Lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate, cosa fare per evitare un accertamento fiscale

Prima di avviare un contenzioso con i contribuenti, in Italia il Fisco, dopo aver rilevato errori e/o anomalie, invia sempre una lettera che non è altro che un invito a regolarizzare la propria posizione.

In questo modo, per gli obblighi fiscali e tributari, l’Agenzia delle Entrate attiva un canale di dialogo finalizzato ad incentivare l’adempimento spontaneo proprio da parte del contribuente. Vediamo allora cosa fare quando arriva una lettera dell’Agenzia delle Entrate e, soprattutto, cosa fare per evitare sia un accertamento fiscale. sia l’avvio di un contenzioso.

Cosa fare per evitare un accertamento fiscale quando arriva una lettera del Fisco

La lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate può permettere al contribuente di correggere errori ed omissioni. Anche in base a dati che il Fisco non conosce o che, per qualche ragione, non ha potuto prendere in considerazione.

Ottemperando alla richiesta dell’Agenzia delle Entrate, anche avvalendosi eventualmente dell’istituto del ravvedimento operoso, il contenzioso con il Fisco termina ancor prima di iniziare. Ovverosia, risolta la questione, il contribuente, come sopra detto, eviterà di subire da parte dell’Agenzia delle Entrate un accertamento fiscale.

Nella lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate, inoltre, sono sempre indicate sia le modalità di accesso e di utilizzo del servizio relativo al ‘Cassetto Fiscale’, sia quelle per ‘CIVIS’, il servizio che permette di trasmettere e di far acquisire al Fisco dati e documenti utili legati proprio alla comunicazione ricevuta. Nella lettera, inoltre, il Fisco fornisce pure le modalità di compilazione della dichiarazione integrativa. Sulla base degli errori e/o delle omissioni che sono state riscontrate.

Al servizio CIVIS si accede dal portale dell’Agenzia delle Entrate tramite le credenziali. Quindi con un’identità digitale ed anche con le credenziali del Fisco se il contribuente è un professionista o un’impresa. Le tre identità digitali ammesse sono la Carta di Identità Elettronica (CIE), la Carta Nazionale dei Servizi (CNS) ed il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID).

Quando il Fisco invia al contribuente una lettera di invito alla verifica della propria posizione fiscale

La lettera inviata dall’Agenzia delle Entrate al contribuente non è altro che una comunicazione di invito alla compliance nell’ottica di un rapporto che è basato sulla trasparenza e sulla collaborazione. Detto questo, sono tanti i motivi per cui il Fisco può decidere di inviare una lettera al contribuente al fine di verificare prima e, eventualmente, regolarizzare poi la propria posizione fiscale.

Per esempio, questo accade quando nella dichiarazione sono stati omessi o sono stati comunicati solo in parte dei dati chiave sui redditi. Dai redditi da fabbricati a quelli da lavoro, o di pensione, e passando per i redditi da lavoro autonomo e per i redditi diversi.

Se le omissioni e/o gli errori segnalati dal Fisco sono stati effettivamente commessi dal contribuente, allora si dovrà presentare la dichiarazione integrativa. Con il conseguente versamento di maggiori imposte. Ma a fronte del pagamento delle sanzioni che saranno in misura ridotta. Rispetto a quelle che, invece, potrebbero essere applicate dopo l’avvio da parte dell’Agenzia delle Entrate di un accertamento fiscale.

Compravendite immobiliari: il contratto preliminare obbliga all’acquisto della casa?

Quali sono i passaggi di una compravendita immobiliare per arrivare all’acquisto di una casa? Nella prassi, la conclusione dell’affare avviene attraverso determinati passaggi. In primo luogo vi è la proposta. Segue l’accettazione, il contratto preliminare e il contratto definitivo.

La compravendita immobiliare: proposta e accettazione

Nella compravendita immobiliare, con la proposta normalmente il presunto acquirente di una casa manifesta l’interesse ad arrivare all’acquisto. Nel caso in cui il potenziare acquirente accettasse la proposta, sarà obbligato ad acquistare. Solitamente la proposta va firmata in agenzia. Dall’altra parte, accettando la proposta il venditore dell’abitazione si obbliga alla stipula del contratto proposto dall’acquirente.

Che cos’è il contratto preliminare in una compravendita di abitazione?

In una compravendita di abitazione, con il contratto preliminare il venditore e il compratore riproducono gli obblighi definiti dalla proposta e dall’accettazione. In questa sede, inoltre, definiscono altre clausole della compravendita. Al contratto preliminare segue il contratto di compravendita vero e proprio (o rogito). Con il rogito la proprietà della casa si trasferisce dal venditore al nuovo proprietario.

A cosa serve il contratto preliminare ai fini del rogito?

Pertanto, nella maggior parte delle compravendite delle abitazioni, il contratto preliminare è quasi sempre presente. Il preliminare, in buona sostanza, obbliga le parti ad arrivare al contratto definitivo. L’utilità del contratto preliminare risiede nel fatto che venditore e compratore potrebbero aver bisogno, come spesso avviene, di un certo lasso di tempo necessario a fare chiarezza sulle proprie esigenze di acquisto e di vendita e a preparare quanto necessario per il trasferimento della proprietà della casa.

Periodo di tempo tra contratto preliminare e definitivo: cosa avviene?

Durante il lasso di tempo tra contratto preliminare e rogito, sia il venditore che il compratore saranno impegnati in diverse attività. Da qui l’utilità del preliminare. Ad esempio, sia venditore che compratore dovranno provvedere al trasloco. Il venditore, poi, deve predisporre i documenti necessari da essere sottoscritti nel contratto definitivo. Documenti che devono essere visionati dal compratore che deve fare i suoi controlli. Può capitare anche che il compratore debba effettuare dei lavori di ristrutturazione o di manutenzione.

Contratto preliminare nella compravendita di una casa: a cosa serve?

Il contratto preliminare, pertanto, consente al venditore e al compratore di una abitazione di svolgere tutte le attività necessarie per arrivare al contratto definitivo avendo la certezza che, nel frattempo, l’altra parte non stipuli un ulteriore contratto con un soggetto terzo. Da questo punto di vista, con il contratto preliminare venditore e acquirente si accordano reciprocamente per arrivare al contratto definitivo mediante il quale avviene il reale trasferimento del diritto sull’abitazione da chi vende a chi compra.

Contratto preliminare acquisto di una casa: obblighi del venditore e del compratore

Pertanto, il contratto preliminare non ha alcun effetto immediato sul trasferimento della proprietà della casa dal venditore al compratore. Non si trasferisce, in altre parole, la proprietà della casa con il solo contratto preliminare. Ma ha un effetto di obbligo per entrambi le parti: per il venditore che sarà obbligato a sottoscrivere il contratto definitivo con il quale trasferirà la proprietà dell’abitazione; per il compratore che sarà obbligato a comprare l’abitazione.

Quanto vale la firma sul contratto preliminare per comprare una casa?

Con la firma del contratto preliminare, venditore e compratore danno atto di essere arrivati a un accordo su tutte le parti della contrattazione. Con tale intesa, venditore e compratore posticipano gli effetti della compravendita al momento in cui arriveranno alla firma del contratto definitivo (o rogito).

Baby influencer: cosa devono sapere le aziende e i genitori

Le persone sono sempre alla ricerca di nuove forme di guadagno e tra i lavori che emergono e che sempre più spesso sono amati, c’è quello da influencer, in questo mondo uno dei fenomeni che spopola è quello dei baby influencer, ma quali sono le norme che regolano questo settore e come devono comportarsi i genitori che vogliono “sfruttare” l’immagine social dei piccoli di casa?

Chi sono gli influencer

Quando un nuovo fenomeno emerge di solito lo fa al di fuori del quadro normativo, questo però non vuol dire che non si possano applicare delle regole e questo vale anche per i baby influencer, infatti i genitori devono sapere che ci sono delle regole da rispettare a tutela del minore.

Partiamo dall’inizio: l’influencer è un professionista che lavora solitamente nel campo della moda e riceve compensi per “sponsorizzare” attraverso i social i prodotti di vari brand. Il termine brand deve però essere individuato in modo molto generico, nel senso che anche un piccolo negozio di provincia può scegliere di offrire compensi a una persona per pubblicizzare la propria attività sui social.

Le forme attraverso cui si può organizzare questa attività sono diverse, ad esempio un contratto di collaborazione occasionale, ma anche la creazione di una società, cosa che conviene quando il volume di affari è ragguardevole. Potrebbe anche esserci un contratto alle dipendenze di un’agenzia. Non esiste l’albo degli influencer.

Le remunerazioni dipendono da diversi fattori, ma in primo luogo dalla capacità dell’influencer di “influenzare” gli altri, ecco perché diventano essenziali i follower presenti sulle proprie pagine Instagram, Facebook, Tik Tok, infatti le valutazioni dipendono proprio dal numero di essi. Quando si tratta di adulti tutto è abbastanza semplice da gestire infatti ci sono dei contratti regolari, la normativa stabilisce che è necessario chiarire sotto i post che si tratta di pubblicità remunerata.

Chi sono i Baby Influencer e la normativa di riferimento

Tutto diventa più complicato quando ad essere esposti sono i minori, si tratta infatti di un fenomeno molto comune e si parla di Baby Influencer, alcuni dei quali sono davvero già molto famosi, come i figli di Chiara Ferragni utilizzati per sponsorizzare le linee di abbigliamento baby create dalla madre, ma anche altri importanti marchi.

Si potrà obiettare che in effetti ci sono sempre stati bambini utilizzati nelle pubblicità e nel cinema. In realtà è così ed è prevista una disciplina per il lavoro minorile, si tratta della legge 17 ottobre 1967 n° 977, modificata in seguito all’entrata in vigore della direttiva 94/33/CE con D.Lgs. 4 agosto 1999 n.345 e che disciplina proprio i contratti pubblicitari di minori di 16 anni e L. 22 aprile 1941, n. 633 anche conosciuta come legge sul diritto d’autore che disciplina la tutela dell’immagine della persona e in particolare del minore e, infine, il codice civile.

Contenuto delle norme

La prima legge citata stabilisce che i minori possono essere impiegati in attività di tipo culturale, sportivo, artistico o pubblicitario, ma tali attività non devono pregiudicare sicurezza, integrità fisica e psichica del minore, il suo corretto sviluppo, la frequenza scolastica e la partecipazione ad attività di formazione e orientamento al lavoro dirette a fargli scegliere in modo consapevole un percorso di formazione professionale.

La legge 22 aprile 1941 n.633 mira a tutelare l’immagine del minore e stabilisce che per l’uso dell’immagine è in genere necessario il consenso del soggetto interessato e nel caso dei minori deve essere rilasciato il consenso da parte dei genitori o comunque da parte di soggetti che ne hanno la tutela.

In nessun caso vi può essere esposizione se la stessa pregiudica il minore stesso, quindi in questo caso neanche il consenso dei genitori è sufficiente.

Le sentenze in materia di Baby Influencer

Da questa disciplina applicata per analogia sono derivate diverse sentenze che hanno portato a censurare i comportamenti dei genitori che hanno esposto eccessivamente i figli. In alcuni casi c’è stato l’ordine di rimozione dei contenuti dai social aventi come soggetti dei minori e la deindicizzazione dei contenuti. Purtroppo questi provvedimenti sono “blandi” non per volontà del giudice ma per la stessa natura della rete, infatti se anche viene rimossa l’immagine dalla fonte principale, la stessa nella maggior parte dei casi è stata già girata migliaia di volte e spesso salvata dagli utenti quindi è davvero difficile controllare le immagini e la loro divulgazione una volta che sono finite nella grande rete.

Cosa ha deciso il Tribunale di Milano

Un’importante sentenza è del Tribunale di Milano n. 4379 del 16 luglio 2020: la madre aveva dato il consenso ad un contratto pubblicitario avente come protagonista il minore. Il padre ha proposto ricorso in quanto non aveva a sua volta dato il consenso. In sede il brand ha invece dichiarato che la madre aveva affermato di essere l’unico genitore responsabile del minore (affidamento esclusivo) . Di fatto il giudice ha dato ragione al padre individuando i contratti di sponsorizzazione come atti di straordinaria amministrazione e di conseguenza per poter procedere è necessario il consenso di entrambi i genitori che esercitano responsabilità genitoriale.

Il tribunale ha sottolineato nella sentenza che quando ci sono contratti che prevedono l’uso dell’immagine dei minori deve essere valutato se questi sono realmente rispondenti a interessi degli stessi minori applicando principi e i limiti stabiliti dalla Carta di Treviso. Nella sentenza si sottolinea che alcuni casi di spettacolarizzazione dell’immagine dei minori possono interferire con il normale processo di maturazione del minore.

La sentenza è importante perché sottolinea l’obbligo del brand di verificare che il consenso sia prestato da entrambi i genitori a cui viene riconosciuta la responsabilità genitoriale.

La Francia e i Baby Influencer

Proprio per la difficoltà di dare una tutela piena ai minori utilizzando norme datate ed emesse in contesti completamente diversi rispetto a quelli odierni, la Francia ha emanato una normativa specifica per i baby influencer. La legge stabilisce che le aziende che desiderano adibire a lavoro di baby influencer dei minori devono ottenere un’autorizzazione dalle autorità locali. L’orario di lavoro dovrà essere determinato in base all’età del minore e i compensi dovranno essere diretti a un conto intestato al minore e non potranno essere prelevati fino al raggiungimento del 16° anno del minore.

Con questa norma si vuole evitare che i genitori sottopongano a sfruttamento dell’immagine i minori per poterne percepire loro i guadagni. In molti auspicano che anche in Italia si procede nella stessa direzione della Francia e quindi a una tutela specifica per questa tipologia particolare di lavoratori che spesso sono sottoposti a costante stress per posare in foto e video pubblicitari.

Fondo perduto alle imprese dalla legge di Bilancio 2022: aiuti per transizione, turismo ed editoria

Ingenti le risorse messe a disposizione delle imprese dalla legge di Bilancio 2022. Si tratta di risorse da assegnare a fondo perduto per la transizione ecologica e industriale, la tutela ambientale, la lotta al cambiamento del clima e i sostegni all’editoria e al turismo. I finanziamenti, pari a 4 miliardi e 200 milioni di euro, saranno assegnati fino al 2026. In quasi tutte le misure c’è una quota relativa al finanziamento della transizione digitale.

Fondo perduto per obiettivi legati alla difesa ambiente e cambiamenti climatici: 840 milioni alle imprese

A tutela del clima è stato istituito il fondo rotativo del ministero della Transizione ecologica (Mite). Si distribuiranno risorse a fondo perduto per 840 milioni di euro all’anno, dal 2022 al 2026. Le imprese potranno beneficiare di finanziamenti per interventi rientranti nella difesa dell’ambiente e degli obiettivi fissati a livello europeo per i cambiamenti climatici. Sarà la Cassa depositi e prestiti a gestire le risorse.

Finanziamenti della Cassa depositi e prestiti: quali sono i prestiti e le garanzie che si potranno richiedere?

In particolare, La Cassa depositi e prestiti potrà assumere capitale di rischio attraverso il capitale di debito oppure tramite i fondi di investimento. Ma potrà anche erogare finanziamenti diretti e indiretti. Nell’ambito dello stesso obiettivo la Cassa depositi e prestiti potrà fornire garanzia sui finanziamenti bancari ottenuti dalle imprese nel limite del 50% di quanto finanziato. Per la misura sarà necessario attendere i relativi decreti che stabiliranno le modalità di utilizzo e di gestione del fondo.

Fondo perduto alle imprese per adeguamento dei sistemi produttivi

Sempre in ambito di difesa dell’ambiente e dei cambiamenti climatici, il ministero dello Sviluppo economico (Mise) istituirà fondi perduti a favore delle imprese per adeguare i propri sistemi produttivi alle politiche e agli obiettivi da raggiungere entro il 2030 e il 2050. Si tratta di finalità relative al dimezzamento delle emissioni e di emissioni zero entro la metà del secolo. I finanziamenti dal Mise, con un fondo di 150 milioni di euro all’anno fino al 2026, andranno a intervenire a favore delle imprese ad alta intensità energetica per:

  • interventi di efficientamento energetico;
  • riutilizzo delle materie prima e di quelle riciclate;
  • cattura e riutilizzo della CO2.

Anche per il fondo perduto alle imprese relativo alla transizione industriale sarà necessario attendere il decreto interministeriale che ne detterà gestione e utilizzo.

Sostegni al turismo: ecco gli interventi oggetto di finanziamento a fondo perduto

Fino a 100 mila euro di fondo perduto sono previsti per le imprese operanti nel settore turistico. Gli interventi mirano alla ristrutturazione delle strutture, alla costruzioni di nuovi impianti (come, ad esempio, la realizzazione di una piscina termale) e alla transizione verso il digitale delle imprese stesse. Beneficiari dei fondi saranno anche i campeggi, le strutture alberghiere e le terme. Il minimo ottenibile dalle imprese è di 40 mila euro a fondo perduto, elevabili di:

  • 30 mila euro per interventi di transizione digitale;
  • 20 mila euro per imprese gestite da donne o giovani;
  • ulteriore 10 mila euro per le strutture ubicate in tutte le regioni del Sud Italia più Abruzzo e Molise.

Contributi a fondo perduto per il settore del turismo: ecco quanto si potranno inviare le domande

Anche per i sostegni a fondo perduto del turismo occorrerà attendere l’uscita dell’apposito decreto che regolerà l’assegnazione delle risorse. Orientativamente la presentazione delle domande dovrebbe iniziare entro la fine di novembre o inizi di dicembre e gli interventi oggetto di finanziamento a fondo perduto potrebbero essere sia quelli di nuova realizzazione, sia quelli iniziati nel corso del 2021 ma non ancora ultimati.

Fondo perduto per l’editoria: ecco gli interventi finanziabili

Infine, un fondo di finanziamenti è stato previsto dalla legge di Bilancio 2022 a favore del settore dell’editoria. Si tratta di 90 milioni di euro per il 2022 e di 140 milioni per il 2023 per l’incentivazione di investimenti delle aziende editoriali. Anche il fondo perduto di questo finanziamento riguardano la transizione digitale e l’innovazione tecnologica delle imprese,  l’impiego in azienda di giovani professionisti, le ristrutturazioni aziendali. Sono compresi nei finanziamenti (anche per le nascenti attività) anche il sostegno agli ammortizzatori sociali e le domande di informazione.

Agenti di commercio: quando vanno in pensione con Enasarco?

In questa rapida ed esaustiva guida andremo a vedere come funziona il pensionamento per una determinata categoria di lavoratori. Scopriremo con Enasarco quando vanno in pensione gli agenti di commercio.

Enasarco, di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo col dire cosa si intende con la parola

L’Enasarco non è altro che l’Ente Nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio.

Dunque, la previdenza gestita da Enasarco rappresenta un caso singolare in Italia dal momento che essa è integrativa rispetto al trattamento pensionistico erogato dall’AGO (dove gli agenti versano presso la gestione artigiani e commercianti) ma al tempo stesso obbligatoria, a differenza della comune previdenza complementare. I rappresentati e gli agenti di commercio sono pertanto obbligati a versare i contributi verso due enti, l’Inps e l’Enasarco per l’appunto. Il riconoscimento di questo status specifico del Fondo risale alla legge 613/1966, rimasto immutato dopo l’approvazione della Legge Fornero.

Agenti di commercio e pensionamento

Dal 1° gennaio di questo anno 2021 l’Enasarco eroga la pensione ordinaria di vecchiaia al raggiungimento di un’anzianità contributiva perlomeno di 20 anni e 67 anni di età anagrafica per gli uomini (e 65 per le donne), in conformità del raggiungimento di una “quota” minima data dalla somma tra l’età anagrafica e l’anzianità contributiva. La quota, dunque per l’anno in corso, il 2021, è di 92 anni per gli uomini e 91 anni per le donne. Entro il prossimo 2024 avverrà, invece, la piena equiparazione dei requisiti tra uomini e donne. La pensione è inoltre compatibile con l’attività la­vorativa.

Chi è tenuto ad iscriversi ad Enasarco?

Chi sono, dunque quei lavoratori tenuti ad iscriversi a tale fondo, è la domanda che più diviene nucleica, in tal punto.

Partiamo col dire che l’articolo 5 della legge 12/73 pone un obbligo di iscrizione verso l’Enasarco agli agenti ed i rappresentanti di commercio di cui all’articolo 1742 e 1752 del codice civile che operano sul terri­torio nazionale per conto di preponenti italiane o di preponenti straniere con sede o una qualsiasi dipendenza in Italia. Vi rientrano in tale categoria anche gli agenti italiani che operano all’estero per conto di preponenti italiane. L’iscrizione si pone obbligatoria per gli agenti che svolgono l’attività sia nella forma individuale che in quella societaria, qualunque sia la forma giuridica assunta, ma necessario che siano illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali. Coloro che non svolgono attività di agenzia, anche se illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, non sono, invece tenuti all’iscrizione.

Come funzionano i contributi misti

Andando nello specifico della vicenda, vediamo come funzionano i contributi misti per il pensionamento.

Una delle principali complessità possiamo dire che riguarda la possibilità per gli iscritti di cumulare i contributi versati all’Enasarco con i contributi versati presso altre forme della previdenza obbligatoria.

Infatti, i contributi versati all’Enasarco non possono formare congiunzione con quei contributi versati dall’Agente nell’AGO e nelle forme esclusive, sostitutive od esonerative di tale assicurazione, tantomeno possono formare oggetto di cumulo o totalizzazione nazionale in quanto per loro natura risultano temporalmente coincidenti con quelli versati nelle differenti gestioni previdenziali.

La rigidità di tale situazione è aumentata anche per il fatto che la Fondazione non conosce l’istituto della pensione supplementare. A tal proposito, gli Agenti già titolari di una prestazione a carico dell’AGO o dei fondi ad essa sostitutivi od esclusivi non possono chiedere una prestazione supplementare a carico della Fondazione se non possiedono il requisito contributivo per la pensione autonoma (ovvero un periodo di almeno 20 anni di contributi).

Questo è, dunque, quanto di più utile, sostanziale e necessario vi fosse da sapere in merito alla modalità e alle tempistiche di pensionamento attraverso il fondo Enasarco per quelle categorie di lavoro come gli agenti di commercio e i rappresentanti di commercio.

Costituzione della Posizione Assicurativa: cos’è e a chi serve

In questa rapida ed esaustiva guida andremo a scandagliare come avviene la costituzione della posizione assicurativa, cosa è e a chi serve.

Costituzione della posizione assicurativa: di cosa si tratta

Fondamentalmente, in primo luogo, dobbiamo sapere cosa si intende per Costituzione della posizione assicurativa.

La Costituzione della Posizione Assicurativa non è altro che un istituto che consente ai lavoratori dipendenti iscritti a forme di assicurazione esclusive o a quelle sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria che non hanno maturato il diritto alla prestazione pensionistica al momento della cessazione del rapporto lavorativo di poter ottenere il trasferimento della contribuzione accreditata nel fondo lavoratori dipendenti dell’Inps.

Dunque, essa è volta ad assicurare al lavoratore, cessante il rapporto di lavoro nell’ordinamento speciale il trasferimento nell’ordinamento comune della contribuzione versata, alla condizione che l’assicurato non abbia maturato il diritto alla pensione a carico della gestione speciale al momento della cessazione dell’attività lavorativa.

Cos’altro c’è da sapere sulla Costituzione della posizione assicurativa

Una cosa non poco importante da sapere è che a differenza della ricongiunzione, la costituzione della posizione assicurativa può accadere solo presso il fondo pensione lavoratori dipendenti dell’Inps (e quindi non attuabile presso altri fondi pensionistici obbligatori alternativi) ed il trasferimento può esserci anche in assenza di iscrizione presso qualunque altro fondo previdenziale obbligatorio. A tal proposito, infatti, la ricongiunzione richiede che l’interessato risulti iscritto almeno a due fondi pensionistici.

Come funziona la situazione per quanto riguarda i fondi AGO (Assicurazione Generale Obbligatoria)?

Dunque, in seguito all’ intervento normativo di luglio 2010, per quanto riguarda gli iscritti presso i fondi esclusivi dell’AGO (ovvero i dipendenti pubblici) la regola della costituzione della posizione assicurativa presso l’Inps trova ancora applicazione, in merito alle seguenti posizioni:

  • per i dipendenti statali, con iscrizione alla Cassa Stato, CTPS (per i quali la costituzione della posizione assicurativa opera d’ufficio), per le cessazioni accadute entro la data del 30 luglio 2010;
  • per gli altri dipendenti pubblici, iscritti alle Casse CPDEL, CPS, CPI e CPUG (per i quali la costituzione della posizione assicurativa va ad operare esclusivamente su domanda), per le cessazioni dal servizio avvenute entro il 30 luglio 2010 ancorchè presentino domanda di costituzione successivamente al 30 luglio 2010;
  • per i lavoratori iscritti al Fondo Ferrovie dello Stato (per i quali la costituzione della posizione assicurativa operava d’ufficio), le cui cessazioni siano avvenute entro la data del 30 luglio 2010.

Cosa avviene, invece negli altri fondi sostitutivi della suddetta AGO?

Lo stesso intervento normativo del 2010 ha disposto l’abolizione anche delle norme speciali che regolavano la costituzione gratuita della posizione assicurativa nel Fpld ai sensi dall’articolo 3, co. 14 del Dlgs 562/1996 e dell’articolo 28 della legge 1450/1956 a favore rispettivamente degli iscritti ai soppressi Fondi Elettrici e Telefonici.

In merito all’abrogazione delle suddette norme, l’articolo 12, co. 12-octies e 12-nonies della legge 122/2010, è andato ad introdurre però la facoltà, sempre a partire dal 1° luglio 2010, di costituire la predetta posizione assicurativa a titolo oneroso nel FPLD attraverso il versamento di un onere determinato nella medesima misura dovuta alla ricongiunzione dei periodi assicurativi nell’AGO.

Per cui, possiamo dire che i lavoratori iscritti presso i soppressi fondi elettrici e telefonici, il cui rapporto di lavoro è cessato dopo il 30 luglio 2010 possono trasferire i contributi al FPLD sia con la ricongiunzione, sia attraverso la costituzione della posizione assicurativa sostenendo, in entrambi i casi, il relativo onere. 

Per coloro che, invece, risultano cessati entro il 30 luglio 2010 il trasferimento della posizione assicurativa continua ad avvenire a titolo gratuito, ovvero su segnalazione degli interessati, quindi anche all’atto della liquidazione della pensione;

In ultimo, ma non ultimo, vi è da sapere che per i lavoratori che si avvalgono dopo il 30 luglio 2010 della costituzione della posizione assicurativa l’onere da disporre a carico del richiedente, è pari al 50% del valore derivante dalla differenza fra la riserva matematica determinata sulla base della sola contribuzione di pertinenza del Fondo e la contribuzione, aumentata di interessi al tasso annuo composto del 4,50%, relativamente a tutti i periodi contributivi maturati in relazione alla preesistente assicurazione nell’ordinamento speciale, escluse le modalità di calcolo relative ai periodi oggetto di trasferimento da valutare, ai fini del calcolo della pensione, secondo il sistema contributivo.

Dunque, questo è quanto vi fosse, sostanzialmente da sapere in merito alla costituzione della posizione assicurativa.

 

Naspi-Dis coll, le novità in arrivo per la disoccupazione nel 2022

Sono in dirittura d’arrivo alcune novità contenute nella legge di Bilancio 2022 per gli assegni di disoccupazioni Naspi e Dis call. Per la Naspi, in particolare, verrà superato il requisito di dover dimostrare le 30 giornate effettive di lavoro. Tra le altre novità, si menziona anche l’estensione di applicazione dell’indennità di disoccupazione ad alcuni settori dell’agricoltura.

Disoccupazione Naspi 2022, cambia il meccanismo di decurtazione del 3%

Inoltre, l’altra novità della Naspi in arrivo nel 2022 con la legge di Bilancio è quella relativa al cambio di meccanismo di decurtazione dell’indennità stessa. Ild 3% verrà applicato al sesto mese e non più al quarto; per chi ha almeno 55 anni, la decurtazione scatterà all’ottavo mese.

Requisiti Naspi 2022: quali sono?

Pertanto, la legge di Bilancio 2022 delinea dei requisiti più facili da raggiungere per ottenere l’indennità di disoccupazione Naspi. Infatti, l’assegno verrà riconosciuto ai lavoratori che abbiano perso in maniera non volontaria la propria occupazione. Inoltre, i lavoratori dovranno presentare congiuntamente altri requisiti:

  • essere in stato di disoccupazione;
  • poter far valere, nei 4 anni precedenti il cominciare della disoccupazione, non meno di 13 settimane di contributi;
  • far valere almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi che precedono l’inizio della disoccupazione.

Il disegno di legge di Bilancio 2022 elimina definitivamente il requisito richiesto delle 30 giornate di lavoro effettive applicato alle disoccupazioni che si verifichino a partire dal 1° gennaio prossimo.

Novità Naspi in agricoltura del 1° gennaio 2022

Altre novità dell’applicazione dell’indennità di disoccupazione Naspi sono attese per il settore dell’agricoltura. Il disegno di legge di Bilancio 2022 stabilisce infatti che saranno destinatari della Naspi nel nuovo anno anche gli operai agricoli che sono stati assunti a tempo indeterminato dai consorzi e dalle cooperative. Gli operai devono essere impiegati nella trasformazione, nella manipolazione e nella commercializzazione di prodotti agricoli e zootecnici.

Naspi, per le imprese agricole pagamento della quota contributiva dal 2022

Peraltro, proprio la legge di Bilancio 2022 istituisce l’obbligo, dal nuovo anno, per le imprese agricole di pagamento della relativa contribuzione dell’indennità di disoccupazione. Infatti le cooperative e i consorzi sono obbligati a pagare le contribuzioni per il finanziamento della Naspi con il contributo dell’1,4%. L’aliquota è applicata sui lavoratori assunti non a tempo indeterminato. La percentuale sale di uno 0,5% per ogni rinnovo dei contratti a termini dei lavoratori. Lo stesso meccanismo è previsto per i somministrati.

Disoccupazioni, le novità in arrivo per la Dis coll

Per quanto attiene alla disoccupazione Dis coll, l’indennità riconosciuta ai lavoratori parasubordinati che siano iscritti alla Gestione separata dell’Inps, cambia la riduzione dell’assegno. Ad oggi, infatti, è previsto che la riduzione del 3% scatti a partire dal quarto mese di pagamento dell’indennità. Con la legge di Bilancio 2022 la riduzione sarà posticipata al sesto mese di fruizione. La novità decorre per le disoccupazioni degli aventi diritto a partire dal 1° gennaio prossimo.

Dis coll, per quanti mesi la fruizione dell’assegno di disoccupazione?

Lo stesso disegno di legge di Bilancio 2022 introduce novità anche sulla durata della Dis coll. Infatti, stabilisce che l’indennità debba essere corrisposta ogni mese per un numero di mesi pari ai contributi accreditati nel periodo che va dal 1° gennaio dell’anno in cui sia cessato il lavoro e fino alla cessazione stessa. Non si considerano eventuali periodi contributivi nei quali il soggetto abbia beneficiato in precedenza della prestazione. La durata massima è fissata, in ogni modo, in 12 mesi.

Risarcimento danni, quando va in prescrizione?

Il risarcimento danni va preteso entro un termine che ne consegue la prescrizione. Ma quando scade la nostra possibilità di essere risarciti da un danno, quando va in prescrizione? Scopriamolo assieme.

Risarcimento danni, come funziona

Iniziamo col definire il risarcimento danni e la sua funzione.

La parte che danneggia un altro soggetto, provocandogli un danno contrattuale o extracontrattuale, è tenuto a risarcirlo del pregiudizio arrecato: il risarcimento non è altro, dunque, che la reintegrazione del patrimonio del danneggiato per riportarlo nella situazione in cui si sarebbe trovato se la lesione non si fosse verificata.

L’esercizio del diritto che necessita ad interrompere la prescrizione può consistere, come vedremo successivamente, non necessariamente nell’avvio di un’azione giudiziale; il creditore infatti può limitarsi ad inviare semplicemente una lettera di diffida con raccomandata a.r. o previa posta elettronica certificata. Anche il riconoscimento del debito da parte del responsabile va ad interrompere la prescrizione. 

Ma quale è la prescrizione del risarcimento danni? Vediamo di seguito

Risarcimento danni, quando va in prescrizione

Qualora il danno derivasse da un inadempimento contrattuale, il termine di prescrizione del relativo diritto al risarcimento ha un tempo di dieci anni. Risulta, invece, del tutto indifferente il fatto che il contratto sia stato stipulato per iscritto o in forma verbale. Ad esempio, il diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale si estingue per decorso del periodo di prescrizione ordinaria decennale.

Qualora invece il danno derivasse da un altro comportamento illecito che non ha la sua fonte in un contratto, il termine di prescrizione è di un tempo di cinque anni (così dispone l’articolo 2947 del Codice civile). Basti pensare al caso di chi, avendo subito infiltrazioni d’acqua dalle tubature dell’appartamento superiore, intende agire contro il relativo proprietario per farsi rimborsare i soldi per la verniciatura del soffitto.

In ultimo, ma non ultimo, il tempo di prescrizione per sinistri stradali, è invece inferiore, di soli due anni di tempo. Ma, in tal caso bisognerà vedere se sussiste possibilità di reato e quindi con una possibilità di prescrizione più lunga.

Decorrenza del termine di prescrizione

Il termine di prescrizione inizia la sua decorrenza da quando il danno si manifesta ed è oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato. Con questo si va a dire che avviene dal momento in cui quest’ultimo viene a conoscenza del comportamento illecito, indipendentemente da quando è stato posto in essere. Ciò significa che il termine di prescrizione potrebbe non avere inizio mai la decorrenza se il danno viene tenuto nascosto.

Ma come impedire la prescrizione del risarcimento danni?

Il solo ed unico modo per poter impedire la prescrizione è quello di esercitare il proprio diritto. Come detto anticipatamente in apertura, ciò non richiede per forza di cose l’avvio di un’azione giudiziale nei confronti del responsabile. Sarà sufficiente diffidarlo con una semplice lettera di contestazione (una comune diffida) purché se ne potrà dimostrare il ricevimento.

Sarà preferibile in tal caso la raccomandata a.r., la pec o il telegramma. In questi casi, il termine di prescrizione si interrompe ed inizia a decorrere nuovamente da capo, partiendo dal giorno successivo al ricevimento dell’atto: conta quindi la data di consegna al destinatario e non quella di spedizione. Con la conseguenza che eventuali ritardi o disguidi postali ricadono sul mittente.

La lettera dovrà descrivere in modo abbastanza specifico il fatto che ha determinato il danno in modo da non lasciare spazio ad equivoci.

Inoltre, la prescrizione può essere anche interrotta da un riconoscimento di responsabilità da parte del debitore, cosa che può avvenire in modo espresso o tacito, purché sempre necessariamente per iscritto.

Possiamo, dunque dire che certamente, la notifica di un atto giudiziario (ovvero una citazione o un ricorso al giudice) interrompe la prescrizione. In tale caso, però, il termine non inizia a decorrere nuovamente da capo bensì resta sospeso durante la durata intera della causa. Pertanto, se il processo dovesse durare molti anni, non si può comunque mai ottenere la prescrizione. 

Questo, dunque, è quanto di più utile e necessario vi sia da sapere in merito alla possibilità di prescrizione per un risarcimento danni e alle variabili per impedirne la possibilità della stessa.

I contratti del condominio, quali sono ed il caso del portiere

I contratti di condominio sono tutti i rapporti in cui il datore di lavoro è proprio il condominio.  Ecco quali sono e come gestirli.

Contratti di condominio, quando il condominio è il datore di lavoro

Nei contratti di lavoro del condominio le parti sono date dal lavoratore subordinato e dallo stesso condominio, che non è un imprenditore. Ma anche qui risulta determinante la figura dell’amministratore che deve essere in grado di gestire una pluralità di soggetti con cui in svariati modi entra in contatto.

Alcuni esempi di questi rapporti sono quelli che riguardano lo svolgimento di determinati servizi una fra tutti quello di pulizia delle parti in comune. Tuttavia si tratta di un servizio che è essenziale all’interno di un condominio, perché rappresenta a volte il biglietto da visita dell’edificio stesso.

I lavoratori utili ad un condominio

Il servizio di portierato è uno dei contratti che si istaura tra il condominio e il lavoratore. Il contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti di fabbricati è stato firmato il 12/11/2012 da Confedilizia. Il contratto collettivo all’art. 18 elenca le varie figure professionali a cui si applica:

  • portiere con e senza alloggio;
  • lavoratori che si occupano della vigilanza;
  • addetti alla pulizia o alla manutenzione degli immobili;
  • lavoratori con mansione di operaio qualificato per la manutenzione degli impianti;
  • assistenti ai bagnanti nel caso cui vi sia una piscina nell’area condominiale;
  • lavoratori con funzioni amministrative;
  • impiegati con diverso ordine.

I contratti del condominio, il caso particolare del portiere

Il portiere di uno stabile ha diritto al trattamento economico come qualsiasi altro lavoratore, ma con delle eccezioni. Secondo quanto stabilito dal CCNL l’orario di lavoro è il periodo in cui il datore di lavoro stabilisce l’apertura e la chiusura del portone. Di solito questo orario è compreso dalle ore 7 del mattino alle ore 20 di sera.

Tuttavia occorre fare alcune precisazioni se il portiere ha o meno a disposizione un alloggio. Per i portieri con alloggio è di 48 ore settimanali, per quelli senza alloggio di 45 ore settimanali. Invece la reperibilità è un periodo temporale massimo di 12 ore settimanali, in cui il portiere, con l’alloggio e a tempo pieno non lavora, ma rimane obbligato ad intervenire prontamente in caso di necessità.

In merito all’alloggio questo deve essere gratuito. Infatti deve essere esclusa la guardiola, ma è un locale o spazio separato distinto e composto da almeno due ambienti.

Quali sono le mansioni del portiere?

Il portiere svolge molteplici mansioni all’interno del condominio. Infatti si occupa di controllare gli accessi nell’edificio quando è di servizio. Inoltre svolge un servizio molto utile che è legato allo smistamento della corrispondenza. Un servizio che potrebbe essere considerato poco importante, in un tempo in cui la comunicazione passa attraverso internet, ma che in realtà non è così. Basti pensare alla semplice consegna dei pacchi quando si fanno acquisti online.

Il portiere si occupa anche della sostituzione delle lampadine elettriche e all’effettuazione di piccole opere di manutenzione. Ma spesso il portiere è anche colui  che detiene le chiavi per accedere al vano ascensore, al montacarichi o alla sorveglianza dei citofoni, i vani caldaia. Il servizio di portierato si completa anche di interventi in caso di urgenza o di funziona da tramite tra il problema ed il professionista chiamato dall’amministratore per la riparazione.

Il trattamento economico del portiere

La retribuzione del portiere con alloggio si distingue per alcune caratteristiche da quella prevista per qualsiasi altro lavoratore dipendente. Infatti la sua composizione comprende la retribuzione fissa, una quota variabile a seconda delle concrete caratteristiche dell’alloggio. A questi vanno aggiunti anche altri benefit, perché di solito il portiere non paga acqua e luce e riscaldamento all’interno del suo alloggio. Bollette che rimangono in capo alle spese del condominio e che quindi devono essere preventivate. Anche se in alcuni casi vengono pagate dal portiere e rimborsate in busta paga come indennità.

Il condominio paga anche i contributi dovuti agli istituti assicurativi, come qualsiasi altro lavoratore. Ha diritto alle ferie durante l’anno e permessi come la malattia. Alla fine della sua carriera lavorativa spetta sia la buona uscita (liquidazione) che come ovvio la pensione da lavoro. Ma quando finisce il suo lavoro l’alloggio deve essere liberato perché verrà utilizzato dal suo sostituto e nuovo portiere.

C’è da dire che a volte nei condomini in cui è presente il servizio di portierato le spese condominiali, imputate ad ogni singolo proprietario di casa, sono maggiori rispetto ai condomini privi. Ma se da un lato questo può sembrare un elemento negativo in realtà è commisurato ai servizi ricevuti, che spesso risultano essere essenziali.

 

Prima casa, quando la vendita prima dei 5 anni fa perdere il bonus

Quando si possono perdere i bonus sull’acquisto della prima casa vendendola o cedendola prima dei 5 anni? È necessario prestare attenzione alle disposizioni di legge prima di pensare a un ulteriore trasferimento per verificare quando la vendita sia consentita. In particolare, la condizione da verificare è quella se, con l’acquisto della prima casa, il compratore abbia usufruito dei vantaggi concessi dall’articolo 1 della Tariffa contenuta nella prima parte dell’allegato al decreto del Presidente della Repubblica numero 131 del 1986.

Agevolazioni acquisto prima casa: la decadenza per ritrasferimento entro un anno

La prima condizione per non perdere i vantaggi fiscali della prima casa è quella di non procedere alla vendita dell’abitazione prima dei 5 anni. Le agevolazioni non si perdono anche nel caso in cui si proceda, entro il termine di un anno, all’acquisto di un’altra abitazione sostituendo dunque la casa da destinare come principale. Ulteriori situazioni nelle quali non si perdono i bonus legati all’acquisto della prima casa rientrano nei casi di accordi tra coniugi separati. Le relative clausole devono essere inserite negli accordi di separazione. In particolare, negli accordi deve essere prevista la cessione della casa da un coniuge all’altro oppure la cessione dei coniugi della casa verso terzi.

Accordi di separazione nell’acquisto della prima casa a condizioni agevolate

Entrambe le situazioni rientrano nell’esenzione fiscale operata dall’articolo 19 della legge numero 74 del 6 marzo 1987.  Il legislatore, in casi di cessazione o di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, ha ritenuto applicabile l’allargamento dell’esenzione fiscale anche ai casi di separazione. Più dettagliatamente, l’articolo 19 prevede l’esenzione dell’imposta da bollo, di quella di registro e di ciascuna altra tassa prevista sia nei rapporti interni alla famiglia che in quelli relativi ai terzi.

Prima casa, separazione e decadenza agevolazioni: interpello Agenzia delle entrate

Ai fini del regime agevolato per la prima casa previsto dall’articolo 19 della legge 74 del 1987, l’Agenzia delle entrate è intervenuta per interpello con decisione del 27 febbraio 2020, numero 80. L’Agenzia era stata interpellata per la decadenza delle agevolazioni sulla prima casa in una situazione nella quale i coniugi si erano separati consensualmente. In un momento successivo, i due avevano ceduto a terzi l’immobile per il quale avevano ottenuto le agevolazioni suddette.

Decisione Agenzia delle entrate su separazione coniugi e prima casa

In tal caso, l’Agenzia delle entrate aveva rigettato l’istanza dei coniugi disponendo la decadenza delle agevolazioni legate all’acquisto della prima casa. Per arrivare alla decisione, l’Agenzia ha preso in esame il comma 3 dell’articolo 12 del decreto numero 132 del 2014. In base alla normativa, infatti, l’accordo di separazione non può contenere patti di trasferimento patrimoniale.