la sua posizione contributiva in precedenza e finisce nelle mani del concessionario alla riscossione. Parliamo infatti di cartelle esattoriali di Agenzia delle Entrate Riscossione. L’iscrizione a ruolo di un debito, anche contributivo, espone il lavoratore autonomo alle procedure per l’esecuzione forzata. L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha il potere di passare a pignoramenti, espropri e confische. Conto corrente, veicoli e immobili diventano a rischio con il protrarsi del mancato pagamento.

Arrivare alla cartella esattoriale è sempre sconsigliabile proprio per via del potere dell’Agenzia delle Entrate Riscossione di passare alle maniera forti nei confronti di un contribuente inadempiente. Tra l’altro esistono anche strumenti che consentono rientri meno dolorosi per il lavoratore autonomo.

Ravvedimento operoso la soluzione

Per esempio, utilizzando il cosiddetto ravvedimento operoso, strumento con il quale il lavoratore può di fatto fare ammenda. In pratica, pagando un minimo di interessi e sanzioni, può mettersi a posto senza grossi danni. Va ricordato anche che pure le cartelle possono essere pagate a rate, sempre previo accordo con l’Agenzia delle Entrate Riscossione. Occorre presentare richiesta di rateizzazione. In questo caso, tranne che per provvedimenti di sanatoria delle cartelle come la rottamazione o il saldo e stralcio, le rate presuppongono il caricamento di ulteriori interessi. La somma da versare tende così a salire sempre di più.

Ecco perché anche il ravvedimento operoso può essere una soluzione più idonea a non appesantire più del dovuto una posizione debitoria per i contributi non pagati.

Quali sono le aliquote e la base imponibile per le ritenute a titolo di acconto e di imposta

Per i compensi da lavoro autonomo, a titolo di acconto, si applica una ritenuta che è pari al 20%. Pur tuttavia, ci sono casi in cui al posto della ritenuta d’acconto, sempre sui redditi da lavoro autonomo, il prelievo fiscale è secco ed è pari al 30% a titolo di imposta.

In più, in base al tipo di reddito da lavoro autonomo varia pure la base imponibile su cui applicare la tassazione. Vediamo allora di fare chiarezza in merito. Ovverosia, andando ad elencare proprio quali sono le aliquote e la base imponibile per le ritenute a titolo di acconto e di imposta.

Ritenuta acconto o di imposta compensi lavoro autonomo, quando è al 20% e quando al 30%

Nel dettaglio, a titolo di imposta, la ritenuta è al 30% quando i compensi sono riconosciuti a soggetti che non sono residenti in Italia. E quando le somme corrisposte si riferiscono all’utilizzazione economica di brevetti, di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali e simili così come riporta l’Agenzia delle Entrate attraverso il proprio sito Internet.

In tutti gli altri casi, ovverosia per i compensi corrisposti ai residenti, la tassazione per i redditi da lavoro autonomo è sempre pari al 20% a titolo di acconto. Ed è sempre al 20% pure quando i compensi sono riconosciuti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.

Qual è la base imponibile per l’applicazione della ritenuta d’acconto al 20%

Per l’applicazione della ritenuta d’acconto al 20%, sui compensi corrisposti al lavoratore autonomo, non sempre la base imponibile è quella piena, ovverosia al 100%. In particolare, la base imponibile, per esempio, è al 100% per le prestazioni di lavoro autonomo anche occasionale, per l’assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere, ed anche per i compensi ad associati in partecipazione che apportano solo lavoro. E lo stesso dicasi pure per la partecipazione agli utili di soci fondatori o promotori.

Fanno eccezione, invece, i compensi riconosciuti per la cessione di diritti d’autore da parte dello stesso autore. In questo caso, infatti, la base imponibile su cui calcolare la ritenuta d’acconto è al 75% per i soggetti di età superiore a 35 anni. E scende al 60% per i soggetti di età inferiore a 35 anni.

Come e quando si versano le ritenute sui compensi lavoro autonomo

Con il modello F24, ed in modalità esclusivamente telematica, le ritenute sui compensi da lavoro autonomo, da parte dei sostituti di imposta, si versano sempre entro e non oltre il 16 del mese successivo a quello del pagamento. Pur tuttavia, se il 16 del mese cade di sabato, oppure in un giorno festivo, allora il termine slitta al primo giorno lavorativo successivo.

Lavori autonomi occasionali: le ultime novità sulla comunicazione preventiva

Emergono novità in merito alla comunicazione preventiva dell’inizio dell’attività dei lavoratori autonomi occasionali dalle Faq pubblicate dall’Ispettorato del lavoro. Per i lavoratori occasionali che svolgano attività intellettuali non è necessaria la notifica. Mentre la comunicazione per gli autonomi occasionali è sempre dovuta quando si tratta di società, comprese quelle a partecipazione pubblica. La comunicazione di inizio attività per i lavoratori autonomi occasionali, da effettuare tramite posta elettronica o sms, è prevista dall’articolo 13 del decreto legge numero 146 del 2021 (decreto “Fisco Lavoro”).

Novità per la comunicazione obbligatoria di inizio attività dei lavoratori autonomi occasionali: le Faq

Il 1° marzo scorso l’Ispettorato del lavoro ha pubblicato ulteriori chiarimenti in merito all’obbligatorietà della comunicazione dell’inizio dell’attività dei lavoratori autonomi occasionali, poi condivise dal ministero del Lavoro. Tra le conferme, rimane obbligatoria la comunicazione per l’esistenza di una prestazione svolta dal lavoratore autonomo occasionale. Ma rimangono fuori dal perimetro di applicazione le prestazioni che consistono nell’assumere obblighi generici di permettere.

Si deve inviare comunicazione nel caso di un atleta che indossi capi di abbigliamento per sponsorizzare un marchio?

Si tratta delle casistiche che trovano riferimento normativo nella lettera I, del comma 1, dell’articolo 67 del Testo unico delle imposte dei redditi (Tuir). Pertanto, se l’attività occasionale di un atleta consiste nel concedere l’uso della propria immagine per indossare un capo di abbigliamento (sponsorizzandone il marchio) in un evento, non è necessaria la comunicazione. La comunicazione non è dovuta nemmeno nel caso in cui dei volontari percepiscano dei rimborsi spese per questo tipo di attività.

Guide turistiche, interpreti, traduttori, insegnanti di lingue e medici: sono obbligati alla comunicazione preventiva?

Sono molteplici, poi, le attività di tipo intellettuale, svolte in maniera autonoma e occasionale, nelle quali non è previsto l’obbligo di comunicazione preventiva. Ad esempio, le guide turistiche, le attività degli interpreti, quelle dei traduttori e degli insegnanti di lingue. Ma anche le attività occasionali dei medici iscritti all’ordine.

Smartworking svolto all’estero, si deve comunicare l’inizio dell’attività occasionale autonoma?

Risultano peraltro non sottoposte all’obbligo delle comunicazione le attività occasionali svolte all’estero dal lavoratore non residente. Il mancato obbligo vige anche se il lavoro viene svolto da remoto. Si tratta, in particolare, di prestazioni di lavoro occasionale svolto nella modalità di smartworking da lavoratori che non sono residenti nel territorio italiano. In tal caso, il mancato obbligo è giustificato dal fatto che i lavoratori sono obbligati secondo le regole del Paese estero di provenienza.

Comunicazione preventiva delle società a partecipazione pubblica: quando si deve?

La comunicazione preventiva è sempre dovuta per le attività di lavoro autonomo occasionale dalle società, anche se si tratta di quelle a partecipazione pubblica. I chiarimenti, infatti, partono dal presupposto che, anche se un ente pubblico detiene azioni, seppure in parte, la circostanza non è sufficiente a qualificare la società stessa come amministrazione pubblica. Queste ultime, invece, continuano a essere esonerate dall’obbligo di comunicazione preventiva.

Lavoratore autonomo occasionale per società per azioni che svolga attività con finalità della Pubblica amministrazione: obbligo di comunicazione o no?

Peraltro, le società sono sempre obbligate a comunicare l’inizio dell’attività del lavoratore autonomo occasionale. Anche quando una società per azioni a partecipazione pubblica, con finalità pubblicistiche quali possono essere la costruzione, la manutenzione, la gestione della rete stradale o la progettazione, è tenuta all’obbligo di comunicazione. Tra le attività intellettuali, invece, non sono tenuti all’obbligo di comunicazione i medici, anche iscritti all’ordine, che svolgano delle consulenze scientifiche.

Comunicazione inizio attività lavorativa autonoma occasionale presso famiglie e privati senza partita Iva: c’è bisogno?

Rimangono escluse, anche le famiglie datrici di lavoro, i soggetti privati privi di partita Iva, gli enti non profit purché non svolgano attività commerciali e i professionisti. La mancata comunicazione, quando prevista e non ottemperata, produce una sanzione da 500 a 2500 euro.

Lavoro autonomo occasionale, uno obbligo per i committenti

Nel campo del lavoro autonomo occasionale sono state introdotte alcune novità. Nuovi obblighi e sanzioni previsti per i committenti.

Lavoro autonomo occasionale, le novità della legge

Il decreto fiscale ha introdotto una novità già operativa dallo scorso 21 dicembre in merito al lavoro autonomo occasionale. Ma solo adesso il Ministero dell’Economia e finanze, insieme l’ispettorato Nazionale del lavoro, hanno fornito le indicazioni ai committenti. E lo hanno fatto attraverso la nota numero 29 dell’11 gennaio 2022.

Infatti nella nota viene riportato l’obbligo di comunicazione preventiva per i datori di lavoro, in  merito alla collaborazione che verrà svolta con i lavoratori autonomi occasionali. Dunque la norma prevede l’obbligo di comunicazione all’ispettorato del lavoro. al fine di contrastare fenomeni di abuso del lavoro autonomo, come scappatoia alle assunzioni di personale dipendente.

In cosa consiste l’obbligo per i datori di lavoro?

I datori di lavoro dovranno fare  la comunicazione all’inizio della prestazione lavorativa eventualmente risultante dalla lettera di incarico. Tuttavia solo per sfasamento temporarl dell’entrata in vigore della legge (21 dicembre 2022) e le istruzioni dell’istituto nazionale (11 gennaio), i committenti hanno tempo fino al 18 gennaio 2022.

Tuttavia solo per lo sfasamento temporale tra l’entrata in vigore della norma e le istruzioni dell’INL, l’Istituto permette ai datori di provvedere entro la scadenza del 18 gennaio 2022. In merito alla scadenza si fa riferimento a due situazioni:

  • rapporti istaurati prima del 21 dicembre e in corso alla data dell’ 11 gennaio 2022;
  • rapporti nati a partire dal 21 dicembre, ma cessati.

Ma comunque entro il 18 gennaio 2022 devono essere segnalate tutte all’autorità competenti per territorio.

Chi deve rispettare l’obbligo di comunicazione

Come specifica la nota la disposizione interessa “i lavoratori autonomi occasionali, ossia i lavoratori inquadrabili nella definizione contenuta all’art. 2222 c.c. – riferito alla persona che “si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente” – e sottoposti, in ragione dell’occasionalità dell’attività, al regime fiscale di cui all’art. 67, comma 1 lett. l), del D.P.R. n. 917/1986.”

E cioè coloro che svolgono un’attività in maniera occasionale e non abituale. Ed è anche vero che per questo tipo di prestazioni, il lavoratore versa una ritenuta d’acconto pari al 20% sul compenso. Inoltre per importi superiori a 77,47 euro occorre l’obbligo di apposizione della marca da bollo del valore di due euro. Per tutti questi lavoratori, il committente deve effettuare la segnalazione obbligatoria.

Lavoro autonomo occasionale, le modalità di comunicazione

La comunicazione all’ITL deve essere effettuata tramite sms, posta elettronica secondo le modalità operative stabilite dall’articolo 15, comma 3,del decreto legislativo 15 giugno 2015, numero 81 in materia di lavoro intermittente. Tuttavia la comunicazione deve avere dei requisiti minimi:

  • dati del committente (datore di lavoro);
  • dati del lavoratore (prestatore di lavoro);
  • descrizione dell’attività lavorativa;
  • il luogo in cui verrà svolta la prestazione;
  • la data di inizio e l’eventuale durata del periodo lavorativo;
  • il compenso stabilito al momento dell’incarico.

Infine si precisa che deve essere presentato anche il modello Uni- intermittente. Perché la comunicazione del datore di lavoro non sostituisce la trasmissione del  modello Unilav di assunzione. Infine il modello Uni- intermittenti deve contenere gli stessi elementi della comunicazione. Quest’ultimo modello si trasmette attraverso:

  • il servizio informatico sul portale ClicLavoro;
  • sms al numero 339.9942256;
  • la mail all’indirizzo pec intermittenti@pec.lavoro.gov.it;
  • App “Lavoro intermittente” disponibile per tablet e smartphone.

Le sanzioni previste per la mancata comunicazione in merito al lavoro autonomo occasionale

La violazione dell’obbligo comporta una sanzione amministrativa che va da 500 a 2.500 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa  o tardata la comunicazione. Ma non basta perché si corre anche il rischio di incorrere nella sospensione dell’attività imprenditoriale.

Infine le sanzioni potrebbero scattare anche nel caso in cui il rapporto di lavoro si protragga oltre il periodo inizialmente comunicato, senza aggiornale la comunicazione. Quindi c’è da stare proprio attenti nel caso in cui si voglia chiedere la collaborazione di lavoratori autonomi occasionali, perché la comunicazione all’Ispettorato è di importanza assoluta.

 

 

Cumulo detrazioni fiscali lavoro autonomo e dipendente

In sede di dichiarazioni dei redditi, le detrazioni fiscali che sono fruibili ed accessibili per i redditi da lavoro dipendente sono cumulabili con le detrazioni fiscali legate, invece, ad attività di lavoro autonomo? Questo è infatti il dubbio che spesso sorge quando un contribuente, pur avendo come reddito prevalente quello da lavoro dipendente, deve pure dichiarare dei compensi che, nello specifico, risultano essere derivanti da attività di lavoro autonomo che, comunque, non sono esercitate abitualmente.

Cumulo delle detrazioni tra lavoro autonomo e dipendente, ecco perché non è possibile

Pur tuttavia, la normativa fiscale vigente è molto chiara al riguardo. Ovverosia le detrazioni fiscali da lavoro dipendente non si possono cumulare, fruendo così di una doppia agevolazione ai fini IRPEF, con le detrazioni legate al lavoro autonomo.

Il Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), al comma 5 dell’articolo numero 13, infatti, stabilisce la non cumulabilità tra le due detrazioni. Il che significa che il contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, può usufruire di una sola detrazione fiscale. Ovverosia quella per il lavoro dipendente oppure quella per il lavoro autonomo.

Quali sono le detrazioni per lavoro autonomo e per quello dipendente

Senza alcuna possibilità di accesso al cumulo, come sopra spiegato, quali sono allora le detrazioni fiscali che i lavoratori autonomi e quelli dipendenti possono sfruttare per abbattere ogni anno le imposte da andare a pagare sui redditi?

Al riguardo proprio l’Agenzia delle Entrate, nella sezione ‘L’Agenzia informa‘ del proprio sito Internet, mette a disposizione dei contribuenti, gratuitamente, tutta una serie di guide fiscali che si possono visionare e scaricare in formato PDF.

E tra queste guide molte riguardano proprio le detrazioni fiscali a partire da quelle più comuni. Dalle agevolazioni fiscali sulle spese sanitarie al bonus mobili ed elettrodomestici, e passando per il Superbonus 110%, per il bonus facciate e per le agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie. Ma anche le agevolazioni fiscali per il risparmio energetico, e le agevolazioni fiscali che sono previste dall’attuale normativa fiscale quando si compra la casa.

Nel rispetto dei requisiti previsti, tanto i dipendenti quanto i lavoratori autonomi possono accedere alle detrazioni fiscali. Con la sostanziale differenza che sta nel fatto che il lavoratore dipendente sfrutta le detrazioni fiscali grazie al modello 730. Mentre il lavoratore autonomo sfrutterà le detrazioni fiscali inserendole e indicandole nel modello Redditi.

Differenze detrazioni e bonus tra il lavoro autonomo ed il lavoro dipendente

Nello stesso tempo, pur tuttavia, c’è anche da dire che non tutte le detrazioni fiscali che sono accessibili per i lavoratori autonomi lo sono pure per i lavoratori dipendenti e viceversa. Questo vale, per esempio, per l’ex bonus 80 euro che, innalzato fino ad un massimo di 100 euro mensili, spetta non a caso ai titolari di redditi da lavoro dipendente fino a 40.000 euro, e non agli autonomi.

Così come il lavoratore autonomo, a sua volta, può avvantaggiarsi dell’esonero dalla dichiarazione dei redditi, e IRPEF zero da pagare, quando nell’anno di imposta ha svolto delle prestazioni di lavoro autonomo occasionale per compensi complessivamente non superiori alla soglia dei 4.800 euro lordi.

Invalidità, quali agevolazioni lavorative per l’autonomo?

Per gli autonomi la cui capacità lavorativa risulta essere ridotta a meno di un terzo, a causa di infermità fisica o mentale, c’è la possibilità di accedere ad una prestazione economica INPS che, tra l’altro, può essere riconosciuta pure agli iscritti alla gestione separata ed ai lavoratori dipendenti.

Assegno ordinario di invalidità autonomi è compatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa

Si tratta, nello specifico, dell’assegno ordinario di invalidità che, tra l’altro, risulta essere compatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa. Questo significa che il lavoratore autonomo che chiede e che ottiene l’assegno ordinario di invalidità può comunque continuare ad esercitare la propria attività.

Presentando la domanda, la persona con capacità lavorativa ridotta riceverà l’assegno ordinario di invalidità a partire dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione dell’istanza. Ma il tutto a patto che il lavoratore autonomo rispetti i requisiti amministrativi e sanitari di accesso alla prestazione economica che, comunque, non è vitalizia.

Quanto dura l’assegno ordinario di invalidità per i lavoratori autonomi?

L’assegno ordinario di invalidità autonomi, infatti, ha una durata e quindi una validità che è pari a tre anni, e quindi questo deve essere rinnovato ogni volta prima della scadenza presentando una nuova istanza con tanto di nuove verifiche a livello medico. Pur tuttavia, dopo tre rinnovi consecutivi l’assegno ordinario di invalidità, il cui importo viene calcolato con il sistema misto contributivo/retributivo, viene confermato in automatico fatte salve le facoltà di revisione.

La principale agevolazione per l’autonomo che percepisce l’assegno ordinario di invalidità, è quindi come sopra accennato quella di poter continuare l’attività, ma per l’accesso alla prestazione economica non basta in ogni caso l’attestazione di una capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo.

Requisiti contributivi per assegno invalidità autonomi e la trasformazione in prestazione pensionistica

Ci sono infatti dei requisiti di contribuzione da rispettare come segue: servono minimo 5 anni di contributi versati, di cui almeno 3 anni che sono stati maturati nei 5 anni precedenti la data di presentazione della domanda per l’assegno ordinario di invalidità. Allegando la certificazione medica, la domanda di assegno ordinario di invalidità si presenta all’INPS anche via contact center oppure rivolgendosi sul territorio agli enti di patronato.

Quelli contributivi e medico-legali sono gli unici requisiti, per il lavoratore autonomo, al fine di chiedere ed ottenere l’assegno ordinario di invalidità senza dover poi cessare la propria attività. Per l’accesso a questa prestazione economica erogata dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, infatti, non ci sono dei requisiti d’età da rispettare.

Inoltre, se l’importo dell’assegno ordinario di invalidità, in base al calcolo in funzione dei contributi versati, risulta essere minore al minimo previsto, allora anche per questa prestazione economica l’INPS, nel rispetto dei requisiti previsti, può riconoscere al lavoratore autonomo il diritto all’integrazione al minimo.

Sempre nel rispetto dei requisiti, il lavoratore autonomo che percepisce l’assegno ordinario di invalidità, e che ha maturato pure i requisiti di età pensionabile, percepirà poi la pensione di vecchiaia. In tal caso, infatti, la trasformazione dell’assegno ordinario di invalidità in pensione di vecchiaia avviene d’ufficio.

Lavoro autonomo o impresa individuale? I motivi della scelta

Quando una persona decide di intraprendere un lavoro indipendente, spesso si trova davanti a un dilemma: scegliere tra attività di impresa e attività di lavoro autonomo. Entrambe hanno diversi punti in comune, ma anche alcune differenza sostanziali. Facciamo un po’ di chiarezza anche dal punto di vista fiscale e contributivo.

Cos’è un’impresa individuale

L’impresa individuale è una attività economica svolta professionalmente da un soggetto giuridico (persona fisica), titolare e anche unico responsabile della gestione d’impresa che può avvalersi di dipendenti e/o di collaboratori familiari. Il lavoro è prevalentemente svolto dall’imprenditore e dai suoi familiari rispetto al lavoro altrui, così come è prevalente il capitale proprio investito rispetto ad eventuali investimenti esterni.

Gli imprenditori individuali sono identificati nella figura dell’artigiano (idraulico, falegname, muratore, gelataio, pasticciere, elettricista, meccanico, estetista, parrucchiere, ecc.) o nella figura del commerciante (e-commerce grossista dettagliante, ambulante, venditori porta a porta, ecc.).

Costituzione e avvio di un’impresa individuale

Per costituire un’impresa individuale non esiste una quantità minima obbligatoria di capitale iniziale. Le formalità da sbrigare sono poche, tanto che non è necessario ricorrere a un atto notarile. L’imprenditore non è obbligato alla predisposizione e al deposito del bilancio annuale. Inoltre, può usufruire di una contabilità semplificata e scegliere il regime fiscale forfettario. Oltre all’apertura di una partita IVA, ricorre l’obbligo d’iscrizione nel Registro delle Imprese presso le Camere di Commercio della provincia.

L’imprenditore individuale gode di assoluta autonomia decisionale e i costi gestionali sono bassi, inoltre può accedere a diverse fonti di finanziamento. Il procedimento di liquidazione è semplice ed economico: per liquidare l’attività e sufficiente chiudere la partita IVA e comunicare la cessazione alla Camera di Commercio, all’INPS e all’INAIL.

Verrebbe da chiedersi se ci siano anche controindicazioni nell’essere titolare di un’impresa individuale. Ebbene, la risposta è affermativa.

Infatti, l’imprenditore si assume il rischio d’impresa, ovvero in caso di fallimento della stessa, la sua responsabilità è illimitata anche nei confronti di terzi creditori. Egli risponde anche con tutti i beni personali per crediti contratti dall’impresa verso terzi.

Per avviare un’impresa individuale è sufficiente presentare, esclusivamente per via telematica, la Comunicazione Unica detta ComUnica al Registro delle Imprese competente.

La Comunicazione Unica semplifica il rapporto tra le imprese e la Pubblica Amministrazione mediante l’utilizzo di un’unica procedura per gli adempimenti degli interessati nei confronti delle Camere di Commercio, dell’Agenzia delle Entrate, dell’INAIL e dell’INPS:

  • richiesta dell’iscrizione al Registro Imprese
  • richieste di Codice Fiscale e Partita IVA
  • richiesta dell’iscrizione all’INPS dei dipendenti o dei lavoratori autonomi
  • apertura della posizione assicurativa presso l’INAIL
  • eventuale SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per il SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive).

Per effettuare queste operazioni il titolare può rivolgersi ad un intermediario (commercialista, associazione di categoria) o procedere in autonomia.

Dal punto di vista fiscale, il reddito prodotto dall’impresa individuale si somma agli altri redditi del titolare. Sul totale imponibile si applica l’aliquota progressiva ai fini Irpef e Irap pagata sul reddito d’impresa.

Il titolare di un’impresa individuale è tenuto all’iscrizione Gestione commercianti ed artigiani INPS versando circa 4.000 euro di contributi fissi su un reddito minimale di circa 15.710 euro. Nel caso fosse superato quest’ultimo, sulla parte eccedente si versano ulteriori contributi in forma percentuale con un’aliquota del 27,72% circa (fino a un tetto massimo di circa 42.000 euro, oltre il quale si pagherà di più).

Attività di lavoro autonomo

Il lavoro autonomo rappresenta ogni attività lavorativa che prevede l’esecuzione, contro corrispettivo, di un’opera o di un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente che non può coordinarlo.

I settori coinvolti da questa attività sono molti: si va dal commercio all’artigianato, passando per le libere professioni, sono esclusi solo coloro che svolgono attività imprenditoriali.

In genere, per svolgere un lavoro autonomo si deve essere titolari di partita IVA e scegliere il regime fiscale (il forfettario è il più vantaggioso). Fiscalmente, i redditi sono tassati in sede di dichiarazione dei redditi con il principio di acconto e saldo, applicando le aliquote progressive previste a seconda degli scaglioni di reddito.

Per l’approfondimento sulla scelta del regime fiscale:

I lavoratori autonomi privi di una propria Cassa previdenziale versano i contributi all’INPS tramite le gestioni speciali o la gestione separata INPS.

Tuttavia, esiste la figura di lavoratore autonomo occasionale che svolge il suo lavoro sporadicamente e in modo non professionale. In questa categoria rientrano anche i liberi professionisti per cui non ricorre l’obbligo d’iscrizione a un Elenco o Albo professionale.

Non essendo obbligati ad operare con partita Iva, per ricevere il pagamento come corrispettivo della prestazione offerta al cliente/committente, gli autonomi occasionali devono emettere una ricevuta di pagamento con ritenuta d’acconto. Nel caso in cui i loro compensi complessivi lordi dovessero superare i 5.000 euro l’anno, devono aprire obbligatoriamente la partita Iva o procedere con un contratto di lavoro.

Fiscalmente, i lavoratori autonomi occasionali non sono soggetti ad alcuna tassazione se hanno come unico reddito quello da prestazione occasionale non superiore ai 4.800 euro lordi l’anno. Se è stata applicata la ritenuta d’acconto in una o più ricevute, questa potrà essere usata a compensazione per il pagamento di altre imposte. Altrimenti sarà possibile richiedere un rimborso del credito spettante.

A livello previdenziale, non sono obbligati a versare i contributi. Ma nel caso superino la soglia di compensi lordi dei 5.000 euro lordi l’anno, sarà necessaria l’iscrizione presso la Gestione Separata INPS e si andrà quindi a pagare sulla base dell’eccedenza dei 5.000 euro.

Il lavoratore dovrà comunicare per tempo al committente che andrà a superare la soglia dei 5.000 euro e sarà quest’ultimo ad occuparsi dell’iscrizione del lavoratore all’INPS, versando i due terzi dei contributi (il restante terzo è a carico del lavoratore con trattenuta nella ricevuta).

Ditta individuale e lavoro autonomo a confronto: pro e contro

Spesso ci si chiede cosa comporta aprire una partita IVA e ancor più spesso ci si chiede se sia meglio aprirne una come ditta individuale o come lavoro autonomo. Andiamo, quest oggi a scoprire, in questo esaustivo articolo, le differenze tra le due opzioni e i pro e i contro di entrambe le soluzioni.

Partita IVA, confrontare le opzioni tra ditta individuale e autonomo

Iniziamo col dire che una partita Iva permette di avere un inquadramento sia da un punto di vista fiscale che da quello previdenziale. Occorre conoscere che operare con partita Iva, non è facoltativo, ma bensì un obbligo imposto a tutti i soggetti che svolgono attività non etero-determinateprofessionali ed abituali.

Sapere ciò è molto importante, in quanto è opinione diffusa che si debba aprire partita Iva solo al superamento di determinate soglie reddituali. In verità e in verità vi dico che per l’Amministrazione finanziaria ogni attività economica abituale dovrà essere svolta con partita Iva, indipendentemente dal fatturato che si riesce ad ottenere.

Ora, però andiamo a confrontare le differenze tra una partita IVA per ditta individuale ed una aperta per lavoro autonomo.

E’ necessario chiarire che non trattasi di una scelta libera tra queste due opzioni. L’appartenenza ad una categoria piuttosto che all’ altra comporta un diverso inquadramento sia fiscale che previdenziale.

Cos’è una ditta individuale?

In maniera generalistica potremmo ben dire che appartengono alla categoria degli imprenditori individuali (quindi ad una ditta individuale) gli artigiani e i commercianti. Ovvero le due categorie di partite Iva  che sono obbligate all’iscrizione all’interno del Registro delle Imprese, istituito all’interno della Camera di Commercio provinciale.

Chi sono i lavoratori autonomi?

D’altro canto invece, rientrano nella categoria dei lavoratori autonomi tutti quei soggetti che svolgono un’attività per la quale il lavoro intellettuale è predominante sul resto dell’attività. Quindi, sono lavoratori autonomi tutti i professionisti iscritti in un Alboordine professionale, come ad esempio avvocati, notai, i consulenti del lavoro, i medici, i commercialisti, i giornalisti, gli architetti, geometri, psicologi e tanti altri ancora considerati liberi professionisti.

Aprire partita IVA, differenze sostanziali tra le due categorie

Dunque, coloro che intendono aprire partita Iva dovranno prestare attenzione alla propria categoria di appartenenza, in quanto le differenze da un punto di vista fiscale e previdenziale sono piuttosto importanti. Ad ogni modo, indipendentemente dalla categoria (ditta individuale o autonomo) si rientra sempre nella più grande categoria dei lavoratori che operano con partita Iva, in forma individuale.

Una delle differenze sostanziali per una ditta individuale, sia essa di artigiani o commercianti, è l’obbligo ad iscriversi all’Inps, nella gestione IVS artigiani o commercianti.

Si tratta di una gestione previdenziale che prevede il versamento di contributi previdenziali fissi, a prescindere dal fatturato, da pagare per ogni trimestre dell’anno. Oltre a questi contributi è necessario poi effettuare un conguaglio per chi supera determinate sogli di reddito derivante dall’attività imprenditoriale.

Di controparte, i lavoratori autonomi, da un punto di vista contributivo si differenziano tra quelli obbligati ad iscriversi ad una cassa professionale di riferimento e quelli cosiddetti “senza cassa“.

Differenze previdenziali tra ditta individuale e lavoratore autonomo

E’ bene sapere che aprire una partita Iva come ditta individuale o come lavoratore autonomo ha dei riflessi abbastanza sostanziali ai fini fiscali. L’Amministrazione finanziaria prevede, di fatto, l’applicazione di regimi fiscali differenziati, con diverse modalità di determinazione del reddito imponibile soggetto a tassazione ai fini Irpef.

Per quanto riguarda le imposte dirette, nel caso dei lavoratori autonomi vengono tassati soltanto in base ai compensi e ai costi effettivamente percepiti nel periodo d’imposta, stando al “principio di cassa“.

Di norma, il reddito dei lavoratori autonomi viene tassato sulla base del reddito imponibile che consegue dalla differenza tra i compensi incassati e i costi deducibili. Quando stilerà il modello Redditi P.F. il lavoratore autonomo dovrà compilare Il quadro RE, se adottano il regime di contabilità semplificata o il quadro LM qualora adottassero il regime dei contribuenti minimi.

Nel caso di una ditta individuale, invece, avremo una tassazione ai fini Irpef, sul proprio reddito imponibile annuale, che determinerà il reddito sempre con un principio di cassa, anche se alcune voci seguono il criterio di competenza economica.

L’imprenditore di una ditta individuale nella compilazione del modello Redditi P.F. è chiamato a completare il quadro RF qualora utilizzasse la contabilità ordinaria (registrazione di fatture attive/passive, incassi e pagamenti), od anche il quadro RG se è in contabilità semplificata (registra solo fatture attive/passive), in ultimo, il quadro LM qualora stesse adottando un regime dei contribuenti minimi.

Dunque, questo era il necessario da conoscere per differenziare un’apertura di partita IVA tra ditta individuale e lavoratore autonomo. Ora, non vi resta che passare all’apertura, qualora rientraste in una delle due categorie e rimboccarvi le maniche.

 

Il contratto Co.Co.Co. è lavoro autonomo? Caratteristiche

I contratti Co.Co.Co,  hanno sempre destato interesse di aziende e lavoratori, ciò che molti si chiedono è: il Co.Co.Co. è lavoro autonomo o subordinato? In realtà nessuna delle due risposte è esaustiva: si tratta di un lavoro parasubordinato.

Co.Co.Co. è lavoro autonomo? Ecco i requisiti

La prima cosa da sottolineare è che non basta definire un rapporto di lavoro come Co.Co.Co. perché il legislatore ha stabilito delle caratteristiche necessarie affinché si possa parlare di collaborazione coordinata e continuativa. In caso contrario il contratto diventa automaticamente di lavoro subordinato.

Autonomia: è il primo elemento imprescindibile: il lavoratore non deve avere vincoli di orario, decide autonomamente quando lavorare. L’unico limite alla sua autonomia è il coordinamento che spetta al committente, tale potere di coordinamento però non deve  ledere l’autonomia operativa del lavoratore. Ad esempio, si può dire al lavoratore di consegnare il lavoro entro il giorno X, ma sarà il lavoratore a decidere in quali orari lavorare e come organizzare le sessioni di lavoro. Su questo punto il Jobs Act è molto preciso, infatti stabilisce che nel caso in cui nel contratto siano indicati degli orari di lavoro, ad esempio dover essere collegati alla piattaforma aziendale dalle ore 10:00 alle ore 14:00, il contratto viene automaticamente inquadrato come di lavoro subordinato e quindi si applicano tutte le norme previste per questo. La stessa disciplina si applica anche nel caso in cui sia indicato un luogo di lavoro. Di conseguenza se al lavoratore si chiede di presentarsi nella sede aziendale per alcune ore della giornata, o in alcuni giorni della settimana, il lavoro viene considerato di tipo subordinato. In tal caso il datore di lavoro è tenuto a riconoscere, ferie, permessi, diritti sindacali, paga calcolata attraverso l’applicazione del CCNL previsto per la categoria, pagamento di contributi previdenziali e assistenziali.

Tipologie di prestazioni e retribuzione

La prestazione del rapporto Co.Co.Co. è di tipo personale, quindi non può delegarsi ad altro soggetto. Tra gli elementi che assurgono molta importanza c’è la continuità del vincolo, che si esplica nella permanenza del vincolo tra le parti. In caso contrario si verifica un’altra tipologia contrattuale, cioè la prestazione occasionale. La retribuzione deve invece essere corrisposta in forma periodica e prestabilita.

Quelle elencate sono le caratteristiche attuali del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, infatti in passato vi erano ulteriori limiti che con il tempo sono caduti. In primo luogo, fino al 31 dicembre del 2000 la normativa prevedeva che tale tipo di contratto potesse avere ad oggetto solo prestazioni di tipo artistico/intellettuale, mentre dal 1° gennaio 2001 il limite  non si applica e questo rapporto di lavoro può essere stipulato anche per mansioni di tipo manuale e operativo.

Perché c’è difficoltà ad inquadrare il lavoro Co.Co.Co come lavoro autonomo?

La disamina fin qui fatta sembra voler tutelare l’autonomia del lavoratore che può svolgere le mansioni senza andare nella sede operativa del committente (non si può parlare di datore di lavoro), ci sono però degli aspetti che lo stesso legislatore stabilisce debbano essere trattati come se fossero dei lavoratori dipendenti. In primo luogo dal 1° gennaio 2001 i redditi da lavoro Co.Co.Co sono assimilati a quelli di lavoro subordinato e quindi per l’imposizione fiscale si applicano le stesse detrazioni e deduzioni che spettano ai lavoratori inquadrati come dipendenti. Fino al 31 dicembre 2000 venivano invece considerati redditi da lavoro autonomo.

Un discorso a parte deve essere fatto per le prestazioni contributive, infatti  nel lavoro dipendente queste sono a carico del datore di lavoro, mentre nelle prestazioni di lavoro autonomo sono a carico del lavoratore che deve iscriversi a una cassa previdenziale, ad esempio quella delle professioni legali, oppure alla Gestione Separata INPS nel caso in cui non abbia una cassa. Per le Co.Co.Co nessuno dei due principi è del tutto valido, infatti i contributi previdenziali sono per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del lavoratore. La seconda quota però deve essere trattenuta dal committente dai compensi e da questi versata, di conseguenza tutti i versamenti previdenziali devono essere eseguiti dal datore di lavoro.

Norme processuali

Il contratto Co.Co.Co non può essere inquadrato con certezza tra il lavoro autonomo perché, come visto, le norma che lo disciplinano sono miste. A complicare il difficile inquadramento vi sono anche le norme processuali, infatti anche per quanto riguarda le questioni processuali, si applicano le norme inerenti il contratto di lavoro subordinato.

Riconoscimento Dis-Coll

Ai Collaboratori Coordinati e Continuativi, Co.Co. Co, la legge riconosce anche il diritto a percepire la Dis.Coll cioè l’indennità di disoccupazione, questa è corrisposta a coloro che hanno perso il lavoro non per loro decisione. Per richiederla occorre essere iscritti al Gestione Separata INPS, risultare disoccupati e devono esservi tre mesi di contribuzione versati  nell’anno civile antecedente rispetto a quello in cui si è perso il lavoro. Ad esempio, se il Co.Co. Co perde il lavoro il 20 marzo 2021, per avere il riconoscimento della Dis-Coll deve aver versato tre mesi di contributi nel 2020.  L’indennità mensile massima è di 1328,76 euro e si può percepire per un periodo massimo di 6 mesi. L’importo è calcolato in base al reddito e ai mesi di contribuzione maturati.

Lavoro autonomo e dipendente: tutti i pro e i contro

Lavoro autonomo o dipendente? Come in ogni cosa ci sono i pro ed i contro da valutare. Facciamo insieme il punto della situazione.

Lavoro autonomo o dipendente: non esiste una scelta oggettiva

Partiamo dal concetto di base che non esiste una risposta univoca ed oggettiva. Infatti, ci sono una serie di variabili da considerare, spesso legate allo stile di vita di ognuno. Ma una cosa è certa: in entrambe le categorie ci sono spesso dei veri e propri professionisti del settore. Il lavoratore autonomo è una persona che svolge per se la sua attività. Investe tempo e denaro al fine di offrire ai clienti, la sua competenza. Non è subordinato ad orari e tanto meno ad altre persone. Secondo l’articolo 2222 del codice civile il lavoro autonomo consiste nel compiere verso un corrispettivo un’opera  o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.  E’ così che si guadagna da vivere. Invece il lavoratore dipendente è una persona che lavora per contro altrui. Ha un contratto di lavoro che lo lega al suo datore di lavoro. Ma ogni mese percepisce lo stipendio commisurato alle sue mansioni svolte.

Lavoro autonomo o dipendente: la stabilità

Come abbiamo appena accennato, uno dei vantaggi del lavoro dipendente è la stabilità economica. In altre parole chi ha un contratto di lavoro regolare, cioè è messo in regola, può contare su uno stipendio. Ciò vuole dire che alla fine di ogni mese, può stare tranquillo. Avrà la busta paga che gli permetterà di vivere e programmare la propria vita. E non solo, in molti contratti è prevista anche la tredicesima mensilità ed in alcuni casi anche la quattordicesima. E’ chiaro che in relazione al tipo di contratto che si è firmato o alla categoria di appartenenza ci sono delle variazioni. Ma questo permette anche pianificare le ferie e i congedi o permessi. Molto differente è il lavoratore autonomo che non può godere di questa tranquillità. Nessuna stabilità economica che il freelance, ma ciò non vuol dire che non possa guadagnare, anche molto di più di un dipendente.

Il lavoro e il mondo delle donne

Il mondo delle donne è sempre stato contrastante dal punto di vista lavorativo. Le donne dipendente hanno diritto alla maternità. Il congedo per maternità è un periodo flessibile, di astensione obbligatoria dal lavoro per un totale di 5 mesi. La donna può scegliere di congedarsi da due mesi precedenti alla data della presunta nascita, e fino a tre mesi dopo. Oppure si può scegliere un mese precedente al parto e quattro mesi successivi, previo parere medico. Ci sono anche dei tipi di lavoro che prevedeno l’astensione di lavoro subito dopo la scoperta della gravidanza. Per le lavoratrici autonome ci sono delle differenze. Tutte le casse prevedono un indennizzo di maternità. Si tratta di un assegno, spesso in unica soluzione, a titolo di ristoro per l’astensione dal lavoro. Le lavoratrici iscritte alla gestione separata dell’Inps,  possono fruire dell’indennità di maternità pari all’80% della retribuzione giornaliera stabilita annualmente dalla legge per il tipo di attività svolta. Esiste anche la possibilità di accedere al Premio nascita, pari ad 800 euro per la nuova vita.

Lavoro autonomo o dipendente: i fini pensionistici

Grazie al proprio lavoro, e agli stipendi, il lavoratore dipendente ha maturato il termine per il trattamento di fine rapporto (TFR). Si tratta di una somma di denaro, pertanto spesso anche chiamata liquidazione. E’ una porzione di retribuzione accantonata annualmente, che viene “restituita” al lavoratore quando cesserà la sua attività lavorativa. I lavoratori autonomi accumulano volontariamente delle quote ai fini del diritto alla pensione. Ad esempio il lavoratore autonomo può pagare l’INPS ogni tre mesi, ma non è obbligato a farlo. Febbraio, maggio, agosto e novembre sono i mesi destinati a questi pagamenti. Spesso il lavoratore autonomo sceglie anche dei fondi pensionistici per crearsi la famosa “liquidazione” che spetta al lavoratore dipendente.

E allora cos’è meglio?

Un consiglio che si può dare è quello di capire realmente che tipo di persona si è. Se si è pronti a lavorare sotto qualcuno, alle regole imposte, ma di contropartita avere una stabilità economica, allora il lavoro dipendente è quello più opportuno. Se invece si preferisce lavorare sentendosi più liberi, nella consapevolezza di poter stare sulle montagne russe dal punto di vista economico, allora il lavoro autonomo sarà la scelta vincente. Però a prescindere da tutto, il consiglio più giusto è probabilmente capire ed individuare il mestiere che si ama fare. Perché se si ama ciò che si fa, nulla diventa difficile ed i problemi, se ci saranno, si affronteranno con grinta. Importante è anche la propensione al rischio, al mettersi in gioco. Quindi, è meglio capire bene cosa si vuol fare davvero e poi scegliere che tipo di lavoratore essere. Perché se una persona il coraggio non ce l’ha di suo, è difficile che qualcuno possa darglielo.