Detrazioni carichi familiari: lavoro autonomo e dipendente a confronto

Ogni anno, prima di trasmettere al Fisco la dichiarazione dei redditi, il contribuente ha la possibilità di fruire di benefici fiscali, attraverso il meccanismo della detrazione di imposta, se ci sono familiari a carico. In particolare, se il reddito del familiare nell’anno non ha superato la soglia dei 2.840,51 euro, allora questo sarà considerato fiscalmente a carico. E lo sono pure tutti i figli che, aventi un’età non superiore ai 24 anni, non superano il limite di reddito dei 4.000 euro. Ma detto questo, sempre in materia di detrazioni carichi familiari, quali sono le differenze nella fruizione tra il lavoratore autonomo ed il lavoratore dipendente?

Lavoro autonomo e dipendente a confronto sulle detrazioni fiscali per familiari a carico

Al riguardo la prima cosa da dire è che la prima differenza tra il lavoratore dipendente e quello autonomo, per quel che riguarda le detrazioni sui carichi di famiglia, sta nel modello dichiarativo da andare ad utilizzare. Se per le detrazioni carichi familiari, infatti, il lavoratore autonomo utilizza il modello 730, il lavoratore autonomo, invece, deve indicare il codice fiscale dei familiari a carico andando a compilare il modello Redditi.

Inoltre, se in genere il lavoratore dipendente non ha difficoltà a sfruttare a pieno le detrazioni per i familiari a carico, lo stesso non vale spesso per il lavoratore autonomo nel caso in cui questo dichiari al Fisco un reddito basso. In tal caso, infatti, potrebbe non avere capienza fiscale sufficiente per fruire totalmente, per esempio, delle detrazioni fiscale per il coniuge e per il figlio a carico.

Proprio per i figli a carico, nel rigo corrispondente del modello dichiarativo, bisogna inoltre indicare ‘100’ se la detrazione per il figlio fiscalmente a carico è richiesta per intero. Bisogna indicare ‘50’ se la detrazione è ripartita tra i genitori, mentre bisogna riportare ‘0’ se la detrazione, invece, è richiesta per intero dall’altro genitore.

Come funzionano le detrazioni fiscali per i familiari a carico per gli autonomi ed i lavoratori dipendenti dipendenti

Per il resto, il meccanismo per le detrazioni fiscali per i familiari a carico per lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti è lo stesso a partire dalle soglie sopra indicate affinché, in base al reddito personale, un familiare sia o meno fiscalmente a carico.

Inoltre, tanto per gli autonomi quanto per i lavoratori dipendenti, l’ammontare delle detrazione fiscale per ogni familiare a carico parte da una base, che è rappresentata dal valore massimo fruibile per pagare meno tasse, o per maturare un credito di imposta, per poi decrescere fino ad azzerarsi all’aumentare del reddito che sarà dichiarato al Fisco.

Non a caso, nelle istruzioni che sono allegate ai modelli dichiarativi, è proprio l’Agenzia delle Entrate a far presente che, a seconda di quella che è la situazione reddituale del contribuente, le detrazioni fiscali per i carichi di famiglia possono spettare per intero, possono spettare solo in parte, oppure non possono spettare. Per esempio, in base alla normativa fiscale vigente, la detrazione fiscale per il coniuge a carico, che parte da una base massima di 800 euro, si azzera per i redditi dichiarati oltre la soglia di 80.000 euro.

Quali documenti è obbligato a tenere chi opera nel regime contabile semplificato?

Tra i regimi fiscali in Italia, per chi apre una partita Iva, c’è quello semplificato che, nel rispetto di opportune condizioni, permette di portare avanti e di gestire la propria attività sempre in maniera più semplice da un lato, e meno onerosa dall’altro in termini di costi e di risparmio di tempo. Rispettata una soglia massima di volume d’affari, infatti, con il regime semplificato gli obblighi di contabilità sono decisamente più ridotti rispetto al regime fiscale ordinario. Ed allora, detto questo, quali documenti è obbligato a tenere chi opera nel regime contabile semplificato?

Quali sono i requisiti di accesso al regime contabile semplificato e chi può aderire

Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che per rientrare nel regime contabile semplificato l’impresa deve avere un fatturato annuo non superiore ai 400.000 euro se opera nella prestazione di servizi. Mentre il limite sale a 700.000 euro per tutte le altre attività. Rispettato il requisito dei ricavi, possono avvalersi del regime contabile semplificato non solo le ditte individuali ed i liberi professionisti, ma anche le società di persone e gli enti non commerciali.

Nel caso in cui l’impresa eserciti più attività, per il rispetto della soglia massima di ricavi, ai fini del possesso o meno dei requisiti di accesso al regime contabile semplificato, si prenderà a riferimento l’attività economica che è prevalente, ovverosia quella che presenta il maggior volume d’affari calcolato sempre su base annua.

Pur tuttavia, se per le varie attività economiche esercitate l’impresa non effettua la registrazione separata, allora il requisito di accesso o meno al regime contabile semplificato sarà dato da una soglia di ricavi annui complessivi non superiore ai 700.000 euro. E quindi in questo caso il limite massimo del volume d’affari, per l’accesso al regime contabile semplificato, corrisponde sempre a quello delle imprese che esercitano attività diverse dalla prestazione di servizi.

Per le imprese che avviano l’attività, con la conseguente richiesta di attribuzione del numero di partita Iva, inoltre, il requisito di accesso al regime contabile semplificato è basato invece, per il primo anno, sulla dichiarazione del volume d’affari presunto.

Ecco quali documenti è obbligato a tenere chi opera nel regime contabile semplificato

Rispettati i requisiti sopra indicati, chi rientra nel regime contabile semplificato è esonerato, prima di tutto, dall’obbligo di redigere il bilancio. E di conseguenza non c’è nemmeno l’obbligo di tenuta del libro giornale, del libro degli inventari e delle scritture ausiliarie di magazzino.

Nel regime contabile semplificato, per le scritture contabili, l’obbligo di tenuta dei libri si riduce così ai seguenti quattro registri obbligatori: i registri Iva, il registro dei beni ammortizzabili, il registro incassi e pagamenti ed il LUL, ovverosia il Libro unico del lavoro nel caso in cui l’impresa abbia dei dipendenti.

La normativa di riferimento, per l’accesso o meno da parte di un’impresa al regime contabile semplificato, è rappresentata dagli articoli numero 57 e numero 85 del TUIR che è il Testo Unico delle imposte sui redditi. E dall’articolo numero 18 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n° 600/1973.

Partita Iva, come si gestisce la contabilità senza commercialista?

Per chi apre una partita Iva la contabilità ed i vari adempimenti fiscali in genere vengono affidati ad un commercialista. E questo perché, all’occorrenza, fruire dell’assistenza, dell’esperienza e del supporto di un esperto in materia fiscale non solo spesso permette di risparmiare sulle tasse, ma permette pure di assolvere tutti gli adempimenti puntualmente ed in maniera corretta senza finire poi sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate. Ma detto questo, per chi vuole fare tutto da sé, come si gestisce la contabilità senza commercialista? E quando davvero questa scelta è conveniente per il titolare di una partita Iva?

Come si gestisce la contabilità partita Iva senza pagare il commercialista

Chi vuole gestire la contabilità partita Iva senza il commercialista in genere vuole evitare di pagare la parcella al professionista. E questo perché magari il titolare di partita Iva esercita l’attività nell’ambito di un regime fiscale agevolato che è caratterizzato, tra l’altro, anche da una semplificazione in materia di adempimenti. Così come chi vuole gestire la contabilità della partita Iva senza il commercialista spesso conosce e segue la materia fiscale con la conseguenza che preferisce fare tutto in proprio. E questo anche perché, è giusto ricordarlo, non c’è in Italia una legge o una norma che imponga e che obblighi il titolare di una partita Iva di avvalersi di un commercialista.

Detto questo, chi vuole gestire la contabilità della partita Iva senza il commercialista deve avere piena dimestichezza e conoscenza delle scadenze fiscali da rispettare. Così come deve saper utilizzare i software e gli applicativi online che, gratuitamente, sono messi a disposizione con accesso tramite le credenziali dall’Agenzia delle Entrate a partire dal portale ‘Fatture e Corrispettivi‘ del Fisco che è quello che, tra l’altro, serve per la gestione della fatturazione elettronica.

Vantaggi e svantaggi della contabilità partita Iva con o senza il commercialista?

Per quanto detto, rinunciare al commercialista per la contabilità partita Iva è una scelta che, di certo, permette di risparmiare denaro. Ma nello stesso tempo non si risparmia di certo tempo così come, senza avvalersi di un esperto, il rischio di non assolvere gli adempimenti fiscali correttamente è sempre più alto. E questo perché, in materia fiscale, l’esperto è sempre sul pezzo ed è tra l’altro in grado di consigliare il titolare di partita Iva nei momenti di difficoltà.

Quando, per esempio, c’è da attivare un piano di pagamento delle tasse a rate a causa di temporanea carenza di liquidità. Inoltre, il titolare di partita Iva che, per esempio, è iscritto alla Gestione Separata, senza il supporto di un commercialista sarà chiamato in proprio non solo a gestire ed a rimanere in regola nei confronti del Fisco, ma anche nei confronti dell’INPS con il regolare versamento dei contributi ai fini previdenziali.

Anche per questo, per la gestione contabilità partita Iva con o senza il commercialista, la scelta di avvalersi di un esperto contabile è sempre la migliore. Magari concordando con il professionista un compenso che includa annualmente l’assolvimento di tutti quegli adempimenti che in genere richiedono più tempo ed anche un’adeguata competenza.

Come riattivare partita Iva cessata

In Italia, ai fini dell’imposizione fiscale, i soggetti che esercitano un’attività di impresa e non, sono identificati attraverso una sequenza di 11 cifre che è rappresentata dalla partita Iva. Il numero di partita IVA è sempre univoco, il che significa che non si saranno mai due imprese che possano avere la stessa partita Iva.

Sulla partita Iva, oltre alla procedura di apertura, possono essere effettuate delle operazioni di variazione che devono essere sempre comunicate al Fisco. Così come la partita Iva aperta si può anche chiudere. Ma se invece la partita Iva è già cessata, quando e come è possibile riattivarla?

Come si fa a riattivare la partita Iva quando questa è cessata

Su come si fa a riattivare la partita Iva quando questa è cessata bisogna distinguere due casi. Ovverosia quando la partita Iva è stata chiusa per errore, e quando invece, essendo inattiva e silente da troppo tempo, la partita Iva è cessata su intervento diretto da parte dell’Agenzia delle Entrate che l’ha chiusa d’ufficio.

Nel dettaglio, quando la partita Iva è stata cessata per errore occorre recarsi presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate e, spiegando l’accaduto, chiedere la riattivazione. Un errore che, per esempio, può essere stato commesso a causa di un errore di compilazione della Comunicazione Unica da parte di titolari di partita Iva che sono iscritti nel registro delle imprese. Oppure l’errore può essere stato commesso durante la compilazione prima, e la trasmissione poi al Fisco del modello AA9/12.

Al riguardo ricordiamo che, nel Quadro A del modulo AA9/12, il Rigo 1 si utilizza per la dichiarazione di inizio attività, il Rigo 2 si utilizza per la variazione dati, il Rigo 3 si utilizza per la cessazione dell’attività, e quindi per chiudere la partita Iva, ed il Rigo 4, invece, si utilizza per la richiesta del duplicato del certificato di partita Iva.

Riattivazione partita Iva cessata quando è stata chiusa d’ufficio

Quando invece la partita Iva è cessata d’ufficio, allora il contribuente dovrà dimostrare al Fisco che la chiusura è avvenuta per errore. In base alla normativa vigente, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha il potere di chiudere la partita Iva quando questa, in base ai dati a disposizione del Fisco, risulta essere inattiva nelle tre annualità precedenti. In tal caso, fatti salvi in ogni caso quelli che sono i poteri di controllo e di accertamento del Fisco, l’Agenzia delle Entrate chiuderà la partita Iva non movimentata inviando apposita comunicazione al contribuente.

Con quest’ultimo che, in opposizione a questa decisione, potrà chiedere presentando ricorso la riattivazione della partita Iva presentando tutti dati, tutte le informazioni e tutta la documentazione che, sconosciuta al Fisco, risulta essere utile per dimostrare che, invece, l’estinzione della partita Iva è avvenuta per errore. Il ricorso, in particolare, deve essere presentato entro un termine massimo di 60 giorni dalla ricezione della lettera da parte del Fisco. Se il ricorso sarà respinto, la partita Iva cessata non sarà riattivata. Altrimenti se il ricorso sarà accettato il contribuente otterrà la riattivazione della partita Iva con il conseguente mantenimento dell’attività.

Chiudere partita Iva nel modo giusto: ecco come non dover continuare a pagare contributi

I professionisti e gli imprenditori individuali che avviano un’attività, ma che poi non riescono a conseguire i ricavi sperati, spesso decidono di gettare la spugna anche solo dopo pochi mesi. Decidendo di chiudere l’attività, la partita Iva aperta deve essere però chiusa sempre nel modo e nei tempi giusti.

Altrimenti si rischia di dover continuare a pagare i contributi, per esempio quelli minimi dovuti dai professionisti che sono iscritti ad un albo e quindi alla cassa di previdenza di riferimento. Ecco allora quali sono tutte le info utili per andare a chiudere correttamente la partita Iva, dalle tempistiche alla procedura corretta passo dopo passo.

Come chiudere correttamente la partita Iva: le scadenze, il modello e la procedura da seguire

Dopo aver pagato ed incassato tutte le fatture, il titolare di partita Iva che decide di chiuderla deve inviare apposita comunicazione entro e non oltre il termine di 30 giorni dalla data di chiusura dell’attività. E questo, per i titolari di partita Iva che sono iscritti al Registro delle imprese, deve avvenire tramite la Comunicazione Unica.

Per i titolari di partita Iva che non sono obbligati all’iscrizione al Registro delle Imprese, invece, per la comunicazione di cessata attività e di chiusura della partita Iva si può utilizzare il modulo AA9/12 che, debitamente compilato, potrà essere presentato in duplice copia, anche tramite una persona delegata, in un qualsiasi ufficio dell’Agenzia delle Entrate che è presente sul territorio.

Oppure, in un unico esemplare, il modulo AA9/12 debitamente compilato si può spedire a qualunque ufficio del Fisco, a mezzo raccomandata postale con la ricevuta di ritorno, allegando la copia di un documento di riconoscimento in corso di validità. Oppure ancora il modulo AA9/12 per la chiusura della partita Iva si può trasmettere per via telematica utilizzando i servizi online che sono messi a disposizione sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate con accesso tramite credenziali.

La trasmissione telematica del modello AA9/12 può essere effettuata in proprio oppure avvalendosi dell’assistenza e del supporto di un intermediario abilitato. Nel Quadro A del modulo AA9/12 la casella da barrare è la numero 3, ovverosia quella che è relativa proprio alla cessazione indicando il numero di partita Iva e la data di chiusura dell’attività.

Cosa succede se la partita Iva non si chiude nel modo giusto

Se la partita Iva non si chiude nel modo giusto, invece, oltre a rischiare di dover continuare a pagare i contributi previdenziali, con il passare del tempo sarà proprio il Fisco ad entrare in azione. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha il potere di chiudere d’ufficio la partita Iva se, in base ai dati a disposizione, dovesse rilevare che, nelle tre annualità precedenti, il contribuente non ha esercitato alcune attività d’impresa, artistica o professionale.

In altre parole, se la partita Iva è inattiva per tre anni di fila, in base ai riscontri automatizzati del Fisco, questa sarà chiusa d’ufficio. Al contribuente l’Agenzia delle Entrate inoltrerà apposita comunicazione di chiusura della partita Iva inattiva dando comunque la possibilità di presentare ricorso entro un termine massimo di 60 giorni dalla ricezione della lettera.

Ho diritto alle detrazioni figli a carico se sono lavoratore autonomo?

Il lavoratore autonomo ha diritto alle detrazioni fiscali per i figli a carico? La risposta è affermativa, ma rispetto ai lavoratori dipendenti, che fruiscono delle detrazioni fiscali per i figli a carico con il conguaglio in busta paga, per gli autonomi le detrazioni fiscali devono essere indicate annualmente nella dichiarazione dei redditi.

Inoltre, l’ammontare delle detrazioni fiscali figli a carico può variare non solo in base al reddito ed all’età, ma pure in caso di riconoscimento di un handicap. Così come la detrazione fiscale, per uno o più figli a carico, può essere fruita in misura ridotta se il familiare non risulta a carico per tutti i 12 mesi. Per esempio, semplicemente perché il figlio è nato, per l’anno di imposta di riferimento, nel mese di maggio.

Detrazioni figli lavoratori autonomi, ecco quando sono fiscalmente a carico

Nel dettaglio, i figli sono fiscalmente a carico, potendo quindi accedere alle detrazioni, quando questi nell’anno di imposta di riferimento hanno maturato un reddito personale che non supera la soglia dei 2.840,51 euro. Soglia che sale a 4.000 euro di reddito annuo per i figli aventi un’età inferiore ai 24 anni.

Le soglie sopra indicate da rispettare tengono conto di tutti i redditi complessivi che, ai fini fiscali, vengono percepiti dai figli a carico. Con l’eccezione, pur tuttavia, che è rappresentata dai redditi che sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, dai redditi che sono assoggettati a tassazione separata, e dai redditi esenti come, per esempio, quelli che sono riconducibili alla percezione di trattamenti di natura assistenziale come l’assegno sociale.

Detrazioni figli a carico lavoratori autonomi, come varia l’importo

Per i lavoratori autonomi, e non solo, l’importo delle detrazioni fiscali per i figli a carico, come sopra accennato, non è fisso ma, partendo da una base detraibile, varia in base ai seguenti parametri:

  • Il reddito complessivo del nucleo familiare;
  • Il numero dei figli;
  • L’età del figlio, ovverosia se ha meno o più di 3 anni;
  • L’eventuale handicap riconosciuto per uno o più figli a carico.

La detrazione fiscale di base per i figli a carico è pari attualmente a 1.220 euro per i figli di età inferiore a 3 anni, e di 950 euro per i figli aventi un’età che è pari o superiore a 3 anni. Per il figlio portatore di handicap la detrazione fiscale di base è pari a 1.620 euro con un’età inferiore a 3 anni, ed è pari a 1.350 euro per il figlio a carico portatore di handicap con un’età pari o superiore a 3 anni. Inoltre, con più di 3 figli a carico, la detrazione fiscale aumenta di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo.

Come viene ripartita la detrazione figli a carico nella dichiarazione dei redditi

La detrazione figli a carico nella dichiarazione dei redditi è di norma ripartita dai genitori al 50%. Pur tuttavia, uno dei due genitori può detrarre fiscalmente il 100% se, per esempio, l’altro genitore è a sua volta fiscalmente a carico, oppure se uno dei due genitori risulta essere l’affidatario esclusivo del figlio. Oppure ancora uno dei genitori può fruire al 100% delle detrazioni fiscali per i figli a carico sfruttando il vantaggio di una maggiore capienza fiscale avendo in famiglia il reddito più alto.

Rimborso Modello Redditi PF, quando arriva?

Per l’anno in corso, e quindi per la dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2020, il Modello Redditi PF precompilato si potrà trasmettere al Fisco entro e non oltre il 30 novembre del 2021. Scadenza entro la quale, tra l’altro, il contribuente potrà presentare pure il modello Redditi correttivo del 730 ed il modello Redditi aggiuntivo del 730.

Per il modello Redditi precompilato, inoltre, ci sono pure i tempi supplementari con una scadenza che è fissata alla fine del prossimo mese di febbraio. Entro il 28 febbraio del 2022, intatti, potrà essere presentato pure il modello Redditi precompilato ‘tardivo’ così come riporta il sito Internet del Fisco che è dedicato alla dichiarazione dei redditi precompilata. Ma detto questo, per chi con il Fisco risulta a credito, quando arriverà il rimborso fiscale relativo al Modello Redditi 2021 Persone Fisiche?

Modello Redditi PF 2021, come chiedere ed ottenere il rimborso fiscale

Per chiedere prima e per ottenere poi dal Fisco il rimborso fiscale, quando per il Modello Redditi PF 2021 la dichiarazione è a credito, prima della trasmissione all’Agenzia delle Entrate occorre compilare correttamente il quadro RX. Si tratta, infatti, dell’apposita sezione dove indicare, rispetto al credito maturato, l’ammontare del rimborso fiscale che viene richiesto.

E questo perché il contribuente può chiedere il rimborso dell’intera somma a credito, ma può pure chiedere pure un rimborso parziale. Con la rimanenza che il contribuente, come eccedenza, potrà andare poi a sfruttare per il pagamento di tasse future con la compensazione tra i crediti ed i debiti fiscali.

L’inserimento da parte del contribuente dell’importo a rimborso, nel quadro RX del Modello Redditi PF, è obbligatorio per ricevere poi il bonifico da parte dell’Agenzia delle Entrate. Altrimenti il Fisco in automatico, per la dichiarazione dei redditi dell’anno di imposta successivo, andrà a considerare il credito fiscale maturato come un’eccedenza che andrà a compensare le tasse da pagare proprio nella successiva dichiarazione.

Inoltre, al fine di velocizzare l’operazione, il contribuente che chiede il rimborso, dall’area riservata del sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, deve comunicare e quindi inserire il codice IBAN del proprio conto corrente bancario o postale sul quale desidera che poi sia accreditato il rimborso stesso.

Quando arriva il rimborso fiscale per il Modello Redditi PF 2021?

Per i rimborsi fiscali l’Agenzia delle Entrate non fissa mai un calendario ufficiale. Pur tuttavia, dopo aver verificato e dopo aver liquidato tutte le dichiarazioni relative ad uno specifico anno di imposta, i rimborsi fiscali per le dichiarazioni a credito scattano a favore dei contribuenti a credito in maniera massiva.

Di certo, per il Modello Redditi PF 2021, il credito fiscale risultante dalla dichiarazione dei redditi trasmessa non potrà essere rimborsato prima del prossimo 30 novembre. Solo dopo tale data, infatti, il Fisco inizierà a liquidare le dichiarazioni, dopodiché il rimborso dovrebbe arrivare non più tardi dell’inizio della primavera del 2022.

Ed in ogni caso, per informarsi sui rimborsi fiscali, il contribuente può consultare periodicamente il proprio ‘Cassetto Fiscale’, oppure può rivolgersi agli uffici dell’Agenzia delle Entrate sul territorio. Oppure ancora può chiamare da telefono fisso il numero verde gratuito 800.90.96.96.

Debito 730 senza sostituto d’imposta, come si procede al pagamento rateizzato?

Quando, nel presentare la dichiarazione dei redditi, il debito Irpef da pagare è troppo alto, rispetto alle disponibilità correnti del contribuente, il Fisco permette il pagamento a rate. E questo vale pure per tutti quei contribuenti che, nel presentare il modello di dichiarazione del redditi 730, sono sia senza partita Iva, sia senza sostituto d’imposta. Ma detto questo, per il debito del 730 senza il sostituto di imposta, come si procede al pagamento rateizzato?

Ecco come si procede al pagamento rateizzato per il debito 730 senza il sostituto di imposta

Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che i contribuenti senza il sostituto di imposta che presentano il 730, e che devono pagare il debito IRPEF, possono avvantaggiarsi di un pagamento dilazionato in ben sei rate.

Nel dettaglio, si può saldare il debito IRPEF in 6 rate di pari importo, con l’applicazione degli interessi, come segue: la prima rata entro il 30 giugno 2021, la seconda rata entro il 20 agosto, la terza rata entro il 31 agosto del 2021, la quarta rata entro il 30 settembre, la quinta rata entro il 2 novembre del 2021, e la sesta ed ultima rata entro il 30 novembre.

Oppure, con la maggiorazione a monte dello 0,40% dell’importo da rateizzare, il debito 730 senza il sostituto di imposta si può pagare a rate a partire dal mese di luglio del 2021 come segue: la prima rata entro il 30 luglio, la seconda rata entro il 20 agosto, la terza rata entro il 31 agosto, la quarta rata entro il 30 settembre, la quinta rata entro il 2 novembre del 2021 e la sesta ed ultima rata entro il 30 novembre del 2021.

Come pagare a rate il debito 730 2021 senza il sostituto di imposta

Per pagare a rate il debito del 730 2021 senza il sostituto di imposta, chi trasmette al Fisco il modello precompilato può effettuare tutto online accedendo alla propria area riservata del sito Internet dell’Agenzia delle Entrate.

In alternativa, il contribuente può avvalersi della consulenza, del supporto e dell’assistenza di un CAF, o di un intermediario abilitato, sia per la trasmissione al Fisco del modello di dichiarazione dei redditi 730 del 2021, sia per il pagamento del debito IRPEF a rate.

Calcolo del debito F24 a rate, sul sito Internet delle Entrate c’è l’applicativo

Per tutti coloro che decidono di pagare le tasse a rate, anche se non si tratta di contribuenti 730 senza il sostituto di imposta, l’Agenzia delle Entrate sul proprio sito Internet, senza obbligo i registrazione e di accesso tramite le credenziali, mette a disposizione dei contribuenti la procedura guidata relativa proprio alla determinazione dei versamenti rateali con il modello F24. In questo modo si possono calcolare non solo gli importi delle rate e dei relativi interessi, ma si possono pure stampare i modelli F24 per andare poi a versare le tasse entro le scadenze previste.

Per sfruttare al massimo la rateazione, chi ha un debito Irpef che è elevato, ritenendo di essere poi in difficoltà nel dover pagare in un’unica soluzione, è chiaramente necessario, rispetto alle scadenze previste, anticipare il più possibile la tempistica di trasmissione al Fisco della propria dichiarazione dei redditi.

Cumulo pensioni professionisti: requisiti, decorrenza, convenzioni, calcolo, domanda e liquidazione

Per maturare il diritto alla pensione c’è la possibilità di sommare, e quindi di cumulare, i contributi che sono stati versati in fondi diversi. Facendo leva sul cumulo dei contributi, infatti, sarà così possibile e più veloce maturare i requisiti per andare in pensione non solo con la prestazione di vecchiaia, ma anche con la pensione anticipata ordinaria.

E lo stesso vale pure per le pensioni di inabilità e per quelle pagate ai superstiti. Il cumulo dei contributi, tra l’altro, è stato esteso pure ai professionisti al fine di maturare i requisiti per la pensione. Dagli avvocati ai geometri, e passando per i medici, per i ragionieri, per gli ingegneri, per gli architetti e per i consulenti.

Ecco allora tutto quello che c’è da sapere sul cumulo pensioni professionisti a partire dai requisiti e passando per la decorrenza e le convenzioni. Ma anche il calcolo cumulo pensioni professionisti, come presentare la domanda e come avviene la liquidazione.

Requisiti, decorrenza e liquidazione pensione professionisti con il cumulo dei contributi

Nel dettaglio, il cumulo dei contributi tra fondi diversi è gratuito, ma la liquidazione della pensione in cumulo può anche avvenire in più step in base ai requisiti INPS ed a quelli delle casse. In particolare, l’intera pensione in cumulo al professionista viene riconosciuta solo se i requisiti previsti dalla cassa professionale sono inferiori o uguali a quelli che sono previsti per le gestioni dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.

Altrimenti, al compimento dell’età pensionabile, il professionista riceverà prima la quota di pensione INPS, e poi la quota di assegno previdenziale della cassa professionale nel momento in cui a sua volta sarà maturata l’età pensionabile che è prevista dal regolamento. Non a caso la pensione ai professionisti tramite il cumulo gratuito dei contributi non viene calcolata mai in maniera unitaria, ma in quote per ciascuna gestione previdenziale.

Come presentare la domanda di cumulo dei periodi assicurativi

La domanda di cumulo dei contributi previdenziali versati e maturati deve essere presentata all’ente previdenziale presso il quale il professionista risulta essere correntemente iscritto. Oppure presso l’ente dove il professionista ha versato l’ultima contribuzione.

Per esempio, per un ingegnere o per un architetto che è iscritto ad Inarcassa, la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti diventerà, per il professionista, l’ente istruttore per la domanda di cumulo dei contributi previdenziali.

Sarà infatti l’Inarcassa, presentata correttamente la domanda, ad avviare il relativo procedimento e contattando, di conseguenza, tutti gli altri enti di previdenza presso i quali risultano accreditati, per l’ingegnere o per l’architetto, i contributi previdenziali da cumulare ai fini della maturazione dei requisiti di accesso alla pensione.

Il cumulo contributivo è esteso anche a favore dei professionisti con decorrenza a partire dall’1 gennaio del 2017. L’istituto normativo del cumulo dei contributi, ai fini previdenziali per gli avvocati, i geometri, i medici, i ragionieri, gli ingegneri, gli architetti ed i consulenti, si va così ad aggiungere, ai fini della maturazione dei requisiti di accesso alla previdenza obbligatoria, alla ricongiunzione ed alla totalizzazione.

La mia Pensione INPS: il servizio online di simulazione

Sul web c’è un servizio che, accessibile dal sito Internet dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS), permette di simulare e di calcolare l’importo della propria pensione. Si tratta, nello specifico, del servizio che, denominato ‘La mia pensione futura‘, permette di stimare quale sarà l’importo dell’assegno previdenziale al termine della propria attività lavorativa.

Come si accede al servizio online di simulazione La mia Pensione INPS

Per accedere online al servizio di simulazione La mia Pensione INPS sono necessarie le credenziali ai fini dell’autenticazione. E quindi serve il codice fiscale ed il PIN INPS, oppure SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale. In alternativa, si può accedere online al servizio di simulazione La mia Pensione INPS pure muniti di Carta Nazionale dei Servizi (CNS) e di Carta di identità elettronica 3.0 (CIE).

Chi può utilizzare il servizio web INPS La mia pensione futura

L’utilizzo del servizio web INPS La mia pensione futura è per molti ma non per tutti. In quanto con il servizio online possono ottenere il calcolo simulato della pensione i lavoratori con la contribuzione versata alla Gestione Separata INPS ed i lavoratori con la contribuzione versata al Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Possono accedere inoltre a La mia Pensione INPS pure i lavoratori con la contribuzione versata agli altri fondi e gestioni che sono amministrate dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, e tutti gli iscritti alla Gestione Dirigenti di aziende industriali.

Simulazione online La mia Pensione INPS, ecco quali sono le caratteristiche del servizio

Il servizio online di simulazione La mia Pensione INPS è chiaramente basato sull’inserimento di tutti i dati utili al fine di ottenere una stima quanto più attendibile della prestazione previdenziale che si percepirà al termine della propria attività lavorativa. Al riguardo i dati chiave sono rappresentati dall’età, dalla propria storia lavorativa e dalla propria retribuzione.

Scelto il fondo con il quale impostare il calcolo simulato della pensione, il servizio online dell’INPS permette di ottenere un valore stimato dell’assegno alla fine dell’attività lavorativa a moneta costante, ovverosia calcolato a prescindere dall’andamento dell’inflazione. Così come si possono inserire e quindi ipotizzare, fino al raggiungimento dell’età pensionabile, pure i periodi di sospensione dal lavoro.

Inoltre, il servizio web La mia Pensione INPS permette pure, proprio in base all’età ed alla propria storia lavorativa e contributiva, di conoscere la data in corrispondenza della quale si maturerà il diritto alla pensione di vecchiaia oppure alla pensione anticipata.

Così come ‘La mia pensione futura’ è anche un servizio via web che permette di verificare la correttezza del propria posizione previdenziale corrente in quanto fornisce lo storico dei contributi che sono versati all’INPS. In questo modo, se ci sono dei periodi di contribuzione mancanti, il lavoratore potrà comunicare e segnalare all’Istituto di previdenza di effettuare tutti i controlli e tutte le verifiche del caso.

Infine, per comprendere pienamente come funziona il servizio l’INPS, nella pagina di accesso online a ‘La mia pensione futura’,  ha pubblicato il link ad un video di presentazione sul canale YouTube, e l’indagine statistica in formato PDF.