Riforma pensioni, al via estensione di Opzione Donna e Ape Sociale

Il nodo pensioni è uno dei più importanti da sciogliere, tra chi chiede l’aumento degli importi delle minime e chi invece una riforma strutturale che consenta il superamento della legge Fornero, sembrano non esservi punti di contatto. L’unica cosa che sembra per ora certa è l’estensione di Opzione Donna. Le ultime indiscrezioni trapelate.

Riforma pensioni, si va verso la conferma Quota 103

Le notizie sull’andamento dei lavori inerenti la riforma delle pensioni arrivano da Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro e alle Politiche sociali . I punti fermi sembrano essere pochi, si va verso la conferma di Quota 103, cioè lo scivolo pensionistico che consente di andare in pensione in anticipo rispetto ai requisiti richiesti dalla legge Fornero. Quota 103 permette di andare in pensione con 61 anni di età e 42 anni di contributi.

Questa resterà anche per il 2024 la norma “ordinaria” per andare in pensione. Non è ancora arrivato il momento del superamento, e forse mai arriverà, l’ostacolo vero è infatti rappresentato dai fondi disponibili che sono sempre troppo pochi.

Opzione donna, coma cambia nel 2024?

Secondo le dichiarazioni di Durigon si va verso l’estensione per Opzione Donna. La legge di bilancio 2023 ha riformato Opzione Donna introducendo requisiti più stringenti, il requisito anagrafico è stato portato a 60 anni che diventano 59/58 se la lavoratrice ha uno/due o più figli.

Ai requisiti anagrafici e contributivi (35 anni) si aggiunge una “condizione soggettiva” che la lavoratrice deve possedere al momento della domanda:

  • svolgere assistenza da almeno sei mesi al coniuge o a un parente di primo grado o affine convivente con handicap in situazione di gravità;
  • avere un’invalidità civile di almeno il 74%;
  • risultare licenziata o dipendente da imprese in crisi.

I requisiti visti sono disgiunti, cioè non occorre possederli tutti, ne basta uno.

Aver reso così rigide le condizioni per accedere a Opzione Donna, insieme all’importo dell’assegno ridotto del 30% hanno procurato un forte calo dei pensionamenti, le domande presentate nel 2023 sono sono 7.536 contro le 24.559 dell’intero 2022. Proprio per questo si sta pensando di eliminare lo scaglione di età legato al numero di figli.

Un ulteriore alleggerimento dei requisiti potrebbe riguardare anche l’Ape Sociale, in questo caso non vi sono però ancora indicazioni sulla strada che il Governo vorrebbe prendere per allargare la platea dei possibili beneficiari.

Ricordiamo che l’eventuale estensione di Opzione Donna e dell’Ape Sociale saranno inserite in un dossier all’interno della legge di bilancio 2024. Una legge di riforma delle pensioni strutturale dovrà ancora attendere.

Leggi anche: Ape sociale 2023: requisiti e termini per la richiesta

Pensioni, all’Ape sociale possono accedere gli agricoltori

Pensioni, verso la proroga di Quota 103 al 2024

La carne sul fuoco del governo Meloni è molta, i nodi principali da risolvere fin da subito erano la riforma delle pensioni per evitare che l’unica possibilità di uscita dal mondo del lavoro fosse la legge Fornero e la riforma fiscale. Mentre sulla riforma fiscale si sta andando avanti, sulla riforma delle pensioni il governo sembra essersi bloccato. Il problema reale sono le risorse, proprio per questo, si va verso la proroga della Quota 103 anche per il 2024, per la riforma della pensione definitiva si dovrà attendere ancora.

Risorse insufficienti per una riforma delle pensioni strutturali, proroga Quota 103

Il problema reale per una riforma delle pensioni strutturale sono le risorse dell’Inps che non sono sufficienti al superamento della legge Fornero. In tutto questo si incardina il commissariamento proprio dell’Inps la cui guida è stata affidata a Micaela Gelera, un tecnico.

Per il 2024 non c’è spazio dal punto di vista economico per aumentare la spesa pensionistica, ed ecco che rispunta la proroga della Quota 103 che altro non è se non un modo per uscire anticipatamente dal mondo del lavoro andando così ad evitare, in presenza di requisiti stringenti, la legge Fornero.

Le ipotesi in ballo per l’uscita anticipata sono 2: Quota 41 che prevede la possibilità di andare in pensione, indipendentemente dall’età anagrafica dopo aver maturato 41 anni di contributi. In questo caso la coperta dell’Inps sembra però essere troppo corta.

La seconda possibilità è Quota 103, già in vigore quest’anno. Consente di andare in pensione sempre al raggiungimento di 41 anni di contributi, ma in questo caso è richiesto il doppio requisito, cioè aver compiuto almeno 62 anni di età.

Basta questo piccolo accorgimento a restringere di molto la platea dei potenziali beneficiari.

Cosa succede a Opzione donna?

Restano ancora nel forse anche Opzione donna che nel 2023 ha subito un depotenziamento. I sindacati chiedono un ripristino nella versione antecedente, ma il Governo è restio, il problema è sempre lo stesso, cioè le risorse economiche per poter procedere. Prima di ogni riforma, tra cui in particolar modo quella strutturale, dovranno essere guardati i dati dell’Osservatorio per il monitoraggio della spesa pensionistica, istituito dalla ministra Calderone.

L’obiettivo è valutare la sostenibilità del sistema nei prossimi decenni, tenendo in considerazione anche gli importi degli assegni pensionistici che dovranno essere adeguati al costo della vita e assicurare un’esistenza dignitosa ai pensionati, tutelando in particolare i lavoratori con carriera discontinua.

Tra gli obiettivi c’è anche il potenziamento dei fondi pensione complementari.

Leggi anche: Tassazione Tfr in fondo pensione

 

Pensioni, stop alla riforma ma proroga per Ape Sociale e Opzione donna

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha indicato la strada da seguire nei prossimi mesi, non sono mancate puntualizzazioni sulle pensioni. Purtroppo per ora c’è lo stop alla riforma che consenta di superare la legge Fornero, ma ci sarà la proroga di due importanti misure in scadenza al 31 dicembre 2022.

Il programma del prossimo Governo: pensioni, cuneo fiscale, contrasto ai rincari energetici

Oggi c’è stato il discorso alle Camere di Giorgia Meloni, passo precedente rispetto al voto di fiducia praticamente scontato. Ha anticipato nel discorso quella che sarà l’agenda del prossimo futuro parlando sia degli interventi da eseguire nell’immediato, come il contrasto al rincaro energetico, sia le misure a più ampio raggio come la riforma fiscale che dovrebbe portare negli anni alla riduzione di almeno il 5% del cuneo fiscale, la riforma sulle fonti energetiche che devono prevedere un maggiore sfruttamento del gas che l’Italia ha e delle fonti rinnovabili al Sud.

Tra le riforme ad ampio raggio c’è quella del sistema pensionistico che deve tutelare le giovani generazioni e gli importi delle loro pensioni. A breve non ci sarà la riforma delle pensioni, ma il rinnovo di Opzione Donna e dell’Ape Sociale, non ha però citato Quota 102 anch’essa in scadenza al 31 dicembre.

Pensioni, a breve la proroga di Opzione Donna e Ape Sociale

Opzione Donna prevede la possibilità per le donne che hanno compiuto 58 anni di età ( 59 anni per le lavoratrici autonome ) di andare in pensione purché abbiano maturato un’anzianità contributiva superiore o pari a 35 anni.

Opzione donna prevede però il calcolo dell’assegno pensionistico con il metodo contributivo e quindi con una perdita netta sull’importo pensionistico di circa il 25%- 30%. Per il calcolo dei contributi si considerano i contributi obbligatori; i contributi volontari; da riscatto oppure da ricongiunzione. Sono esclusi quelli figurativi accreditati per malattia e disoccupazione dei lavoratori dipendenti privati.

L’Ape Sociale è invece un anticipo pensionistico riconosciuto in presenza di determinate condizioni. In particolare viene riconosciuto a coloro che:

  • svolgono lavori gravosi;
  • disoccupati con almeno 30 anni di contributi;
  • lavoratori che assistono da almeno sei mesi un congiunto in gravi condizioni di salute;
  • invalidi civili con un grado di invalidità pari o superiore al 74%, con 30 anni di contributi versati.

Per conoscere i lavori che sono considerati gravosi e che di conseguenza possono accedere all’Ape Sociale leggi l’articolo: Lavori gravosi, ecco la lista delle nuove categorie di mansioni per l’Ape Sociale.

Nel discorso per la fiducia Meloni ha inoltre annunciato un’estensione della flat tax per lavoratori autonomi e professionisti e la flat tax incrementale per tutti gli altri lavoratori. Particolarmente severa è invece la posizione verso l’Agenzia delle Entrate per la quale si studiano strumenti volti a migliorarne l’efficienza attraverso maggiore riguardo all’evasione scovata e non al numero di istruttorie aperte.

Leggi anche: Flat Tax incrementale: cosa vuol dire? Ecco una simulazione

Non sono mancate critiche al reddito di cittadinanza che dovrebbe essere riformulato in modo che sia potenziata la funzionalità dell’inserimento nel mondo del lavoro.

Riforma pensioni: assegni più alti, solidarietà intergenerazionale, flessibilità in uscita

Comincia a consolidarsi il disegno di riforma pensioni che potrebbe essere approvata. Ecco come potrebbe cambiare il welfare nel prossimo futuro.

Welfare: aumentano gli importi degli assegni di invalidità

La prima cosa da sottolineare è che nel programma di Fratelli d’Italia, primo partito in seguito al voto del 25 settembre, c’è l’idea di innalzare le prestazioni in favore degli invalidi civili, in particolare si legge che nessuna prestazione di invalidità potrà avere un importo inferiore rispetto ad altre forme di assistenza sociale.

Flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e stop all’adeguamento all’aspettativa di vita

La seconda proposta riguarda la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro. È molto probabile che resti in vigore la legge Fornero, ma che come già avvenuto negli anni passati con la Quota 100 e la Quota 102, ci sarà la possibilità di uscire prima dal mondo del lavoro. Per ora ancora non è chiaro come potrebbe essere applicata tale flessibilità, ma sembra si vada verso la conferma dell’Ape Sociale e di Opzione Donna. Inoltre nel programma c’è un altro elemento importante, cioè lo stop all’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Attualmente lo stop già c’è ma è legato all’epidemia Covid che ha portato l’aspettativa di vita a non innalzarsi, quindi si tratta di uno stop automatico, mentre ora dovrebbe essere introdotto in modo strutturale per evitare che i lavoratori si trovino a rincorrere la pensione.

Leggi anche: Pensioni: cosa cambia con il blocco dell’aspettativa di vita

Riforma pensioni e solidarietà integenerazionale

Fratelli d’Italia punta però al ricambio generazionale nel mondo del lavoro e questo vuol dire per forza di cose che dovrà esserci un’uscita anticipata di massa dal mondo del lavoro e questo anche grazie a incentivi di tipo economico.

Fratelli di Italia punterebbe a un programma di solidarietà intergenerazionale con incentivi fiscali nei confronti di over 65 che sostengono oneri nei confronti di under 36, tra questi oneri riconosciuti vi dovrebbero essere spese sanitarie, per istruzione scolastica e universitaria, pratica sportiva e canoni di locazioni per immobili. In poche parole genitori e nonni che aiutano figli e nipoti dovrebbero avere sconti fiscali.

Nel programma di solidarietà intergenerazionale dovrebbero finire anche le pensioni d’oro, le stesse non dovrebbero essere sottoposte a un ricalcolo per evitare che le pensioni versate non corrispondano ai contributi effettivamente versati, in poche parole si potrebbe introdurre una sorta di tetto, ma ancora non è stato chiarito a quale livello di reddito dovrebbe esserci questo stop.

Buone notizie dovrebbero poi arrivare per tutti i pensionati in quanto dovrebbe esserci una rivalutazione delle pensioni legata non semplicemente all’inflazione, ma alla svalutazione monetaria. Nel programma c’è anche la tutela delle pensioni delle giovani generazioni.

Il punto della situazione sulla riforma delle pensioni, cosa accade adesso?

Anche se ancora devono ripartite i summit tra sindacati e Governo in materia previdenziale, l’argomento pensioni è sempre al centro del dibattito anche politico. Sono diverse le misure che potrebbero fare capolino l’anno prossimo con la nuova legge di Bilancio. Misure che possono piacere o meno, ma che rispondono senza dubbio alle esigenze di qualcuno che vede nella riforma l’unica via per poter lasciare finalmente e in maniera anticipata il lavoro.

la Quota 41 per tutti prima ipotesi di nuove pensioni

Quello che era il cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini, oppure dei sindacati, era e resta la quota 41 per tutti. Si tratta della misura principale su cui già all’epoca dell’introduzione di quota 100 nel sistema, la Lega considerava come il passo successivo alla Riforma e alla cancellazione della legge Fornero. Una misura questa con cui, in pratica, si entra nello scenario di una vera e propria nuova pensione anticipata ordinaria. Infatti sarebbe l’alternativa ai 42,10 anni che servono ai maschi oppure ai 40,10 anni che servono alle donne per le attuali pensioni anticipate. Con questa misura aperta a tutti, chiunque senza limiti di età raggiunge i 41 anni di contributi potrebbe lasciare il lavoro. La misura è altamente costosa per le casse dello Stato e sarebbe un autentico colpo di spugna all’attuale pensione anticipata ordinaria. Per questo si cerca di donare alla misura alcune penalizzazioni che la rendano meno appetibile.

Le penalizzazioni di quota 41 per tutti

Una di queste è senza dubbio il ricalcolo contributivo dell’assegno. Per uscire con 41 anni di contributi senza dover attendere i 42 anni 10 mesi nel caso degli uomini, bisognerebbe accettare un ricalcolo della prestazione con il metodo più penalizzante. Dalle ultime buste paga e retribuzioni, si passerebbe ai contributi versati. Questo significa un netto taglio della prestazione, con penalizzazioni che potrebbero superare di gran lunga il 30%. Questo a fronte di un anno e dieci mesi di anticipo per gli uomini o soltanto 10 mesi per le donne. Che sia una penalizzazione utile a scremare la platea dei potenziali beneficiari è evidente.

La flessibilità per le pensioni, si partirebbe dai 62 anni, ma a che costo?

Un altro cavallo di battaglia, questa volta più dei sindacati che della politica è la pensione flessibile dai 62 anni. In questo caso si cercherebbe una soluzione per permettere a quanti raggiungono questa età, di poter lasciare il lavoro a partire dai 20 anni di contributi versati. La misura sarebbe un toccasana soprattutto per quanti si trovano a svolgere un lavoro talmente pesante da rendere problematica la permanenza dello stesso fine 67 anni di età. Anche perché di penalizzazioni in questo senso ne verrebbero introdotte diverse. Non per volere dei sindacati, che vogliono una misura flessibile neutra da penalizzazioni, ma per volere del governo che deve barare anche ai contributi.

La pensione flessibile dai 62 anni

La pensione flessibile a 62 anni infatti, potrebbe essere introdotta con un taglio lineare di assegno per ogni anno di anticipo. In buona sostanza il pensionato dovrebbe accettare un taglio fra il 2% e il 3% dell’assegno per ogni anno dai 62 ai 67. L’alternativa sarebbe anche in questo caso il ricalcolo contributivo della prestazione, che inciderebbe di meno rispetto alla quota 41 per tutti naturalmente, perché si tratta di carriere più corte partendo dai 20 anni.

La conferma delle pensioni dai 64 anni

Altre ipotesi sono quelle di confermare le uscite a 64 anni come la quota 102 di quest’anno- In questo caso potrebbe entrare nel sistema una pensione per tutti e flessibile proprio dai 64 anni. Ed anche in questo caso con taglio lineare di assegno per tutti gli anni di anticipo. L’alternativa sarebbe quella che richiama alla vecchia proposta di Pasquale Tridico, cioè del presidente dell’INPS. In questo caso a 64 anni si otterrebbe soltanto la parte contributiva della pensione, per poi andare a percepire anche la parte retributiva solo a 67 anni. Un taglio che durerebbe quindi solo lo stretto giro dei tre anni che passano dai 64 e 67.

Ape sociale e opzione donna strutturali

Un’altra via sarebbe la conferma, se non in maniera strutturale quantomeno per un altro anno, di opzione donna è dell’Ape sociale. La prima misura potrebbe essere estesa anche a chi i 58 o 59 anni di età e i 35 anni di contributi li ha completati nel 2022. Infatti la vecchia misura è scaduta il 31 dicembre 2021. In pratica nel 2022 potranno lasciare il lavoro con opzione donna solo le lavoratrici che hanno completato entrambi i requisiti entro la fine dell’anno scorso. L’idea sarebbe quindi di estendere questa possibilità anche a chi questi requisiti di completa nel corso del 2022.

Le pensioni con l’APE anche nel 2023

Per l’Ape sociale invece si tratta di confermare una misura che già oggi è la principale misura su cui la politica è sicura di aver fatto una specie di capolavoro. Si tratta di una misura che permette una pensione anticipata soltanto a determinate categorie di soggetti, tutti con alcune problematiche di varia natura. L’idea sarebbe di rendere strutturare la misura, magari estendendo la possibilità a più lavori gravosi possibile, aumentando i codici Ateco che già a gennaio 2022 hanno subito un grosso incremento. In altri termini si potrebbe allargare la platea dei potenziali beneficiari di una misura, che resterebbe temporanea e limitata.

Come funziona la pensione con l’Ape

L’Ape sociale non può andare oltre i 67 anni di età. Ed è un assegno di accompagnamento alla vera e propria pensione di vecchiaia ordinaria. I beneficiari infatti la prenderebbero a partire dai 63 anni e fino ai 67. E resterebbero tutte le penalità oggi presenti, a partire dal fatto che la misura è erogata su 12 e non su 13 mensilità. Resterebbe il divieto di reversibilità della prestazione in caso di morte dei beneficiario. E resterebbe anche il blocco relativo alle maggiorazioni sociali, all’integrazione al minimo e agli assegni familiari.

Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?

Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.

Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata

Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.

Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?

Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.

Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni  dall’inflazione

Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.

Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104

La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.

Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’

Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.

Pensioni, per Antonio Tajani ‘quota 104 è meglio di quota 41’

Quella di Antonio Tajani sarebbe una proposta di riforma delle pensioni che andrebbe ad assicurare l’uscita a chi ha parecchi anni di contributi e, probabilmente, accontenterebbe Bruxelles sui requisiti minimi dal momento che nei giorni scorsi è arrivata dall’Europa la bocciatura sia per la quota 102 che per la quota 100. Per il coordinatore di Forza Italia è occorrente “dare vita ad una nuova riforma che tuteli i contribuenti di oltre 60 anni di età, ma anche i giovani lavoratori”.

Riforma pensioni 2023, probabili tavoli delle trattative con i sindacati in autunno

La bocciatura di Bruxelles, peraltro, ha reso ancora più difficoltosa una riforma delle pensioni che riesca a mettere d’accordo partiti politici, sindacati, lavoratori e imprese. Dopo aver lavorato sui dossier ritenuti più urgenti e dettati dall’emergenza in Ucraina, Mario Draghi potrebbe sedersi al tavolo delle trattative per le nuove pensioni in autunno, quando la riforma dovrà trovare collocazione legislativa nella Manovra di Bilancio 2022.

Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché

Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:

  • dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
  • dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.

Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale

A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:

  • la situazione di disoccupazione;
  • lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
  • lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
  • l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.

Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?

Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:

  • quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
  • valori elevati per tutta la durata;
  • 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.

Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno

Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.

Programma pensioni 2023, le ultime notizie sulla riforma!

Il piano del governo sulla riforma delle pensioni è ormai noto. Come è noto il progetto dei sindacati che mirano alla solita, famosa, quota 41 per tutti. Ma ecco le ultime novità su una riforma che dovrebbe prendere quota dal prossimo primo gennaio.

Pensioni, cosa potrebbe accadere nel 2023

Ormai le posizioni dei sindacati e dell’esecutivo sono un parametro fisso se si parla di pensioni. I sindacati vorrebbero la quota 41 per tutti, ornai cavallo di battaglia delle parti sociali. Una pensione anticipata vera e propria, che andrebbe a sostituire in toto l’attuale pensione anticipata ordinaria. Si scenderebbe di circa due anni. Oggi infatti si esce con 42 anni e 10 mesi di contribuzione versata. Si risparmierebbero 22 mesi (per le donne 10 mesi in meno visto che le anticipate ordinarie per le lavoratrici è a 41 anni e 10 mesi di contribuzione versata). Il governo invece è più propenso ad una misura che consente di accedere all’anticipata una volta raggiunti i 64 anni di età.

La flessibilità in uscita per le pensioni anticipate dal 2023

In pratica, due cose diametralmente diverse. Uno spiraglio per i sindacati è quello delle penalizzazioni di assegno per una eventuale quota 41 per tutti. Penalizzazioni minime per le parti sociali, un po’ più cospicue per il governo.

Posizioni diverse come quelle sulla flessibilità in uscita, che come detto, per il governo dovrebbe partire dai 64 anni mentre per le parti sociali dai 62 anni. In sostanza, le vie che hanno qualche possibilità di diventare realtà per una riforma delle pensioni che resta difficoltosa, sono la pensione a 64 anni o Quota 41 ma con mini penalizzazione.

Continua a tenere banco il capitolo previdenziale

SI può chiamare dibattito, oppure discussione, o ancora, tavolo delle trattative, ma una cosa certa tra esecutivo e parti sociali la riforma delle pensioni è ancora in una fase embrionale. Eppure c’è chi dice che il governo abbia un piano. Nonostante il nulla di fatto nel DEF (Documento di Economia e Finanza) , il governo avrebbe in mente di impostare qualche nuova misura con una riduzione d’assegno per ogni anno di anticipo. Ma sarebbe una riduzione di pensione che inciderebbe soltanto sulla parte retributiva della pensione e non su quella contributiva.

Si ipotizza di consentire di lasciare il lavoro in anticipo come tutti chiedono, e dal primo gennaio 2033. Ma chi lascerà il lavoro potrebbe subire qualche penalità. L’esecutivo lavora per arrivare ad azzerare le differenze tra chi ha iniziato a versare prima del 1996 e chi dopo. In pratica, si vuole arrivare a parificare le regole tra retributivi e contributivi, in modo tale da azzerare le differenze.

Oggi i contributivi, cioè coloro i quali hanno il primo contributo a qualsiasi titolo versato dopo il 31 dicembre 1995, possono uscire con la pensione anticipata contributiva a 64 anni. E il governo medita di estendere la possibilità a tutti, anche a chi ha iniziato a versare prima del 1996. Ma riducendo il loro assegno con penalizzazioni sulla parte retributiva.

L’uscita a 64 anni oggi e domani, come funzionerebbe?

Il vantaggio dell’uscita a 64 anni è stato introdotto per compensare la penalizzazione in termini di importo che una pensione calcolata con il sistema contributivo ha rispetto ad una calcolata con il misto, cioè con il retributivo fino ad una determinata data e con il contributivo dopo. Tre anni di anticipo che adesso potrebbero toccare anche ai misti, purché accettano di perdere parte del vantaggio loro spettante dal metodo retributivo. Va detto comunque che per i cosiddetti contributivi puri, la pensione anticipata contributiva si centra solo se l’assegno liquidato alla data di decorrenza del primo rateo di pensione, è pari a 1300 euro circa, ovvero a 2,8 volte l’assegno sociale. Inoltre, a 67 anni i contributivi puri possono prendere la pensione di vecchiaia anche senza i 20 anni di contributi (ne bastano 5), ma solo con assegno pari ad almeno 1,5 volte quello sociale. Limitazioni che devono essere parte integrante delle discussioni in seno ai tavoli tra governo e sindacati. Perché non basta pensare di estendere i 64 anni di età a tutti con 20 anni di contributi.

Anche la UE sarebbe favorevole alle soluzioni che il governo avrebbe in mente

Il governo pensa ad una riforma che consenta  a tutti,  di andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero. Ma di fatto, imponendo un ricalcolo completamente contributivo per tutti, anche per chi ha maturato il diritto ad avere un calcolo più favorevole della pensione. Una soluzione a basso costo ad a spesa pubblica contenuta. A tal punto che l’esecutivo pensa a questa idea come l’unica che potrebbe trovare pure il benestare della UE. Infatti c’è da rispettare i diktat dell’Europa, che in materia previdenziale sono molto rigidi. Anche i tecnici che il governo, utilizza di solito per studiare politiche di natura economica, sostengono che la UE non si opporrebbe in alcun modo a misure di questo genere. E all’Europa per via dei fondi del Recovery Plan e del nostro Pnnr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), bisogna anche dare retta.

La riforma delle pensioni e cosa potrebbe accadere nel 2023

Le continua emergenze a cui il governo è stato chiamato ad intervenire da mesi hanno portato allo stop di qualsiasi ragionamento sulle pensioni. E si aprono scenari negativi per quanto riguarda una riforma mai decollata che stenta a farlo. Anche il Documento di Economia e Finanze di aprile è uscito e sulle pensioni nulla. La guerra in Ucraina, il conflitto con la Russia, le questioni militari, i soldi per il riarmo e anche la questione dei “nuovi” profughi dagli scenari di guerra hanno ingessato qualsiasi ragionamento sulle pensioni. Più o meno quello che è accaduto con il Covid, quando sempre le pensioni furono retrocesse come priorità, da parte dell’esecutivo. E pare quasi scontato che con il termine di alcune misure in scadenza alla fine di quest’anno, si tornerà in pieno alla normativa vigente ordinaria, quella della riforma Fornero. Ma noi di Infoiva guardiamo ad uno scenario differente. Nel senso che non ci sorprende nulla di tutto questo, perché è una prassi consolidata quella degli ultimi governo e delle ultime leggi di Bilancio.

Cosa accade sempre in magteria previdenziale da molti anni a questa parte

Il trend appare sempre il solito quando si parla di pensioni. Prima le riunioni, i summit, gli incontri a ripetizione. I sindacati che chiedono misure straordinarie, mentre il governo più rigido lima le proposte considerando il lato della spesa pubblica fondamentale. FU così anche lo scorso anno, quando alla fine di quota 100, al posto di passare a flessibilità e misure se non migliorative, almeno simili, si è passati a misure peggiorative come la quota 102. Da 62 anni come età base per le uscite con la quota 100, si è saliti a 64 anni con la quota 102. Non certo irrisorio il colpo inflitto con due anni in più di attesa. Con chi, nel 2022 e nel 2023, compirà 62 o 63 anni, completamente tagliato fuori dalle pensioni anticipate. Per loro ciò che rischia di accadere dal 2023, cioè il ritorno ai regimi ferrei della riforma Fornero, è accaduto già quest’anno.

Perchè si va avanti rinvio dopo rinvio

Fu il Covid con l’emergenza epidemiologica e la campagna vaccinale a bloccare qualsiasi discorso sulle pensioni. Anche se le promesse e le idee erano come al solito sul tavolo. Adesso c’è la guerra in Ucraina, e quindi, la riforma che doveva iniziare a vedersi nel Def, che è l’atto con cui si determinano le politiche economiche e fiscali, oltre che i piani di spesa, del governo in vista della legge di Bilancio di fine anno, è ferma al palo. Se ne riparlerà nel Nadef, cioè nella nota di aggiornamento del Def quando c’è da giurarci, prima della sua stesura, le pensioni saranno al centro della discussione.

Cosa accadde a fine 2021

La fine del 2021 ha portato all’intervento quasi obbligatorio sul piano previdenziale. Andava detonato il pericolo scalone di 5 anni che avrebbe lasciato in funzione quota 100. Infatti dai 62 anni di età di quota 100 ai 67 che sono gli anni utili alla pensione di vecchiaia, passano esattamente 5 anni. Ma tra una flessibilità in uscita a 62 anni per tutti, come i sindacati chiedevano, e le critiche che quota 100 si è portata dietro per tutti i suoi tre anni di sperimentazione, il governo con il benestare anche di chi difendeva a spada tratta la quota 100 come la Lega, ha deciso di introdurre quota 102. E si sono persi due anni esatti di possibilità. Più o meno quello che era successo anni prima, quando fu introdotta una misura davvero particolare come l’Ape sociale, oppure come Opzione donna.

Tutte misure tampone quelle emanate negli ultimi anni sulle pensioni

Misure tampone vere e proprie, che non risolvevano le problematiche del sistema ma che consentivano a determinate persone e determinati lavoratori, di uscire prima dal lavoro. Qualche volta con costi elevati e tagli pesanti di assegno, come per Opzione donna per esempio. Altre volte con misure che tutto sembrano che misure pensionistiche, come per l’Ape social, che è privo di maggiorazioni, assegni e tredicesima. Nulla a che vedere con riforme profonde come quelle che chiedono i sindacati per esempio. La quota 41 per tutti per esempio, è una autentica chimera.

Cosa accade adesso in vista del 2023

Appare sempre più fattibile il ritorno pieno alla riforma Fornero rispetto ad una riforma tanto sperata quanto difficile. Molti siti e giornali hanno già lanciato l’allerta sul ritorno alle regole lacrime e sangue della professoressa Elsa Fornero. Dopo le proroghe del 2022, il prossimo 31 dicembre torneranno a  scadere sia Opzione donna che l’Ape sociale. E insieme a loro anche la quota 102. Infatti la misura nata in sostituzione della quota 100 va in  scadenza il prossimo 31 dicembre. Una misura nata per durare solo un anno. Il motivo è presto detto. Si pensava che si sarebbe passati ad una riforma profonda del sistema, ecco perché la quota 102 fu varata come una specie di panacea temporanea. Secondo noi invece l’allarme sullo stop a queste misure e sul ritorno alle regole senza scivoli e senza deroghe del governo Monti sono esagerati.

Se sarà difficile lanciare una vera riforma, va detto che 9 su 10 si arriverà a prorogare le misure già oggi vigenti, lasciando al 2023 qualsiasi discorso di riforma. In pratica, un autentico “dejavù”. Quando novità e nuove misure sono difficili da varare, si perdono mesi a parlarne, per arrivare alla resa dei conti della legge di Bilancio con il solito rinvio a tempi migliori l’anno dopo.

Il 2023 e le pensioni, ci si muove su un campo minato

E si arriverà probabilmente a dire di si ad una proroga di Opzione donna, l’ennesima. A meno che non si decida di rendere la misura strutturale. Cosa niente affatto difficile, anche perché si tratta della misura che maggiormente taglia l’assegno a chi la sceglie. Nulla di trascendentale quindi come vantaggio, perché alle uscite a 58 anni per le lavoratrici dipendenti, c’è chi ha lasciato il 30% di pensione. Si arriverà ad estendere la misura a chi completa i requisiti entro la fine del 2022, come accade adesso a chi ha raggiunto 58 o 59 anni di età e 35 anni di contributi entro la fine dello scorso anno.

Lo scenario più plausibile porta allo stallo sulle pensioni

Proroga probabile pure per l’Ape sociale, perché si tratta di una misura a platea contenuta, limitata a poche categorie di soggetti anche se sono state aggiunte molte attività gravose quest’anno. Un misura che costa il giusto, su cui lo Stato risparmia su assegni familiari, tredicesima, maggiorazioni e così via. E probabilmente, se non si potrà fare altro, ecco che anche la quota 102 sarà prorogata. Perché immaginare che un governo, qualsiasi esso sia, arrivi a dire, basta con queste misure e si esce solo a 67 anni con la pensione  di vecchiaia ordinaria, essendo un provvedimento che in quanto a gradimento è assai impopolare, appare azzardato come progetto. Sempre che l’esecutivo non sorprenda tutti e vari una autentica riforma delle pensioni sulla linea delle richieste di parti sociali e lavoratori. Mettendosi però contro ai diktat della UE che mai come in questi mesi sono da assecondare visto che sono in ballo i soldi del recovery fund e del Piano nazionale di ripresa e resilienza che l’esecutivo Draghi ha già varato.

La riforma delle pensioni perfetta: ecco come sarebbe

In pensione dal 2023 con nuove misure? Si, ma quali. Domanda lecita questa, soprattutto perché pare che non ci siano tante speranze nemmeno per il 2023, di vedere una profonda riforma del sistema previdenziale. Troppe problematiche più urgenti pare abbia da affrontare il governo italiano. Rimanere ancorati anche nel 2023 alla quota 102 come unica o più o mento tale, alternativa ai vincoli Fornero, pare insufficiente.

Il sistema avrebbe bisogno di altro. Lo si evince non solo dalle proposte dei sindacati o dalle discussioni ai tavoli della politica. Lo si evince anche dalle chat social, dai forum e dai commenti dei diretti interessati, cioè i lavoratori. Ma quale sarebbe una ipotetica riforma delle pensioni che potrebbe essere considerata giusta da tutti?

Alcuni evidenti problemi del sistema pensionistico italiano

Ciò che attualmente manca al nostro sistema pensionistico è la flessibilità in uscita. Quando si parla di flessibilità si parla della possibilità da dare ai lavoratori, di scegliere quando uscire dal lavoro. Dal momento che il sistema previdenziale è contributivo e che più si lavora più si versano contributi, la scelta di andare prima in pensione prendendo meno di assegno, dovrebbe toccare al lavoratore.

Una cosa che oggi non è possibile, o almeno non lo è per tutti. Le alternative alla pensione di vecchiaia a 67 anni sono diverse, questo è vero. Ma parlare di flessibilità non è giusto. Quota 41 precoci e Ape sociale per esempio, sono misure che si rivolgono solo a determinate categorie. I disoccupati, gli invalidi e i caregivers, e nemmeno tutti dal momento che esistono per ogni categoria altri sotto requisiti. E poi i lavori gravosi, con 15 categorie per la quota 41 (dove bisogna essere anche precoci), e molte di più per l’Ape sociale (ma non tutti i lavoratori).

Quota 41 permette di uscire dal lavoro senza limiti di età, l’Ape sociale dai 63 anni. Ma se fai il barista o il falegname, entrambe le misure non sono fruibili.

La flessibilità di quota 100 e quota 102 non è certo una grande cosa

Per rispondere all’esigenza di flessibilità del sistema, i governi che si sono succeduti i questa particolare legislatura, hanno scelto la pensione per quotisti. Ma anche in questo caso, una vera flessibilità non è stata introdotta. Con la quota 100 era consentita l’uscita dai 62 anni di età. Con la quota 102 invece, dai 64 anni di età. In entrambi i casi il limite contributivo era a 38 anni. Troppi per molti lavoratori. Una flessibilità che calza a pennello solo per chi ha avuto la fortuna di avere carriere lavorative lunghe e durature, prive di interruzione e iniziate molto presto.

Per esempio, con la quota 100 un lavoratore per uscire a 62 anni esatti, avrebbe dovuto iniziare a lavorare a 24 anni di età senza più fermarsi dal momento che dei 38 anni di versamenti 35 devono essere effettivi dal lavoro come per le pensioni anticipate ordinarie con 42,10 e 41,10 anni di versamenti. Le altre vie di uscita esistenti sono ancora più limitate come perimetro e con più vincoli, tra importi minimi della pensione da raggiungere (le anticipate contributive o in genere le pensioni per contributivi puri), penalizzazioni da accettare (ricalcolo contributivo di opzione donna) e così via.

Quale sarebbe la giusta riforma delle pensioni?

Se flessibilità deve essere, questa non può che collegarsi alla pensione di vecchiaia. Infatti la normale quiescenza di vecchiaia si centra al raggiungimento dei 67 anni di età ed al contestuale completamento di una carriera contributiva minima di 20 anni. la flessibilità dovrebbe consentire di lasciare il lavoro a qualsiasi età o quasi (magari impostando il limite a 62 o 63 anni), sempre con 20 anni di versamenti.

Questo perché, se il lavoratore decide di accettare la pensione liquidata su 20 anni di carriera, dovrebbe essere libero di farlo. Conscio del fatto che se dai 62 ai 67 anni di età continuasse a lavorare, potrebbe arrivare a 25 anni di carriera e prendere di più di pensione. Sono le regole del sistema contributivo per cui più si versa più si percepisce di assegno. Ma sarebbe anche la soluzione per la pensione di quanti si trovano con perdita di lavoro e con difficoltà oggettive a trovarne un altro (a 62 anni chi perde il lavoro difficilmente per età, ne trova un altro).

E la flessibilità non dovrebbe prevedere penalizzazioni di assegno dal momento che sarebbe già tanto lo scotto da pagare interrompendo la carriera con 20 anni di contributi perdendone 5.

La pensione deve arrivare sempre una volta raggiunta una determinata carriera

E se si parla di carriera, bisogna impostare il limite oltre il quale dovrebbe essere giusto mettersi a riposo. Per esempio 40 anni potrebbero bastare. Le pensioni anticipate di oggi, prevedono soglie vicine ai 43 anni per gli uomini (42,10 per l’esattezza). Per uscire a 60 anni di età una persona dovrebbe aver iniziato a lavorare a 17 anni e poi senza interruzione per completare circa 43 anni di contributi versati. Una enormità evidente questa, che rende le pensioni anticipate non così anticipate come sembra. Infatti chi sfrutta tale misura ormai, arriva sempre più vicino ai 67 anni della pensione di vecchiaia ordinaria.

Infine, bisognerebbe consentire uscite vantaggiose per determinate attività lavorative. Lo stesso principio dell’Ape sociale o della quota 41 oggi in vigore. Ma fissando il limite contributivo a soglie più basse. Un lavoratore edile che ha iniziato tardi a lavorare o che oggi è alle prese con continue interruzioni di lavoro, dovrebbe poter uscire a prescindere dalla carriera. Anche perché ci sono lavori che non hanno nella continuità un loro fattore. Senza considerare ciò che sta accadendo oggi, tra crisi economiche varie da epidemie o guerre. Concedere le pensioni anticipate sarebbe un modo per limitare anche l’uso dell’assistenzialismo, perché al posto di chiedere sussidi che gravano in ugual misura sulle casse dello Stato, meglio andare sulle misure previdenziali.

E poi occorrerebbe alzare i minimi di pensione. Fissare la pensione ad una soglia minima sotto la quale non si deve scendere. Basi pensare che un pensionato con 20 anni di contributi a 67 anni spesso prende meno di un beneficiario del reddito di cittadinanza, magari più giovane e senza alcun contributo versato.

Pensioni contributive: il ricalcolo penalizzante, ecco cosa si perde, tutti gli esempi

A dirla tutta, parlare di riforma delle pensioni come di una cosa ormai certa è sempre un esercizio azzardato visto quello a cui si è assistito negli anni. Riforma delle pensioni che più volte sembrava ad un passo ma che alla fine non è mai stata fatta. Sono stati molteplici gli interventi normativi negli ultimi anni sul capitolo delle pensioni. Ma il più delle volte sono stati interventi tampone, piccole misure ben delimitate come platea e piene zeppe di vincoli, paletti e requisiti a volte difficilmente centrabili e forse comprensibili.

Adesso però sembra che tutte le caselle del puzzle stiano andando al loro posto, con l’esecutivo Draghi che pare seriamente intenzionato a varare una riforma delle pensioni che arrivi per davvero a superare la riforma Fornero, ultima vera riforma del sistema a memoria d’uomo.

Ma sarà una riforma che secondo molti, rischia di far rimpiangere la riforma del governo Monti/Fornero. Sarà vero che dopo tanti anni di discussioni, incontri, summit e proposte, alla fine si arriva a ritoccare un sistema basato su una legge troppo severa come quella della Fornero, introducendone un’altra ancora più severa? Probabilmente si arriverà ad una riforma che produrrà misure di pensionamento anticipato come molti lavoratori auspicano, ma a caro prezzo. Un prezzo che sarà pagato come al solito dai lavoratori e futuri pensionati.

Riforma delle pensioni ad un passo? Sembrerebbe di si

Nulla ancora di ufficiale e di certo, ma pare che la riforma delle pensioni tra poche settimane potrebbe vedere finalmente i natali. E dal 2023 tutto cambierà in materia previdenziale. Sono molteplici le proposte e le ipotesi sul tavolo. Nessuna però capace di far dire a chi le osserva, che dal 2023 si andrà in pensione più facilmente. Anzi, quello che balza agli occhi è un peggioramento della situazione, non tanto per età di uscita dal lavoro o di pensionamento, quanto di importo degli assegni.

Probabilmente sarà ad aprile con il nuovo documento di economia e finanze che la riforma delle pensioni verrà predisposta, o per lo meno inizierà a fare capolino visto che il DEF è l’atto di governo con cui vengono delineate le misure di carattere economico e finanziario dello Stato, con i capitoli di spesa compresa quella previdenziale. Ciò che appare evidente è che si va verso un contributivo integrale, nel senso che probabilmente di dovrà dire addio alle pensioni calcolate nel misto.

Oggi sono sempre meno i contribuenti che hanno contributi versati nel sistema retributivo. Ma ce ne sono tanti che hanno anche più di 18 anni di versamenti prima del primo gennaio 1996. E più anni di carriera rientrano nel favorevole sistema retributivo, più si perde a ricevere una pensione calcolata tutta con il sistema contributivo.

Perché contributivo e basta

Secondo tutti i tecnici il sistema contributivo è meno favorevole ai pensionati rispetto a quello retributivo. Un dato di fatto questo incontrovertibile. Ma è altrettanto vero che per tutti questi tecnici, il sistema contributivo è il più equo. Chi va in pensione prende ciò che si merita, ovvero un assegno corrispettivo di ciò che ha versato nella carriera lavorativa.

I punti fermi che oggi sono sul tavolo riguardano due cose, cioè la mancata conferma della legge Fornero come parametro del sistema previdenziale, e lo stop alla quota 102. Si, anche quest’ultima misura, nata solo da qualche mese, in sostituzione di quota 100, cesserà il 31 dicembre prossimo.

Probabilmente però, si cercherà di arrivare ad un misura pensionistica che parte da una età pensionabile di 64 anni proprio come quota 102. Magari rendendola allineata alla pensione di vecchiaia ordinaria, cioè con uscite una volta raggiunti i 20 anni di contributi minimi (la quota 102 ne prevede 38 come la vecchia quota 100). Ma solo accettando un pieno ricalcolo contributivo.

Una pensione contributiva per tutti

Si estenderebbe a tutti la pensione anticipata contributiva che già oggi fa uscire dal lavoro chi ha compiuto 64 anni ed ha almeno 20 anni di contributi versati, per lo meno. Ma con pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Ma è una misura che oggi riguarda solo chi è privo di contributi a qualsiasi titolo versati antecedenti il 1996. Si tratta dei cosiddetti contributivi puri, che di fatto non subirebbero alcuna penalità accettando questa misura visto che non hanno diritto a calcoli di pensione alternativi a quello per chi hanno versato, cioè il contributivo.

Diverso il caso di chi uscirebbe con una misura del genere, estesa a tutti, ma con opzione per il contributivo obbligatoria. Il rischio è che chi compie 64 anni di età nel 2023, pur completando 38 anni di contributi versati, e magari avendone già 18 o più versati al 31 dicembre 1995, possa prendere una pensione nettamente più bassa rispetto a chi essendo nato un anno prima ha sfruttato la quota 102.

Alcune proposte sul tavolo, ma tutte contributive, salasso sulle pensioni

Estendere quindi la pensione anticipata per i contributivi puri, pure ai misti è solo una proposta tra quelle sul tavolo. Ed è una proposta che prevede un grosso taglio di assegno per molti possibili pensionati che potrebbero così soprassedere e decidere di non sfruttare questo canale di uscita, aspettando la pensione di vecchiaia senza tagli di assegno. Anche perché si tratta di 3 anni di anticipo, non certo un anticipo netto di età pensionabile che può rendere particolarmente appetibile la misura. Ed anche portando la soglia da 2,8 ad 1,5 volte l’assegno sociale, l’appeal della misura non sarebbe incrementato in maniera esponenziale.
Ma ci sarebbe anche la proposta di Pasquale Tridico, Presidente dell’Inps. In questo caso la pensione potrebbe essere penalizzata solo per una parte, cioè per qualche anno fino al compimento dell’età per la pensione di vecchiaia.

Secondo il numero uno dell’Istituto Previdenziale, si potrebbe concedere una pensione anticipata a partire dai 63 anni. Ma accettando di percepire solo la parte contributiva dell’assegno. In pratica si deve accettare di percepire quella pensione tagliata e liquidata con il solo metodo contributivo. Ma il taglio durerebbe solo il necessario, cioè solo per quegli anni di anticipo fino ai 67 anni, quando si andrebbe a ricalcolare il tutto anche con la parte retributiva.  E sempre di pensione a 64 anni parla un’altra proposta, ma con taglio lineare del 3% per ogni anno di anticipo, cioè fino al 9% in meno di pensione. Evidente che il ragionamento dei legislatori è quello di dotare il sistema delle opportune misure di flessibilità in uscita, ma barattando l’anticipo con una pensione più bassa.