Aiuti di Stato: controlli sul rispetto dei limiti e autodichiarazione

Gli Aiuti di Stato devono rispettare le normative previste dall’Unione Europea che, nel Quadro Temporaneo di aiuti determinato nel periodo Covid ha però stabilito delle deroghe e nuovi limiti agli aiuti alle imprese. Con decreto del MEF sono invece indicati i criteri per il controllo dei requisiti per le imprese beneficiarie.

Temporary Framework: il quadro temporaneo degli Aiuti di Stato

L’Italia, sulla base della comunicazione inviata dalla Commissione Europea  inerente il Quadro Temporaneo (Temporary Framework) per le misure di Aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da COVID-19, ha emanato il decreto 41 del 2021 in cui si provvedeva all’adeguamento della disciplina in base alle direttive date dall’Unione Europea per gli aiuti delle Sezioni 3.1 e 3.12 del Quadro Temporaneo.

In questo modo è stato possibile per le imprese ottenere i massimali degli Aiuti di Stato che sono stati temporaneamente innalzati. Ora, con il decreto del MEF dell’11 dicembre 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 gennaio 2022, si provvede a definire i criteri per il monitoraggio. La prima cosa da sottolineare è che al fine di determinare il termine temporale da controllare per verificare il rispetto dei nuovi massimali, si deve avere in considerazione la data in cui l’impresa beneficiaria ha effettivamente avuto la disponibilità dell’aiuto.

Come sono effettuati i controlli sul rispetto dei massimali?

Al fine di controllare il rispetto dei massimali degli Aiuti di Stato fruibili, è necessario che l’impresa beneficiaria invii all’Agenzia delle Entrate una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà avente ad oggetto il rispetto dei requisiti e dei limiti fissati nel Temporary Framework dell’Unione Europea. All’interno dell’autodichiarazione è necessario sottolineare di aver rispettato i  massimali previsti per gli Aiuti di Stato tenuto anche conto delle relazioni di controllo che vi possono essere tra le imprese ai fini della definizione di impresa unica.

Ricordiamo che la sezione 3.1 prevede per gli aiuti ricevuti dal 19 marzo 2020 al 27 gennaio 2021 tali massimali:

  • 800mila euro per impresa unica;
  • 120 mila euro per pesca e acquacoltura;
  • 100 mila euro per produzione primaria prodotti agricoli.

Per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 al 31 dicembre 2021 i limiti sono:

  • 1 milione e 800 mila euro per impresa unica;
  • 270 mila euro per pesca e acquacoltura;
  • 225 mila euro per produzione agricola primaria.

Inoltre la Sezione 3.12 del Quadro Temporaneo prevede limiti di:

  • 3 milioni di euro per impresa unica, per gli aiuti ricevuti dal 13 ottobre 2020 al 27 gennaio 2021;
  • 10 milioni di euro per impresa unica per gli aiuti ricevuti dal 28 gennaio 2021 al 31 dicembre 2021.

In questo secondo caso sono però richiesti ulteriori requisiti per poter accedere agli aiuti, ovvero che ci sia una riduzione del fatturato di almeno il 30% rispetto al corrispondente periodo del 2019 e che il contributo richiesto non superi il 70% dei costi fissi non coperti e affrontati nel periodo di riferimento.

Termini e modalità per l’invio dell’Autodichiarazione

Il decreto pubblicato il 20 gennaio 2022 non specifica però i termini per l’invio dell’autodichiarazione e le modalità rimandando a un successivo provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.

Per ulteriori informazioni sul Quadro Temporaneo di Aiuti di Stato, leggi l’articolo: Aiuti di Stato e pandemia: l’Unione Europea ammette deroghe 

Ricordiamo inoltre che vi è la possibilità di accedere a contributi a fondo perduto, per saperne di più:

Contributi a Fondo perduto per negozi e ambulanti. I Codici Ateco

Ristori fermo pesca: si può presentare la domanda

Assunzione donne, under 36 e Sud: proroga delle agevolazioni contributive

Buone notizie dall’INPS: con il messaggio 403 del 26 gennaio 2022 ha reso noto che la Commissione Europea ha esteso i vantaggi inerenti l’assunzione donne, under 36 e Sud  fino al 30 giugno 2022. Scopriamo chi sono gli interessati da questo provvedimento.

Proroga delle agevolazioni per assunzione donne, under 36 e Sud: ecco le novità

Il Messaggio dell’INPS del 26 gennaio 2022 non è altro che una comunicazione indiretta di una decisione dell’Unione Europea che, attraverso la Commissione Europea.  In particolare con la decisione C(2022) 171 final dell’11 gennaio 2022 ha stabilito che le agevolazioni denominate:

  • decontribuzione Sud;
  • bonus assunzione donne (prevede la decontribuzione per l’assunzione di donne in settori in cui vi è una particolare disparità di genere);
  • giovani under 36 (esonero contributivo al 100% per le assunzioni di giovani fino a 36 anni di età

sono estese fino al 30 giugno 2022. In questo modo le stesse scadono insieme al Temporary Framework, cioè il piano degli aiuti di Stato come modificato con l’avvento dell’emergenza pandemica.

Questo rappresenta un notevole aiuto per le imprese che potranno assumere nuovi dipendenti con agevolazioni contributive molto importanti, allo stesso tempo aiuta i giovani, le donne e chi vive in una situazione di svantaggio a causa delle depressione economica che caratterizza determinate zone del Paese, ad avere maggiori probabilità di inserirsi nel mondo del lavoro.

In seguito a questa importante decisione dell’Unione Europea fino al 30 giungo 2022 potranno essere stipulati contratti di lavoro a tempo indeterminato o la trasformazione di rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato con le agevolazioni previste inizialmente fino al termine del 2021.

Nuovi limiti per gli aiuti di Stato nel Messaggio INPS 403 del 26 gennaio 2022

La decisione della Commissione Europea adottata l’11 gennaio 2022 non contiene solo l’estensione delle agevolazioni per l’assunzione di  donne, under 36, donne e Sud, ma anche nuove modifiche ai limiti previsti per gli aiuti di Stato. I nuovi limiti sono:

  • 290.000 euro per le imprese che operano in agricoltura (settore primario);
  • 345.000 euro per le imprese che operano nel settore della pesca e dell’acquacoltura;
  • 2,3 milioni di euro per le imprese che operano in tutti gli altri settori.

Le misure per gli aiuti di stato non si applicano alle imprese che operano nel settore finanziario/assicurativo.

Se vuoi saperne di più sul Temporary Framework e sulle deroghe previste per gli aiuti di Stato, leggi l’articolo: Aiuti di Stato e pandemia: L’Unione Europea ammette deroghe

Svolta dell’Europa: i rider sono lavoratori dipendenti

Il problema dei rider è ormai sotto gli occhi di tutti, infatti i colossi della consegna a domicilio come Just Eat, Glovo, Deliveroo utilizzano per loro i contratti del settore logistico “prestatori d’opera indipendenti” e questo ha spesso determinato condizioni di lavoro particolarmente difficili da sostenere per orari, tutele e retribuzioni. A porre ora un freno è il testo approvato dall’Unione Europea che considera i rider lavoratori dipendenti.

Chi sono i rider

Il termine rider è un anglicismo e sta semplicemente a significare una persona impegnata nelle consegne a domicilio con l’uso di bici, in alcuni casi anche ciclomotori, raramente auto per una questione di gestione del traffico. Il rider infatti deve arrivare in poco tempo a destinazione.  Negli ultimi anni le persone impegnate nel lavoro di rider sono moltiplicate e le restrizioni ai movimenti delle persone determinate dalla pandemia hanno contribuito a creare quello che può essere considerato un vero e proprio esercito che ad oggi occupa circa un milione e mezzo di ragazzi con età molto varia, infatti non si tratta solo di giovanissimi, ma anche di persone che hanno perso il lavoro e cercano di ricollocarsi. In media l’impegno quotidiano è di circa 4 ore al giorno e lavorano anche in condizioni difficili come traffico, pioggia e freddo.

La direttiva che si occupa dei rider è parte del pacchetto lavoro messo a punto da Nicolas Schmit e prevede che i lavoratori delle piattaforme digitali, al verificarsi di determinate condizioni, debbano essere considerati lavoratori subordinati a tutti gli effetti. L’atto della Commissione Europea è solo il primo passo verso un pieno riconoscimento dei rider come dipendenti a tutti gli effetti, infatti la direttiva dovrà essere votata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio, ma di sicuro si tratta di un provvedimento molto importante per questa particolare categoria di lavoratori.

Quando i rider possono essere considerati lavoratori dipendenti

La prima cosa da sottolineare è che la direttiva non considera tutti i rider come dipendenti, ma solo quelli che rientrano in determinati canoni. Sono considerati dipendenti i rider che non assumono il rischio di impresa (tipico dei lavoratori autonomi) e non decidono il prezzo del servizio.

I rider, in realtà la misura si applica anche agli autisti delle piattaforme tipo “Uber”, che rientrano nella categoria dei dipendenti avranno tutele previdenziali e un regolare contratto di lavoro dipendente, questo può essere anche a tempo determinato e part time. Su questo punto la direttiva non prevede nulla e di conseguenza saranno gli Stati Membri a dover decidere, in Italia ad esempio il contratto a tempo determinato non può essere rinnovato ad oltranza, ma è destinato a trasformarsi in contratto a tempo indeterminato.

Nel caso in cui l’azienda non si adegui, per il lavoratore sarà possibile ottenere la tutela in giudizio, ma al fine di favorire i rider che si trovano in genere in una posizione di debolezza rispetto al datore di lavoro, vi è l’inversione dell’onere probatorio. Questo implica che sarà l’azienda a dover dimostrare che in realtà nel singolo rapporto di lavoro vi sono le peculiarità del contratto di lavoro autonomo e non dipendente.

Criteri chiari e trasparenti per la valutazione dei rider

Vi è anche un altro aspetto che riguarda i rider considerato dalla direttiva della Commissione Europea, si tratta delle valutazioni. In genere quando un utente/consumatore riceve un prodotto consegnato dai rider, riceve un invito, attraverso lo smartphone e l’app dedicata al servizio, ad esprimere un voto nei confronti del rider.

Quel voto a tutti gli effetti andrà a determinare se il rider è bravo ed efficiente e quindi se può continuare a lavorare oppure se è meno bravo. Si forma quindi una pagella che il colosso utilizza per decidere a chi affidare i lavori e che espone i rider a corse sfrenate per le città nel tentativo di arrivare nel più breve termine possibile. La valutazione viene effettuata attraverso l’uso di algoritmi.  La novità contenuta nella direttiva prevede che debbano essere resi noti tutti i parametri che regolano l’algoritmo e che portano quindi alla valutazione finale. In questo modo il rider è consapevole del modo in cui la valutazione si forma.

Inoltre l’uso di questi algoritmi è stato considerato un elemento che fa propendere per l’inquadramento del rapporto di lavoro come dipendente e non autonomo in quanto il lavoratore non può determinare con alcuna autonomia il contenuto del suo rapporto di lavoro.

In merito alle valutazioni nel 2021 il colosso Deliveroo è stato multato per aver violato i dati dei rider che appunto sono raccolti senza che il rider possa avere conoscenza degli stessi. La multa ammonta a 2,5 milioni di euro e mira a sanzionare proprio la mancata trasparenza degli algoritmi utilizzati. Il Garante della privacy ha sottolineato anche che il controllo costante attraverso la geolocalizzazione degli spostamenti del rider è eccessivo rispetto agli obiettivi dell’azienda e va oltre il necessario.

I passi successivi

La direttiva, come anticipato, dovrà ora passare attraverso il vaglio del Parlamento Europeo e del Consiglio. Spetterà poi ai singoli Stati Membri adeguare la propria normativa alla direttiva stessa. Da quello che sembra essere l’impianto generale, è probabile che agli Stati comunque resti un ampio margine per la disciplina del dettagli. A questo punto è bene sottolineare che la direttiva non si occuperà solo dei rider, ma contiene anche un’ampia disciplina del Terzo Settore e delle attività solidali con piano di durata decennale e che vuole essere il pilastro sociale dell’Europa.

L’Unione Europea approva il contributo a fondo perduto per attività chiuse

Arriveranno entro il 31 dicembre 2021 gli aiuti il contributo a fondo perduto per le attività chiuse, ciò è possibile grazie all’ok arrivato dall’Unione Europea. Si potranno ottenere fino a 25.000 euro.

Iter approvazione del contributo a fondo perduto per le attività chiuse

Arriva il via libera dell’Unione Europea allo stanziamento di 140 milioni di euro in favore delle attività che a causa del Covid hanno dovuto sopportare lunghi periodi di inattività, più di 100 giorni. Si tratta in particolare delle attività connesse al tempo libero, arte e cultura, eventi cerimonie. Per poter procedere ora occorrono solo le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate.

Il contributo a fondo perduto in favore delle attività che hanno subito lunghi periodi di chiusura a causa del Covid è contenuto nell’articolo 2 del decreto Sostegni Bis che ha istituito il Fondo per le attività economiche chiuse per un periodo di almeno 100 giorni.

Se vuoi conoscere i dettagli di tale fondo, leggi l’articolo: Attività chiuse oltre 100 giorni causa Covid: arriva il fondo di sostegno

Il 7 ottobre 2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto attuativo del Ministero dello Sviluppo Economico.

Il 19 novembre è arrivata l’approvazione da parte dell’Unione Europea. Proprio la Commissione Europea nel suo provvedimento ha precisato che l’approvazione arriva in quanto il contributo per ogni impresa non supera 1,8 milioni di euro, inoltre sarà concesso entro il 31 dicembre.

La Commissione ha sottolineato che questa misura appare necessaria, adeguata e proporzionata all’obiettivo di porre rimedio a una situazione di grave turbamento per l’economia di uno Stato Membro.

Come richiedere il contributo a fondo perduto

Per poter conoscere nel dettaglio le istruzioni per la richiesta del contributo a fondo perduto bisognerà attendere il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate, lo stesso comunque dovrebbe arrivare entro il 6 dicembre, quindi a breve. Nel frattempo possiamo ricordare che le richieste dovranno essere inoltrate telematicamente all’Agenzia delle Entrate e i contributi approvati saranno erogati su conto corrente, quindi già al momento della domanda dovrà essere fornito un codice IBAN.

Il calcolo del contributo effettivamente dovuto a ogni richiedete sarà effettuato tenendo in considerazione i ricavi e i compensi dichiarati nel 2019, cioè l’ultimo anno prima della pandemia.

Gli importi massimi sono però rivolti solo alle attività con codice ATECO 93.29.10 , cioè sale da ballo, discoteche. A queste attività è destinata una quota di 20 milioni di euro. Le altre attività invece avranno un contributo compreso tra 3.000 euro e 12.000 euro e saranno comunque calcolate sui compensi relativi al 2019.

Le soglie sono di:

  • 3.000 euro per le attività che dichiaravano un fatturato di 400.000 euro;
  • 7.500 euro per soggetti con ricavi compresi tra 400.000 euro e 1 milione di euro;
  • 12.000 euro per attività che dichiaravano un fatturato superiore a 1 milione di euro.

Nel caso in cui i fondi dovessero risultare insufficienti, l’Agenzia delle Entrate provvederà a ripartire gi stessi riducendo proporzionalmente i contributi.

Codici Ateco ammessi al contributo

Naturalmente gli imprenditori hanno bisogno di sapere se rientrano tra coloro che hanno diritto ad accedere ai contributi a fondo perduto per attività chiuse a causa Covid, proprio per questo inseriamo la lista dei codici Ateco che rappresentano il migliore punto di riferimento per sapere se si rientra tra coloro che hanno diritto a percepire il contributo a fondo perduto per le attività che hanno subito chiusure di almeno 100 giorni approvati dall’Unione Europea.

  • 47.78.31 commercio opere d’arte;
  • 49.39.01 gestione impianti sci;
  • 56.21.00 catering;
  • 59.14.00 cinema;
  • 79.90.11 biglietteria per eventi teatrali, sport e spettacolo in genere;
  • 82.30.00 convegni e fiere;
  • 85.51.00 corsi per sport e ricreativi;
  • 85.52.01 corsi di danza;
  • 90.01.01 attività connesse alla recitazione;
  • 90.01.09 rappresentazioni di tipo artistico;
  • 90.02.09 aziende che svolgono attività di supporto rispetto alle attività di tipo artistico e culturale;
  • 90.04.00 imprese che si occupano della gestione di teatri e altri luoghi deputati allo spettacolo e all’arte;
  • 91.02.00 musei;
  • 91.03.00 gestione monumenti;
  • 92.00.02 gestione macchine giochi;
  • 92.00.09 attività connesse alle lotterie;
  • 93.11.10 gestione stadi;
  • 93.11.20 gestione piscine;
  • 93.11.30 e 93.11.30 imprese che si occupano degli impianti sportivi;
  • 93.13 palestre;
  • 93.21 parchi divertimento;
  • 93.29.10 discoteche;
  • 93.29.30 sale giochi;
  • 93.29.90 imprese che operano nel settore dei divertimenti;
  • 96.04 centri benessere;
  • 96.09.05 organizzazione feste.

Fatturazione elettronica: novità in arrivo dal 2022 per i forfettari?

La novità era nell’aria già da tempo, ma ora sembra consolidarsi l’ipotesi di obbligo di fatturazione elettronica anche per i forfettari dal 1° gennaio 2022. L’Italia ha infatti ottenuto il primo via libera alla proroga dell’obbligo di fatturazione elettronica fino al 2024 da parte della Commissione Europea.

La fatturazione elettronica in Italia e in Europa

La questione merita una premessa. L’Unione Europea prevede l’obbligatorietà della fatturazione elettronica solo per i rapporti con enti pubblici/pubblica amministrazione. L’Italia però ha chiesto e ottenuto di poter estendere la fatturazione elettronica anche ai rapporti B2B , cioè tra soggetti in rapporti Business (ad esempio rapporti tra commercianti e fornitori) e nei rapporti B2c, cioè quelli tra un soggetto business e un cliente privato. Resta escluso il commercio al dettaglio dove viene emesso il classico scontrino. Nessuna fattura è prevista per la vendita di quotidiani e periodici.

L’obiettivo dell’obbligo di fatturazione elettronica è ridurre l’evasione fiscale. L’Italia ha applicato quindi un regime particolarmente restrittivo, che gli altri Paesi dell’Unione Europea invece non hanno adottato, ma il consenso a questo è in scadenza al 31 dicembre 2021. Forte dei risultati nel contrasto all’evasione fiscale, l’Italia ma ha chiesto un’estensione e la stessa ha ottenuto una prima approvazione da parte della Commissione Europea.

Perché l’Italia chiede la proroga dell’obbligo di fatturazione elettronica e l’estensione ai forfettari?

L’Italia nel chiedere la proroga ha sottolineato che, grazie alla fatturazione elettronica, è possibile avere un maggiore controllo sulle operazioni poste in essere da imprese e professionisti che da sempre rappresentano una fascia ampia di evasione. Questo ha portato ad un recupero IVA di circa 2 miliardi di euro e un recupero di 580 milioni di euro di imposte dirette. Nel 2019 inoltre sono stati recuperati 945 milioni di euro mediante l’identificazione e il blocco di crediti IVA falsi. Infine, sono stati bloccati soggetti passivi che richiedevano i privilegi legati alla qualifica di “esportatore abituale” pur non avendone i requisiti.

Di fatti però attualmente non tutte le imprese e i professionisti hanno l’obbligo di fatturazione elettronica, sono esclusi:

  • coloro che hanno aderito al regime forfettario ex legge 190/2014;
  • i contribuenti che ancora sono nel regime di vantaggio ex decreto legge 98 del 2011;
  • le associazioni sportive con ricavi non superiori a 65 000 euro e che hanno aderito al regime agevolato.

Forfettari: sarà introdotto l’obbligo di fatturazione elettronica dal 2022?

Proprio per questi soggetti dal primo gennaio 2022 potrebbero esservi delle novità. Infatti nell’autorizzazione dell’Unione Europea è previsto che l’Italia possa anche ampliare la platea dei soggetti obbligati a utilizzare il sistema di interscambio SdI. Questo vuol dire che dal primo gennaio l’Italia potrebbe decidere di introdurre l’obbligo di fatturazione elettronica anche per coloro che sono in regime forfettario e che in passato avevano solo la facoltà di aderire. Per ora non c’è alcuna certezza sull’introduzione dell’obbligo per i forfettari anche se si auspica una decisione a breve, vista la necessità di adeguare il proprio sistema attraverso software per la predisposizione delle fatture in formato elettronico e lo scambio con SdI.

Per tutti, anche per i forfettari, è invece sempre stato in vigore l’obbligo di fatturazione elettronica nei rapporti con il settore pubblico.

Non ci sono novità invece per gli operatori sanitari, infatti in questo caso il divieto di fatturazione elettronica è determinato dalla necessità di tutelare la privacy delle persone, infatti le fatture in questo caso contengono dati sensibili che è bene tutelare. Infine, resta l’agevolazione prevista per il settore dell’agricoltura e in particolare per i piccoli coltivatori agricoli che sono esonerati dall’emissione di fatture.

Addio esterometro dal 1° gennaio 2022

L’estensione di obbligo alla fatturazione elettronica anche per i contribuenti in regime forfettario e di vantaggio, potrebbe non essere l’unica novità, infatti dal primo gennaio 2022 va in pensione anche l’esterometro, si tratta del documento per la dichiarazione dei dati relativi ad operazioni transfrontaliere. Ciò implica che anche tali operazioni dovranno passare attraverso il sistema di Interscambio, SdI, proprio come accade per le fatture elettroniche.

Deve inoltre essere ricordato che l’ultima parola sulla proroga dell’autorizzazione all’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica al 31 dicembre 2024 e l’estensione a ulteriori soggetti, passa ora al Consiglio dell’Unione Europea anche se sembra una pura formalità.

Open Calls: chiamate per imprese che fanno innovazione e ricerca

Le EU Open Calls for proposals sono uno dei sistemi attraverso cui viene data attuazione al programma Horizon Europe 2021-2027; si tratta di un programma quadro dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione; ma di cosa si tratta e come funzionano?

Cosa sono le Open Calls dell’Unione Europea?

Le Open Calls sono delle “chiamate aperte” per determinati progetti a cui gli interessati (soggetti giuridici) possono rispondere presentando una propria candidatura. Purtroppo ad oggi sono uno strumento poco conosciuto, sebbene le calls for proposals rappresentino delle importanti opportunità per chi lavora nell’ambito delle nuove tecnologie, dell’innovazione e della ricerca e vuole emergere. L’obiettivo attuale è creare una guida che possa aprire il dibattito o comunque informare su tali opportunità in base alle scadenze dei vari bandi.

Horizon Europe 2021-2027

Per capire bene si deve partire dalle basi: Horizon Europe 2021-2027 è il programma successivo rispetto a Horizon Europe 2020, ha una dote di 95,5 miliardi di euro, di questi 5,4 miliardi sono destinati al piano per la ripresa Next Generation EU. Il finanziamento per il primo biennio è di 14,7 miliardi di euro e di questi oltre in terzo della somma è destinata agli obiettivi “verdi”, quindi sostenibilità ambientale e riduzione delle emissioni inquinanti, mentre 4 miliardi saranno destinati nel biennio allo sviluppo delle tecnologie digitali. Il programma finanzia attività di ricerca attraverso le call for proposal.

L’obiettivo è promuovere la competitività degli Stati Membri in settori strategici per il futuro, attuare le politiche europee fronteggiando anche le sfide globali soprattutto quelle inerenti lo sviluppo sostenibile. Il programma mira a finanziare società, aziende, singoli, università che operano negli Stati che partecipano al programma Horizon Europe 2021-2027 e soggetti giuridici con sede in Paesi Terzi, ma con delle limitazioni.

La Commissione Europea all’interno del programma ha formato l’EIC, European Innovation Council, a cui possono partecipare innovatori di varia natura, tra cui università, singoli individui e istituti che si occupano di ricerca.

Il programma è strutturato attraverso delle Missioni che rappresentano delle sfide, delle problematiche comuni da affrontare con un approccio interdisciplinare. Tra le Missioni al punto 1 c’è il Cancro che rappresenta quindi una sfida da vincere, al punto 2 l’adattamento ambientale, al punto 3 la salute degli oceani, mari e acque interne, al 4 città intelligenti e neutre dal punto di vista climatico, al punto 5 cibo e salute nel mondo.

Come partecipare alle Open Calls ?

I bandi open calls for proposals sono disponibili attraverso la piattaforma https://ec.europa.eu/info/funding-tenders/opportunities/portal/screen/home il tasso di finanziamento dei progetti può arrivare al 100%. Si potrà notare che il sito è in inglese e la versione italiana non esiste, per chi non vuole perdere opportunità, in Italia ci sono diversi soggetti che offrono informazioni, prevalentemente università.

Open calls attive ora

Per capire come funzionano è bene partire da un esempio. Tra le proposte attualmente attive c’è: “Open Call for Demonstrator: Fusion For Energy per settori Non Fusion” che finanzia uno studio di fattibilità sulla possibilità di trasferimento di tecnologie di fusione in un ambiente non di fusione. La call è rivolta ad aziende che dovranno far pervenire un progetto che sarà valutato in relazione alla sua fattibilità. Per i progetti non “vincitori”, ma ritenuti meritevoli vi sarà comunque una fase di accompagnamento al fine di trovare dei finanziatori.

Questo esempio è utile per capire come funzionano le open calls: ci sono progetti predeterminati da sviluppare e che rientrano nell’ambito di applicazione del progetto Horizon Europe 2021-2027, si partecipa al bando compilando formulari predisposti e presentando i progetti richiesti e in alcuni casi vi è la possibilità di ottenere comunque del sostegno. Naturalmente per ogni call ci sono delle scadenze, per quella ora vista è il 15 ottobre 2021. In questo caso c’è solo la scadenza finale, ma per alcuni bando che hanno una durata particolarmente lunga ci sono anche tappe e scadenze intermedie. Ovviamente per districarsi bene nei bandi è essenziale conoscere l’inglese o comunque avere il sostegno di qualcuno che conosca bene la lingua.

Attualmente in Italia per dare supporto alla partecipazione ad Open Calls si stanno attivando le università, sia con attività di supporto e presentazione di progetti per la partecipazione ai bandi, sia attraverso percorsi formativi volti a diffondere la cultura delle Open Calls for Proposals.

 

Aiuti di Stato e pandemia: l’Unione Europea ammette deroghe

Gli aiuti di Stato sono degli importanti contributi che vanno a sostenere le imprese al fine di mantenere l’occupazione, superare la crisi in determinati settori, favorire uno sviluppo economico equilibrato tra i vari Paesi dell’Unione Europea. Per essi sono previsti dei limiti dettati dall’Unione Europea, la crisi pandemica ha però portato ad applicare regole più permissive. Ecco i vantaggi.

Il Quadro temporaneo degli aiuti di Stato

Già in precedenza è stato detto che a livello europeo esistono diverse tipologie di aiuti, tra questi ci sono gli aiuti de minimis che non devono avere la preliminare approvazione della Commissione Europea in quanto si ritiene che non siano idonei a influire sulla libera concorrenza, è poi vi sono gli aiuti di Stato che invece devono essere preliminarmente approvati per valutare se idonei a incidere sulla libera concorrenza danneggiando così le imprese. Il nuovo “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza della Covid 19 adottato il 19 marzo 2020 e sottoposto in questo lungo anno a diverse modifiche, stabilisce al punto 20 che gli aiuti oggetto della nuova e temporanea normativa sono cumulabili anche con gli aiuti de minimis.

Se vuoi saperne di più sugli aiuti de minimis, leggi la guida: aiuti de minimis: cosa sono, limiti, ammontare e come ottenerli.

Settori in cui non è richiesta l’autorizzazione della Commissione

L’Unione Europea al fine di fronteggiare la pandemia che ha colpito a livello globale, ha previsto una serie di semplificazioni agli aiuti di Stato, in particolare per alcune categorie di essi ha eliminato l’obbligo della preventiva comunicazione alla Commissione Europea e quindi ha eliminato l’autorizzazione. Si tratta dei contributi:

  • a sostegno della transizione verde e al digitale ritenuti essenziali anche per la ripresa economica post covid;
  • aiuti concessi dalle autorità nazionali, ma finanziati tramite l’Unione Europea ovvero tramite programmi specifici inseriti nei piani pluriennali.

Tra gli aiuti di Stato che potranno essere concessi senza la preventiva autorizzazione della Commissione Europea ci sono quelli:

  • per progetti per l’efficienza energetica degli edifici;
  • diretti alla realizzazione di infrastrutture per le ricariche e rifornimento dei veicoli a basso impatto ambientale (si tratta insomma della realizzazione di sistemi per la ricarica dei veicoli elettrici);
  • volti a migliorare la connessione per le tecnologie digitali, quindi per la realizzazione di reti 4G e 5G.

Aiuti di Stato in deroga alle regole degli articoli 107-108 TFUE

Il quadro prevede poi aiuti concessi con autorizzazione ma in deroga ai normali criteri. Gli aiuti di Stato concessi in deroga alle regole generali sugli aiuti di Stato previsti dal TFUE non possono essere concessi a imprese che già nel 2019 erano in crisi. Possono essere sotto forma di:

  • sovvenzioni, anticipi agevolazioni fiscali;
  • garanzie sui prestiti;
  • prestiti con tassi di interesse agevolati;
  • garanzie per prestiti;
  • assicurazione del credito all’esportazione.

Italia: approvati gli aiuti di Stato per assumere i giovani

Nel quadro degli aiuti deve essere ricordato anche che l’Unione Europea nei giorni appena trascorsi ha approvato il quadro di sostegno dell’Italia alle imprese che decidono di assumere giovani con età inferiore a 36 anni. Il piano prevede 1,24 miliardi di euro ed è diretto a sgravare l’impresa dagli oneri contributivi per le assunzioni. I nuovi contratti devono però essere a tempo indeterminato oppure prevedere la trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. L’aiuto non può essere concesso alle imprese che hanno licenziato nei 6 mesi precedenti alla richiesta dell’aiuto e decadono dal beneficio nel caso in cui licenzino nei 9 mesi successivi all’ottenimento del beneficio.

L’esenzione dal pagamento dei contributi si estende per un periodo di 38 mesi e può portare a un risparmio massimo annuale di 6.000 euro. La Commissione ha ritenuto questo aiuto in linea con il quadro temporaneo di aiuti di Stato vigente in pandemia e che scadrà il 31 dicembre 2021, potrebbe però essere prorogato. Sono comunque previsti dei massimali per alcune tipologie di imprese:

  • 225.000 euro per produzione primaria di prodotti agricoli;
  • 270.000 euro pesca e acquacoltura;
  • 1,8 milioni di euro per tutti gli altri settori.

Aiuti de minimis: cosa sono, limiti, ammontare e come ottenerli

Uno dei pilastri del diritto dell’Unione Europea è il libero mercato, proprio per questo ci sono numerose norme il cui obiettivo è evitare che tra le imprese dei Paesi Membri sia alterato il gioco della libera concorrenza. Tra i punti cardine della legislazione dell’Unione Europea c’è il divieto di dare aiuti alle imprese in quanto questi andrebbero ad alterare la libera concorrenza. Ci sono però delle eccezioni e cioè gli aiuti de minimis, ecco di cosa si tratta.

Il divieto di aiuti di Stato

Il diritto dell’Unione Europea prevede il divieto di aiuti di Stato, la disciplina generale è contenuta nell’articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, TFUE, questo stabilisce il divieto generale di concedere aiuti di Stato, come sovvenzioni a fondo perduto, prestiti agevolati, garanzie su prestiti, esenzioni e immunità fiscali e tutti gli aiuti che siano idonei a falsare la concorrenza e pregiudichino il mercato interno. Lo stesso articolo 107 però prevede delle deroghe, queste possono essere concesse al fine di perseguire obiettivi strategici generali, ad esempio per portare economie deboli a livello delle forti, come nel caso di progetti per lo sviluppo del Mezzogiorno o per far fronte a perturbazioni economiche, tra cui quelle relative all’emergenza pandemica.

La normativa stabilisce che nel caso in cui uno Stato voglia concedere un aiuto debba darne comunicazione alla Commissione Europea che deve quindi valutare se il “progetto” sia in grado di ledere la libera concorrenza e minacciare il mercato interno oppure possa essere concessa una deroga. Gli aiuti devono quindi essere approvati dalla Commissione. Tale obbligo di comunicazione viene però meno nel caso in cui si tratti di aiuti coperti da un’esenzione generale per categoria, cioè gli aiuti de minimis. Cerchiamo quindi di capire di cosa si tratta.

Cosa sono gli aiuti de minimis

La prima cosa da sottolineare quindi è che gli aiuti de minimis possono essere concessi dagli Stati Membri senza doverne dare comunicazione alla Commissione Europea.

La seconda cosa da sottolineare è che si tratta di aiuti di piccola entità, proprio per questo si ritiene che non siano in grado di influenzare il libero mercato e la concorrenza. La normativa stabilisce che un’impresa unica non può ricevere più di 200.000 euro nell’arco di 3 esercizi finanziari. In realtà fino al 2006 il limite era di 100.000 euro, è stato successivamente innalzato. Deve essere anche ricordato che gli aiuti de minimis possono arrivare a 500.000 euro nel caso in cui siano riconosciuti in compensazione per la fornitura di Servizi di Interesse Economico Generale (SIEG) .

Il limite dei 200.000 euro in tre esercizi finanziari scende a 100.000 euro per le aziende che si occupano di trasporto su strada in conto terzi e a 15.000 euro per le imprese agricole. L’ammontare deve essere calcolato al lordo.

Da chi possono essere erogati gli aiuti del minimis?

Gli aiuti de minimis possono essere erogati dall’Amministrazione finanziaria, in poche parole dal MISE (Ministero dello Sviluppo Economico), dalle Regioni, Camere di Commercio, Comuni ed altri enti pubblici.

A chi possono essere riconosciuti?

La normativa stabilisce che tutte le imprese, qualunque sia la loro dimensione, possano riceverli, mentre sono esclusi alcuni settori, cioè:

  • pesca e acquacoltura;
  • produzione agricola;
  • trasformazione di prodotti agricoli, ma in questo caso con dei limiti infatti non possono accedere agli aiuti de minimis se l’entità degli stessi è legata al valore della produzione acquistata da produttori primari e nel caso in cui l’aiuto sia diretto parzialmente o integralmente a produttori primari;
  • attività connesse all’esportazione verso Paesi dell’Unione Europea;
  • per finanziare iniziative che stimolino o inducano l’utilizzo di prodotti nazionali rispetto a quelli di importazione.

Tali limiti a ben vedere sono giustificati dal fatto che si tratterebbe di finanziare delle attività che comunque rischiano di alterare le libera concorrenza.

Come capire se si può accedere agli aiuti de minimis?

Come si può notare, il limite dei 200.000 deve essere riferito a tre esercizi finanziari successivi, per capire se vi sono margini per ottenerli è necessario sommare il valore di tutti gli aiuti ricevuti anche se la loro forma è diversa, ad esempio si devono sommare fondi ottenuti, ma anche agevolazioni fiscali, l’ammontare del valore di eventuali garanzie ottenute, di immobili concessi a prezzi inferiori rispetto a quelli ordinari. A queste somme devono essere sommate quelle che eventualmente si otterrebbero partecipando a un determinato bando e complessivamente non deve essere superato il limite. Si parla in questo caso anche di base mobile.

É l’azienda a dover fornire all’amministrazione una dichiarazione sugli aiuti de minimis ottenuti nell’anno in corso e dei due esercizi finanziari antecedenti. L’ente erogatore dovrà però controllare che l’auto-dichiarazione corrisponda a realtà. Per aiutare le aziende a monitorare gli aiuti di Stato ricevuti è stato predisposto il Registro Nazionale degli Aiuti di Stato disponibile a questo indirizzo https://www.rna.gov.it/RegistroNazionaleTrasparenza/faces/pages/TrasparenzaAiuto.jspx  

Naturalmente nella scheda devono essere inseriti non solo gli aiuti ricevuti a livello statale, ma anche quelli ricevuti a livello locale.

Come ottenere gli aiuti de minimis

Per ottenere gli aiuti de minimis è necessario rispondere a bandi di concorso previsti a livello nazionale o locale, nel completare la procedura di partecipazione deve essere allegata l’auto-dichiarazione vista, nel caso in cui dai controlli dovesse emergere che è stato già superato il limite visto, naturalmente non sono concessi tali aiuti. Se la dichiarazione è non rispondente al vero, ma l’amministrazione concedente non se ne accorge ed eroga gli aiuti, in caso di successivi controlli potrebbero esserci conseguenze, cioè è necessario restituire gli aiuti.

Per rientrare nel limite dei 200.000 euro è anche possibile chiedere la riduzione di un aiuto precedente già concesso. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 28 ottobre 2020 in riferimento al caso di un’impresa che aveva ricevuto nei due anni precedenti importi pari a 130.000 euro e che in caso di concessione del nuovo aiuto avrebbe sforato tale limite, ha statuito che: “l’azienda che a causa dell’esistenza di aiuti precedenti, porterebbe l’importo complessivo degli aiuti che le sono stati concessi a superare il massimale «de minimis», può optare, fino alla concessione di tale aiuto, per la riduzione del finanziamento richiesto o per la rinuncia, totale o parziale, a precedenti aiuti già percepiti, al fine di non superare tale massimale.”

 

Banche Centrali chiedono una stretta sui prestiti per gli accordi Basilea III

L’entrata in vigore del Trattato Basilea III potrebbe avere ripercussioni sul sistema bancario e in particolare cui criteri adottati dalle banche per concedere prestiti, che dovrebbero diventare più stringenti, proprio per questo il mondo dell’imprenditoria e i privati stanno entrando in fibrillazione temendo una stretta importante, ma perché  tali timori avanzano? Semplice: le Banche Centrali chiedono una stretta sui prestiti.

Cos’è il Trattato Basilea III

Basilea III è un accordo che va a disciplinare il mondo delle banche dell’Unione Europea e dell’intermediazione finanziaria in genere. L’esigenza di stipulare tale accordo nasce nel 2008 a seguito della crisi finanziaria causata proprio dalla cattiva gestione di prestiti e finanziamenti da parte delle banche che di fatto avevano creato titoli spazzatura fino alla deflagrazione del sistema che ha colpito tutto il mondo. Il trattato di Basilea III è appunto del 2010, entra in vigore nel 2013,  ma gli Stati completano il recepimento solo nel 2019 e di fatto non è mai entrato in vigore in tutte le sue parti. Intende disciplinare il mondo bancario in modo da evitare simili ricadute.

Il sistema di Basilea III si basa su tre pilastri, il primo riguarda il capitale che le banche devono avere a disposizione rispetto a quello effettivamente concesso in prestito, si istituisce quindi un’autorità di vigilanza il cui compito è controllare il rispetto delle norme, infine l’ultimo pilastro riguarda proprio il credito e i criteri di adeguatezza che le banche devono rispettare per poter concedere prestiti.

Il trattato Basilea III disciplina anche gli investimenti in oro e in particolare distingue tra il mercato dell’oro fisico e il mercato dell’oro virtuale, il primo riguarda le scorte di oro fisico realmente in possesso delle banche da considerare non a rischio. Questa caratteristica fa in modo che le banche non abbiano interesse a dichiarare quantità di oro eccedenti rispetto alle reali “scorte”  e di conseguenza siano meticolose nel concedere credito, visto che la possibilità di concedere credito dipende anche dalle scorte di oro, ritenuto da sempre bene rifugio.

Perché le Banche Centrali chiedono una stretta sui prestiti?

Questo in linea di massima è il quadro delineato dal Trattato Basilea III, ciò che negli ultimi mesi ha destato un po’ di allarme nel settore è la richiesta fatta alla Commissione Europea da parte della Banca d’Italia e dalle Banche Centrali di 24 Paesi dell’Unione Europea, esclusa la Francia, di aggiornare le regole inerenti l’adeguatezza del capitale sulle banche,  e di applicare le nuove regole sul rating adeguandosi proprio al Trattato Basilea III.

L’obiettivo finale dichiarato dalle Banche Centrali è quello di rendere più solida l’economia attraverso una drastica riduzione del rischio di insolvenza. Tra l’altro la Francia ha sottolineato, attraverso una nota del governatore della Banque de France, Francois Villeroy de Galhau, che in realtà sostiene il sistema delineato con gli accordi di Basilea III, ma non conviene sul momento in cui le Banche Centrali hanno deciso di accelerare questo importante passaggio.

Le motivazioni della richiesta di maggiore severità nel dare prestiti alle imprese sono state rese note nella stessa missiva, sottolineando che un maggiore rigore porta ad una maggiore capacità delle banche di sostenere l’economia, soprattutto in periodi difficili come quello generato dalla crisi Covid. Inoltre applicare in modo totale gli accordi di Basilea III facilita anche i rapporti tra le banche, l’invito finale all’Unione Europea è a non concedere più deroghe all’accordo Basilea III.

Tra gli elementi che aumentano il rischio che le banche concedano meno credito c’è il cambio delle regole per il calcolo del rating bancario, cioè della capacità dell’impresa di restituire effettivamente il prestito. Con criteri più rigidi diventa quindi difficile avere accesso al credito e questo potrebbe bloccare gli investimenti delle aziende in un momento cruciale per l’economia del Paese, che vede finalmente la crescita del PIL dopo anni difficili iniziati proprio con la crisi finanziaria del 2008.

Premio europeo per le donne innovatrici

Le donne innovatrici possono partecipare all’EU Prize for Women Innovators, ovvero il premio istituito dalla Commissione Europea dedicato proprio a loro e alla loro capacità di proporre progetti nuovi e validi.
C’è tempo fino al 15 novembre 2017 per potersi iscrivere ed approfittare di questo progetto che mira a valorizzare l’esperienza femminile, ma anche migliorare le opportunità di business offerte dal mondo imprenditoriale dal punto di vista delle donne.

Chi può partecipare e sperare dunque di ricevere il premio, finanziato dal programma Horizon 2020? In particolare le donne che hanno fondato un’impresa o che sono socie di un’azienda promotrice di un progetto innovativo, anche se grazie ai finanziamenti ottenuti per la ricerca.
I premi saranno in realtà tre, e, a seconda del piazzamento, verranno attribuiti 100 mila, 50 mila o 30 mila euro.

Per candidarsi, occorre essere nate dall’1 gennaio 1987 in poi, ed essere fondatrici, o cofondatrici, di un’impresa attiva registrata prima del 1 gennaio 2016.
Il fatturato annuo deve essere stato non inferiore a 100mila euro nel 2015 o nel 2016.
Le candidate devono aver ricevuto per l’impresa un finanziamento europeo o nazionale per la ricerca e l’innovazione, oppure un finanziamento da parte banche o altri istituti.

Le candidature devono necessariamente essere inviate attraverso il portale ec.europa.eu.

Vera MORETTI

tag: EU Prize for Women Innovators, imprese femminili, Commissione Europea, Horizon 2020