Pensioni subito, senza riforme o quote, ecco come per i nati fino al 1965

Il Mattarella bis, la rielezione del Presidente della Repubblica, per altri 7 anni (sempre che non si interrompa prima) avrà impatto pure sulle pensioni. Questo è inevitabile, almeno secondo gli esperti. Che sostengono anche che la conferma di Sergio Mattarella al Quirinale salvaguarda la riforma delle pensioni.

Quale non si sa, anche perché i tecnici che sostengono questo, non dicono che oggi una riforma delle pensioni non esiste, non è nemmeno allo stato embrionale. Certo, se si considera riforma il semplice fatto che alcune proposte sono finite sul tavolo di governo e sindacati, la situazione è davvero grave.

Per questo meglio guardare al presente, a ciò che offre il sistema previdenziale, con le misure di oggi che a dire il vero non sono poche. E tante di queste misure permettono uscite anticipate senza fronzoli, senza ipotetiche riforme, senza quelle quote a cui da tre anni siamo abituati (quota 100 prima e quota 102 adesso). Misure che potrebbero, se capite bene, portare alla pensione una vasta platea di lavoratori, fino ai nati nel 1965.

Pensione fino a i nati nel 1965

Il dossier pensioni, cioè il lavoro di riforma, è fermo agli ultimi incontri  governo-sindacati. Alcune ipotesi ci sono, e riguardano la flessibilità in uscita. Qualcuno ha avanzato il progetto di completare il quadro entro la primavera, con il Documento di economia e finanza. Probabilmente tutto si risolverà, o non si risolverà, nella prossima legge di Bilancio.

Nel frattempo, chi vorrebbe lasciare il lavoro, non può non guardare alle misure vigenti. E gioco forza bisogna partire dalla pensione anticipata ordinaria. Misura che per dote contributiva richiesta, riguarda lavoratori che hanno avuto carriere lunghe e durature, possibilmente iniziate da giovani.

La misura per gli uomini si centra, senza limiti di età con 42 anni e 10 mesi di contributi versati. Per le donne invece servono 41 anni e 10 mesi. La pensione anticipata ordinaria ha sostituito la pensione di anzianità dopo la riforma delle pensioni del governo Monti, quella targata Elsa Fornero. In definitiva, nel 2022 possono uscire con la pensione anticipata ordinaria i lavoratori che hanno:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi di contributi versati per le donne;
  • 35 anni di contribuzione effettiva (senza i figurativi da disoccupazione o malattia).

Pensione ai precoci, l’età non conta, basta la carriera

Simile alla pensione anticipata ma limitata come platea c’è la quota 41. Misura destinata ai precoci, che hanno iniziato a lavorare piuttosto giovani. E poi destinata solo a determinate categorie, cioè disoccupati, invalidi, caregivers e lavori gravosi. In definitiva:

  • 41 anni di contribuzione;
  • 35 anni di contribuzione effettiva (senza i figurativi da disoccupazione o malattia);
  • Almeno 1 anno di contributi antecedente i 19 anni di età, anche discontinui.

In estrema sintesi, grazie alla quota 41 chi ha iniziato a lavorare intorno ai 16 anni può pensionarsi già intorno ai 57 anni, cioè pure i nati nel 1965.

La pensione anticipata per i contributivi

Non si può non considerare pure la misura di pensionamento anticipata per i contributivi. Persone che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, vengono chiamati comunemente contributivi puri. In pratica, sono lavoratori che non hanno carriera in epoca retributiva.

Per loro non ci sono problemi di calcolo della pensione o di sistema da applicare. Infatti rientrano in pieno nel metodo contributivo. La pensione per questi lavoratori si centra con:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 20 anni di contributi versati;
  • Assenza di contributi versati, a qualsiasi titolo, prima del 1° gennaio 1996;
  • Pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale (1.310 euro circa al mese al lordo delle tasse).

Ape sociale e Opzione donna, pensioni anticipate confermate nel 2022

Altre misure che certamente possono servire senza dover per forza auspicare una riforma radicale del sistema, sono Opzione donna e l’Ape sociale. Anche in questo caso parliamo di misure a platea circoscritta. Opzione donna si centra con:

  • Almeno 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti;
  • Almeno 59 anni di età per le lavoratrici autonome;
  • Non meno di 35 anni di contributi.

Per l’Ape sociale invece, la pensione riguarda le stesse categorie di quelle a cui è destinata la quota 41. Solo per i lavori gravosi, la platea degli interessati all’Ape sociale rispetto alla quota 41 è più vasta. Infatti per il 2022 i lavori gravosi per l’Ape sociale sono stati estesi a diverse altre categorie oltre le 15 inizialmente previste quando l’Anticipo pensionistico sociale e la quota 41 nacquero. Questo è il frutto del lavoro della commissione per i lavori gravosi incaricata dal Ministero del Lavoro di trovare quali e quante attività sono meritevoli di tutela in base agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali.

L’Ape sociale si centra con:

  • Almeno 63 anni di età;
  • Almeno 30 anni di contributi versati per caregivers, invalidi e disoccupati;
  • Solo per edili e ceramisti almeno 32 anni di contributi versati;
  • Almeno 36 anni di contributi per gli altri lavori gravosi.

Pensioni di vecchiaia anticipate per invalidi

Una misura davvero particolare e piuttosto vantaggiosa è la pensione di vecchiaia anticipata con invalidità pensionabile. Chi viene riconosciuto invalido almeno all’80% da parte della commissione medica dell’Inps può avere accesso alla quiescenza diversi anni prima dei 67 anni e lo può fare anche nel 2022.

La pensione di vecchiaia anticipata si centra con:

  • Almeno 61 abbi di età per gli uomini;
  • Almeno 56 anni di età per le donne;
  • Minimo 20 anni di contributi versati;
  • Invalidità pensionabile pari ad almeno l’80%.

Pensioni nel 2022: quando l’età non conta, ecco le misure che lo permettono

Pensioni con uscita a 67 anni di età perché così prevede la pensione di vecchiaia. Ed i sindacati a chiedere misure flessibili dai 62 anni di età. Nel frattempo, ecco la quota 102 a 64 anni in sostituzione della quota 100 che però può essere ancora fruita da chi ha cristallizzato il requisito e quindi a 62/63 anni. Ma poi c’è anche l’Ape sociale, che si può sfruttare a partire dai 63 anni di età. Perfino una misura che chiede un enorme sacrificio alle lavoratrici, con il suo ricalcolo contributivo e penalizzante della pensione, prevede una determinata età per essere fruibile. Infatti le lavoratrici dipendenti escono a 58 anni di età e le autonome a 59 anni di età, sempre che i requisiti siano stati completati entro il 31 dicembre dl 2021.

Sono moltissime le misure previdenziali che prevedono una determinata soglia di età minima per poter essere sfruttate. E sarà così anche nel 2022, con due misure per pensioni anticipate. Sostanzialmente il nostro ordinamento prevede due sole misure che prescindono dal requisito anagrafico. E sono due misure strutturali, nel senso che non hanno scadenza e sono dentro il sistema previdenziale. Parliamo delle classiche pensioni anticipate, altrimenti dette ordinarie, e della quota 41, che però non è quella per tutti che tanto i sindacati vogliono. In definitiva, solo queste due strade portano ad una pensione al raggiungimento di una determinata età contributiva, con alcuni altri requisiti tra cui però manca quello anagrafico.

La pensione anticipata ordinaria, come fare nel 2022

La pensione anticipata ordinaria permette ai lavoratori di non dover attendere alcun limite di età per accedere alla quiescenza. Basterà aver maturato un determinato requisito contributivo. La pensione anticipata altro non è che l’alter ego della pensione di anzianità ante Fornero, che proprio la professoressa e Ministro del Lavoro del governo Monti decise di abolire e sostituire con questa misura.

La pensione di anzianità infatti resta fruibile (in salvaguardia) solo per chi  ha maturato i relativi requisiti entro il 31 dicembre 2011 ((ma ad occhio, non ne esistono più di lavoratori di questo tipo).

Va detto che la pensione anticipata riguarda i lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO), quindi pure al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, alle Gestioni speciali per i lavoratori autonomi, alla Gestione Separata INPS e alle forme sostitutive ed esclusive dell’AGO.

Per accedervi basta raggiungere i 42 anni e 10 mesi di contributi versati (2.227 contributi settimanali) se il richiedente è uomo, mentre 41 anni e 10 mesi (2.175 contributi settimanali) se il richiedente è donna. Occorre attendere la finestra di 3 mesi tra la data di maturazione del diritto e la data di decorrenza della prestazione pensionistica.

Per tutti, almeno 35 anni di contributi versati devono essere al netto dei contributi figurativi da malattia o disoccupazione.

Pensioni anticipate con la quota 41 nel 2022

La quota 41 è una misura che non prevede limiti di età. Nessuna differenza tra uomini e donne. Per tutti sono necessari 41 anni di contributi versati. Di questi, 35 anni devono essere effettivi, quindi al netto dei figurativi per disoccupazione e malattia. Le pensioni con quota 41

Inoltre è necessario rientrare tra i precoci, cioè avere un anno di contributi versati prima dei 19 anni di età e non necessariamente continui.

Anche in questo caso, misura aperta ai lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria e alle forme sostitutive o esclusive dell’Ago. Ma serve anche che si rientri un una delle sottoelencate categorie:

  • Disoccupati che hanno perso il posto di lavoro per licenziamento individuale, licenziamento collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale;
  • Invalidi con disabilità pari o superiore al 74%;
  • Persone che assistono familiari (coniuge o un parente di primo grado conviventi o affini con situazioni familiari particolari) con handicap in situazione di gravità;
  • Lavoratori addetti alle mansioni usuranti (addetti alla linea catena, lavoratori notturni, conducenti di veicoli di trasporto pubblico e così via)
  • Lavoratori addetti alle mansioni gravose (edili,  gruisti, conciatori di pelli, macchinisti dei treni e personale ferroviario viaggiante, camionisti, infermieri  ed ostetriche delle sale operatorie e sale parto, addetti all’assistenza di persone non autosufficienti, insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido, facchini, addetti ai servizi di pulizia; operatori ecologi, operai dell’agricoltura, della zootecnia e della pesca, pescatori, lavoratori del settore siderurgico, marittimi).

L’attività gravosa deve essere stata svolta per 7 degli ultimi 10 anni di carriera o in 6 degli ultimi 7 anni. Anche in questo caso, per la quota 41,  finestra di 3 mesi e pensione liquidata decorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti.

Pensione in anticipo con riscatto dei contributi, la guida

Riscattare i periodi di vuoto contributivo per renderli utili alle pensione è più di una opzione. Infatti, in una fase dove il mondo del lavoro lamenta l’assenza di misure che permettono uscite anticipate, non è da sottovalutare la possibilità di riscattare alcuni periodi per arrivare alle soglie utili per le uscite.

Va ricordato infatti che la stragrande maggioranza delle misure previdenziali oggi esistenti, prevedono carriere talmente lunghe che spesso risultano inarrivabili per molti lavoratori.

Raschiare il fondo del barile, pur spendendo qualcosa, può consentire il vantaggio in termini di età di pensionamento.

Pensione anticipata con riscatto, come funziona

Non è raro che in una carriera lavorativa, tra un rapporto di lavoro e l’altro, ci sono periodi di vuoto contributivo. Ma la normativa previdenziale vigente offre la possibilità di riscatto, cioè di coprire i buchi contributivi. Naturalmente non sempre è possibile, perché dipende dai periodi che si vogliono riscattare e anche dalla loro collocazione temporale.

Nella storia lavorativa di un soggetto i periodi di assenza di contributi possono essere coperti pagando un corrispettivo.

In pratica, uno strumento che permette di andare a ritroso nella carriera per coprire i vuoti. Si chiamano contributi da riscatto.

Lo strumento, che non è l’unico che riguarda il riscatto dei contributi, nasce nel 1996 con il decreto legislativo n° 564 e riguarda i periodi di assenza di contribuzione a qualsiasi titolo versata, solo se successivi al 31 dicembre 1996.

Se questi vuoti sono antecedenti quella data, nessun riscatto è possibile.

Perché il riscatto è utile per la pensione

La misura nasce per venire incontro a soggetti che hanno avuto difficoltà, storicamente, a trovare lavoro continuo e duraturo. E sono soggetti che in passato hanno avuto difficoltà a trovare lavoro duraturo e che dopo hanno difficoltà a centrare le pensioni. Lo dimostra un altro paletto della misura. Infatti occorre che i vuoti contributivi si collochino tra due rapporti di lavoro non a tempo indeterminato.

Tipici esempi sono i lavori stagionali o in genere, quelli a termine o a tempo determinato.

Va sottolineato che i contributi di questo tipo sono assolutamente validi sia per il diritto alla pensione che per la misura. Infatti servono per completare una determinata soglia di contributi utili a una altrettanto determinata misura, ma anche per permettere una pensione di importo più alto.

I contributi da riscatto, tutte le possibilità

Detto di questa prima tipologia di contribuiti da riscatto, va sottolineato che l’Inps e la normativa vigente ne prevedono molti altri. Infatti sono davvero molti i periodi in cui non si sono versati i contributi, che un lavoratore può far tornare utili alle quiescenze, a volte solo per il diritto, altre volte sia per il diritto che per la misura.

I contributi da riscatto sono sempre onerosi. In questo si differenziano dai contributi figurativi. Inoltre non vanno confusi coi contributi volontari, altra possibilità di completamento di una carriera appannaggio di determinati lavoratori. I contributi da riscatto, come già detto, operano a ritroso, cioè riguardano periodi già passati. Quelli volontari invece valgono per il futuro.

Come l’Inps spiega sul suo sito ufficiale nella scheda dedicata al riscatto, tale facoltà è concessa a:

  • Lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
  • Iscritti a una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi;
  • Agli iscritti alla Gestione Separata dei lavoratori parasubordinati;
  • Agli iscritti ai fondi speciali, sostitutivi, esclusivi gestiti dall’INPS.

 

Nello specifico i periodi scoperti da contribuzione che possono essere riscattati e resi validi ai fini pensionistici sono:

  • I periodi dedicati ai corsi di studio;
  • Periodi relativi a contribuzioni omesse o a contribuzioni prescritte con il riscatto per costituzione di rendita vitalizia;
  • I periodi di lavoro instaurato  con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa fino al primo aprile 1996;
  • Periodi di interruzione o sospensione del rapporto di lavoro;
  • Periodi intercorrenti tra un rapporto di lavoro e l’altro nel caso di lavori discontinui, stagionali, temporanei;
  • I periodi intercorrenti tra attività lavorative organizzate con contratto a part-time;
  • Periodi di attività svolte nei lavori socialmente utili;
  • Il periodo del servizio civile;
  • Periodi di aspettativa per gravi motivi familiari;
  • Periodi di astensione facoltativa per maternità se collocati al di fuori del rapporto di lavoro;
  • Pace contributiva.

Cosa accade se la domanda di riscatto va a buon fine

La domanda per il riscatto segue le regole di qualsiasi altra tipologia di istanza da presentare all’Inps territorialmente competente in base alla residenza dell’interessato. Con l’accoglimento della domanda viene reso noto al richiedente, anche l’onere del riscatto, che è il corrispettivo da pagare per trasformare i periodi di vuoto contributivo in periodi utili alle pensioni.

I vari modi di pagare il riscatto per la pensione

Il pagamento degli oneri da riscatto può essere effettuato anche on line sullo stesso portale Inps nell’area “servizi di pagamento”. Sullo stesso portale e nella stessa area si possono stampare le disposizioni di pagamento utili per chi vuole scegliere un altro canale per saldare il dovuto.

Infatti è possibile pagare, oltre che on line sul sito Inps, anche:

  • Banca;
  • Sistemi di Home Banking che aderiscono al sistema pagoPA;
  • Sportelli bancomat  abilitati (ATM);
  • Bar, edicole, ricevitorie, tabaccherie, supermercati e tutte le strutture in convenzione e abilitate ai pagamenti di pagoPa;
  • Presso Poste Italiane.

Il pagamento va effettuato entro 60 giorni dalla data in cui l’Inps ha comunicato l’accettazione della richiesta. Alternativa al pagamento in soluzione unica c’è il rateale. Va ricordato che la dilazione non sempre è ammissibile, perché occorre rispettare alcune condizioni. Infatti,  il pagamento rateale può riguardare solo chi non è ancora andato in pensione e non intende usare subito i contributi da riscatto per accedere ad una qualsiasi misura previdenziale.

Pensioni: quando si rischia la sospensione dell’assegno

Se qualcuno crede che la pensione una volta assegnata al suo legittimo titolare, non può essere sospesa, è fuori strada. Certo, parliamo di un evento raro sulle pensioni, ma è pur sempre un evento che la casistica non esclude affatto.

Molte pensioni sono composte da determinate voci che non sempre riguardano i contributi versati da parte del pensionato. Ci sono le maggiorazioni sociali, l’integrazione al trattamento minimo, gli assegni familiari, la quattordicesima. Tutte voci che compongono la pensione e che possono essere verificate tramite il modello Obis/M, che altro non è che la busta paga del pensionato.

In presenza di queste voci aggiuntive della pensione, che sono tutte voci attive, il pensionato può essere tenuto a presentare il modello Red. E quello del 2022 scade il 22 febbraio. Ed è proprio questo l’adempimento obbligatorio che se disatteso può portare alla spiacevole esperienza di vedersi sospesa la propria pensione.

La sospensione non significa perdere per sempre il diritto alla propria pensione, perché si può intervenire. Ma se si seguono le regole, il fastidio di dover intervenire per sbloccarla, può venire meno.

Sospensione della pensione, quando?

Se non si adempie alla presentazione del modello Red, che come detto scade per l’anno in corso, il 22 febbraio prossimo,  l’Inps sospende il pagamento delle pensioni per 2 mesi. Il modello Red da presentare annualmente all’Inps per il 2022 fa riferimento ai redditi del 2021.

Sono tenuti all’adempimento, tutti coloro che hanno pensioni su cui godono di emolumenti aggiuntivi come possono essere le maggiorazioni sociali o le integrazioni al trattamento minimo. Parliamo di pensioni basse quindi, che private di queste voci aggiuntive sarebbero al di sotto della soglia delle povertà. Obbligati anche coloro che hanno prestazioni collegate a problemi di invalidità e disabilità. Prestazioni che verrebbero meno se nel corso di un anno di fruizione, il pensionato in questione venisse ricoverato presso strutture pubbliche.

Sono esclusi dall’obbligo i pensionati che presentano la dichiarazione dei redditi, dal momento che con l’incrocio delle banche dati, l’Inps accedendo a quella dell’Agenzia delle Entrate può verificare se il pensionato ha diritto o meno alla corresponsione delle voci aggiuntive prima citate.

Cosa fare se sospendono la pensione

Il godere di alcune prestazioni non può in nessun caso prescindere dall’adempimento.  Per alcuni titolari di pensione occhio quindi al termine ultimo di presentazione del Modello Red che si riferisce ai redditi 2021 del pensionato. Chiunque percepisce le pensioni  sociali o l’assegno sociale, i trattamenti di famiglia, le maggiorazioni, le integrazioni al minimo e così via, può rischiare prima di tutto il venire meno di queste prestazioni complementari e poi la sospensione vera e propria della pensione.

Una volta sospesa la pensione, l’Inps lo comunica al diretto interessato dando 120 giorni di tempo per intervenire. In questo caso, avvalendosi di strutture come Patronati o Caf o facendo da soli con Spid, Cns o Cie, occorre presentare domanda di ricostituzione della pensione.  Decorsi i 120 giorni senza intervento da parte del pensionato interessato, la pensione può essere del tutto revocata.

La ricostituzione della pensione, di cosa si tratta?

La ricostituzione della pensione è una particolare domanda che può essere prodotta all’Inps per i più svariati motivi tra cui il nostro caso della pensione sospesa. La domanda di ricostituzione torna utile per chiedere all’Istituto Previdenziale la rideterminazione dell’importo di pensione.

Può capitare per esempio, di trovarsi con dei contributi versati ma non utilizzati per la liquidazione di una pensione già in essere. Magari perché versati dopo la data di pensionamento, o perché riscattati dopo. Ma può essere utilizzata nel momento in cui da un anno all’altro cambiano alcune condizioni reddituali, patrimoniali o di composizione della famiglia da parte del pensionato.

Cosa accade dopo la ricostituzione della pensione

A seguito di ricostituzione della pensione, la stessa può subire variazioni di importo, tanto in aumento che in diminuzione.

Va ricordato che queste variazioni non partono in genere, dal giorno in cui la domanda di ricostituzione viene presentata. Come spiega l’Inps nella sua scheda informativa sulla ricostituzione della pensione, sul suo portale ufficiale, le variazioni dell’importo a seguito di ricostituzione operano dalla decorrenza originaria della pensione. Gli eventuali arretrati spettanti infatti vengono erogati in base alle normative vigenti in materia.

Tornando al caso della pensione sospesa per mancata presentazione del modello Red, con la ricostituzione il pensionato può vedersi sbloccare la prestazione, e se le condizioni sono in linea coi dettami normativi dell’Istituto Previdenziale, per i mesi di sospensione si può avere diritto agli arretrati.

Pensione: da 56 a 64 anni, la guida alle uscite per anno di nascita

Per la pensione in generale, sono fondamentali sia i contributi versati che l’età anagrafica. E ad ogni età, o meglio, ad ogni anno di nascita corrispondono determinate tipologie di uscite,. Diverse le misure di pensione in base alla data di nascita.
Ecco una dettagliata guida.

La pensione a 56 anni

In un sistema come il nostro, che molti reputano tra i più difficili e duri in materia previdenziale, parlare di pensioni a 56 anni può sembrare strano.
Esiste però una misura che permette proprio questo, un pensionamento a 56 anni. La misura è la pensione anticipata per invalidi.
A 56 anni però escono solo le donne. Servono anche almeno 20 anni di contributi versati. Occorre attendere una finestra mobile di 12 mesi tra la data di maturazione dei requisiti e la decorrenza della prestazione.
L’invalidità deve essere quella pensionabile, certificata dalle commissioni mediche Inps e non solo da quelle Asl. La percentuale minima deve essere pari o superiore all’80%.

Quiescenza a 58 o 59 anni, ancora opzione donna

Opzione donna o regime contributivo donna è una misura ormai da anni in funzione. La misura è stata confermata dall’ultima legge di Bilancio.
Possono uscire dal lavoro le donne con 35 anni di contributi versati e con 58 anni di età per le dipendenti, sia private che pubbliche, o 59 anni per le lavoratrici autonome.
La misura prevede 12 mesi di finestra per le dipendenti e 18 mesi per le lavoratrici autonome.
Il calcolo della prestazione resta il solito, cioè il contributivo. La misura si rivolge solo a chi ha completato entrambi i requisiti entro il 31 dicembre 2021.

Per gli uomini invalidità pensionabile e pensione a 61 anni

Una misura di cui abbiamo parlato già per l’uscita a 56 anni del donne, torna utile pure per gli uomini.
Servono almeno 20 anni di contributi versati come per le donne, ma 61 anni di età.
C’è da fare i conti una finestra mobile di 12 mesi tra la data di maturazione dei requisiti e la decorrenza della prestazione. E come detto, l’invalidità deve essere quella pensionabile e certificata dalle commissioni mediche Inps. La percentuale minima deve essere pari o superiore all’80%.

Pensione a 62 anni

Con lo stop di quota 100 al 31 dicembre 2021 chi compie 62 anni nel 2022 si trova tagliato fuori dalla misura. Età e contributi infatti, andavano completati entro il 31 dicembre scorso.
Chi c’è riuscito, può accedere alla pensione con la quota 100 ancora nel 2022 con la cristallizzazione del diritto alla pensione.
Finestre mobili di 3 mesi per i lavoratori del settore privato e 6 mesi per gli statali. La pensione con quota 100 può ancora essere percepita nel 2022 prima di compiere i 63 anni di età.
Leggermente prima, già dai 61 anni e 7 mesi ci sarebbe anche la pensione usuranti. La misura consente di accedere alla quiescenza una volta completata la quota 97,6 ed una volta raggiunta la contribuzione minima di 35 anni con 61 anni e 7 mesi di età.
La misura si rivolge a chi svolge i lavori usuranti previsti dalla normativa vigente dal 2011. Dentro oltre agli addetti alla linea a catena o gli autisti dei mezzi di trasporto pubblici con 9 o più posti,anche i lavoratori addetti alle mansioni notturne.

La pensione a 63 anni con l’Ape sociale

A 63 anni invece, la via di uscita è l’Anticipo pensionistico sociale, misura che si centra con almeno 63 anni di età ed una contribuzione variabile in base alla categoria dove si risiede tra le 4 che la normativa dell’Ape ha previsto.
Per invalidi, disoccupati e soggetti con parenti disabili a carico, si esce con almeno 63 anni di età ed almeno 30 anni di contributi più una serie di condizioni e vincoli diversi per ogni profilo di tutela prima citati. Per i lavori gravosi, dalle maestre delle scuole dell’infanzia a quelle delle scuole primarie, da infermieri e ostetriche ai facchini e ai camionisti, servono non meno di 63 anni di età e non meno di 36 anni di contributi.
Per gli edili e i ceramisti invece, sempre dai 63 anni di età si può uscire con 32 anni di contributi versati.

Pensioni a 64 anni nel 2022, la guida

A 64 anni invece ecco la novità di quota 102. Una misura che ricalca la quota 100 se non fosse che l’età pensionabile è di 64 anni. Serve quindi completare la combinazione 64+38, dove 38 sono gli anni di versamenti previdenziali prescritti.
La misura prevede le finestre di 3 mesi per il settore privato e 6 mesi per il settore pubblico. A 64 anni disco verde anche per i contributivi puri con 20 anni di versamenti. Servono 20 anni di contribuzione con il primo versamento non antecedente al primo gennaio 1996. E serve una pensione pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, più o meno 1.310 euro al mese lordi.

Pensione a 62 anni, si può anche nel 2022 e 2023

La pensione a 62 anni con la quota 100 è ornai il passato. La misura è cessata il 31 dicembre scorso. Finita l’esperienza con questa misura, per chi non ha centrato età e contributi entro la fine del 2021 la quota 100 non è più una opzione. Ma a ciò non vuol dire che non ci sarà chi potrà ancora andare in pensione a 62 anni.

Infatti per qualcuno la quota 100 potrà ancora essere utilizzata, e per molti altri c’è una specie di quota 82, ma assai particolare.

Pensione 2022 con quota 82, come fare?

Stop quota 100 nel 2022, ma la pensione a 62 anni si può ottenere per il tramite di una misura assai particolare. Parliamo dei cosiddetti contratti di espansione.  E si potranno usare anche nel 2023.

I benefici del contratto di espansione, tra questi l’uscita a 62 anni di età, per molti versi sono migliori perfino di quota 100.

Uno scivolo vantaggioso sia come età che come contributi versati. Infatti ne bastano venti. La combinazione 62+20 apre quindi ad una specie di quota 82. Non saranno tanti, ma nemmeno pochi i lavoratori che potranno andare in pensione a 62 anni sia nel 2022 che nel 2023 con questi contratti di espansione.

La popolarità della misura è evidente, soprattutto per quelle aziende, spesso grandi aziende che necessitano di strumenti adatti a rinverdire gli organici e permettere di anticipare la pensione a chi si trova a 5 anni dalla quiescenza ordinaria.

Perché parliamo di aziende? Perché si tratta di una misura che prevede un accordo tra azienda e sindacati in sede ministeriale, con il quale di stabiliscono regole e soggetti a cui destinare quello che a tutti gli effetti somiglia ad un esodo incentivato.

Non tutti i lavoratori quindi potranno accedere al contratto di espansione, ma solo quelli delle aziende che decidono di avviarlo. Ed il lavoratore naturalmente è libero di accettare o meno quello che l’azienda offre. E si tratta di una uscita dal lavoro dai 62 anni con almeno 20 anni di contribuzione, con la stessa azienda che si fa carico di versare l’assegno di prepensionamento in misura pari alla pensione teoricamente spettante alla data di uscita dal lavoro.

Le regole del contratto di espansione

Va detto che siamo di fronte ad una misura abbastanza vantaggiosa, anche se molto particolare e non propriamente pensionistica. Questo perché serve che sia  una azienda a decidere di attivare il contratto di espansione e che siano i lavoratori, a scegliere, sempre tramite accordi sindacali, se accettare.

Possono accedere al contratto di espansione i lavoratori di aziende che hanno in organico almeno 50 dipendenti. Per esempio, da più parti d’Italia si ha notizia di contratti di espansione accesi anche da quella che una volta era la Fiat, cioè l’attuale società italo francese Stellantis, nata dalla fusione tra la nostra FCA e la transalpina PSA.

Evidente la bontà della misura che da un lato consente all’azienda di dotarsi di nuovi lavoratori (il rapporto deve essere un neo assunto ogni 3 fuoriusciti con i contratti di espansione) più inclini alle nuove tecnologie. Dall’altro però consente a lavoratori che si trovano davanti 5 anni ancora per la pensione, di mettersi a riposo anticipatamente.

Il vantaggio per l’azienda deriva pure dal fatto che può sfruttare i mesi di Naspi teoricamente spettanti al lavoratore messo in prepensionamento, per abbattere ciò che la stessa azienda dovrebbe versare al lavoratore stesso. Lo scivolo riguarda pure chi si trova a 5 anni dal centrare la pensione anticipata per la quale servono 42,10 anni di contributi per gli uomini e 41,10 per le donne. In questo caso, e solo per le pensioni anticipate, oltre all’indennità mensile l’azienda copre anche i contributi che mancano tra i 37,10 (36,10 per le donne) ed i 42,10 (41,10 per le donne).

In uscita anche chi ha maturato già la quota 100

Resta comunque aperta la possibilità di accedere alla quiescenza pure per i lavoratori che hanno completato i due requisiti di quota 100 entro la fine del 2021, senza però scegliere di lasciare il lavoro. Infatti anche per la quota 100 vale il meccanismo della cristallizzazione del diritto.

In altri termini, chi ha già maturato il diritto alla quota 100, completando al 31 dicembre 2021 sia i 62 anni di età che i 38 anni di contributi, potrebbero sfruttare l’uscita con la quota 100 a prescindere che la misura sia ormai cessata.

Si chiama cristallizzazione del diritto quell’istituto che stabilisce come una volta maturato un diritto lo stesso può essere sfruttato anche negli anni successivi a prescindere dalle novità previdenziali susseguenti.

Pensioni: l’elenco delle agevolazioni per donne e precoci

Pensioni argomento caldo, come sempre accade soprattutto a cavallo della legge di Bilancio.

Lo sprint con cui si parla di riforma delle pensioni subito dopo una manovra finanziaria è piuttosto discutibile.

Infatti, prima non viene fatto nulla o quasi nella manovra finanziaria, poi si parte con riunioni, incontri e promesse di intervento che, a naso, non arriveranno in porto se non con la legge di Bilancio futura.

Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si possa fare qualcosa con il Def (Documento di economia e finanza), tra marzo e aprile, ma per noi è una falsa illusione.

E così ecco che i lavoratori devono fare i conti con le attuali regole, non propriamente agevoli dal punto di vista previdenziale. Ma ci sono misure che consentono uscite anticipate con alcune deroghe e sconti per determinati lavoratori.

Donne e pensioni, a volte quiescenze più facili

Partiamo dalle differenze di genere, cioè tra uomini e donne. Un luogo comune dice che le lavoratrici sono più penalizzate degli uomini sulle pensioni.

Anche noi pensiamo che sia vero, anche se forse sarebbe meglio parlare di penalizzazioni che partono dal mondo del lavoro piuttosto che dal mondo previdenziale.

Infatti è da ricercare altrove la causa di queste differenze in termini di pensionamento per le donne.

Le donne sono penalizzate dal fatto che spesso si devono dividere tra lavoro e cura della casa e della famiglia.

Altre volte arrivano a sacrificare carriere e lavori per dedicarsi ai figli e alla famiglia.

E dal momento che la stragrande maggioranza delle misure previdenziali prevedono carriere lunghe e costanti, ecco che la penalizzazione è servita.

Opzione donna non aiuta

Quota 100 prima e quota 102 ora, vogliono 38 anni di contributi per la pensione. Perfino l’Ape sociale, pur con le limitatezze di platea dei beneficiari, vuole 36 anni di contributi per i lavori gravosi e 30 anni per disoccupati, caregivers e invalidi.

Anche opzione donna ha 35 anni di contributi necessari. Troppi per molte lavoratrici, che già dovrebbero accettare un netto taglio di pensione per via di un ricalcolo contributivo che il regime sperimentale donna prevede.

Quali i vantaggi per le donne

Troppi anni di contributi quindi, che tagliano fuori molte lavoratrici da un po’ tutte le misure di pensione anticipata previste dal nostro ordinamento. La pensione anticipata si centra con 42 anni e 10 mesi di contributi e senza limiti di età. Ma solo per gli uomini. Per le lavoratrici serve un anno in meno, cioè 41 anni e 10 mesi.

Di questi, 35 anni devono essere effettivi, cioè al netto di figurativi da disoccupazione o malattia.

Uno sconto di un anno, che per quanto detto prima, appare poco utile.

Tornando a opzione donna, la misura oltre ai già citati 35 anni di contributi versati, necessita di 58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome.

Occorre che una lavoratrice deve aver cominciato a lavorare a 23 anni ed ininterrottamente o quasi, fino ai 58 anni di età.

Ape sociale o opzione contributiva, quando i figli aiutano

Ci sono alcune misure che prevedono un particolare trattamento di vantaggio per le donne. Non tutte naturalmente, ma solo le mamme lavoratrici. L’Ape sociale per esempio, prevede uno sconto di 12 mesi per figlio avuto fino ad un massimo di 24 mesi. Ed è uno sconto sui contributi necessari che passano da 36 a 35 o 34 per i lavori gravosi, e da 30 a 28 o 29 per invalidi, disoccupati e caregivers.

Massimo 12 mesi di sconto per chi opta per il contributivo. Lo prevede la legge Dini. Uno sconto di 4 mesi per figlio avuto fino a massimo 12 mesi.

Tale beneficio è destinata a chi ha optato per il sistema contributivo (tranne opzione donna che non viene considerata, stranamente, una opzione contributiva pur prevedendo il ricalcolo contributivo della pensione). Lo sconto riguarda chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 o chi ha optato per il computo nella Gestione Separata.

Precoci, unica strada la quota 41

Tra le ipotesi allo studio del Governo per evitare l’applicazione della Legge Fornero dal 2023 anche Quota 41

In genere quando si parla di precoci il limite dovrebbe essere considerato quello della maggiore età, cioè 18 anni. Il precoce dovrebbe essere quello che ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni di età. Oggi una sola misura è destinata ai precoci.

Questa misura è la quota 41. Non ci sono limiti di età ma solo l’obbligo di completare 41 anni di contributi di cui, 35 effettivi e di cui uno versato prima dei 19 anni di età, anche in misura discontinua. Occorre però essere alternativamente, caregivers che assiste un familiare disabile, convivente e a carico da almeno 6 mesi, invalido con una percentuale di disabilità sopra il 74% o disoccupati.

Ma disco verde pure per chi rientra tra le 15 attività di lavoro gravoso che fino al 31 dicembre 2021 erano le uniche attività gravose che davano diritto pure all’Ape sociale (per il 2022 e solo per l’Ape sociale sono state implementate le attività di lavoro gravoso).

Precoci, quando un anno di contributi vale di più per le pensioni

Sempre per i precoci, ma stavolta per quelli che hanno iniziato a lavorare prima del 18 anni di età, c’è una norma che prevede l’accredito di un anno e mezzo di contributi ogni anno effettivamente lavorato come precoce. Ancora una volta è la legge Dini a prevederlo.

Chi ha iniziato la carriera dopo il 31 dicembre 1995 (contributivi puri), ma anche prima dei 18 anni di età, ha diritto ad utilizzare i periodi di versamento durante la minore età, maggiorati. Ogni anno di lavoro prima dei 18 anni vale così un anno e mezzo. Lavorare due anni significa mettere da parte 3 anni di contributi, che però sono utili solo al diritto alla pensione e non al suo calcolo

Pensione prima dei 60 anni è possibile, le 3 vie

Non è vero che per andare in pensione bisogna attendere per forza i 67 anni. In alcuni casi il pensionamento è possibile anche prima dei 60 anni. Ma in questo caso è necessario aver iniziato a lavorare molto presto perchè laddove non c’è un’età avanzata serve almeno un buon numero di anni di contributi. In questo articolo vedremo quali sono le 3 vie per un pensionamento prima dei 60 anni.

Pensione prima dei 60 anni, le donne hanno una strada in più

Le donne nel pensionamento anticipato sono favorite, avendo un’alternativa in più offerta dall’opzione donna. Il regime sperimentale permette il pensionamento a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e a 59 anni per quelle autonome che hanno maturato almeno 35 anni di contributi. Entrambi i requisiti devono essere maturati entro il 31 dicembre 2021 e per la decorrenza della pensione è necessario attendere una finestra di 12 mesi per le dipendenti e di 18 mesi per le autonome.

Ovviamente questo anticipo così corposo ha un costo non indifferente visto che alle donne che scelgono questa misura è imposto il ricalcolo interamente contributivo della pensione.

Pensione prima dei 60 anni senza penalizzazioni

Ma non sempre il pensionamento prima dei 60 anni prevede penalizzazioni. per chi matura 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne bastano 41 anni e 10 mesi di contributi) è possibile l’uscita indipendentemente dall’età e con calcolo misto della pensione con l’anticipata ordinaria prevista dalla Legge Fornero.

Ovviamente per centrare questo tipo di pensionamento prima dei 60 anni è necessario aver iniziato prima della maggiore età.

Sempre per chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni vi è un altra via di uscita prima dei 60 anni dal mondo del lavoro rappresentata dalla quota 41 per lavoratori precoci. La misura richiede soltanto 41 anni di contributi ma per poterla cogliere è necessario appartenere ad uno dei profili di tutela individuati dalla normativa: disoccupati, caregiver, invalidi, usuranti e gravosi.

L’alternativa a queste forma di pensionamento è quella di attendere i 63 anni richiesti dall’Ape sociale, i 64 anni richiesti dalla quota 102 o, in ultima analisi, i 67 anni necessari per accedere alla pensione di vecchiaia.

Pensione di vecchiaia: come cambia in base all’aspettativa di vita?

Tra gli aspetti più importanti per costruire una buona pensione di vecchiaia, sicuramente gli indici di aspettativa di vita rientrano tra gli elementi decisivi. L’aspettativa di vita, in particolare, condiziona l’accesso alla pensione di vecchiaia. Nel dettaglio, l’aspettativa di vita potrebbe ritardare o, nella migliore delle ipotesi, lasciare inalterati i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia.

Aspettativa di vita per il calcolo dei requisiti delle pensioni, in cosa consiste?

Il requisito richiesto per accedere alla generalità delle pensioni o il requisito contributivo per le pensioni dove non è richiesto l’elemento anagrafico, è adeguato ogni due anni all’aspettativa di vita media calcolato dall’Istat. Qualora risultasse un aumento della speranza di vita, l’età pensionabile si incrementa fino a un massimo di tre mesi; contrariamente, se dai dati Istat viene riscontrato un decremento dell’aspettativa di vita, il requisito anagrafico rimane bloccato con scomputo delle riduzioni nell’adeguamento successivo.

Pensioni di vecchiaia, quali sono i requisiti anagrafici di uscita nel 2022?

Per la pensione di vecchiaia, l’attuale requisito anagrafico è fissato a 67 anni di età. Tale requisito, già calcolato nel precedente biennio, nel 2022 rimarrà inalterato. Per il biennio successivo, ovvero per i lavoratori in uscita dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2024, è stato già confermato che il requisito anagrafico rimarrà invariato. Tale riscontro dei dati demografici dell’Istat sull’aspettativa di vita deriva dall’aver preso in considerazione, nel calcolo della speranza di vita, del primo anno (il 2020) della pandemia da Covid-19. L’emergenza sanitaria ed economica ha determinato il conseguente decremento dell’aspettativa di vita. L’andamento in decrescita della speranza di vita non implicherà, dunque, un aumento dell’età per la pensione.

Pensioni, in che modo l’aspettativa di vita condiziona l’accesso al pensionamento?

L’aspettativa di vita contribuisce all’accesso della pensione dal 2009. Si tratta di una variabile che manda in avanti, incrementando l’età di uscita, l’accesso alla pensione di vecchiaia. La speranza di vita collega in maniera diretta i requisiti anagrafici (o contributivi) degli ingressi agli adeguamenti Istat. Inoltre, il fattore statistico viene attualmente aggiornato ogni due anni, mentre in passato l’aggiornamento avveniva ogni triennio. Dunque l’aggiornamento dei requisiti di pensione avvengono con maggiore frequenza rispetto a quanto succedeva nei primi anni di introduzione del meccanismo della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia e aspettativa di vita: come funziona il meccanismo di adeguamento?

I dati dell’Istat sulla speranza di vita vengono consolidati da decreti del ministero dell’Economia e delle Finanze ogni due anni. Nel caso in cui i dati demografici dell’Istat fanno registrare dei miglioramenti della vita, in particolare nella lunghezza della della durata della stessa, differisce in avanti l’ingresso al trattamento di pensione dei lavoratori. La tutela nel meccanismo dell’aspettativa di vita consiste nel massimo di maggiorazione, per ciascun biennio, di tre mesi. Il prossimo incremento della pensione di vecchiaia, quello del 2025-2026, potrebbe pertanto portare a una pensione di vecchiaia di 67 anni e tre mesi. Non di più.

Pensioni anticipate, come funziona con la speranza di vita?

Laddove non vi sono requisiti anagrafici, l’aggiornamento della speranza di vita incide sull’altro requisito, quello contributivo. È il caso della pensione anticipata dei soli contributi che, attualmente si raggiunge con:

  • 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini, a prescindere dall’età di uscita;
  • 41 anni e dieci mesi di contributi per le donne, indipendentemente dall’età di uscita.

I requisiti di uscita per la pensione anticipata rimarranno inalterati fino a tutto il 2026. Il blocco dei requisiti richiesti è stato introdotto con il decreto numero 4 del 2019, lo stesso provvedimento che ha decretato la sperimentazione di tre anni di quota 100. Il prossimo aggiornamento dei requisiti contributivi è previsto a partire dal 1° gennaio 2027.

Pensioni di vecchiaia, come condiziona le uscite dei liberi professionisti? L’eccezione alla speranza di vita

All’interno della previdenza dei liberi professionisti, spetta a ogni Cassa previdenziale interpretare e adeguare i propri requisiti all’aspettativa di vita. Per alcune Casse previdenziali, come l’Enpacl dei consulenti di lavoro, non c’è una diretta correlazione tra aumenti della speranza di vita e incremento dei requisiti di pensionamento. Vi è piuttosto una maggiore gradualità nell’applicare gli adeguamenti e gli incrementi della speranza di vita.

Pensioni di vecchiaia liberi professionisti, il caso dei consulenti del lavoro

I requisiti per la pensione di vecchiaia dei consulenti di lavoro risultano modificati dalla speranza di vita con adeguamenti differenti rispetto a quanto succede per la pensione pubblica. Tuttavia, l’età necessaria per andare in pensione di vecchiaia dei consulenti del lavoro è fissata a 69 anni nel 2022 e a 70 anni a partire dal 2025. La contribuzione necessaria è pari a 5 anni di versamenti, ma occorre guadagnare una pensione minima annuale di 10.920 euro. Pertanto, se all’età di uscita per la pensione di vecchiaia non venisse raggiunto il requisito economico della pensione, l’accesso al trattamento si sposterebbe in avanti finché non si maturi il requisito richiesto. È previsto un limite di età, in ogni modo, per il raggiungimento di questo requisito.

Aspettativa di vita, come determina chi può andare in pensione anticipata di vecchiaia per invalidità?

Gli adeguamenti periodici dei requisiti anagrafici dettati dalla speranza di vita non si applicano ai lavoratori che perdono il titolo abilitativo per raggiunti limiti di età. La speranza di vita, tuttavia, si applica alla pensione di vecchiaia anticipata per invalidità. Quest’ultima formula di uscita è riservata ai dipendenti del settore privato con un indice di invalidità di almeno l’80% e si può agganciare non più a 55 anni di età per le donne e a 61 per gli uomini come in passato, ma alle rispettive età di 56 anni e di 61 anni. La misura, infatti, consiste in una deroga al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia ordinaria, e non per uno specifico trattamento per invalidità.

 

 

Pensioni 2022, in uscita i nati fino al 1958, due vie possibili, requisiti e vincoli

Se fino al 2021 per le pensioni, sostanzialmente, le età pensionabili alternative ai 67 anni utili per la pensione di vecchiaia erano i 62 anni di quota 100 ed i 63 dell’Ape sociale, nel 2022 si cambia. Infatti la manovra di Bilancio ha introdotto la quota 102. Una misura che ha limitato il pericolo scalone di 5 anni che sembrava dovesse lasciare in campo il post quota 100. Ma allo stesso tempo, ha innalzato di due anni la soglia di età anagrafica utile alla pensione per quotisti.

Ma a 64 anni oltre alla quota 100 il nostro ordinamento prevede un’altra via di uscita. Due misure quindi che possono consentire a chi è nato fino al 1958, di accelerare l’uscita.

Pensioni a 64 anni nel 2022, ecco chi può

La prima cosa da dire è che seguendo le regole ordinarie del sistema previdenziale, basato manco a dirlo sulle norme della riforma Fornero, un nato nel 1958 dovrebbe andare in pensione nel 2025, quando si troverà a compiere i 67 anni di età che insieme ai 20 anni di contribuzione minima versata stabiliscono le soglie minime della pensione di vecchiaia.

Nel 2022 però ci sono due alternative, entrambe valide anche se limitate da vincoli, paletti e requisiti. Iniziamo con la grande novità della pensione con quota 102. La misura permette si di anticipare la pensione di 3 anni rispetto ai 67 anni utili alle quiescenze di vecchiaia ordinarie. Ma necessita di una dote di contributi versati nettamente superiore ai 20 anni prima citati.

Servono infatti ben 38 anni di contributi. Infatti la quota 102 non è altro che una fedele riproposizione della quota 100, con l’unica variazione che riguarda proprio l’età pensionabile, passata da 62 a 64 anni. La misura resta fedele al blocco normativo di quella che l’ha preceduta.

Infatti occorre sapere che la prestazione è liquidata con le regole classiche del sistema misto. Quindi, calcolo retributivo fino a tutto il 1995 per chi non ha almeno 18 anni di carriera antecedenti il 1° gennaio 1996. Per gli anni successivi calcolo contributivo. Per chi invece ha maturato 18 anni almeno di contributi versati prima del 1996, calcolo retributivo fino al 2012 e contributivo per gli anni successivi.

I contributivi puri e la pensione anticipata anche nel 2022

Con la quota 102 resta fermo il vincolo del divieto di cumulo con redditi da lavoro fino ai 67 anni di età. In pratica, per tutti gli annoi di anticipo e fino al raggiungimento della soglia anagrafica utile alla pensione di vecchiaia, è fatto divieto per i pensionati qualsiasi attività lavorativa ad esclusione del lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro di reddito all’anno.

Inoltre per quota 102 resta fermo il meccanismo delle finestre mobili che fanno slittare la decorrenza della pensione di 3 mesi nel lavoro privato e di 6 mesi nel pubblico impiego. Vincoli e paletti che non si trovano nell’altra misura che anche nel 2022 consente a determinati nati fino al 1958, di accedere alla pensione 3 anni prima.

La misura si chiama pensione anticipata contributiva. Sul sito dell’Inps questa misura viene illustrata nella stessa pagina destinata alla pensione anticipata ordinaria. Infatti parliamo di una misura strutturale. Oltre all’assenza dei vicoli di cui parlavamo prima, la misura ha una differenza sostanziale in materia di età contributiva da centrare. Infatti alla stregua della pensione di vecchiaia ordinaria, bastano 20 anni di contributi.

I limiti e i paletti della pensione anticipata contributiva

Una dote di contributi versati non centro insuperabile quindi per la pensione anticipata contributiva. SI tratta di una delle poche misure che consentono uscite anticipate senza necessariamente avere carriere lunghe o lunghissime. Per trovare una misura simile da questo punto di vista a mente si può ricordare solo la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità pensionabile. Anche per questa misura infatti la soglia sono i 20 anni di contributi. E si esce addirittura prima, con 61 anni per gli uomini e 56 per le donne. Ma come si evince, è una misura destinata a chi ha problematiche di disabilità.

Occorre però che tali contributi siano successivi al 31 dicembre 1995. Questa è la data che segna il limite per essere considerati contributivi puri. In parole povere, pensione a 64 anni con 20 anni di versamenti per chi è privo di contribuzione a qualsiasi titolo versata antecedente l’entrata in vigore del sistema contributivo.

Ma la misura è limitata anche da un paletto che riguarda l’importo minimo della pensione. Infatti si può accedere alla prestazione a condizione che la pensione liquidata sia pari ad almeno 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale nell’anno in cui si maturano i requisiti della pensione.

Per il 2022, dopo i recenti adeguamenti con il meccanismo della perequazione, l’assegno sociale nel 2022 è pari a 468,10 euro. Pertanto, per avere diritto alla pensione anticipata contributiva serve una pensione lorda pari o superiore a 1.310,68 euro.

Le pensioni a 64 anni nel 2022, tabelle e requisiti

Ricapitolando, per chi è nato fino al 1958 sono due le misure che permettono uscite nel 2022. A dire il vero ci sarebbero pure l’Ape sociale a 63 anni, Opzione donna a 58 o 59 anni e le varie anticipate, sia ordinarie che per i precoci. Si tratta di misure che sono particolarmente legate a dei vincoli e dei paletti che le rendono fruibili solo a determinate categorie di lavoratori.

Ma misure che riguardano nello specifico i 64 anni di età sono le due sopra descritte. Due misure con requisiti diversi e con regole diverse che possono essere riassunte così:

Quota 102:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 38 anni di contributi versati;
  • Almeno 35 anni effettivi da lavoro;
  • Divieto di cumulo con altri redditi da lavoro;
  • Finestre di uscita.

Pensione anticipata contributiva:

  • Almeno 64 anni di età;
  • Almeno 20 anni di contributi versati;
  • Primo versamento successivo al 31 dicembre 1995;
  • Assegno liquidato per un importo lordo minimo di 1.310,68 euro (2,8 volte l’assegno sociale 2022).